giovedì 31 marzo 2011

A GAETANO


L'Aquilone - Giovanni Pascoli


C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.

Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.

Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:

un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! E' questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.

Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera

bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.

Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.

Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.


S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.


S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.

Più su, più su: già come un punto brilla
lassù, lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?

Sono le voci della camerata mia:
le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...


A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! E te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.

Sì: dissi sopra te l'orazioni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!

Tu eri tutto bianco, io mi rammento:
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.

Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!

Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore


ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...

Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!

Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda tua madre...

adagio, per non farti male.


Questa è la mia poesia preferita di quando ero bimba, ma non nascondo che ancora mi turba, Pascoli è il poeta romagnolo più famoso, ha in sè l' amore per la natura, in cui trova rifugio al tormento per la breve e fuggevole vita.



immagine: Paesaggio romagnolo di Teoderica

martedì 29 marzo 2011

LA FAVOLA DEL RANOCCHIO

C’ era una volta un ranocchio, che non voleva essere un ranocchio, voleva essere un delfino.

Al ranocchio piacevano i grandi luoghi , non sopportava le pozze di acqua stagnanti, dove lui viveva.

Se ne stava sul bordo di uno stagno, su una grande foglia di ninfea a fare gra, gra, gra.

Gracidava e più gracidava, più gli altri ranocchi, gli dicevano che solo nelle favole, il ranocchio si trasformava in un principe o in un delfino.

Il ranocchio aveva un bel da fare a spiegare che tutti sono delfini o principi, che era solo una questione mentale, l’ esserlo o meno.

Nessuno lo ascoltava, anzi faceva venire agli altri ranocchi talmente tanta rabbia, che gli tiravano le pietre, i sassi ed anche grandi spruzzi di acqua gelida.

Finchè una volta il ranocchio fu ferito gravemente.

Fu così che lasciò la sua bella foglia di ninfa, cominciando a vagare per cercare un nuovo posto dove stare.

Ma non lo trovava mai.

Gli altri ranocchi, non volevano con loro un ranocchio che si credeva un delfino.

Arrivò finalmente alla riva del mare, qui il ranocchio esultò: “Ecco la mia casa”.

Si tuffò e in un attimo si sentì delfino, capì allora che i ranocchi potevano trasformarsi.

In realtà il povero ranocchio tuffandosi nel mare, non sapeva di stare lentamente soffocando nell’ acqua salata.

Il ranocchio non si era trasformato in delfino, capì però, mentre stava per morire che è sempre meglio accettarsi per quello che si è.

Svelto, svelto, uscì dal mare, sputò tutta l’ acqua salata che non lo faceva respirare ; finalmente fu contento di essere un ranocchio, anzi non avrebbe cambiato il suo essere con tutto l’ oro del mondo


immagine di Teoderica

domenica 27 marzo 2011

ACQUA DI MARE AMARO



Acqua di mare amaro
Che esali nella notte:
Verso le eterne rotte
Il mio destino prepara
Mare che batti come un cuore stanco
Violentato dalla voglia atroce
Di un Essere insaziato che si strugge…

Dino Campana



Dino Campana nacque nel 1885 in un piccolo paese montano sulla linea del confine fra Romagna e Toscana. Il suo carattere, la sua lirica non è mai banale. L' amore vissuto e tormentato con Sibilla Aleramo,i disturbi psichici e l'internato in manicomio...tutto ciò lo si ritrova nelle sue poesie.Il diritto di persona gli fu negato ben presto dall’incomprensione familiare, dall’educazione repressiva del collegio, da un vizio di poeta che non si adatta alle regole del mondo, che travolge ciò che incontra, come la piena di un fiume. Tutto questo lo portò, ribelle e disperato, a fughe, ritorni, viaggi, illusioni, chimere, prostitute, visioni deliranti, ricoveri nei manicomi.Come poeta fu riconosciuto dopo l’internamento definitivo in manicomio, dopo la morte. Il testo dei Canti Orfici, affidato a Papini e Soffici, fu smarrito ed egli lo ricostruì con la fatica e la furia di un gigante che non riesce a ricomporre la propria immagine. Dalla sua follia di poeta emergono visioni potenti...acqua di mare amaro.


immagine: Struggimento di Teoderica

giovedì 24 marzo 2011

CON GLI OCCHI PIENI DI COLORE

































In cerca di vedute dall' alto, da modificare con Photoshop per creare nuove immagini, mi sono imbattuta in una serie di visioni di campi di tulipani in Olanda.Sono rimasta stupita dalla bellezza del paesaggio che crea quadri astratti di una bellezza incomparabile, una Land Art , mi dispiace dirlo, che colpisce più di quella degli artisti affermati.Non ho avuto il coraggio di toccare le immagini e ve le presento affinchè anche voi vi riempiate gli occhi di colore. Vi dirò anche qualcosa sui tulipani. E' un fiore originario della Turchia. In Europa ebbe grande successo in Olanda già dalla metà del Cinquecento e resta il paese che lo identifica in occidente. In oriente il tulipano rappresenta l'amore perfetto, in occidente quello dell'incostanza. Rappresenta anche l'onestà e spesso può celare un messaggio d'amore.Tantissimi i colori del tulipano: dal rosso, al giallo, al rosa fucsia, al rosa chiaro, ma anche ai tulipani striati. Del tulipano esisterebbero addirittura più di 100 varietà. Cantato nel Seicento da Skakespeare (1564-1616) in molti sonetti, è stato raffigurato in innumerevoli quadri, fra il Cinquecento e l'Ottocento. Famosi, in particolare, sono i dipinti dei pittori fiamminghi, fra cui Jan Brueghel (1568-1625). Erano i tempi della "tulipomania" e i quadri costavano meno dei bulbi di tulipano: i pittori, perciò, dipingevano su richiesta magnifiche composizioni di fiori in cui i tulipani erano i protagonisti. Il termine tulipano deriva dal greco turban (= turbante), forse perché la sua forma ricorda proprio quella del turbante. Da sempre, tutti i giardini d'Oriente sono "gremiti" di tulipani ed in Aprile a Costantinopoli si celebra la festa del tulipano. Una leggenda turca narra che sia nato dall'Amore del giovane Fahrad per la bella Shirin. Un giorno Fahrad ricevette la notizia che la sua amata era stata uccisa. Disperato, decise di morire anche lui, lanciandosi col suo cavallo da un precipizio. Dal sangue di Fahrad nacquero bellissimi Tulipani, rossi come la passione. Ecco perchè da quel momento, nel mondo orientale, il tulipano assunse il significato di "Amore Perfetto". Un'altra leggenda racconta che il Sultano delle "Mille e una notte" lasciava cadere un tulipano rosso ai piedi di una donna dell'harem per farle capire che era la prescelta. Ma una leggenda popolare sostiene, al contrario, che erano le odalische a lanciarli oltre le sbarre dell'harem per mandare messaggi al fidanzato perduto. Il Tulipano resta però il simbolo dell'amore per eccellenza. Così chi capita qui e legge questo post regali un bel mazzo di tulipani alla sua amata...e perchè no al suo amato, in fin dei conti si possono regalare fiori anche agli uomini...ma con moderazione.

martedì 22 marzo 2011

E' PRIMAVERA


La Primavera

Quando la terra
è giovane e fresca,
quando la testa
è piena di festa,
quando la terra
ride contenta,
quando di erba
profuma il vento,
quando di menta
profuma la sera,
è Primavera.


ROBERTO PIUMINI

domenica 20 marzo 2011

FILOMELA


Filomela, Filomela
tessi la tua tela
che vuoi bella
per diventare una stella.

Ma già Aracne con Atena
ebbe una gran pena
e tu piccola Filomela
Non sei altro che una pecora che bela.

Perciò falla finita
vai a farti una gita
che la tua primavera
è diventata sera.

Non sei l' usignolo col fischietto,
sei la rondine che torna al tetto.
La tua lingua tagliata
non può dire che libera eri nata.

E non piangere troppo
perchè la colpa del groppo
è solo della tua anima pavida
e non della vita infida.

Tu non hai coraggio di ferire
e perciò devi morire.

venerdì 18 marzo 2011

MARZO A PALAZZO SCHIFANOIA




Nella fascia superiore è raffigurata Minerva , sul carro del trionfo, trainato da unicorni. La dea della sapienza è contornata da studiosi e da donne che filano, Minerva è anche la dea delle tessitrici . Il mito racconta la sfida di Aracne che si disse più brava della dea a filare, Minerva molto irata, distrusse la tela e percosse sulla testa la fanciulla. Allora Aracne, triste per l'ira della dea e completamente persa, si impiccò. Ma gli dei celesti la mutarono in un piccolo ragno. Dopo Aracne sia nelle tenebre che nella luce, essendo ragno, senza sosta tesse tele meravigliose fatte di intrecci impalpabili.

Nella fascia di mezzo sta il segno zodiacale dell' Ariete, sopra il quale sta una figura di donna , una vergine forse.L' iconologia assomiglia al Raffaello della Dama dell' unicorno, infatti Raffaello ritrae una giovinetta dai colori primaverili con l' unicorno in braccio. Da un lato una figura di uomo con un anello o corona e una freccia, la vergine a cui spetta il dardo dell' amore e lo sposalizio, dall' altra parte un uomo imponente e lacero, con una corda, forse a simboleggiare chi conquista con la forza l' amore.

Nella fascia inferiore Borso assieme ai suoi familiari , poi a cavallo mentre si accinge ad andare a caccia, mentre sullo sfondo i contadini potano le viti, nell' insieme un quadretto che riecheggia il Buon Governo di Lorenzetti a Siena.


I mesi di gennaio e febbraio sono in gran parte rovinati.

mercoledì 16 marzo 2011

CIVIS

Federico Minoli, ex manager della Fiera di Bologna , costretto alle dimissioni ha donato la sua liquidazione di 100mila euro al restauro della basilica di Santo Stefano. Ciò è accaduto nel settembre del 2010 e queste sono le parole che ha detto motivando il suo generoso gesto.
" L' ho fatto perchè due anni fa, quando sono stato nominato amministratore delegato della Fiera di Bologna, accettai non per potere o per soldi, ma per fare qualcosa di buono per la mia città. Siccome non ci sono riuscito, non per volontà mia, ma perchè me lo hanno impedito, ho deciso che almeno la mia liquidazione andasse a quello scopo: fare del bene alla città."



IL 17 MARZO 2011 SONO 150 ANNI DALL' UNITA' D' ITALIA MI PIACE RICORDARE QUESTO GIORNO CON UN GESTO CHE E' UNA LEZIONE DI EDUCAZIONE CIVICA. EDUCAZIONE CHE E' ALLA BASE DEL VIVERE INSIEME.

domenica 13 marzo 2011

LA RISPOSTA NEL PAPIRO TULLI


Decine di migliaia di granchi morti nel Kent. Centinaia di merli dalle ali rosse caduti dal cielo in Louisiana. Oltre cento mila pesci morti sulle rive dell’Arkansas. Altre 100 tonnellate di sardine senza vita nel sud del Brasile. Centinaia di tortore morte anche in Italia, tutte a Faenza. Faenza è a pochi chilometri da casa mia, ma cosa succede qui e cosa succede nel mondo?E poi proprio in questi giorni l' apocalisse in Giappone. Ad essere pessimisti si potrebbe dire che la fine del mondo si avvicina, che quel tanto discusso 2012 potrebbe essere non solo una profezia Maya; gli scienziati, studiosi, animalisti e ricercatori una spiegazione plausibile non ce l’hanno. Se provano a darne una viene subito smentita e tutte sono in contrasto l’una con l’altra.
Cosa succede qui e cosa succede nel mondo?
Sono i segnali di cambiamenti climatici o gli extraterrestri che arrivano?
La risposta è forse nel papiro Tulli?
Nel 1934, il papiro egizio, noto col nome di "Papiro Tulli", fu trovato nel negozio di un antiquario, in Egitto, dai fratelli professor Alberto Tulli (allora direttore del Pontificio Museo Egizio Vaticano) e monsignor Augusto Tulli.
Il papiro, non poté essere acquistato per l'alto prezzo, ma il professor Tulli copiò il testo che venne poi trascritto da ieratico in geroglifico, con l'aiuto del direttore del Museo del Cairo, abate E. Drioton.
Il papiro narrava di una serie di avvistamenti di oggetti misteriosi nel cielo. Protagonisti della vicenda il Faraone Thuthmosis III (1504-1450, circa a. C.) e molti suoi sudditi.
Il papiro è stato adottato dagli ufologi che lo elessero a capostipite degli avvistamenti di dischi volanti.
In realtà non è certo che il papiro Tulli esista, in quanto l' unica copia mai vista è una trascrizione, inoltre descrive fenomeni celesti che potrebbero essere calamità avvenute al tempo piuttosto che dischi volanti.
Ci sarebbero descritti fenomeni spaventosi: un cerchio di fuoco del diametro di una pertica, pari a 52,30 metri, che sputa un soffio nausebondo, poi altri globi luminosi che solcano in cielo in tutte le direzioni, e pesci e uccelli che cadono a terra. Gli ufologi non hanno dubbi: il papiro Tulli è la prima descrizione di un disco volante.
Una interpretazione suggestiva è proposta da Renato Vesco( ufologo sui generis, che ritiene gli UFO non siano extraterrestri, ma segretissime astronavi costruite dalla Gran Bretagna, sin dagli anni "50, sviluppando le ricerche e le tecnologie elaborate da scienziati nazisti); nel papiro Tulli sarebbe descritta la gigantesca eruzione vulcanica che devastò l' isola di Santorini, l' antica Thera.
La ragione non lascia dubbi, gli eventi climatici possono essere disatrosi, e l' uomo deve usare il suo cervello per risolvere i problemi che gli si presentano, se poi arrivano gli extratterrestri, l' uomo fronteggerrà anche quelli.


immagine . UFO di Teoderica

giovedì 10 marzo 2011

VIENI A FORLI' LA GRANDE ARTE TROVERAI LI'


Melozzo degli Ambrogi, meglio noto come Melozzo da Forlì, nacque nel 1438. La sua prima educazione artistica avvenne forse a Padova, al seguito del pittore forlivese Ansuino, ma sicuramente sulla scia di Andrea Mantenga, negli anni precedenti il 1460. Fu infatti quest'ultimo a indirizzarlo a quelle ricerche di prospettiva aerea e di scorcio di 'sotto in su' che saranno alla base della sua scienza pittorica. L'arte di Melozzo trascese i confini della Romagna per divenire astro dominante sulle scuole dell'Italia centrale. Egli può essere considerato il legittimo precursore della grande pittura illusionistica, sviluppatesi nei secoli seguenti e in particolare con l'arte barocca.
La cronologia di Melozzo è alquanto controversa: dal 1460 al 1464 lo troviamo in patria, nel 1465 ad Urbino, nel 1471 sosta a Roma dove lavora fino al 1481, poi a Loreto e Ancona. Durante il soggiorno a Urbino egli venne a contatto con Piero della Francesca, dalla cui arte fu influenzato ma non condizionato. Successivamente lavorò in Vaticano fino al 1481, qui fu 'pictor papalis', e fu tra i fondatori dell'università dei pittori detta di San Luca. Prima di partire da Roma eseguì le pitture del catino absidale della chiesa dei Santi Apostoli, oggi staccate e ridotte a frammenti conservati tra il Palazzo del Quirinale e la Pinacoteca Vaticana (i famosi angeli musicanti).
Tornato a Forlì nel maggio 1493, lavorò per 18 mesi alla volta della Cappella Feo nella chiesa di San Biagio, producendo affreschi straordinari con quello che diventò il miglior suo successore, Marco Palmezzano; affreschi purtroppo perduti nella seconda guerra mondiale. Melozzo muore l'8 novembre 1494 e viene sepolto nella chiesa di Santa Trinità a Forlì.

Dal 29 gennaio al 12 giugno, la sua città natale , Forlì , lo celebra con la più completa esposizione che mai gli sia stata dedicata. Al San Domenico saranno esposte praticamente tutte le opere “mobili” dell’artista, riunendo anche gli affreschi staccati del colossale ciclo da lui creato per l’abside della Chiesa dei Santi Apostoli a Roma, ciclo disperso tra Musei Vaticani e Quirinale.
La mostra proporrà inoltre capolavori dei grandi, da Mantegna, a Piero della Francesca (in mostra, per la prima volta, dopo il restauro, anche la “Madonna di Sinigaglia”), da Bramante a Berruguete, da cui Melozzo trasse insegnamenti e suggestioni o che, come il Beato Angelico, Mino da Fiesole, Antoniazzo Romano, frequentò nella Roma pontificia.




Infine un ampia sequenza di opere, selezionate per precise affinità, di artisti che a lui si ispirarono, in particolare Raffaello presente in mostra con un nucleo strepitoso di capolavori, e che di lui furono allievi, primo tra tutti Marco Palmezzano.

Insieme a opere di Perugino, Benozzo Gozzoli, Paolo Uccello, a comporre una emozionante carrellata di grandi interpreti di uno dei momenti più felici della storia dell’arte.
“Senza Melozzo, il Cinquecento di Raffaello e Michelangelo non sarebbe mai esistito”. L’opinione di Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani, rende perfettamente l’idea di quanto il maestro forlivese abbia “pesato” sull’intero Rinascimento.
La mostra sarà visibile sabato e domenica dalle 9,30 alle 20 e dal martedì al venerdì dalle 9,30
alle 19.


immagine : Melozzo da Forlì di Teoderica

martedì 8 marzo 2011

SEMPRE REGINE VOI DONNE

IL REGNO DELLE DONNE


Cè un regno tutto tuo
che abito la notte
e le donne che stanno lì con te
son tante, amica mia,
sono enigmi di dolore
che noi uomini non scioglieremo mai.
Come bruciano le lacrime
come sembrano infinite
nessuno vede le ferite
che portate dentro voi.
Nella pioggia di Dio
qualche volta si annega
ma si puliscono i ricordi
prima che sia troppo tardi.

Guarda il sole quando scende
ed accende d'oro e porpora il mare
lo splendore è in voi
non svanisce mai
perché sapete che può ritornare il sole.
E se passa il temporale
siete giunchi ed il vento vi piega
ancor più forti voi delle querce e poi
anche il male non può farvi del male.

Una stampella d'oro
per arrivare al cielo
le donne inseguono l'amore.
Qualche volta, amica mia,
ti sembra quasi di volare
ma gli uomini non sono angeli.
Voi piangete al loro posto
per questo vi hanno scelto
e nascondete il volto
perché il dolore splende.
Un mistero che mai
riusciremo a capire
se nella vita ci si perde
non finirà la musica.

Guarda il sole quando scende
ed accende d'oro e porpora il mare
lo splendore è in voi
non svanisce mai
perché sapete che può ritornare il sole
dopo il buio ancora il sole.
E se passa il temporale
siete prime a ritrovare la voce
sempre regine voi
luce e inferno e poi
anche il male non può farvi del male
.


ALDA MERINI




sabato 5 marzo 2011

VIVA I CORIANDOLI DI CARNEVALE


VIVA I CORIANDOLI DI CARNEVALE

Viva i coriandoli di Carnevale,
bombe di carta che non fan male!
Van per le strade in gaia compagnia
i guerrieri dell’allegria:
si sparano in faccia risate
scacciapensieri,
si fanno prigionieri
con le stelle filanti colorate.
Non servono infermieri
perchè i feriti guariscono
con una caramella.
Guida l’assalto, a passo di tarantella,
il generale in capo Pulcinella.
Cessata la battaglia, tutti a nanna.
Sul guanciale
spicca come una medaglia
un coriandolo di Carnevale.

Gianni Rodari


Carnevale è un po' come tornare bambini, con la maschera , ma non la maschera che si porta tutti i giorni per ingannare gli altri, è un periodo in cui vale la carne, in cui si è un po' angeli un po' demoni, in cui vale l' allegria...viva, viva il Carnevale.

I dolci di Carnevale sono di solito fritti e un po' pesanti, sulla mia tavola non mancano le "tagliatelle dolci", ecco la ricetta:

Sulla spianatoia si versano 400 grammi di farina, si impasta con 3 uova intere, ottenuto un impasto liscio ed omogeneo, si tira la sfoglia. Quindi si grattugia sopra la scorza di due o tre limoni, con un po' di succo, si cosparge il tutto con abbondante zucchero, si arrotola e si tagliano le tagliatelle larghe circa 2 cm. Si frigge in olio bollente e... viva viva il Carnevale.



immagine: Stelle filanti di Teoderica

giovedì 3 marzo 2011

NON MI PIACE LA NEVE


NOTTE DI NEVE

Pace! grida la campana,
ma lontana, fioca. Là

un marmoreo cimitero
sorge, su cui l'ombra tace:
e ne sfuma al cielo nero
un chiarore ampio e fugace.
Pace! pace! pace! pace!
nella bianca oscurità.

Giovanni Pascoli


Sembrava già di sentire il profumo di primavera, l' aria era mite e i giorni luminosi, annusando intensamente l' aria potevo sentire quasi l' odore del mare e dell' estate, invece mi sono alzata da letto ed oggi 3 marzo 2011 ho trovato un manto di neve alto 40 centimetri, brrrrrrr che freddo, a me la neve non piace, non piace per niente. Anche a Pascoli, il poeta romagnolo più famoso, non piace la neve.

NOTTE DI NEVE pare insensato, paragonare una notte di neve alla morte,ma per Pascoli, invece, non lo è. Egli, ha voluto esprimere se stesso trovando nella realtà che lo circonda un chiaro esempio della sua sofferenza e del suo desiderio di pace eterna, che può essere esaudito soltanto attraverso l’arrivo della morte tanto attesa. Come si può notare, il bisogno del poeta di “liberarsi” dal proprio dolore e di trovare finalmente la serenità è evidenziato dalla parola chiave “pace”, la cui ripetizione rompe il silenzio della notte. Con “bianca oscurità” ,Pascoli sottolinea la contrapposizione e, nello stesso tempo, la somiglianza tra la neve candida e il buio. La neve è silenziosa così come lo è la morte e come la morte copre tutto ciò che è grido , tutto ciò che è fugace come la vita.


immagine: Neve di Teoderica