martedì 31 luglio 2012

A WHITER SHADE OF PALE


Nella mia home page vi è un video con "A Whiter Shade of Pale" , dei Procol Harum. Questa canzone dal testo ermetico di Keith Reid, sul quale critici e fans continuano a scervellarsi, ha come fondo una melodia struggente ispirata all’Aria sulla quarta corda dalla Suite n. 3 in sol maggiore di Johann Sebastian Bach, l' organo Hammond fa accapponare la pelle dell'ascoltatore, e la voce sibilante, calda e profonda di Gary Brooker sembra duettare con l'organo ricreando un'atmosfera di qualcosa che c'è, ma non c'è, qualcosa di bello che poteva essere ma non è più, qualcosa di dolcissimo che si sta perdendo, qualcosa che ti esorta a cogliere l'attimo... mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già fuggito: cogli l’attimo il meno possibile fiduciosa nel domani.Uscita, anzi, esplosa nel 1966,"A Whiter Shade of Pale", si becca nel 1968 il premio come migliore canzone dell'anno, e possiamo dire che da quel momento la sua notorietà non è mai scesa.

Il testo tradotto in italiano:

Ignorammo le luci del Fandango
Come i carrelli che giravano sul pavimento
Sentivo una specie di mal di mare
Ma la folla chiedeva il bis
Nella stanza il mormorio era così forte
Da far volar via il soffitto
Quando chiedemmo ancora da bere
Il cameriere arrivò con un vassoio

E fu così che poi
Mentre il mugnaio raccontava la sua storia
Il volto di lei, dapprima solo spettrale,
Schiarì in un'ombra pallida

Lei disse: "Non c'è motivo
Lo vedi da solo come stanno le cose"
Ma io vagavo fra le mie carte da gioco
E non avrei permesso che lei fosse
Una delle sedici vergini vestali
In partenza per la costa
E anche se i miei occhi erano aperti
Sarebbe stato lo stesso se fossero stati chiusi

E fu così…

P.S. Fandango è anche un ballo sensuale spagnolo accompagnato dal suono ardente e cocente della chitarra.

sabato 28 luglio 2012

E' BELLO ANCHE SOLO PASSEGGIARE

Nelle prime colline di Cesena salendo una piccola stradina tortuosa , fra due ali di cipressi, intravedendo all' orizzonte il mare Adriatico, si giunge a Longiano, un piccolo gioiello romagnolo. Il cuore di Longiano è il castello.Un'antica pergamena del 1059 attesta che era stato edificato nella zona un importante castello a scopo di difesa. La postazione divenne sempre più importante e fu alleata dei riminesi di cui difese i territori e proprio per questo, nel 1198, il castello di Longiano fu quasi interamente distrutto; dopodiché, con l'aiuto dei riminesi coi quali nel 1199 stipularono un giuramento di fedeltà e di reciproco aiuto, il castello fu ricostruito e fortificato. Cadendo Rimini in potere dei Malatesta, Longiano seguì la stessa sorte e Giovanni, Il figlio di Malatesta detto lo Zoppo, fu nel 1290 il primo dinasta di Longiano. Nel 1297 i Cesenati, uniti ai Forlivesi, Faentini e Imolesi, incendiarono il borgo di Longiano. Nel 1503 le truppe di Cesare Borgia mettono al sacco il borgo. Ci fu un breve intervallo di dominazione veneziana di cui rimane una bella fontana. Nel 1581 questi territori ritornarono in possesso della S.Sede fino a quando il generale Bonaparte, nel 1790, occupò con le armate francesi la Romagna e la terra sottomessa fino al 1814. Dopo l'unità d'Italia, negli anni 1862-63, l'interno del castello fu totalmente ristrutturato procedendo alla decorazione pittorica. Sul soffitto di queste sale sono ritratti personaggi illustri della storia Longianese.
Il Castello è oggi sede della Fondazione Balestra. Tito Balestra nativo di Longiano, è uno dei più grandi poeti del Novecento, donò la sua collezione d' arte al suo paese d' origine.La raccolta è per la sua entità, senza dubbio, la più consistente di tutta la regione nel settore dell'arte contemporanea, contiene un cospicuo numero di "pezzi" unici del '900 italiano (da Mafai a Rosai, da De Pisis a Sironi fino a Guttuso e Vespignani). In particolare la collezione è ricca di una così ingente mole di opere di Mino Maccari (1800 fra olii e grafica) che come è noto è stato artista centrale nella storia della pittura italiana di questo secolo. Da sole le opere qui contenute di Mino Maccari potrebbero costituire un museo autonomo. Ma il museo possiede anche le incisioni di Morandi, Zancanaro, Goya, Chagall, Kokoschka, Matisse che rendono la raccolta d' arte ancora più preziosa.

A Longiano degni di nota sono anche la settecentesca collegiata di San Cristoforo con all’interno un superbo duecentesco Crocifisso , e l’oratorio di san Giuseppe, in stile barocco, che conserva alcuni dipinti di Gian Gioseffo dal Sole.
Longiano ha anche un delizioso teatro/bomboniera che ospita costantemente artisti di fama internazionale.
Vi sono poi vari ed interessanti musei.

Il museo del disco raccoglie la collezione privata di Roberto Parenti. Il visitatore è accolto in un ambiente curatissimo nel quale sono raccolti grammofoni, giradischi, dischi d'epoca ma anche di cd e rarità dal mondo della musica rock. Caruso e Beatles si incontrano in un luogo unico che non potrete fare a meno di visitare più e più volte, magari per ascoltare qualche buon disco .

Il Museo del Territorio nacque nel 1987 con lo scopo di raccogliere gli attrezzi di lavoro e di vita quotidiana dismessi. I giovani visitatori hanno un'occasione unica per conoscere la vita del passato. I meno giovani possono godersi un bel tuffo all' indietro nel tempo tra i vestiti, l'arredamento, le cose di casa di una volta, gli utensili usati nei campi e nelle botteghe artigiane.

Il Museo Italiano della Ghisa è un centro di ricerca sull'arredo urbano, sullo studio delle sue forme e delle sue espressioni in 150 anni di storia.

A longiano nel mese di settembre si svolge il Festival degli Organetti, in giugno la festa della ciliegia oltre naturalmente una settimana di festeggiamenti per il patrono.

Musei, arte e feste, ma non dimenticatevi che qui a Longiano è bello anche solo passeggiare.

mercoledì 25 luglio 2012

ESTATE PER TE, FA CH' IO SIA


Estate per te, fa' ch'io sia
Quando i giorni d'Estate si saranno involati!
La tua musica anche, quando il Caprimulgo
E l'Oriolo - saranno andati!

Per sbocciare per te, sfuggirò alla tomba
E sopra vi spargerò la mia fioritura!
Ti prego coglimi -
Anemone -
Il tuo fiore - per sempre!


"Tra cento anni a cosa servirà tutto questo?"
Così scriveva Emily Dickinson, alla giovane età di 15 anni, ponendosi domande su cose decisamente più grandi di lei. E se ancora lo svolgersi reale della sua esistenza è un mistero che non ha trovato definitiva risposta, la forza della sua poesia ha dimostrato che quanto da lei vissuto, pur nella sua singolarità, non è stato invano. Le sue contraddizioni e il suo sentire, infatti, incompresi alla sua epoca, diventano ogni giorno più attuali, facendocela apprezzare sempre più e sentire vicina come non mai.Le sue poesie sono vicine alla natura, permeate di lirismo e allo stesso tempo intrise dalla forza della natura.

Nata e vissuta in epoca vittoriana, in una cittadina del New England, Massachussets, dall’età di 35 anni e per vent’anni fino alla sua morte, per ragioni di diversa natura di cui non si arriverà mai a conoscere l’intera verità, scelse di chiudersi al mondo,non uscì più da casa, si estrainò , e scelse di vestire unicamente di bianco, sottolineando così la sua ferma decisione di sentirsi e voler essere considerata una via di mezzo tra una monaca ribelle ed una vergine vestale, posta a difesa del suo rifugio clandestino: la stanza sopra le scale, al secondo piano della sua abitazione dove era libera di essere se stessa ed esprimersi componendo le sue liriche.

Questa che presento ed inizia con: " Estate per te, fa ch'io sia..." la trovo il più bel verso d' amore mai scritto.

Sarà che amo tanto l' estate, ma dire a qualcuno: sei come l' estate per me,è come una musica di Mozart che mi risuona nelle orecchie, e se non lo sapete Mozart può essere talmente amoroso e giocoso che gli hanno dedicato anche dei deliziosi cioccolatini: le palle di Mozart.


domenica 22 luglio 2012

SULLA STRADA CHE PORTA A FIRENZE


Rocca San Casciano, sulla strada che porta a Firenze, è un paese adagiato sulle rive del fiume Montone, contornato da verdi colline. Bella a vedersi, la triangolare e medievale Piazza Garibaldi, cuore di Rocca. Sulla Piazza centrale, la Torre del Pretorio e nei dintorni la Torre di avvistamento, eretta per scopi difensivi. Sempre in Piazza sorge la Chiesa del Suffragio costruita dopo il terremoto del 1661. Nella Chiesa di S. Maria delle Lacrime è venerata la “Madonna delle Lacrime”, bella terracotta dipinta del 1500, recentemente restaurata: l’immagine è ritenuta miracolosa. Da vedere anche un crocifisso ligneo del XIV secolo di matrice fiorentina ed il bel fonte battesimale in marmo del 1450.

Rocca San Casciano vanta origini antiche: sarebbe stata fondata dagli Etruschi, dai Galli o dai Romani col nome di Sassatica, versione fatta propria da chi ha inventato lo stemma di una rocca fortificata con tre torri. L’origine etrusca sarebbe testimoniata da reperti archeologici e dalla posizione geografica del paese, sorto alla confluenza di più corsi d’acqua, il fiume Montone e i fossi Ridazzo e S. Antonio: un’ubicazione tipica per una popolazione come quella etrusca, che praticava il culto delle acque , ma anche i Celti praticavano questo culto e gli storici sono più propensi per un iniziale insediamento di Galli.
Il nome attuale deriva dalla primitiva pieve del V-VII secolo, situata nella piana ai piedi del castello e dedicata a San Cassiano, vescovo di Imola martirizzato all’inizio del Trecento. Il cristianesimo arrivò da Ravenna, attraverso la predicazione del vescovo San Ruffillo, che secondo la tradizione sarebbe morto mentre predicava il Vangelo ai pagani nel vicino paese di Portico. Una leggenda racconta che San Mercuriale, primo vescovo di Forlì, e San Ruffillo si sarebbero incontrati proprio nell’alta Valle del Montone per incatenare un drago (simbolo del paganesimo) che infestava la zona. Legatolo con le loro stole sacerdotali, lo avrebbero poi gettato in un pozzo. Sta di fatto che fra Dovadola e Rocca, ai confini delle due diocesi, restano le chiese medievali dedicate a San Ruffillo e a San Mercuriale in Villarenosa.
Al nome primitivo del paese fu anteposto Rocca, cioè castello, come si legge in un documento del 1197 , restando nel primo millennio sotto l’influenza di Ravenna. Le intricate vicende militari e politiche che vanno dal IX al XIV secolo, testimoniano che il castello appartenne a vari proprietari feudali, fra cui il vescovo di Forlimpopoli, i monaci di San Benedetto in Alpe, i Guidi di Modigliana ed i Càlboli.
Nel 1382, il conte Francesco di Paoluccio da Càlboli lasciò il castello di Rocca e tutti i sui possedimenti a Firenze. In pochi decenni Firenze formò un “Capitanato fiorentino in Romagna”, retto da un capitano del popolo inviato da Firenze già nel 1386: fu l’origine della Romagna Toscana, costituita provincia nel 1542, che nel 1836 vide finalmente realizzato il progetto di un moderno collegamento stradale con Firenze, con l’apertura del passo del Muraglione . ( Questo tratto di strada che va da Rocca al valico per Firenze è oggi meta di tanti motociclisi, che da ogni parte d' Italia si incontrano in cima al passo del Muraglione. )
Nel 1661 ci fu un violento terremoto con morti e feriti, del castello restarono solo i ruderi. L’attuale assetto urbanistico del centro storico, compresa la bella piazza triangolare, risale alla ricostruzione dopo il terremoto. Per ricordare la terribile tragedia, la popolazione celebra ogni 22 marzo il “Voto” con manifestazioni religiose.
Rocca San Casciano divenne nel 1776 capoluogo della Romagna Toscana, l' influenza

amministrativa e culturale di Firenze su Rocca durò fino al 1923, quando Benito Mussolini riportò la Romagna Toscana sotto Forlì, per motivi amministrativi, economici e personali, perché il Tevere, “il fiume sacro ai destini di Roma”, doveva scorrere dalla Romagna alla capitale. Mussolini era particolarmente legato ai paesi della Romagna Toscana, e a Rocca il Duce intervenne in varie circostanze, fra cui il 10 giugno 1934 per inaugurare la Cappella dei Caduti, poi qualche anno dopo per la dimostrazione della “trebbiatura del grano a torso nudo”, in una piazza traboccante di folla.

immagine: Rocca San Casciano di Teoderica

giovedì 19 luglio 2012

IL VULCANO PIU' PICCOLO D' ITALIA

Non molto facile da trovare, ma come si sa, il risultato non si ottiene facilmente, ed unica nel suo genere è la località di Inferno.

Da Tredozio, seguire le indicazioni per Portico di Romagna, si sale al valico del Monte Busca.
Dopo il valico fare attenzione sulla destra a una pietra miliare indicante il chilometro 7, poco dopo a sinistra c'è un edificio rurale disabitato con piazzale antistante e con scritta a vernice sui muri: IL VULCANO.

Dietro il fabbricato in mezzo ad un campo coltivato, troviamo , in località Inferno non poteva che trovarsi il fuoco, il vulcano più piccolo d'Italia.
Uno spettacolo particolare e interessante, ma il segreto è presto svelato: emanazioni di idrocarburi gassosi che a contatto con l'ossigeno dell'aria rimangono costantemente accese, dando vita ai fenomeni detti "fontane ardenti". Le emissioni furono sfruttate durante l'ultimo conflitto, con modeste produzioni. Il 20 giugno 1939, arrivò al vulcano Mussolini per inaugurare l’impianto per l’estrazione di gas metano .
L' impatto visivo che si ha in una giornata di sole è piuttosto deludente, ma l' emozione aumenta di sera quando si accentua il chiarore della fiamma in contrasto alla scura mole dei monti, il fascino di uno spettacolo da non perdere rimane comunque in qualsiasi orario della giornata.
Il vulcanino di Tredozio ha anche il suo fan club su facebook con più di 1300 amici, a quanto pare chi è andato a visitarlo ci si affeziona.


Immagine: Il vulcanino di Teoderica

lunedì 16 luglio 2012

GIORNI D'ESTATE

Giorni d'estate, giorni caldi, giorni leggeri, giorni di piacere, ecco di piacere, secondo voi chi gode di più nel rapporto d'amore, l'uomo o la donna?
Io sono per il ...dipende e voi?
Intanto vi rivelo la risposta mitologica.
Tiresia era un sacerdote di Zeus: quando era giovane si imbatté in due serpenti arrotolati tra loro e, con un bastone, uccise il serpente femmina. Fu allora improvvisamente trasformato in una donna e, cambiato sesso, divenne una sacerdotessa di Era, si sposò ed ebbe dei figli. Passati sette anni, Tiresia trovò altri due serpenti intrecciati e questa volta uccise il serpente maschio, recuperando il suo sesso originario. A questo punto, dato che era stato sia uomo che donna, Era e Zeus lo convocarono per chiedergli, visto che aveva vissuto entrambi i ruoli, se durante il rapporto amoroso provasse più piacere l'uomo o la donna. Zeus sosteneva fosse la donna, Era naturalmente l'opposto. Quando Tiresia si mostrò propenso a confermare le tesi di Zeus, Era lo accecò infuriata. Zeus allora, non potendo rimediare a ciò che la consorte aveva fatto, per compensarlo del danno gli diede il dono della profezia.



immagine di Teoderica

venerdì 13 luglio 2012

SE HAI IL MAL DI TESTA VIENI A GALEATA



Galeata , a pochi chilometri da Forlì, sorge su un terrazzo fluviale, al centro di una conca sovrastata da una possente rupe. La presenza umana nel territorio risale alla Preistoria, come attestato dai reperti conservati nel civico museo di Pianetto. In età romana, nelle vicinanze dell’odierno centro abitato, si trovava la piccola città di Mevaniola, della quale sono attualmente visitabili alcune strutture archeologiche.

Verso la fine del V secolo d.C., l'abitato si spostò più a valle di Mevaniola, nei pressi di Galeata. Questo periodo è caratterizzato dalla fondazione di un importante centro monastico, per volontà dell'eremita Ellero, e dalla presenza di una sontuosa villa privata che, vista la complessità architettonica e la ricchezza dei materiali rinvenuti durante le recenti ricerche archeologiche, potrebbe essere una residenza del re dei goti Teoderico . La Vita di S. Ellero ci racconta dello 'scontro' fra il Santo e Teoderico e la successiva rappacificazione fra i due, come mirabilmente rappresentato nel rilievo di S. Ellero e Teoderico (collocato anticamente presso l'abbazia e oggi esposto nel museo civico). Nella lapide è rappresentato da una parte il santo, e dall' altra parte Teoderico mentre sta cadendo da cavallo, perchè l' animale si è inginocchiato davanti ad Ellero.



La potente abbazia, fondata da S. Ellero verso la fine del V secolo d.C., esercitò nel corso dei secoli una grande influenza politica e spirituale sulla valle del Bidente. Nella cripta é conservato il sarcofago di Sant'Ellero ascrivibile alla fase altomedievale. La cripta é tuttora meta di pelligrinaggio. Nel mese di maggio la chiesa é meta di un gran numero di pellegrini, che scendono nella cripta per ricevere la benedizione di Ellero (in particolare per la guarigione dal 'mal di testa'). La cripta é il luogo più sacro della chiesa; la fede popolare vi identifica la cella dove S.Ellero si ritirava in preghiera ed é proprio al foro ricavato nella sua volta che i fedeli accostano il capo porgendosi alla benedizione di S.Ellero per essere sanati dal mal di testa. Echi di religiosità magica e salutare si colgono in questo e in altri riti analoghi.

Durante il Medioevo il paese ('Burgus Galiate') gravitò nella sfera della potente Abbazia di S. Ellero poi cadde sotto l'influenza dei Fiorentini, rimanedovi per vari secoli (solo nel 1923, per volontà di Mussolini, Galeata fu uniti alla provincia di Forlì).
Oggi il suo territorio si caratterizza per la presenza di un ingente patrimonio archeologico (Mevaniola, villa di Teoderico) e storico-artistico (abbazia di S. Ellero, Chiesa di S. Maria dei Miracoli, Castello di Pianetto).
Oggi Galeata è una cittadina ospitale dal ricco patrimonio che ancora conserva. Piacevole una sosta tra le sue botteghe nel piccolo centro dal sapore antico.


immagine : lastra di Teoderico ed Ellero di Teoderica

martedì 10 luglio 2012

CONOSCETE IL MARE IN ARDORE?

Questa immagine rappresenta il mio mare, il quale non è tanto bello, però è il mio.
Ve ne voglio parlare perchè io scrivo tanti post durante l' inverno perchè poi l' estate tutti i pezzettini di tempo libero che ho li dedico al mare.
E quindi voglio dirvi che per me arrivare in bici, rigorosamente alla spiaggia libera, stendere il telo, mettervi sopra l' abbrozzante e il borsellino con le sigarette, ho anche il contenitore per i mozziconi, e le caramelle, poi appoggiare gli occhiali da sole, togliersi il prendisole e poi lentamente immergesi nell' acqua a nuotare è il mio paradiso in terra.
Dopo venti minuti di nuotata a dorso, mi stendo sul telo ad asciugarmi, poi di solito mi appisolo; al risveglio una caramella in bocca e una sigaretta e quasi ogni santo giorno aspetto il mare in ardore o dicasi anche mare in amore. Si tratta del mare con le onde fosforescenti. Il fenomeno si manifesta solo in alcuni giorni estivi e non tutti gli anni e lo definiscono "mare innamorato" ed è provocato si dice da minuscole alghe. Si verica di notte e io da trent'anni lo sto aspettando, perchè anche se si svolge di notte, qualcosa di diverso lo avrà pure di giorno.Me ne parlò una mia amichetta che si immerse e che era diventata tutta di luce ovvero fluorescente, a me non è mai capitato...e a voi?
Conoscete il mare in ardore o mare in amore?
E' il fenomeno della bioluminescenza per cui organismi viventi emettono luce attraverso particolari reazioni chimiche, nel corso delle quali l'energia chimica viene convertita in energia luminosa. Questi organismi marini, ma anche le lucciole ad esempio emettono bioluminescenza, se ne servono per vari scopi, ma certo quelli che definiscono meglio il termine mare in ardore sono gli Odontosyllis.
Maschi e femmine di una stessa specie,
per riconoscersi emettono luce ad intermittenza. Succede così nell’anellide
marino del genere Odontosyllis, in cui sia il maschio che la femmina sono luminescenti
durante il periodo dell’accoppiamento. Questi, raggiunte le acque superficiali
dopo il tramonto e solo nelle notti di luna piena, emettono uova e spermi in una danza
che vede la femmina tracciare dei cerchi luminosi con luce continua e il maschio
raggiungerla emettendo dei segnali intermittenti. Alla minima interruzione del segnale
luminoso da parte della femmina, il maschio disorientato non la riconosce più.
Solo alla ripresa del segnale luminoso il maschio ricomincerà ad emettere i gameti
(spermi).


immagine mare di Marina di Ravenna

sabato 7 luglio 2012

UN CAPPELLO PIENO DI LACRIME


ORIANA FALLACI nel suo ultimo libro “Un cappello pieno di ciliegie”, parlando di Longiano, cita sei volte l’icona della Madonna delle Lacrime, descrivendola nei minimi particolari :
…Le piaceva tanto, la Madonna delle Lacrime. Aveva due belle guancie paffute, indossava una bella veste cremisi e trapunta di stelle, col braccio destro reggeva un bel bambolotto che probabilmente era il Bambin Gesù…

Nel centro di Longiano, paese dell' entroterra romagnolo, nell' antica chiesetta di Santa Maria delle Lacrime, oggi Museo della Ghisa vi era un tempo (oggi al Museo d' Arte Sacra) collocata un' icona da sempre oggetto di venerazione da parte della popolazione.
Dell’anno 1506 il 2 marzo verso sera sudò un immagine della Beata Vergine oggi detta comunemente “Delle Lacrime”.
L’icona si trovava in casa di Sebastiano Barberi. Per tale prodigioso sudore si commosse tutto il popolo di Longiano, e per tanta devozione il Barberi donò alla comunità la propria casa con detta miracolosa immagine, perché si costruisse una Chiesa ( Archivio Parrocchiale ).
Oggi questa icona è balzata fuori dall' anonimato tramite le parole di Oriana Fallacci, nel suo libro postumo ed autobiografico, in cui parla di una sua antenata che era accolta come badante da una famiglia di Longiano. Ella era devota alla Madonna delle Lacrime, una Madonna paffuta e malinconica.
Questa icona dagli stilemi bizantini presenta una Madre affettuosa con in braccio il Bimbo col globo terrestre sormontato da una croce , colpisce per il tono acceso del manto di Gesù, un tono che contrasta con il rosso molto scuro del mantello della Madre. Il fondo oro, si annulla e si disperde nella cornice dorata e ben intagliata.

mercoledì 4 luglio 2012

LA PICCOLA VENEZIA


Comacchio è la nostra piccola Venezia, si trova nel Delta del Po, ed oltre che per la bellezza dei suoi ponti è famosa per la pesca e la cucina delle anguille. Deliziosi ristoranti punteggiano i canali e attraggono sia per il cibo che per l' atmosfera.


Il termine Comacchio potrebbe derivare dal greco kuma che significa onda.
Il simbolo che appare nello stemma comunale è la passera (Platicithys), segno della fecondità in quanto, con il suo carico di uova, è riconoscibile anche di notte per la luminosità delle uova unite quasi in grappolo nel ventre.


La storia di Comacchio è affascinante e al contempo tormentata.
Città estremamente ambita e contesa dai signori dell'epoca, dalla Chiesa e da tutti coloro che, in qualche modo, l'hanno amministrata, molti archeologi fanno risalire le origini di Comacchio ad un tempo antichissimo.

Si vorrebbe provare che proprio Comacchio è la diretta erede di Spina, ma questo, con i dati che abbiamo, rimane solo una congettura.
Gli episodi ed i fatti che hanno caratterizzato secoli di storia e di profonde trasformazioni, sono collegati alle vicende riguardanti il patrimonio delle Valli che,fino al secolo scorso, occupavano una superficie di quasi ottanta mila ettari.

L'attività della pesca, unitamente alla raccolta ed al commercio del sale, creò profondi dissidi tra la città di Comacchio e le comunità vicine, non ultima la famosa "guerra del sale" con la Repubblica di Venezia, e che, solo qualche anno fa , ha conosciuto la "pace storica".

Le paludi che circondavano Comacchio costituivano la sua naturale difesa.
Affacciata sulle rotte navali adriatiche, Comacchio crebbe d`importanza soprattutto grazie ai ricchi traffici legati alle vicine saline che le assicuravano una prosperità convalidata dai privilegi commerciali concessi alla città dal re longobardo Liutprando nell' anno 715, la cui flotta, potente e temuta, le garantiva il dovuto rispetto.Tutto cio non fu però sufficiente a Comacchio per evitare di essere distrutta, nel 946, ad opera dei Veneziani.

La Comacchio di oggi, con i ponti che l`attraversano ed i canali che la bagnano, conserva scarse tracce del suo passato medioevale a causa della sovrapposizione di interventi edilizi avvenuti nel corso del Seicento, dopo che nel 1598 fu definitivamente incorporata nello Stato della Chiesa.Si può passeggiare sul secentesco Ponte degli Sbirri e da qui osservare il settecentesco ospedale San Camillo e l' elegante Loggia dei Mercanti e la Torre dell' Orologio, e poi volgersi ed ammirare il gioco d' intarsi chiamato Trepponti.

Nel 1634 l' architetto ravennate Luca Danesi, per risolvere il problema della viabilità alla confluenza di quattro canali interni con quello che collegava la città al mare, ideò il particolarissimo complesso chiamato Trepponti.
L' architetto Danesi, invece di costruire una serie di ponti separati per unire le varie sponde, escogitò un`unica costruzione che, grazie a cinque scalinate poggianti su tre grandi arcate (da cui il nome Trepponti) permette di spostarsi in tutte le direzioni. Oltre alla forma già inconsueta per un ponte, a rendere più suggestivo il tutto, Danesi completò il complesso con due torri difensive che gli danno un aspetto inconfondibile.

Suggestiva è la passeggiata che conduce alla Chiesa di Santa Maria in Aula Regia a cui si giunge attraverso un porticato di 142 arcate, realizzato verso la metà del Seicento e chiamato portico dei Cappuccini.

Imponente è la Cattedrale di San Cassiano e Torre Campanaria, risalente all' VIII sec comprendeva in origine tre navate.

Non dimenticate di gustare un piatto di anguille fritte ( quelle sottili) o ai ferri ( quelle più grosse) secondo i vostri gusti, ed un piatto di maccheroncini alle canocchie...e buon appetito.


immagine: Trepponti di Teoderica

domenica 1 luglio 2012

UN VIAGGIO SU UNA NAVE ROMANA


La nave romana di epoca imperiale è stata rinvenuta in maniera fortuita nell'immediata periferia di Comacchio, durante i lavori di manutenzione dei canali di bonifica .
La nave naufragò, probabilmente a causa di una mareggiata e si arenò presso la foce del fiume durante il suo tragitto verso il Po.
Si tratta di un'imbarcazione della lunghezza di venti metri circa, a propulsione velica e a fondo piatto per la navigazione in acque interne o sottocosta.
Il veloce insabbiamento della nave permise la conservazione dei carico, ora esposto nelle sale del museo, e dello scafo, ad albero unico e vela quadrata, custodito in un padiglione-laboratorio adiacente.

A bordo si cuocevano i cibi, come testimonia la presenza di una cambusa a poppa fornita di un piano di cottura in argilla refrattaria e coperta da tegole, a protezione dagli incendi. C'era un calderone di bronzo da fuoco.

Vi sono anche strumenti per la pesca (ami in bronzo tenuti in ordine in un cestino di vimini, pesi da rete) tra cui un'ancoretta per la cattura di grossi pesci, polpi o calamari. Inoltre è stata trovata una nassa piena di mitili, pronti per essere consumati.

Si sono ritrovati alcuni importanti strumenti per l'attività commerciale come i calamai per la registrazione di carico e scarico di merci il giornale di bordo.
Per la pesatura delle merci si usava una bilancia a una coppa con asta a due portate e un peso in calcare per la vendita dei lingotti di piombo.

Si sono conservate parti di abbigliamento in cuoio, un materiale robusto e impermeabile quando ingrassato. In cuoio doppio sono i grembiali, in cuoio le sacche da viaggio, le parti rimaste di un giubbetto. In cuoio naturalmente le scarpe. Le robuste caligae allacciate alte sulla caviglia, in qualche caso sono chiodate, come quelle dei militari, e veniamo a sapere che si indossavano con all'interno un calzino o una pantofola morbida in cuoio. C'è una piccola scarpa chiusa e un affusolato sandalo ad infradito che hanno tutta l'aria di essere appartenuti rispettivamente ad un bambino e ad una donna. È l'indizio più importante della presenza di passeggeri a bordo. Come testimoniano le fonti, i civili che avevano necessità di viaggiare per lunghi tratti, si imbarcavano su navi commerciali, attendendo in porto anche per giorni una barca che partisse per la loro destinazione. Nella prima sezione del Museo, al primo piano sono esposti gli oggetti di uso quotidiano ( mazzuoli, pialle, pesi, bilance, cime, ecc) oggetti per l' igiene personale, per pescare, per cucinare ed anche per passare il tempo libero a giocare d' azzardo.



Nella sala al primo piano è esposto il carico commerciale con i 102 lingotti di piombo, la massa delle anfore vinarie, contenitori per vino pregiato resinato, una grande quantità di ceramica comune da cucina e da mensa, profumi, vetro, lucerne e lanterne. Qui sono custoditi anche sei tempietti, sono un raro ritrovamento ,avevano funzione protettiva, e sono dei piccoli modelli uguali in tutto e per tutto a quelli grandi.
Una visita al Museo di Comacchio è un viaggio
a ritroso nel tempo su una nave romana.


immagine: Tempietto di Teoderica