lunedì 30 marzo 2009

GRANDI INVENZIONI

Ha creato una speciale suoneria per telefonini che, a quanto pare, fa ingrandire il seno femminile. Il suono del cellulare riproduce il pianto di un bambino e, a livello inconscio, induce il cervello di una donna a considerare il suo corpo in uno stato di post/gravidanza tanto da mettere in moto alcuni muscoli addominali. L'inventore di questa melodia è uno scienziato giapponese, il quale sostiene che gli effetti benefici della sua scoperta sono riscontrabili anche in diversi esperimenti da lui effettuati in 15 anni di ricerche. Secondo quanto previsto dal brevetto, il suono della durata di 30 secondi, va ascoltato 20 volte al giorno per 20 giorni: così il seno aumenta di circa 3 centimetri. La suoneria sta ottenendo un gran successo, soprattutto on-line: solo nella prima settimana in cui è stata immessa in rete, è stata scaricata da oltre 10 mila persone.

sabato 28 marzo 2009

RISPOSTA DI GAETANO BARBELLA AL COMMENTO DI PIETRO D. PERRONE


Pietro, la tua intelligente riflessione e il fatto di vederti in mia sintonia mi spinge ad approfondire le cose che hai rilevato con dovizia sulla peculiarità del pensiero limitato solo al genere umano.
Sul punto a favore dell’intelligenza umana inimitabile se ne parla nel libro da cui ho tratto i due capitoli di Am-Eurisko e Cyc, le macchine a Ia. Viene detto infatti che molti, su libri e riviste, hanno decretato la morte dell’Intelligenza Artificiale. Secondo il fisico e matematico Roger Penrose nessun programma potrà mai essere cosciente e creativo. Per il filosofo John Searle nessuna manipolazione di simboli può portare alla comparsa di una mente. Secondo l’informatico Joseph Weizenbaum l’IA, se anche fosse realizzabile, sarebbe immorale.
Dunque le cose ritornerebbero in un certo senso in mano ai filosofi, gli unici i grado di seguire il pensiero e trarne i lumi nonostante la battuta di Pier Luigi sui due filosofi?
Però mi sovviene il pensiero di un noto filosofo il bresciano Emanuele Severino, docente di ontologia fondamentale all’università vita-salute del San Raffaele, che intervenne, insieme ad altri accademici di altre discipline, ad una rubrica messa su da Newton RCS Periodici con il servizio «Scommetti sul futuro» su Internet, [http://newton.corriere.it/tools/newton-futuro07/newton-futuro07.shtml].
L’intervento di Severino aveva per titolo «LA TRADIZIONE OCCIDENTALE SARÀ DISTRUTTA. E IL MONDO SARÀ GOVERNATO DA UNA TECNICA SENZA ETICA» e questo di seguito è la sua opinione relativa.

«La tendenza in atto - egli sostiene - fa intravedere sempre più radicalmente la distruzione della tradizione occidentale e siccome l’Occidente è alla testa del Pianeta, assisteremo alla disintegrazione dei valori che hanno dominato la Terra. Questa distruzione è operata dal pensiero filosofico degli ultimi due secoli, che mostra ciò che comunemente viene chiamata la morte di Dio, cioè la fine di ogni verità assoluta, di ogni fondamento, di ogni centro del mondo. Se non c'è alcun Dio, e cioè nessun limite, nessuna verità che argini e guidi l'azione dell'uomo, allora la scienza e la tecnica hanno via libera, ricevono da parte della filosofia del nostro tempo l’autorizzazione a procedere al dominio totale delle cose. Sto parlando di una tecnica e di una scienza che tendono ad avere sempre più come scopo l'incremento della capacità di produrre scopi.

Avremo un mondo regolato dalla scienza, che ha la scienza come autoreferente, ma con questa essenziale precisazione: non sarà la scienza degli scienziati che intende in modo ingenuo la tecnica come strumento. Fino a quando c’è un’ideologia, che in laboratorio dice al tecnico fermati, perché oltre un certo limite tu non puoi andare, altrimenti ti scontri con il mio messaggio cristiano o islamico, oppure umanistico, questa tecnica è debole. L’etica non è più ciò che era un tempo, cioè la guida che dice alla tecnica: “Tu puoi arrivare fin qui e non oltre”. Ma è la tecnica a servirsi dell’etica, per aumentare la sua stessa potenza.».

E questo è il commento che feci insieme a tanti altri prime e dopo di me:

Contraddizioni.
Non mi cimento ad arginare un torrente immaginario così impetuoso e disastroso ai danni della tradizione occidentale, come quello descritto dal prof. Severino, nel ritenerlo un fatto quasi scontato. Egli nemmeno si rende conto che implicitamente ha fatto morire egli stesso Dio con l’esprimere dei dubbi ideologici sul suo potere. Se il prof. Severino ritiene basilare l’esistenza di Dio, l’unica sicurezza per un vivere etico, non ha senso la negazione col ritenere quasi scontato che egli muoia. Altrimenti che Dio è? Non si tratta di avere fede o no, ma di una convinzione che proviene dalla ragione: è un fatto matematico. Sono perplesso per tutto ciò che ha detto il prof. Severino su Dio quando penso a quel che aveva affermato in un articolo di fondo, sul Corriere della Sera di lunedì 4 aprile 2005, sul conto del defunto Papa Giovanni Paolo II. Il titolo dell’articolo era «La forza che manca al mondo laico». Si trattava di una forza straordinaria che il filosofo bresciano riconosceva nel Papa e quindi anche nella sua Chiesa - secondo la mia visione - ma che non ravvisava nel mondo laico. «Nessuno ha saputo fare per il tempo che viene quello che il Papa ha fatto per il tempo che se ne va», egli affermò. Dunque in virtù di che cosa Iddio viene glorificato e si carica di potenza al cospetto di coloro che lo rinnegano, se non con la forza e il coraggio dimostrato da questo Papa, e chissà quanti come lui? E se il prof. Severino intravede che «Il mondo laico, si limita a galleggiare: non vede più la potenza che all’inizio del nostro tempo ha distrutto la tradizione. La potenza del pendio» e «Forse intravede la tragedia che, a valle aspetta il torrente, ma evita di guardarla in faccia e di assumersi la responsabilità del presente» (parole dell’autore, il prof. Severino), ebbene sarà anche la stessa cosa per la «scienza e la tecnica», nelle mani del mondo laico in balia delle onde. Resterà ciò che deve salvarsi, quel mondo che ha saputo tenere salda la fede di Dio, quello del Papa «venuto da lontano» tanto coraggioso e intrepido. Gaetano Barbella.

Si capirà che non sto a formulare il mio pensiero sul tema sviluppato dal prof. Severino, ma solo a far rilevare che questi è in contraddizione con sé stesso.

Cari saluti cumulativi,
gaetano
28 marzo 2009 10.34

COMMENTO DI PIETRO D. PERRONE AL POST : LA TV DI ALICE ( martedì 24 marzo)


Paola,ho letto il post. Mi ha suggerito alcune parole.
A proposito della scienza e della matematica: postulati.
A proposito della storia delle macchine pensanti: coscienza.

Avrai già capito, forse, cosa intendo dire.
Nel primo caso, cito ad esempio la frase che ha avuto tanto successo al festival americano della matematica: "le crisi economiche nascono perché la gente non conosce la matematica".
La matematica, la scienza economica, le scienze in genere, anche quelle fisiche, non solo quelle umane, si fondano su postulati.
I postulati sono il pilastro di ogni scoperta matematica o scientifica in generale. Se si cambia un postulato è come se si entrasse in un universo parallelo. Molte cose rimangono immutate, ma la realtà del contesto muta radicalmente.
L'economia matematica (quella basata sulle serie storiche, sulle statistiche, sulla demografia) ha lo stesso limite che ha la meteorologia: un modello affidabile di previsioni non può andare oltre 5 giorni. A stento , perdendo molta attendibilità, potrebbe arrivare a 7 giorni. Perchè? Perchè da qualsiasi serie statistica o comportamentale si parta, non si può prevedere il futuro, che, contrariamente al passato incorpora fattori di cambiamento.
In pratica: nel passare dal passato al presente al futuro, mutano i "postulati" su cui si fondano i presupposti delle previsioni.
Quindi: attendibilità vaga, o nulla.

Ovviamente un economista non ammetterebbe volentieri tutto ciò.
Ma tutto ciò è più vero delle previsioni economiche più attendibili del più quotato centro di ricerca.
Per fortuna, nel 2002 hanno dato il Nobel dell'economia ad un tale Kahneman - psicologo israeliano, Professore all'Università di Princeton, uno dei fondatori della finanza comportamentale - per avere integrato risultati della ricerca psicologica nella scienza economica, specialmente in merito al giudizio umano e alla teoria delle decisioni in condizioni d'incertezza».

Qui vengo alla storia delle macchine pensanti: la coscienza, o, se si preferisce, l'autocoscienza. E' questo il miracolo ancora non spiegato che ha differenziato l'uomo dagli altri esseri viventi.
Questo miracolo (lo chiamo così, ma non intendo nulla di religioso; solo che tutto ciò che è al di fuori delle spiegazioni validate dalla scienza, rientra in un ambito non scientifico, miracolare, magico, numinoso...) questo miracolo costituisce una differenza a tutt'oggi incolmabile fra un essere umano e tutta la materia di ci è composto. Fra un uomo e tutta la chimica che lega quella materia. Fra un uomo e qualsiasi macchina che imiti l'uomo.
Nella coscienza - o autocoscienza - è compreso anche la capacità di reagire al mutamento dei "postulati". Lì si fermano le scienze e le macchine. O l'economia ed i modelli previsionali di breve, medio o lungo periodo.
Reagire. Reazione. Interagire. Interrelarsi.
Evoluzione.
Mi fa ridere la scienza contemporanea quando dimentica, narcisisticamente, la propria umile debolezza.
Ma la capisco e la ammiro: è il più grande strumento che l'uomo ha a disposizione per comprendere il mondo (l'universo). Ed è tanto potente che può pure permettersi qualche debolezza.
Per fortuna che ci sono anche i filosofi. Immersi nelle loro elucubrazioni, spesso autorefferenziali, bizantine, barocche, roccocò.
Ma ai filosofi non sfugge di mano il pensiero. E quello, il pensiero è il figlio naturale della coscienza (se dai nome Mnemosyne alla coscienza, evoluzione psico-sociale della memoria e nome Prometeo al Pensiero, ti trovi sul monte Caucaso, quando il Titano fu liberato dalle catene di Zeus. Incidentalmente ciò avvenne per mano di Eracle, uomo-eroe. Appena libero Prometeo rinunciò alla sua origine divina, eterna ed onnipotente, ma incosciente ed anevolutiva [passami il termine] ed abbracciò il destino dell'uomo, fece sua quella natura debole, cadùca, ma cosciente e cangiante, mutevole ma reattiva).

Ringrazio ovviamente Gaetano per aver offerto l'occasione per una ghiotta riflessione(lui lo preferisco nella versione illuministica, anzichè in quella ermetica).

mercoledì 25 marzo 2009

KRIMINI

GLI ALBINI DELL' AFRICA DELL'EST VITTIME DI CACCIATORI DI PELLE E DI ORGANI. VEDI qui

martedì 24 marzo 2009

LA TV DI ALICE


Come sarebbe bello poter entrare nella Casa dello Specchio! Sono sicura che ci sono delle cose meravigliose! Facciamo finta che il vetro sia diventato morbido come la nebbia e che possiamo passare dall’altra parte. Ecco, guarda: sta diventando una specie di brina, proprio in questo momento, te lo dico io! Andate di là sarà facilissimo...

di Lewis Carrol

[da Alice attraverso,lo specchio]

Premessa

Leggo e partecipo con molto piacere a interessanti convivi che l’amica Paola sa disporre nel suo Forum di Teoderica. In questi giorni ha scelto un commento dell’amico fraterno del web, Pier Luigi Zanata. Si tratta di una sua interpretazione del post di Paola AMARE LE LIBERTÀ SIGNIFICA NON ABUSARNE. Dopo aver riletto il commento di Pier Luigi, mi è venuto di dare una mia risposta tutta nuova come è mio solito fare. Ma mi sono subito reso conto che occorrevano molte pagine per dire ciò che avevo in mente e così ho pensato ad uno scritto che chiederò di far postare all’amica Annarita sul suo blog di matematica (a lei piacendo), considerato che le mie argomentazioni vertono sulla matematica. Nulla che possa precludere, però, che lo stesso scritto sia esposto anche sul blog di Paola, magari di seguito a quello a commento, così come è stato fatto altre volte.

IL COMMENTO DI PIER LUIGI ZANATA

GUARDA LA TV CHE TI FA BENE

(Rif.nto post del 24.03.2009 del Forum di Teoderica)

Il genere umano per la maggior parte non si rende conto di vivere nel regno delle ombre per il solo fatto di essere subordinati alle necessità del corpo. Si crede libero, mentre è più che mai prigioniero di una fatalità che lo opprime. In alcune persone la sete di ricchezza e' tale che nulla può fermare la loro cupidigia, quando a regnare è la “libertà”. Per la grande massa, le catene della necessità diventano perciò più strette che mai, senza che per questo venga fatta luce: manipolati in un primo tempo da coloro che si arricchiscono a loro scapito, lo saranno in seguito da coloro che promettono di dividere tutto. E quando queste promesse non valgono più, è ancora possibili distrarli (la tv generalista e ricreativa, i reality, oh quanto aiutano).

Per quanto sia difficile ammetterlo, la condizione umana è tale che la maggior parte delle persone non uscirà mai dalla caverna.

Se mi permettete chiudo con una conversazione tra due partecipanti al festival della filosofia di Modena:

A- Dunque, caro, sembra che tu sia uno di quei tizi che pensano che non ci sia una verità assoluta, che ogni verità sia relativa.

B- Giusto.

A- Ne sei sicuro?

B- ASSOLUTAMENTE SI'.

Il commento di Gaetano Barbella a questo commento:

A quanto pare si è in un vicolo cieco, poiché nonostante il battagliare per la libertà dai tanti modi di manifestarsi della tirannia, che non è solo quella di un uomo che dispone in modo assoluto di un popolo, vengono fuori due filosofi che si prendono gioco del mondo ironizzando sul senso della verità. E dimostrando così di non avere idee chiare sulla verità, la vita non ha senso in modo che sia affrontata dall’uomo comune che ne ha assolutamente bisogno. Questi come farà a dar retta a chi dispone di lui che lo comanda che forse abusa di lui ricorrendo alla menzogna? Ma la filosofia non è nata per dare proprio questo genere di sostegno all’uomo?

Dunque non c’è altro modo per far nascere nell’uomo il vero, che pur restando relativo, ha modo di non farlo vacillare? Nel senso che per lui è verità assoluta quanto basta per dargli stabilità e motivazioni per ogni ora della sua vita. Egli sarà comunque conscio che la verità sarà diversa all’indomani e avrà modo per fronteggiarla, predisponendo il suo pensiero, perché l’intelletto glielo dice.

E venendo meno il filosofo non resta che il matematico verrebbe da pensare, ma non è che sentirlo parlare rechi tanta gioia nell’uomo in genere che non gradisce tanto parlare di numeri se non quando deve comprare o vendere o altro. Per lui sembra che il pensare non vi abbia a che fare, invece sì.

La 3/a edizione del Festival della Matematica, tenutasi all’Italian Academy della Columbia University e presso l’Istituto Italiano di Cultura a New York, quest’anno e’ stata dedicata all’argomento crisi: lo slogan è “Salvare il mondo con i numeri”.

Fra le cose che sono emerse c’è quella del premio Nobel per la fisica Sheldon Glashow. Egli ha detto che le crisi economiche nascono perché la gente non conosce la matematica: dalle errate valutazioni fatte per le piccole spese quotidiane alle grandi speculazioni tutto sarebbe riconducibile al fatto che la maggior parte della popolazione ignora le leggi che governano i numeri. Dunque, considerato che è il denaro la molla del mondo e tutto vi dipende, potremo dire bingo sulla questione che non è stata risolta dai filosofi.

Ma non fa meraviglia sentir parlare della matematica capace di dare risposte là dove altrove non se ne trovano come si è visto. Infatti così comincia in proposito il suo libro, Intelligenza matematica, Brian Butterworth (ed. Rizzoli, 1999) del quale ne ho parlato in questo blog di Matematic@Mente o Scientificando.

Io non sono un matematico comincia Brian Butterworth. In effetti, non sono particolarmente bravo né in matematica né a far calcoli. D’altra parte, come chiunque altro, in ogni giorno della mia vita, in ogni singola ora di veglia, io mi servo dei numeri. I numeri invadono i miei sogni e le mie fantasie, le mie speranze e le mie ansie. Forse, se troviamo cosi difficile renderci conto di quanto siamo completamente dipendenti dai numeri è proprio perché guardiamo il mondo inforcando lenti numeriche che non ci togliamo mai. Sto dando un’occhiata alla prima pagina del giornale di stamattina. Ho il sospetto che la situazione sia abbastanza comune.

Il giornale, pubblicato il 12 giugno 1998, costa 45 penny. Lo sport è a pagina 28. Il ministero delle finanze e del tesoro venderà proprietà pubbliche per 12 miliardi di sterline 4 miliardi l’anno; le autorità locali si aspettano di raccogliere 2,75 miliardi; nel settore del pubblico impiego i salari aumenteranno del 2,25%; l’investimento del governo è diminuito dello 0,84411% del prodotto interno lordo; l’investimento netto nelle infrastrutture fìno al 2002 sarà di 14 miliardi; la spesa pubblica aumenterà del 2,75% e il Governo raccoglierà 1 miliardo di sterline l’anno vendendo proprietà non utilizzate...

Segue una carrellata di altre cose del genere legate a numeri e poi, saltando alcune pagine l’autore dice cose interessanti sui numeri come queste, utili per farci riflettere sul tema della concezione del mondo in termini di numeri.

Oggi utilizziamo i numeri abitualmente. Li usiamo per contare oggetti, per dire che ora è, per fare statistiche, per giocare d’azzardo, per comperare e per vendere oggetti. Persino il baratto richiede i numeri: ti do sei maiali se mi dai due coltelli. Usiamo i numeri per classificare i concorrenti, per dare un indirizzo alle abitazioni, per dare voti ai candidati in esame. Beni e servizi, temperature e quozienti d’intelligenza sono espressi in valori numerici. I numeri identificano le automobili e i loro motori, i canali televisivi e i telefoni. Le merci in vendita nei negozi hanno codici a barre. Le persone hanno numeri di previdenza sociale, numeri di conto bancario e numeri di passaporto. La nostra altezza, il peso l’età sono espressi dal multiplo numerico di un’unità standard.

L’importanza dei numeri non sta solo nella loro ovvia utilità, ma anche nella maniera in cui essi hanno foggiato il nostro modo di concepire il mondo. Quello dei numeri è il linguaggio con cui formuliamo le teorie scientifiche. Come affermò Einstein, essi sono la «controparte simbolica dell’universo». Sono indispensabili per le misure che assumiamo come prove fondamentali delle nostre teorie. «Quando non possiamo misurare le nostre conoscenze sono misere e insoddisfacenti», per citare Lord Kelvin, il grande scienziato del diciannovesimo secolo che, non a caso, inventò la scala per misurare la temperatura assoluta.

Per farvi un’idea di quanto siano fondamentali i numeri, provate a immaginare il nostro mondo senza di essi. Non ci sarebbe denaro, né contabilità, né imposte sul reddito. Senza numeri il commercio sarebbe limitato al baratto faccia a faccia. Io potrei vedere i coltelli che voi intendete scambiare e voi potreste vedere i miei maiali, ma il commercio a di- stanza sarebbe straordinariamente difficile. Come comunicare il numero di maiali che sarei disposto a scambiare con i vostri coltelli, e il numero di coltelli che accetterei in cambio dei miei maiali? [...]

Senza numeri, non potremmo enunciare le teorie fondamentali della natura fisica, come le leggi di Keplero sul moto dei pianeti, le leggi sul moto di Newton o la legge di Einstein E = mc². I chimici si troverebbero malissimo senza la tavola periodica degli elementi, ordinata numericamente. Anche lo studio della natura umana si è affidato ai numeri per quantificare attributi mentali come l’intelligenza, l’età in cui s’impara a leggere, o il grado d’introversione...

E qui smetto, ma a malincuore, di proseguire la citazione di Brian Butterworth sul “pensare per numeri” cui, secondo lui, l’uomo è soggetto. Perché aver analizzato quest’aspetto intimo dell’uomo, non ci dà la risposta che si cerca sulla questione iniziale, ma ci rassicura che è proprio la matematica la nostra ultima spiaggia in proposito.

Naturalmente sto seguendo un mio itinerario, fuori dai canoni scientifici e umanistici (come al solito), perciò sentite questa mia idea per la quale mi avvalgo di un’altra pregevole lettura fatta di recente.

Si tratta del libro, Macchine come noi, di Castelfranchi Stock (Editori Laterza, 2003). Ho pensato che se la risposta non viene dall’uomo e viene dalla scienza matematica ma viene comunque da lui in un certo senso –, può essere che si tratti delle macchine a Intelligenza Artificiale. Infatti nel leggere il libro in questione mi si è illuminata la mente poiché vi ho intravisto la risposta che si cerca.

Salto gran parte delle pagine del testo per fermarmi alla storia di una macchina a IA, l’«Am, matematico autodidatta», state a sentire e non infastiditevi della lungaggine. Sarà per certi versi leggere alcune pagine del libro a casa vostra, cosa che vi piacerà di certo.

Am, matematico autodidatta

Nel 1982 Lenat era un giovane studente del Mit, aggressivo e ribelle. Rifiutò l’approccio classico di programmazione, che racchiudeva tanto la logica che la conoscenza in un insieme fisso e rigido di regole. Decise invece che la sua tesi di dottorato doveva consistere in un programma che contenesse poche regole, ma che fosse capace di inventarne di nuove, di imparare scoprendo.

Nacque così Am, Automatic Mathematician, ovvero il matematico automatico, un software capace di scoprire proprietà e principi della matematica. Non dimostrava teoremi come faceva «Logic Theorist», non risolveva problemi come Gps, ma scopriva cose nuove grazie a intuito e creatività. Am, semplicemente, cercava cose interessanti o curiose nell’ambito della matematica elementare. Era programmato in Lisp e conteneva un centinaio di concetti, estremamente semplici, sui fondamenti della matematica. Sapeva cos’è un insieme, a cos’è un insieme vuoto (cioè senza nessun elemento), conosceva i concetti di unione e di intersezione. Conteneva anche una serie di regole logiche su come generalizzare o specializzare i concetti e su come decidere quali nuovi concetti possano essere interessanti. Am sapeva che modificare qualche piccolo dettaglio di concetti già conosciuti può portare a scoperte importanti: ad esempio, se ripetiamo un’addizione tante volte, ‘inventiamo’ la moltiplicazione.

Così, partendo da pochissime idee, ma con tanta fantasia, il giovane Am cominciò a giocare con la matematica. I risultati lasciarono sbalordito lo stesso Lenat: nel giro di una notte il programma scoprì i numeri interi, l’addizione, la moltiplicazione e persino i numeri primi. Non solo: oso supporre che potesse essere vera la congettura di Goldbach sui numeri primi, ma, sfortunatamente, la considerò poco interessante per essere approfondita!

Am inventò e studiò persino il contrario dei numeri primi, i numeri ‘massimamente divisibili’. Douglas Lenat non aveva mai pensato a tale possibilità. La cosa era straordinaria per certi aspetti. Am aveva scoperto un concetto ignorato dalla grande maggioranza dei matematici, ma che era stato studiato da un geniale matematico indiano, quasi analfabeta e autodidatta, di nome Srinivasa Ramanujan.

Considerato uno dei più grandi talenti della matematica di tutti i tempi, Ramanujan (1887-1920) era nato in un villaggio a 400 km da Madras, da famiglia poverissima. A due anni si ammalò di vaiolo e per tutta la vita fu oppresso da gravi problemi di salute. Adolescente, cominciò a studiare da solo la matematica, utilizzando come unica fonte un vecchio libro di liceo. Scoprì, senza sapere nulla dei risultati degli altri matematici, come risolvere le equazioni di quarto grado, come sommare le serie infinite, come calcolare il numero Pi greco, la costante di Eulero, i numeri di Bernoulli e le funzioni ellittiche. Dovette sposare per scelta della madre una bambina di nove anni, ma non riuscì a trovare un lavoro per mantenere la famiglia. Precipitato nella miseria più totale, inchiodato per mesi in un letto per le, continue malattie, ridotto a «un uomo quasi morto di fame», come disse egli stesso, scrisse diverse lettere a matematici indiani e inglesi per chiedere aiuto. Molti di essi non risposero, altri confessarono di non essere in grado di capire se i suoi teoremi, privi di dimostrazione o dotati di dimostrazioni non ortodosse, fossero geniali o del tutto insensati.

Infine, Ramanujan inviò al grande teorico dei numeri Godfrey Hardy un plico pieno dici enunciati di ogni genere, e scrisse: «ho bisogno di cibo»[1]. Hardy riconobbe il genio del ragazzo e lo invitò a studiare a Cambridge. Impartire a Ramanujan un’educazione matematica ortodossa fu impossibile, ma l’Università decise, in virtù dei suoi articoli straordinari, di concedergli il dottorato. Ramanujan divenne presto celebre, ma la sua salute peggiorò inesorabilmente. Tornato in India nel 1919, finalmente con un impiego, morì dopo pochi mesi, all’età di trentatre anni.

Hardy e i suoi assistenti studiarono per anni i lavori inediti di Ramanujan, e ne ricavarono oltre 30 articoli importanti, in diversi settori della matematica. Ramanujan, come Am, amava giocare con i numeri, senza avere un’idea rigorosa di cosa fosse un teorema o una dimostrazione. E come Am, si era accorto dell’esistenza e delle proprietà dei numeri massimamente divisibili.

Tuttavia, dopo tale brillantissimo inizio, Am non scoprì nulla e non fu capace di adattarsi a nessun altro settore del sapere. Si bloccava sempre dopo poche ore di lavoro, bisognava accudirlo continuamente affinché non entrasse in crisi. Il motivo era che il programma derivava la propria creatività dalla capacità di modificare se stesso. Quando pensava di aver trovato un filone interessante da investigare, Am mutava parte del proprio programma per adattarsi alle nuove scoperte e spesso tali mutazioni sperimentali lo portavano alla paralisi.

Poco tempo dopo Lenat sviluppò un nuovo programma di nome Eurisko (cioè ‘trovo’ in greco), anch’esso capace di imparare da sé automodificandosi. Lo usò su un gioco di strategia, simile al Risiko ma navale: ogni giocatore deve progettare una flotta, decidendo la dimensione delle navi e l’armamento. Vince chi sopravvive agli attacchi avversari. Eurisko migliorò le proprie strategie giocando decine di partite contro se stesso. Di lì a poco si iscrisse al torneo nazionale del gioco, e lo vinse.

La strategia di Eurisko era al tempo stesso assurda e geniale: la sua flotta era formata solo di navi minuscole, velocissime... E senza armi! Il programma non poteva uccidere nessuno ma, mentre gli altri giocatori si distruggevano l’un l’altro, le sue navi risultavano quasi inaffondabili. Nessun umano aveva pensato una strategia del genere. L’anno successivo gli organizzatori furono costretti a cambiare le regole del gioco per impedire tale scappatoia.

Anche Eurisko soffriva però i limiti di Am. Da un lato, ebbe intuizioni importanti, come quella di progettare circuiti integrati tridimensionali anziché piatti, ma altre volte si bloccava finché non interveniva Lenat. Un giorno «sviluppò in qualche modo il piano di cancellare dalla sua memoria tutti i piani. Per fortuna questo piano cancellò anche se stesso prima di poter produrre troppo danno». Tutto ciò condusse Lenat alla conclusione che, anche se uno dei semi dell’intelligenza fosse la capacità di modificare i propri modelli, ciò non bastava. Serviva anche una conoscenza approfondita di cosa significa esistere in questa terra. Il calcolatore doveva poter conoscere e scoprire il mondo come facciamo noi. Ci riflette seriamente, Lenat, e infine pensò che la soluzione era Cyc, ovvero encyclopedico. Il più colossale archivio di dati sul senso comune umano che si possa immaginare.

Cyc: l’enciclopedia diventa persona?

Cyc, nato nel 1984, è stato sviluppato ad Austin, nel Texas, presso la Cycorp, una compagnia privata che Lenat e i suoi assistenti hanno fondato per riuscire a portare a termine il progetto. Secondo Lenat il fattore cruciale che distingue il pensiero di noi umani da quello dei computer è il fatto che questi ultimi non sanno quasi nulla del mondo che li circonda, mentre ogni persona ha un bagaglio di conoscenze e di senso comune che gli permette di interpretare i fatti, di imparare e comunicare. La differenza fra un computer pensante del futuro e i Pc di oggi non starebbe tanto in una potenza di calcolo fantascientifica o in un software magico in attesa di essere scritto, ma semplicemente in una immensa base di conoscenze sui fatti e sulle regole che governano il nostro mondo. Così Lenat ha assoldato una trentina di professionisti provenienti dalle discipline più diverse (antropologia, filosofia, linguistica, informatica), per costruire l’équipe dei ‘Cyclisti’. Loro missione è quella di insegnare a Cyc tutto quello che una persona sa sul mondo, nonché cosa si provi a vivere in questo luogo strano, che non obbedisce ai sillogismi aristotelici né ai teoremi di Russell, che non è fatto di sfere e cubi, ma di code all’ufficio postale e gelati al cioccolato.

In questi anni Cyc ha imparato circa un milione di regole sul nostro mondo. Niente a che fare con le leggi della fisica o i principi della logica ma, al contrario, tanti piccoli semi di saggezza comune. Per esempio, Cyc sa che al mondo esistono categorie di cose che «si possono toccare» e cose che «non si possono toccare». Sa che esistono oggetti, animali, piante. E contiene un gigantesco archivio di notizie intrecciate su oggetti o esseri esistenti: per esempio, la parola «uccelli» fa pensare a Cyc cose del tipo: «gli uccelli sono animali, vertebrati, che respirano aria». Cyc sa anche molte cose non contenute nel concetto generico di uccello. Per esempio, contiene la regola: «Se X è un uccello e X soffre un certo livello di dolore, allora X evoca simpatia». Ovvero: quando vediamo un passerotto ferito, proviamo compassione.

Cyc è un archivio delle conoscenze inconsapevoli della vita di tutti i giorni. Conosce centinaia di migliaia di fatti che tutti noi consideriamo banali, ma che per una macchina non lo sono affatto: sa che gli alberi in genere non vivono in un salotto, che un bicchiere d’acqua non va tenuto a testa in giù. E conosce tacite regole di convivenza: «se una persona sta guidando una macchina, il contatto visivo durante una conversazione non è socialmente richiesto», bizzarre verità ottico-anatomiche: «in genere puoi vedere il naso di una persona, ma non il suo cuore» e la dura realtà della vita: «quando uno muore, resta morto».

Se l’idea di costruire una macchina pensante infilando in memoria i milioni di dettami di senso comune che la vita quotidiana ci insegna vi appare assurda e inconcludente, siete in buona compagnia: Lenat inizialmente fu deriso da molti scienziati. E anche oggi, nonostante egli sia considerato uno dei più importanti ricercatori nel settore dell’IA, sono pochi a condividere il suo approccio. Edward Feigenbaum accoglie positivamente le idee del suo allievo ribelle. Ma John McCarthy, pur avendo collaborato con i Cyclisti, è molto scettico: «Sono d’accordo con l’approccio di Lenat ha dichiarato in una intervista ma credo che egli si aspetti troppo dai metodi di cui ora dispone. Senza qualche nuova ispirazione concettuale, Cyc non potrà fare progressi».

Ad ogni buon conto non si può dire che oggi Cyc non funzioni. Grazie alle molte cose che conosce sul nostro mondo, Cyc (come altri sistemi con competenza semantico-lessicale) è capace di cogliere la differenza fra due frasi quasi identiche come «Ho visto le Alpi in volo verso Parigi» e «Ho visto un aereo in volo verso Parigi». Nel primo caso, Cyc sa che le Alpi sono montagne, immobili, che il soggetto ha visto mentre volava verso Parigi. Nel secondo caso Cyc capisce, anche se la struttura della frase è la stessa, che stavolta il soggetto ha visto, probabilmente da terra, un aereo che volava in direzione di Parigi. Dunque per Cyc al di sotto di «Alpi» e «aereo» si trovano concetti che ne evocano altri: la parola Alpi è connessa con montagna, sciare, neve, mentre aereo è connesso con volare, viaggiare, motori, e così via.

Se usato per reperire immagini da un repertorio di fotografie indicizzate con le caratteristiche del loro contenuto, Cyc può trovare la foto di «una persona coraggiosa», ad esempio fornendo l’immagine di una scalatrice intenta a fare free-climbing su una parete a picco. Se la richiesta è di trovare le immagini in cui «compaiono dei nipotini», Cyc vi mostrerà tutte le foto contenenti persone. La logica e ferrea come quella del dottor Spock in Star Trek: ognuno di noi e nipote di qualcuno. Secondo Lenat, man mano che il database delle sue conoscenze cresce, Cyc diventa sempre più intelligente, e presto sarà capace di leggere e capire i giornali, di navigare in rete per imparare da solo senza che gli umani inseriscano nuove conoscenze a mano. Quando avverrà? Nel 1984 Lenat giurava che sarebbero bastati dieci anni. Oggi dice che per il 2025, quando conterrà non un milione ma venti o quaranta milioni di regole, Cyc sarà un essere pensante completo, vivrà in rete e in tutti i computer del mondo, nonché nelle televisioni e nei telefoni,nelle automobili e nelle camere da letto. E aggiunge, per rassicurare gli sponsor[2], che forse il grande salto è già alle porte: nel 2001 Cyc comincerà a leggere e parlare. Intanto, azzarda Lenat, «Cyc è già cosciente di sé. Se gli chiedete chi siamo noi, lui sa che siamo gli utenti. E sa che lui sta funzionando su una certa macchina, in un certo luogo, in un certo momento. Sa con chi sta comunicando, sa che sta avvenendo una certa conversazione. Ha lo stesso tipo di senso del tempo che abbiamo noi...».

Spavalderia di Lenat a parte, Cyc è un sistema in cui è rappresentata molta conoscenza di senso comune. Capisce molte cose e, quando non capisce, è capace di fare domande. Lenat pensa che il suo sistema potrà contribuire agli sviluppi anche per quanto riguarda la comunicazione linguistica, che certamente abbisogna di molta conoscenza di senso comune. La comunicazione linguistica è un’altra delle caratteristiche da sempre considerate fondanti dell’intelligenza umana. Sul linguaggio si basa il gioco dell’imitazione di Turing e, sin dalle origini, tale facoltà, assieme al ragionamento, fu una di quelle che i pionieri dell’IA tentarono di insegnare alle macchine.

Am-Eurisko-Cyc

A questo punto, immagino che si sia capito il suggerimento che sembrano dare i tre tipi di macchine a IA, se traslati all’ipotetico tipo d’uomo di nuova generazione secondo una mia idea. Am-Eurisko gli conferirebbe il potere dell’autodidatta, incapace di ledere se non sé stessa, ma con a fianco (e non integrato) Cyc. Questa condizione sembra l’ideale per limitare se non eludere i limiti di Am-Cyc da cui derivava la loro creatività dalla capacità di modificare se stesso. Oltre al fatto saliente, proprio di Eurisko, che si riferisce alla citata strategia del gioco della battaglia navale con una flotta formata solo di navi minuscole, velocissime... E senza armi! Il programma non può uccidere nessuno ma, mentre gli altri giocatori si distruggono l’un l’altro, le sue navi risultano quasi inaffondabili.

Ecco l’uomo ideale del futuro che sopravvive ai cattivi eventi e non è disposto a tiranneggiare ma nemmeno a dar sostegno alla concezione di Platone sulla nascita della tirannia.

Ma, il suggerimento che ci viene dall’aver paragonato Am al grande Srinivasa Ramanujan ci dice che il futuro uomo Am-Eurisko sarà di umile natività e cultura. Egli trarrà le sue invenzioni dal poco o niente della scienza, e lo aiuterà in questo la necessità di poter convivere e dialogare entro certi limiti (meglio di Ramanujan, anche se a prezzo del potenziale intellettivo, entro certi limiti) col mondo degli uomini Cyc. Occorre che non si ripetano situazione di malattie mortali (o altre limitazioni fisiche e mentali), come è stato per Ramanujan.

Non piacerà intravedere a molti in questo ipotetico uomo Am-Eurisko-Cyc una sorta di nuovo messia, ma all’umanità occorrono nuove concezioni di scienza che la ragione umana corrente non potrà mai partorire, così come stanno le cose. Si tratta di valicare nuove colonne d’Ercole che la ragione umana rifiuta, poiché è l’uomo nella sua interezza che le deve oltrepassare e non solo attraverso le sole concezioni scientifiche: non c’è l’una senza l’altra impresa per generare nuove straordinarie idee. Quest’uomo deve anche convincersi di poter compiere questo genere di impresa, ma solo per il fatto che non ha scelte perché la sorte lo evira lo “azzoppa”, per dire che è diverso in modo definitivo dal resto dei suoi simili: vi appartiene ma non nei fatti.

Giusta la conclusione di Pier Luigi Zanata in risposta al commento di Pietro: «Chiudo con un pensiero di Martin Luther King “Solo chi è così pazzo da credere di poter cambiare il mondo, lo cambia davvero.

Ma che esempio dare per tratteggiare un simile uomo? Mi viene in mente Lewis Carrol, l’autore dei famosi racconti Alice nel paese delle meraviglie e successivamente Dietro lo specchio...

Alice nel paese dei buchi neri[3]

Che ne direste se una mattina, a casa vostra, aprendo la porta del bagno, vi trovaste direttamente a Parigi, in Place Pigalle, o addirittura in un altro mondo? Situazioni del genere sono state immaginate da alcuni scrittori di fantascienza, per i quali gli universi paralleli costituiscono un’entusiasmante palestra di trame e speculazioni. In tema di altri mondi, un riferimento obbligato resta quell’eccentrico personaggio dell’Inghilterra vittoriana che fu Charles Lutwidge Dcdgson, più noto con lo pseudonimo di Lewis Carroll [l832- 1898]. Studioso di logica se matematica, diacono, appassionato di fotografia, Carroll era timido e introverso, e perdi più afflitto da balbuzie, ma con le bambine riusciva ad intrecciare rapporti ricchi e felici.

Proprio per una di queste sue amiche, Alice Liddell, nel l865 Dodgson scrisse Alice nel paese delle meraviglie, che ben presto divenne un classico non solo della letteratura per ragazzi ma, come il suo seguito Dietro lo specchio, [187], anche della letteratura fantastica, i giochi di parole, i paradossi e le molteplici interpretazioni possibili fanno di questi libri due capolavori dell’immaginazione. L’idea geniale di Lewis Carroll è di collocare in fondo alla tana del Coniglio Bianco e dietro la tranquilla superficie del domestico specchio un universo strano, dove si agita una folla di personaggi miti e violenti, bizzarri o flemmatici che, con le loro azioni e parole, ci fanno divertire e riflettere. Licenze poetiche, si dirà, ma oggi queste fantasie hanno una base sia pur vaga, nelle teorie cosmologiche, alle quali non è piu estraneo il concetto di una molteplicità di universi con qualche [minima] possibilità di collegamento.

Come spesso accade, la letteratura ha preceduto la scienza: le prospettive aperte dalla meccanica quantistica, con l’ipotesi dei i molti mondi, e dalla teoria della relatività, con i ponti di Einstein-Rosen, sono state anticipate nel corso dei secoli, sia pure in forme ingenue, bizzarre e puramente immaginative, da scrittori e poeti: gli antichi mitografi, Luciano di Samosata, Ariosto, Verne sono stati gli anticipatori dei cosmologi che oggi, con l’ausilio delle teorie fisiche e matematiche moderne, ci narrano una nuova storia dell’universo.

Certo allo scrittore e al fisico stanno a cuore due realtà diverse, se diversi sono gli strumenti per indagare queste realtà: l’universo parallelo di Lewis Carroll è ricalcato sul nostro. Per quanto bizzarri siano, i personaggi incontrati da Alice sono pur sempre creature umane, coi vizi e le virtù che conosciamo. Al cosmologo stanno invece a cuore le caratteristiche fisiche di questi mondi. Se potessimo visitarli li troveremmo probabilmente più inospitali di quelli degli scrittori [ammesso che, in qualche senso, «esistano»].

Ma questi viaggi sono rischiosi e, a quanto pare, inenarrabili per rapida evaporazione del viaggiatore nel nero forame di passaggio. Sarà difficile che una moderna Alice possa tornare da un buco nero come la Alice di Lewis Carroll dal paese delle meraviglie o dalla terra dietro lo specchio.

Nel mondo degli specchi

In questo paese, Alice si deve comportare come se fosse la sua immagine riflessa: per andare verso la Regina rossa, deve allontanarsi da lei.

L’uovo parlante

Oltre lo specchio, Alice si trova a parlare con un uovo: discorrono dei 364 giorni dell’anno in cui si festeggia il nono compleanno.

Nella tana del coniglio

Tutto ha inizio grazie a quel curioso amico di Alice, e alla sua «casetta». Ne nascerà un romanzo tradotto in tutte le lingue, dall’arabo allo zulù.



[1] In realtà la lettera, che qui è ridotta all’essenziale scopo di nutrimento, fu scritta così:

«Egregio signore, mi permetto di presentarmi a lei. Sono un impiegato della sezione contabile dell'ufficio crediti del porto di Madras con uno stipendio di 20 sterline l’anno. Attualmente ho circa 23 anni. Non ho frequentato l’università, ma le scuole ordinarie.».

Vi accludeva nove pagine di carta da poco, contenenti alcune delle sue idee sui numeri. Come esca per attirare l’attenzione di Hardy, vi aveva inserito un modo per trovare il valore di una funzione particolare alla quale Hardy aveva accennato di recente, affermando che non era stata ancora calcolata. La sua lettera si concludeva così:

«Vorrei chiederle di dare un’occhiata al saggio accluso. Dal momento che non ho mezzi, se lei ritiene che ci sia qualcosa di valido, mi piacerebbe che i miei teoremi venissero pubblicati».

La sera stessa Hardy discusse il problema con J.E. Littlewood, suo collaboratore da lungo tempo.

Prima di mezzanotte sapevano, e lo sapevano con certezza, che il mittente di quel manoscritto era un uomo di genio. Per quella sera, fu quanto poterono stabilire. Solo più tardi Hardy accertò che Ramanujan era, in termini di genio matematico naturale, della stessa classe di Gauss o di Eulero. Si offrì di aiutarlo in tutti i modi possibili e si mise subito all'opera per far venire il povero impiegato indiano a Cambridge, mettendosi in contatto con l’India Office e con Gilbert Walker, capo del dipartimento meteorologico indiano di Simla, e convincendo quest’ultimo ad andare a trovare Ramanujan a Madras. (Tratto da: Intelligenza matematica, Brian Butterworth, p. 269, Edizione Rizzoli.)

[2] Quando nacque, il progetto Cyc doveva costare 35 milioni di dollari e durare dieci anni. Fu finanziato inizialmente dai militari dell’agenzia Darpa e da molte grandi compagnie (fra le quali Apple, Microsoft, Dec, Kodak). Oggi, diversi clienti (ad esempio Glaxo Wellcome e Kanisa) hanno comprato versioni preliminari di Cyc, che gestiscono database ‘intelligenti’.

[3] Jean Pierre Luminet, Specchio n.9, 23.03.1996

COMMENTO DI PIER LUIGI ZANATA

GUARDA LA TV CHE TI FA BENE Il genere umano per la maggior parte non si rende conto di vivere nel regno delle ombre per il solo fatto di essere subordinati alle necessità del corpo. Si crede libero, mentre è più che mai prigioniero di una fatalità che lo opprime. In alcune persone la sete di ricchezza è tale che nulla può fermare la loro cupidigia, quando a regnare è la ''liberta''. Per la grande massa, le catene della necessità diventano perciò più strette che mai, senza che per questo venga fatta luce: manipolati in un primo tempo da coloro che si arricchiscono a loro scapito, lo saranno in seguito da coloro che promettono di dividere tutto. E quando queste promesse non valgono più, è ancora possibili distrarli (la tv generalista e ricreativa, i reality, oh quanto aiutano). Per quanto sia difficile ammetterlo, la condizione umana è tale che la maggior parte delle persone non uscirà mai dalla caverna. Se mi permettete chiudo con una conversazione tra due partecipanti al festival della filosofia di Modena: A- Dunque, caro, sembra che tu sia uno di quei tizi che pensano che non ci sia una verità assoluta, che ogni verità sia relativa. B- Giusto. A- Ne sei sicuro? B- ASSOLUTAMENTE SI'.

lunedì 23 marzo 2009

Amare la libertà significa non abusarne

"Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei Coppieri che gliene versano quanta ne vuole, fino ad ubriacarlo, accade allora che se i Governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari e non è più rispettato; che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui; che i giovani pretendano gli stessi diritti, la stessa considerazione dei vecchi e questi, per non sembrare troppo severi, danno ragione ai giovani. In questo clima di libertà, nel nome della medesima, non vi è più riguardo, nè rispetto per nessuno. In mezzo a tanta licenza nasce e si sviluppa una malapianta:La tirannia." PLATONE 390 a. C.

giovedì 19 marzo 2009

Che occorra un po' di morale?

"L'Analisi della virtù ha continuato ad avere la propria espressione naturale nelle opere dei moralisti, di cui oggi si sono perdute le tracce. Anzi, nella società del benessere il moralista è considerato per lo più un guastafeste, uno che non sa stare al gioco, non sa vivere. Moralista è diventato sinonimo di piagnone, di pedagogo inascoltato e un po' ridicolo, di predicatore al vento, di fustigatore dei costumi, tanto noioso, quanto fortunatamente innocuo. Se volete far tacere il cittadino che protesta, che ha ancora la capacità di indignarsi, dite che fa del moralismo. E' spacciato. Abbiamo avuto mille occasioni di constatare in questi ultimi anni che chiunque avesse criticato la corruzione generale, il cattivo uso del potere sia economico sia politico, era costretto a mettere le mani avanti e dire, non lo faccio per moralismo. Come dire, non voglio aver nulla a che fare con questa genia, tenuta generalmente in poco conto." NORBERTO BOBBIO Etica e morale sono la stessa cosa, quello che è da combattere è la falsa morale, cioè chi fa la morale agli altri e non a sè. In questo senso io non ho paura a dire che sono una moralista.

martedì 17 marzo 2009

IN ITALIA FA NOTIZIA IL GOSSIP

FOTO DI FABIO CORVINI Medici Senza Frontiere, l'organizzazione internazionale che porta soccorso sanitario e assistenza medica nelle zone più disagiate del mondo ha reso noto le zone dove ci sono le 10 crisi umanitarie più dimenticate. Sono: i civili uccisi o costretti alla fuga per l'intensificarsi degli scontri avvenuti nel Pakistan nord/occidentale; la critica situazione sanitaria in Mynmar; l'epidemia di colera nello Zimbawe; la guerra civile nel Congo orientale; la catastrofe umanitaria in Somalia; la malnutrizione dei bambini ad Haiti, Bangladesh e Costa d'Avorio, l'allarmante situazione sanitaria nella regione somala dell'Etiopia, la perpetua situazione di violenza e sofferenza in Sudan, i civili iracheni con urgente bisogno di assistenza e la co-infezione Hiv/ Tbc. Ma in Italia fa notizia il gossip. Un esempio: la notizia delle nozze di Flavio Briatore è stata riportata da 33 tg nazionali, mentre l'epidemia di colera nello Zimbawe solo da 12, senza dimenticare la diversa enfasi dei titoli. A questo punto mi chiedo ... QUALE FUTURO PER NOI?

sabato 14 marzo 2009

OTIUM LUDENS

Inaugurata il 14 marzo a Ravenna " OTIUM LUDENS" ( fino al 4 ottobre negli spazi espositivi del Complesso di San Nicolò) Ravenna rappresenta l'unica tappa italiana di un eccezionale tour internazionale, che partito dall' Ermitage di San Pietroburgo terminerà negli Stati Uniti e nell'Australia. La mostra comprende duecento reperti tra affreschi, stucchi e oggetti, tutti provenienti dalle ville marittime di Stabiae. La mostra di Ravenna approfondisce il legame con i rinvenimenti delle ville della città vesuviana di Stabia e la conoscenza delle sue vicissitudini, legate principalmente all'eruzione del 79 d.C. EROS HA SCOSSO LA MIA MENTE... Eros ha scosso la mia mente/ come il vento che giù dal monte/ batte sulle querce./ Dolce madre, non posso più tessere la tela/ domata nel cuore dall'amore di un giovane:/ colpa della soave Afrodite./ Sei giunta, ti bramavo,/ hai dato ristoro alla mia anima/ bruciante di desiderio./ SAFFO

giovedì 12 marzo 2009

DANGER

Da Caino in poi, la storia divenne una catena infinita di genocidi, conquiste, oppressioni, nelle pieghe geologiche della terra, i fossili attestano la presenza di guerre fratricide. In Sudafrica i giacimenti fossiliferi di tre milioni di anni fa confermano che gli Australopitechi aggredirono i loro simili. Sulla collina del Drago in Cina, una tribù di Homo erectus fu vittima di un'orda "straniera"; nell'era glaciale le specie Neanderthal e Cro-Magnon furono in costante conflitto per la supremazia del territorio e del clan. Ce lo documentano i fossili di crani sfondati e di ossa frantumate. L'umanità, esitante e controvoglia, ha cominciato a scoprire gli altri popoli e a studiarli, più per difendersi che per integrarsi. Una paura, quella per le diversità, che sopravvive tutt'oggi alimentata dal contatto tra gruppi etnici, integralismi religiosi e lotte per la distribuzione delle risorse. Una paura che non accenna a diminuire il diverso è "DANGER"

martedì 10 marzo 2009

QUALE RAGIONE HA IL RAZZISMO?

FOTO DI FABIO CORVINI ELABORAZIONE DI TEODERICA "Per convincersi della sostanziale unità del genere umano non c'è bisogno di argomenti filosofici. Basta guardare il volto di un bambino in ogni parte del mondo. Quando vedi un bambino, che è l' essere umano più vicino alla natura, non ancora modellato e corrotto dai costumi del popolo in cui è destinato a vivere, non scorgi alcuna differenza, se non nei tratti somatici, fra un piccolo cinese o africano o indio , e un piccolo italiano. Quando vedi una madre somala che piange sul figlio morto o ridotto uno scheletro, ti par proprio di vedere una madre diversa dalle altre? Non assomiglia quel pianto al pianto di tutte le madri del mondo?" NORBERTO BOBBIO

domenica 8 marzo 2009

8 MARZO 2009

Il Pensiero dell' 8 marzo mi è stato donato da un signore molto gentile ad una conferenza. Era accompagnato da un fiore di carta diverso per ogni donna, il suo gesto spontaneo lo voglio dividere con tutti voi, anche con gli uomini, perchè a me non piacciono le divisioni. Ed anche la poesia che allego oltre a tutte le donne è dedicata anche a tutti gli uomini perchè un sorriso fa sempre bene. SORRISO DI DONNA... Sorridi donna/ sorridi sempre alla vita/ anche se lei non ti sorride/ Sorridi agli amori finiti/ sorridi ai tuoi dolori sorridi comunque./ Il tuo sorriso sarà:/ luce per il tuo cammino/ faro per naviganti sperduti/. ANONIMO

venerdì 6 marzo 2009

NON VI SIETE STANCATI DI STARE A CAVALLO?

Questo è un appello alla sinistra che da 60 anni è al potere nella mia città. Riconosco che è una tirannia soft. Riconosco che l'opposizione quasi non esiste. Riconosco che avete anche lavorato bene. Ma non se ne può proprio più, e se lo dico io, nata qui, vissuta qui, amante della sinistra, volontaria della sinistra e sono così stremata, in asfissia di libertà ci sarà pure qualcosa che non va. NON VI SIETE STANCATI DI STARE A CAVALLO? E ora dopo lo sfogo vi voglio rallegrare con una barzeletta che qui in Romagna è straconosciuta ma esprime bene cosa provo. Il figlio tornando a casa da scuola racconta al padre che la maestra gli ha detto che gli asini volano. Il padre arrabbiato se la prende con la maestra ignorante, inveendo chiede quali libri si usino a scuola. Il figlio risponde che si stava facendo la lettura del quotidiano in classe. Il padre dice "peste e corna" sui giornalisti ignoranti e caproni che farebbero meglio ad andare a zappare la terra, e chiede quale quotidiano era. Forse il Resto del Carlino? Il figlio risponde che era il quotidiano l'Unità. Il padre allora scuote la testa e dice... bene, gli asini non volano, però è ben vero che svolazzano!

mercoledì 4 marzo 2009

BASTA SOLDI DI STATO AL TEATRO

... Lo dico in un altro modo: smettetela di pensare che sia un obbiettivo del denaro pubblico produrre un'offerta di spettacoli, eventi, festival:non lo è più. Quei soldi servono a una cosa fondamentale, una cosa che il mercato non sa e non vuole fare: formare un pubblico consapevole, colto, moderno. E farlo là dove il pubblico è ancora tutto, senza discriminazioni di ceto e di biografia personale: a scuola, innanzittutto, e poi davanti alla televisione. La funzione pubblica deve tornare alla sua vocazione originaria: alfabetizzare. C'è da realizzare una seconda alfabetizzazione del paese, che metta in grado tutti di leggere e scrivere il moderno. Solo questo può generare uguaglianza e trasmettere valori morali e intelettuali. ALESSANDRO BARICCO estratto di un articolo su Repubblica