sabato 29 maggio 2010

PEOPLE

LUCIANO 

Agli inizi degli anni '70 Luciano ha venticinque anni ed io ne ho dieci, ed eravamo amici. 
Luciano era diversamente abile, all'epoca si diceva : mancante di qualche rotella, così dicevano gli avventori del bar, dove io dovevo aiutare servendo ai tavoli. 
 Per questa sua qualità percepiva una pensione, non doveva lavorare, e stava tutto il giorno al bar, fumando e chiacchierando con me. 
Luciano, sapendo quanto mi piaceva la musica mi portò un giradischi e tutti i dischi che aveva a casa, purtroppo erano tutti di Castellina e di Casadei cioè musica folk romagnola. Luciano mi chiedeva quali volessi, ma io non lo sapevo, gli dicevo.... quelli moderni. 
Una volta arrivò con ObladiOblada dei Beatles... ecco gli dissi compra dischi come questi. 
 Da allora il bar fu invaso dalla musica dei Beatles, ed io e Luciano cantavamo divertendoci ; gli altri clienti protestavano, volevano qualche valzer, ma il giradischi ed i dischi erano di Luciano, e Luciano metteva solo la musica che piaceva a me. 
Poi qualcuno andò a dire a mio padre: "Tu ti fidi troppo a lasciare una ragazzina con uno scemo, non si sa mai cosa può passare in testa ad uno così". 
Tutti, i clienti furono d'accordo, è pericoloso lasciare una bambina accanto ad uno che non è a posto con la testa, tutti furono d'accordo, anche chi con la scusa di farti un complimento ti toccava le gambe e tu percepivi qualcosa di anomalo, mentre mai avevi percepito anomalia in Luciano. 
A Luciano fu impedito di frequentare il bar, mi lasciò il giradischi ed i dischi, io ormai avevo capito che era inutile ribellarsi, era meglio assoggettarsi e far finta di niente. 
Luciano non l'ho più visto, anche se abitiamo a pochi chilometri, ho chiesto a suo fratello Francesco di poterlo vedere, mi ha detto che Luciano non vuole vedermi, ma che ha sorriso quando Francesco ha pronunciato il mio nome. 


Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali

giovedì 27 maggio 2010

COMMENTO DI GAETANO BARBELLA AL POST" ANCH'IO SONO CRETINA E CREATURALE


IL MATTO
Il cretino
«[…] Sono il cretino (1), cioè il passante, il vagabondo che ondeggia tra le ere
riassumendole, tra tutte le storie e tutti i volti e tutte le creature, conosce il
segreto della creature e lo svelerà con una scrittura unica, odorosa. Non
ambisce alla gloria ambigua degli uomini questo scrittore cretino e creaturale.
Sa già che tanto tutti lo prenderanno per cretino.» (2)
Tuttavia c'è sempre qualcuno di questi “cretini” che compirà dei prodigi e da
quel momento quelli che non gli credevano crederanno e la sua fama non avrà
limiti .
San Francesco di Assisi, anima bella, esempio vivo del Cristo, sfiora
poeticamente l'intelletto, la coscienza e l'anima dell'uomo bestiale, e lo avvia
alla tenera vita della compassione, della donazione di sé stesso per il bene di tutti.
Ecco l'uomo bestiale capace di parlare dolcemente con sora Cicala, con sora Colomba, con sora
Gallina, con frate Lupo e con sora Volpe, giusto un “cretino” cui nessuno credeva ad Assisi, ma
coll'avverarsi dei suoi prodigi...
La veste bianca
«Siamo [..] nel 1212 quando Francesco i i suoi seguaci si imbattono (a Bevaglia – ndr) in una
moltitudine di uccelli. Il figlio di Pietro di Bernardone prega gli amici di attenderlo dicendo loro che
deve predicare ai “fratelli uccelli” che sembrano di pietra, immobili sui rami degli alberi.
È un momento magico. Francesco dice: “Cari uccelli, miei piccoli fratelli, il Creatore vi ha colmato
di benefici e voi dovete benedirlo in ogni tempo e in ogni luogo. Egli vi ha vestiti di belle piume, vi
diede ali e libertà di volare ovunque. Conservò la vostra specie nell'Arca di Noè e per soggiorno vi
assegnò le regioni serene dell'aria. Vi nutre senza che voi seminiate; vi dà l'acqua dei fiumi e delle
fonti per estinguer la vostra sete; i monti e le valli per ripararvi; gli alberi per nidificare: dunque
innalzate al Creatore, che provvede per voi, inni di lode”.
Mentre Francesco parla, gli uccelli allungano il collo, battono le ali, piegano la testa quasi a
dimostrare il gran piacere di udirlo. Sempre nella città di Bevaglia il figlio di Pietro di Bernardone
ripete un miracolo narrato dal Vangelo: ridà la vista ad una giovane cieca spalmandole per tre volte
la saliva sugli occhi». (3)
«Mentre si trovava in viaggio con Masseo verso Assisi, Francesco si ferma in un lebbrosario per
portare conforto ai malti che nessuno vuole curare e avvicinare. Nel lazzaretto ha una visione
sublime e dice al suo amico che la “Provvidenza Divina ha approvato l'indulgenza promessa dal
Papa”.
A Santa Maria degli angeli il più povero dei poveri, il più umile degli umili, il più gioioso dei
gioiosi vuole ancora mortificare la carne e flagella il suo corpo già duramente provato da mille
privazioni. IL demonio si avvicina a lui in forma di angelo dicendogli: “perché consumi la tua
giovinezza in vigilie, in digiuni e in preghiere? Cerca di conservare bene la tua vita per servire al
meglio Dio. Riposati dunque e non ti flagellare”.
Come risposta Francesco esce dalla sua cella, si denuda, si rotola nella neve in mezzo ad un roseto
senza fiori, ma pieno di spine.
Ben presto le spine, tinte del suo sangue, si trasformano in boccioli di rose bianche e rosse simbolo
della sua castità. E il suo corpo è ben presto ricoperto di una splendida veste bianca piovuta dal
cielo.
Il “pazzo” di Assisi coglie dodici rose bianche e dodici rosse e le porta in chiesa.
Il giorno seguente, insieme con Pietro Cattani, Bernardo da Quintavalle ed Angelo da Rieti, parte
per Roma portando tre rose bianche e tre rosse in onore della Trinità.
Giunto al Laterano narra al Papa la straordinaria avventura e, per dimostrare che dice il vero, porge
ad Onofrio III le sei rose. Il Pontefice, commosso, stabilisce che l'indulgenza richiesta dal mistico
assisiate deve essere concessa il 2 agosto. Immediatamente la decisione viene comunicata ai vescovi
di Assisi, Perugia, Todi, Foligno, Nocera Umbra, Spoleto e Gubbio. Il Papa ordina che l'indulgenza
venga solennemente promulgata nella vigilia di San pietro in Vincoli e che i vescovi consacrino la
chiesa di Santa Maria degli Angeli.
Il 2 agosto i sette vescovi, insieme con il “poverello”, salgono su un podio davanti alla Porziuncola.
Intorno c'è una marea sterminata di gente. Francesco annuncia che vuole aprire agli uomini le Porte
del Paradiso. Ed aggiunge: “Vi annunzio una indulgenza plenaria che ho ottenuto dalla bontà del
Papa. Tutti coloro che si recano in questo luogo sacro, pentiti delle proprie colpe, confessati e
assolti da un sacerdote, otterranno la totale remissione della pena dovuta per i peccati e così avverrà
ogni anno in eterno”. Nasce in questo modo il “ perdono d'Assisi”.
Padre dei poveri e poveri egli stesso, Francesco non sopporta che esistano più poveri di lui ». (4)
Il Cretino nei Tarocchi è l'Arcano Maggiore numero zero, “Il Matto”
Nei ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi il Matto porta il numero zero e talvolta e’ rappresentato
senza numero. Viene solitamente raffigurato da un uomo piuttosto giovane ma vestito in modo
bizzarro e trasandato generalmente seguito da un animale, cane o gatto.
E’ un viandante senza meta che cammina appoggiandosi ad un bastone e sulla spalla destra ne regge
un altro a cui e’ appesa una bisaccia. E’ l’unico bagaglio che possiede, di cui non si libererà mai
perché racchiude tutte le esperienze della sua vita.
Il copricapo che porta e’ provvisto di sonagli e di piume come quello dei buffoni di corte. Il matto e’
la voce della verità che si esprime liberamente e nessuno lo intimidisce. Essendo la sua povertà
assoluta non può essere condizionato e ne’ strumentalizzato da nessuno. Non ha casa ne' famiglia
perché la sua casa è il mondo, di conseguenza non ha legami e ne’ affetti; vive solo con il suo
spirito.
Il suo viaggio non ha uno scopo poiché vive alla giornata e senza una meta prestabilita; si tratta del
viaggio dello spirito e della mente alla ricerca di se stesso. Il matto si può considerare l’artista, il
filosofo, il poeta e anche l’essere solitario e diverso dagli altri, il cosiddetto diverso.
Il matto infatti è colui che rappresenta l’anarchico, il contestatore e chi va controcorrente, chi
insomma trasgredisce alle regole per cui a volte non e’ capito e neanche accettato. Cammina sempre
guardando verso l’alto in cielo alla ricerca dei sogni senza curarsi di ciò che accade in terra.
Il matto come numero zero per se stesso non ha valore, ma nei numeri tiene il posto dei valori
mancanti. Il Matto si pone nel mazzo dei ventidue Arcani Maggiori dei Tarocchi come l’ultima
realtà, dopo la fine di tutto e cioè dopo l’Arcano Maggiore numero 21- Il Mondo, che è il simbolo
del compimento di tutte le cose, oppure precede l’Arcano Maggiore numero uno Il Bagatto che
invece ne rappresenta il principio.
Il Matto quell’ipotetico momento del vuoto o del caos che avviene dopo la fine e prima dell’inizio;
il momento del dubbio, l’assenza di logica o la ricerca della propria identità. Il Matto può anche
essere il periodo che intercorre tra l’ipotesi di un progetto e il suo compimento, può rappresentare
l’incognita, l’astrazione, la pausa, la fantasia, ma può anche essere il significato del vuoto, della
depressione del senso di abbandono o dell’impossibilita’ di comunicare.
Quando nel gioco si presenta la carta del Matto significa che la situazione e’ in uno stato
confusionale, o che si sta vivendo un momento di crisi non ben individuato, le nostre azioni sono
vaghe, e’ come girare a vuoto alla ricerca di un obbiettivo, ma è anche il momento che precede
l’azione per cui tutte le possibilità sono ancora aperte. Le carte vicine, se sono positive ci
indicheranno la via da seguire. In amore può indicare l’incapacità a decidere un’unione definitiva,
non per mancanza d’amore, ma per un bisogno insopprimibile di libertà.
La carta del Matto viene interpretata in senso assolutamente negativo quando le carte vicine
indicano tensioni; se precede la carta di Bastoni sta a indicare capacità creative, idee che vedranno
una realizzazione pratica. Negativo se segue.
Vicino alle carte di Coppe: amore incontrollato, passione che fa prendere decisioni avventate; vicino
alle carte di Spade pericolo di non saper controllare i propri istinti; vicino alle carte di Denari
sperperi, passione per il gioco d’azzardo e megalomania. (5)
(1) http://teodericaforum.blogspot.c om/2010/05/anch-io-sono-cretina-ecreaturale.
html#comments
(2) Etimologia della parola cretino: Cretino corrisponde al fr. Cretin e nel dialetto della Gironda
crestin, ed è il nome che si dà a ognuna di quelle misere creature, di piccola statura, mal
conformate, con gran gozzo e affatto stupide le quali si trovano specialmente nella valli
della Alpi Occidentali: per alcuni dal lat. CRISTIANUS (fr. Crétien), perché cotali individui
erano considerati come persone semplici ed innocenti (Gerin), ovvero perché, stupidi ed
insensati quali sono, sembrano quasi assorti nella contemplazione delle cose celesti; e di fatti
nelle prealpi lombarde dicesi addirittura CRISTIAN un cretino, un povero di spirito.
Secondo altri dal ted. KREIDLING aggettivo di KREIDE creta, a cagione del colore
biancastro della loro pelle (Littré).
(3) FRANCESCO Poverello di Dio – Dante Alimenti – Pag. 64, 65 - Editrice Velar
(4) FRANCESCO Poverello di Dio – Dante Alimenti – Pag. 111 – Editrice Velar
(5) http://www.tarocchi-online.org/cartomanzia/arcani-maggiori/il-matto/
Gaetano Barbella
Brescia, 25 maggio 2010

lunedì 24 maggio 2010

ANCH' IO SONO CRETINA E CREATURALE

DA UNO SCRITTO DI DAVIDE BRULLO PUBBLICATO SU LA " VOCE DI ROMAGNA"

" ...La vera via è diventare cretini come un albero, ignoranti come una mosca, semplici come un fiume... Ma cosa vuol dire diventare cretino?Che non scriverò più l' albero immaginando l' albero, gli innumerevoli uccelli che lo hanno attraversato, il nido del merlo, la scalata del gatto e l' ululato del cane, duro come la corteccia di un acero. Scriverò l' albero essendo io stesso l' albero. Sono cretino, quindi aderisco alle cose. A tutte le cose. Sono albero, mosca e fiume. Sono l' orecchio aguzzo del lupo, il sorriso eterno della tigre, le gambe arcuate del dromedario. Sono cretino, per cui potete dileggiarmi, tanto io mi dileguo davanti a voi, uomo e non più uomo, meno che un uomo e più di ogni uomo.
Sono il cretino, cioè il passante, il vagabondo che ondeggia tra le ere riassumendole, tra tutte le storie e tutti i volti e tutte le creature, conosce il segreto della creature e lo svelerà con una scrittura unica, odorosa.Non ambisce alla gloria ambigua degli uomini questo scrittore cretino e creaturale. Sa già che tanto tutti lo prenderanno per cretino"

venerdì 21 maggio 2010

A VOLTE L' UOMO E' UNA COSA MERAVIGLIOSA

Vanno in giro per il mondo a suonare vestiti di giallo, rosso e blù, i colori della bandiera nazionale del Venezuela, sono bambini di strada, incapaci di parlare, spesso non vedenti o autistici, ma suonano lo stesso.
Non hanno voce, ma suonano e cantano con le mani, danzano e suonano e cantano con il linguaggio dei gesti, con le mani e con le braccia.
Così chi è sordo e muto accompagna coi gesti chi canta ma non vede.
E' la forza dei bambini che aiutati dagli adulti hanno creato il Coro delle MANOS BLANCAS.
Essi realizzano il miracolo con una frase: " Non ci sono limiti e
barriere per ciascuno di noi, le barriere le mettiamo noi"





martedì 18 maggio 2010

LA FASE NUOVA poesie di SARA RODOLAO


LA FASE NUOVA


NON PENSAVO
LA PRIMAVERA
POTESSE TROVARE ANCORA
NEI MIEI PENSIERI
TERRENO FERTILE
PER I SUOI BIANCOSPINI:
EPPURE...


SARA RODOLAO

lunedì 17 maggio 2010

IL SORRISO DELLA PRIMAVERA

Antonio Machado - Il sorriso della primavera
...Un giorno
mi sorprese la primavera
che In tutti i campi intorno
sorrideva.
Verdi foglie in germoglio
gialle rigonfie gemme delle fronde,
fiori gialli, bianchi e rossi davano
varietà di toni al paesaggio.
E il sole
sulle fronde tenere
era una pioggia
di raggi d'oro;
nel sonoro scorrere
del fiume ampio
si specchiavano
argentei e sottili i pioppi.

sabato 15 maggio 2010

SPLENDORE NELL' ERBA

Splendore nell' erba è il titolo di un film di Elia Kazan, ciò che mi ha più colpito di questo film è il titolo.
Il titolo del film si ispira alla poesia che viene letta nella classe di Deanie( la protagonista) all'inizio del film. Si tratta di Intimations of Immortality, dello scrittore inglese William Wordsworth (1770-1850), i cui versi recitano: "Though nothing can bring back the hour/ Of splendor in the grass, of glory in the flower:/ We will grieve not,/ But rather find strength in what remains behind". Lo stesso passaggio verrà poi ricordato dalla protagonista nelle sequenze finali, quando il senso profondo della poesia le sarà diventato chiaro alla luce della sua esperienza. Qualcuno considera
Wordsworth latore di un messaggio senza speranza io lo trovo splendido come l' erba. In Wordsworth permane la memoria del mondo celeste in cui eravamo tutti prima di nascere , rimane la grazia del bambino.

SLENDORE NELL ' ERBA

Ma se la radiosa luce che una volta
tanto negli sguardi è tolta,
se niente può far si rinnovi all' erba il suo splendore
e che riviva il fiore
della sorte non ci dorrem
ma ognor più saldo in petto
godrem di quel che resta.

William Wordsworth

La poesia originale la trovate qui.

mercoledì 12 maggio 2010

LATTE DI MANDORLE di SARA RODOLAO

"...la vita mi è passata addosso con gli zoccoli, ad ogni modo ho la mia consapevolezza: mi ha ferita, ma non più di tanti altri. Ho imparato da mia madre che sempre mi diceva: se vai in piazza con la tua croce e vedi le croci degli altri, torni a casa contenta, con la tua."
In queste poche parole c'è già la storia della famiglia di Rocco e delle altre famiglie del sud, che vivono in una terra ricca ed aspra, una terra scelta già in tempi antichi dai Greci per la sua floridezza ma dura ed amara come posso esserlo talvolta le mandorle. La vicenda si svolge dagli ultimi anni del fascismo, ai giorni nostri; è Rocco il protagonista, emigrato in gioventù a Torino, ormai in pensione, rivive i suoi ricordi. Ricordi amari, mitigati dal vivere
a contatto della natura e del mare. Il padre di Rocco è stato allevato dai nonni, i genitori sono emigrati in America e si sono dimenticati del figlio, inghiottiti dal sogno americano. La madre di Rocco : Ofelia, abbandonata dal padre uomo vile, anche lui inghiottito dal sogno americano, anche se poi ritornerà e meglio sarebbe stato fosse rimasto dov'era. Fra tutte le figure ben delineate dall' autrice, spicca Ofelia, questa donna che sembra incarnare la stessa terra di Calabria, debole e ferrea piena di fede e determinatezza è l' unica che realizza i suoi parchi sogni. Il figlio Rocco già nell' infanzia viene segnato dal suo primo sogno infranto, che spezzerà l' indole selvaggia che gli veniva dalla terra e dal mare. Era stato organizzato un mese in colonia e Rocco voleva andarci con tutte le sue forze, ma al momento della partenza la madre gli dice che non sarebbe partito. Rocco darà in escandescenze, pugni, calci, urla, la madre pentita e spaventata gli prepara in fretta la valigia, ma quando arriverranno alla corriera questa sarà già partita. Per Rocco il sogno infranto si ripeterà, ma non si ribellerà più, accetterà quello che gli viene dalla vita. Così emigrerà coi genitori e con la sorella senza far vedere quanto dolore gli provoca ciò. E quando, dopo una vita di lavoro al nord, troverà il coraggio di tornare alla sua terra, vi troverà anche la" calabrisella bella", la sua mezza mela che credeva mangiata da qualcun altro, ma Rocco non ha più quell' indomito furore misto a rassegnazione che sembrano avere solo le donne del sud e preferirà ritirarsi in un altro mare.
"Metteva mandorle sbucciate in una pezzuola di lino, la richiudeva formando una palla e col mortaio riduceva in poltiglia le mandorle. Poi immergeva nella caraffa piena d' acqua fresca la pezzuola e la strizzava, ripetendo l' operazione più volte. Quasi una magia per Rocco bambino: l' acqua diventava bianca e profumata!"
Latte di Mandorle è il titolo di questo romanzo di Sara Rodolao.
Questo è anche un libro che fa amare intensamente il sud ed allo stesso tempo fa indignare che una terra così ricca sia ancora oggi tenuta sotto gli zoccoli.

domenica 9 maggio 2010

PEOPLE


LUISA


Luisa 17 anni ed un bimbo di 10 mesi.
La mattina dopo Luisa doveva alzarsi presto, l' aspettava una giornata lunga e faticosa: la raccolta dell' uva, che non ha niente di bucolico, anzi è un lavoro duro e sporco.
Si mise a sfaccendare in cucina, iniziò a preparare la cena per la sera dopo, mise in forno un pollo con patate.
Il suo bambino, Marco, intanto si divertiva a muoversi da una sedia all' altra, girando attorno alla tavola; era una conquista per lui fare piccoli passi, tenendo le mani staccate da qualsiasi appoggio. All' improvviso si aggrappò alle gonne della madre e da lì velocemente appoggiò le palme aperte sul vetro del forno bollente.
Luisa staccò le mani di Marco, che erano incollate al vetro, le urla del bimbo invadevano le sue orecchie ed un dolore sordo le batteva nel petto. Le palme di Marco erano carne viva, rossa e sanguinolenta, orribili a vedersi, Luisa le mise sotto il rubinetto dell' acqua fredda, lo fece per istinto; poi col bimbo in braccio corse a chiamare aiuto.
Una folle corsa verso l' ospedale, Luisa cullava il suo bimbo piangente, un dolore sordo la dilaniava, sentiva i battiti forti e veloci di Marco che battevano all' unisono con i suoi. Arrivati al nosocomio, Marco fu curato, le ustioni erano di terzo e quarto grado, le mani furono fasciate come quelle di un pugile. Poco dopo, Marco cullato da Luisa si addormentò, sfinito.
Luisa lo teneva contro al suo cuore e sentiva la sua forza vitale entrare in quella del figlio, sentiva che lui sentiva che sua madre voleva che dormisse, che il sonno lo ristorasse, il bimbo dormì tutta la notte ed al mattino era allegro e non più dolorante. Le mani a poco a poco guarirono; ora Marco è grande ma ha ancora i polpastrelli segnati dalle bruciature.
Nonostante tutto, Luisa di quella notte ha un bel ricordo, quello in cui si è sentita all' unisono col figlio, come se lui fosse stato ancora legato a lei dal cordone ombelicale.
Luisa è sicura che Marco ha sentito tutta la forza del suo cuore.


Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

venerdì 7 maggio 2010

SII IL MIGLIORE IN CIÒ CHE SEI

Se non puoi essere un pino sul monte, sii una saggina nella valle, ma sii la migliore piccola saggina sulla sponda del ruscello. 
Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio. Se non puoi essere una via maestra, sii un sentiero. 
Se non puoi essere il sole, sii una stella. 
Sìì sempre il meglio di ciò che sei. 
Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere, poi mettiti a realizzarlo nella vita. 
MARTIN LUTHER KING 


Dedicato al Professore ANNA SPINELLI dell' Università di Bologna "Alma Mater" in particolare per le sue Lezioni Magistrali tenute alla Casa Matha di Ravenna... Lei nei suoi studi è la migliore, inoltre dona la sua conoscenza a mano aperta, con umiltà.

martedì 4 maggio 2010

PEOPLE

NATASCIA

Natascia usciva con le cugine.

Le cugine erano più grandi di lei.

In auto parlavano di esistenzialismo, di morte, di fuliggine, di nero.

Natascia non capiva, a lei pareva tanto bella la vita.

Le cugine le volevano bene le dicevano : - Tu non sai niente- , ma se la portavano dietro, anzi convincevano il babbo a farla uscire con loro, anche se Natascia era troppo piccola per fare la ragazza.

Una sera dovevano andare al concerto all’ aperto dei Nomadi.

Pioveva a dirotto.

Andarono lo stesso.

Non c’ era quasi nessuno, quattro gatti in tutto.

C’ erano i Nomadi però e suonarono e cantarono lo stesso!

Natascia rimase sconcertata, quando sentì… Dio è morto, le pareva blasfemo, che importa il brutto, c’ è il bello che lo lenisce, Dio non può morire, pensava.

Alla fine del concerto, il gruppo musicale venne al loro tavolino.

A Natascia non piaceva il cantante, era così peloso, le piaceva il chitarrista.

Il cantante aveva al collo un legaccio di cuoio con un lungo dente inciso, era di leone forse?

Natascia ne era attratta forte, già con la fantasia pensava al leone, alla savana, all’ Africa, ai viaggi avventurosi, alle favole, al mito.

Ad un tratto, una delle cugine disse: - Mi regali il tuo legaccio col dente?-.

Il cantante se lo tolse e porse con garbo il dente nelle mani della cugina di Natascia.

La cugina ringraziò, ma il cantante non contento alzò il mento a Natascia, la guardò negli occhi: - Lo volevi tu?-

- No, no, no – allarmata, chinando il capo rispose Natascia.

Natascia non parlò più, il chitarrista non le interessava più, il cantante l’ aveva colpita, non le piaceva, era peloso, ma tu Natascia sapevi che lui ti aveva scoperto.

Il cantante dei Nomadi la vita lo ha lasciato troppo presto, tu hai fatto la veglia di notte ascoltando la loro musica nel ricordo di uno sguardo.



Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

domenica 2 maggio 2010

IL GATTO CON GLI STIVALI


IN QUESTA SORTE



In questa sorte avversa io mi affido a te,
o bel gatto, alle tue pupille sacre;
mi sembra di aver davanti a me due stelle
e di ritrovare la tramontana in mezzo alla tempesta.

TORQUATO TASSO