giovedì 30 agosto 2012

AMO LE CICALE



Meriggio d'Estate

Silenzio!Hanno chiuso le verdi
persiane delle case.
Non vogliono essere invase.
Troppe le fiamme
della tua gloria,o sole!
Bisbigliano appena
gli uccelli,poi tacciono,vinti
dal sonno. Sembrano estinti
gli uomini,tanto è ora pace
e silenzio... Quand'ecco da tutti
gli alberi un suono s'accorda,
un sibilo lungo che assorda,
che solo è così:le cicale.

U.Saba




acquarello di Teoderica

lunedì 27 agosto 2012

CICALA MOM AMOUR

Le cicale sono insetti con il corpo di forma tozza, la testa considerevolmente larga con due paia di ali trasparenti e membranose che a riposo vengono tenute a tetto al di sopra del corpo. La lunghezza si aggira intorno ai 2-4 cm. Vivono sugli alberi di diversa specie e sulla vegetazione.
Le cicale sono celebri soprattutto per il canto dei loro maschi che emettono un suono stridente e monotono. Il suono prodotto è alto, continuo e stridulo.
Le larve delle cicale sono sotterranee e possiedono zampe anteriori scavatrici grazie alle quali si spostano da una radice all'altra per nutrirsi. La larva della specie descritta ha uno sviluppo preimmaginale che dura ben quattro anni: al termine, la ninfa matura lascia il terreno e ne sfarfalla l'adulto.

Nelle campagne il cicaleccio accompagnava i mietitori nelle loro fatiche, facendoli meditare sull'ingiustizia che lì a poco avrebbero subito nella spartizione del raccolto col padrone. Spesso pensavano che il canto non annunciasse che questo, tanto che, in Romagna, accatastando i covoni, ripetevano amaramente: "Dice la cicala al cicalino: il grano al padrone e la paglia al contadino".
Un'altra caratteristica della cicala è quella di avere gli occhi molto sporgenti, quasi stessero per schizzare fuori dalla testa. In un'antica leggenda si diceva: «Una volta, tanti anni fa, un cuculo lavorava nella costruzione di una casa, trascinandosi su e giù per le scale portando sulle spalle la calce, ed aiutandosi, per la gran fatica, ripetendo so pu', so pu', so pu' (su pure, su pure, su pure). Un'insolente cicala, posata poco lontano, lo canzonava dicendogli: dai, dai, dai (dagli, dagli, dagli). Il cuculo, persa la pazienza, la rincorse, raggiungendola proprio in una bottega di un fabbro, dove, preso un martello, la schiacciò su un'incudine, facendogli schizzare gli occhi fuori dalla testa».
La proverbiale inoperosità della cicala, traspare anche da un detto bolognese: Gratar la panza alla zigala (Grattare la pancia alla cicala), riferito a chi se ne sta in panciolle tutto il giorno e chiacchiera tanto per far trascorrere il tempo.
Un gioco molto comune tra i fanciulli era quello di catturare questi insetti alla mattina, quando erano ancora intorpiditi dal freddo della notte, per poi infilarvi una pagliuzza nell'addome. Dopo tale tortura, le cicale non erano più in grado di cambiare direzione nel volo, ed erano costrette a volare in linea retta fino a quando non cadevano stremate dalla fatica. Di questo crudele trastullo fanciullesco, resta il detto "Andar dritto come la cicala con la paglia nel sedere", riferito a chi, dopo avere subito un torto, cammina via dritto, senza mai voltarsi. Comunque sia, il canto della cicala era di buon augurio, specialmente se lo si udiva nel mese di settembre. A Modena dicevano che "Se la cicala canta in settembre, non comprare frumento da vendere", in quanto il suo canto era il segno che la buona stagione si era conservata a lungo, permettendo ai contadini di fare scorte alimentari per l'intero inverno.








http://www.naturamediterraneo.com/cicala/

acquarello di Teoderica





venerdì 24 agosto 2012

COCCINELLA


Tutte le favole hanno protagoniste molto giovani, questa no, parla di Coccinella una signora di cinquant'anni chiamata così perchè quando spolverava la casa e trovava una coccinella, la prendeva sul palmo di una mano, la baciava e poi la deponeva delicatamente su un fiore.
Coccinella era diventata molto triste, aveva sempre lavorato tanto e non aveva ore per stare in ozio, ma ora era rimasta sola ed aveva tanto tempo libero che a lei sembrava vuoto.
Un giorno mentre se ne stava al davanzale della finestra a piangere, una coccinella le volò sui capelli e...si mise a parlare: " tu sei sempre stata gentile con noi perciò voglio rivelarti un segreto, io che sono la regina delle coccinelle, posso esaudire un tuo desiderio, uno solo bada, tornerò fra una settimana e tu mi dirai che cosa vorrai".
Coccinella fu invasa da una specie di scarica elettrica, iniziò subito a pensare a questo, a quello , a sopra, a sotto, più pensava a ciò che voleva più non sapeva che voleva.
Ma alla fine della settimana aveva ben chiaro il suo desiderio, quando la coccinella volò sui suoi capelli le disse:" cara, dolce coccinella, vola da una qualsiasi persona ammalata e toglile il male, questo è il mio desiderio, perchè io non ho motivo di essere triste, sono sana, il pane non mi manca e con te ho capito che il vero segreto è ...non desiderare."


immagine di Teoderica

martedì 21 agosto 2012

ROMAGNA DI GIOVANNI PASCOLI


Romagna

di Giovanni Pascoli


Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l'azzurra vision di San Marino:

sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

La' nelle stoppie dove singhiozzando
va la tacchina con l'altrui covata,
presso gli stagni lustreggianti, quando
lenta vi guazza l'anatra iridata,

oh! fossi io teco; e perderci nel verde,
e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,
gettarco l'urlo che lungi si perde
dentro il meridiano ozio dell'aie;

mentre il villano pone dalle spalle
gobbe la ronca e afferra la scodella,
e 'l bue rimina nelle opache stalle
la sua laboriosa lupinella.

Da' borghi sparsi le campane in tanto
si rincorron coi lor gridi argentini:
chiamano al rezzo, alla quiete, al santo
desco fiorito d'occhi di bambini.

Gia' m'accoglieva in quelle ore bruciate
sotto l'ombrello di trine una mimosa,
che fioria la mia casa ai di' d'estate
co' suoi pennacchi di color di rosa;

e s'abbracciava per lo sgretoalto
muro un folto rosaio a un gelsomino;
guardava il tutto un pioppo alto e slanciato,
chiassoso a giorni come un birichino.

Era il mio nido: dove immobilmente,
io galoppava con Guidon Selvaggio
e con Astolfo; o mi vedea presente
l'imperatore nell'eremitaggio.

E mentre aereo mi poneva in via
con l'ippogrifo pel sognato alone,
o risonava nella stanza mia
muta il dettare di Napoleone;

udia tra i fieni allor falciati
de' grilli il verso che perpetuo trema,
udiva dalle rane dei fossati
un lungo interminabile poema.

E lunghi, e interminati, erano quelli
ch'io meditai, mirabili a sognare:
stormir di frondi, cinguettio d'uccelli,
riso di donne, strepito di mare.

Ma da quel nido, rondini tardive,
tutti tutti migrammo un giorno nero;
io, la mia patria or e' dove si vive;
gli altri son poco lungi; in cimitero.

Cosi' piu' non verro' per la calura
tra que' tuoi polverosi biancospini,
ch'io non ritrovi nella mia verzura
del cuculo ozioso i piccolini,

Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta;
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

(Giovanni Pascoli)


Romagna, patria in passato delle potenti famiglie dei Guidi e dei Malatesta, ma anche del brigante detto il Passatore che diviene cortese proprio tramite questa poesia del Pascoli. Il poeta ricorda le scene campestri le grandi aie immerse nel sole d'estate, gli stagni d'acqua, con gli animali da cortile, i grilli e le rane che cantano in mezzo al profumo del fieno appena falciato, e poi i grandi olmi ombrosi che un tempo erano molto frequenti nelle nostre campagne. E' forse la poesia meno triste del Pascoli qui, nella sua terra, nella sua casa di campagna, attorno alla tavola, nell' intimità della famiglia ritrova la quiete. All'ombra di una mimosa e di un pioppo, era la sua casa, tra fiori di gelsomino e di rosa.
Qui il Pascoli bambino viveva mille avventure fantastiche, suggeritegli dai libri che leggeva: e cosi' immaginava di vivere grandi avventure con i personaggi dell'Orlando furioso in groppa al mitico Ippogrifo, il cavallo alato; oppure fantasticava sui grandi eroi conosciuti sui libri di storia, come Napoleone.



immagine: Paesaggio romagnolo di Teoderica

sabato 18 agosto 2012

UN ROMAGNOLO SUL TRONO DI FRANCIA



Il 17 aprile 1773 a Modigliana, in provincia di Forlì, vedeva la luce una bambina nata da una misteriosa coppia di nobili francesi e contemporaneamente a una coppia del luogo, i Chiappini, nasceva un maschio.
Dopo alcuni giorni la coppia di nobili partiva portando con sè non la figlia ma il maschietto romagnolo.La coppia romagnola di fronte a probabili elargizioni aveva ceduto il bambino in cambio della femminuccia.
La coppia francese era formata da Luigi Filippo , pretendente al trono di Francia , e da sua moglie Luisa Borbone Orleans. Luigi Filippo privo di una discendenza maschile colse l' occasione per presentarsi in patria con un legittimo erede maschio, il quale fu registrato come nato e battezzato a Parigi.
La famiglia Chiappini, mise a buon frutto i soldi ricevuti, riuscendo a ritagliarsi un buon posto nella società. La loro figlia, Maria Stella, andò sposa a un nobile inglese e poi ad un barone, ella visse nel lusso.
Alla morte del padre un notaio le consegnò un plico che la informava dello scambio di neonati.
Maria Stella si mise alla ricerca dei genitori e scoprì la verità, andò a Parigi infamando il maschietto romagnolo, che nel frattempo, nel 1830 era diventato re di Francia col nome di Luigi Filippo.
Il nostro Luigi Filippo fu apprezzato dalla borghesia per il fare dimesso e le riforme liberali, mentre i suoi avversari lo bersagliarono per la sua incoerenza e debolezza, ritraendolo sovente con la faccia a pera.
Nel 1848 fu costretto ad abdicare, chiudendo poi la sua vita nel 1850 in Inghilterra.



immagine: Luigi Filippo con la faccia a pera, elaborazione di Teoderica

mercoledì 15 agosto 2012

FERRAGOSTO


BUON FERRAGOSTO A TUTTI


La parola Ferragosto deriva dal latino, Feriae Augusti, la festa pagana, introdotta in onore dell'imperatore romano Augusto, con cui, dal primo giorno del mese di agosto si celebrava la raccolta dei cereali.Le Feriae Augusti si dipanavano tra riti collettivi e banchetti, bevute ed eccessi sessuali, a cui tutti potevano partecipare, comprese schiavi e serve.Nel secolo VI, le Feriae Augusti vennero assorbite e trasformate nella celebrazione dell’Assunzione in cielo di Maria Vergine che, terminata la sua vita terrena, fu elevata alla gloria celeste con l’anima e con il corpo.
A questo proposito, erano e sono celebrate tutt’oggi, feste e processioni in varie località italiane. Il 15 di agosto non perde il suo carattere fortemente popolare tanto che conserva l’uso delle scampagnate e delle code in autostrada, anzi no il giorno di ferragosto in strada non c'è nessuno , chi al mare chi in montagna, chi alla processione sono tutti a posto. Da noi in Romagna era in uso fare il "gavettone"cioè tirare un secchio d'acqua al primo che capitava, magari a quello più "braghiro"cioè un po' superbo.Questa tradizione non si usa più perchè causava liti ed anche al mare i bagnini tengono chiusi i rubinetti dell'acqua per scongiurare il pericolo di bagnate.Una tradizione rimasta è quella del pic nic o del pranzo in collina.Questo giorno in collina i ristoranti preparano veri e propri "pranzoni" equiparabili ai cenoni di Capodanno.


immagine di Teoderica

domenica 12 agosto 2012

IL PIANTO DI SAN LORENZO


X Agosto (Giovanni Pascoli)

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo favilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono...
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!


Questa poesia rievoca uno degli eventi più dolorosi della vita di Pascoli. Infatti il giorno di San Lorenzo, ovvero il 10 agosto Pascoli, ricorda la morte del padre assassinato mentre tornava a casa. Attraverso essa il poeta, infatti, vuole comunicare al lettore la sua tristezza per la mancanza del padre assassinato e la accentua mettendo a confronto una rondine abbattuta col cibo nel becco per i suoi rondinini e il padre che ritornava a casa portando due bambole alle figlie, in modo tale da sottolineare l’ingiustizia e il male che prevalgono su questa terra .

Il nido e la casa, per di più svolgono il ruolo di metafora degli unici rapporti d'amore possibili in un mondo d'insidie e di contrasti.

A partecipare a questa tragica situazione vi è, non solo Pascoli in persona, ma anche il Cielo che con, appunto, la notte di San Lorenzo famosa per il fenomeno delle stelle cadenti, raffigura il pianto.



immagine: Agosto di Teoderica

giovedì 9 agosto 2012

LA NOTTE DEL 10 AGOSTO


La notte del 10 agosto, ogni anno, gli occhi si rivolgono speranzosi al cielo, per cogliere al volo una stella cadente.
Se scientificamente la caduta delle stelle è da imputarsi al passaggio, degli asteroidi della costellazione Perseo , culturalmente la pioggia di stelle è stata elaborata in modo più poetico.

Questa notte è infatti, da tempi lontani, dedicata al martirio di San Lorenzo, e le stelle cadenti sono le lacrime versate dal santo durante il suo supplizio, che vagano eternamente nei cieli, e scendono sulla terra solo il giorno in cui Lorenzo morì, creando un'atmosfera magica e carica di speranza.
In questa notte, infatti, si crede si possano avverare i desideri di tutti coloro che si soffermino a ricordare il dolore di San Lorenzo, e ad ogni stella cadente si pronuncia la filastrocca "Stella, mia bella stella, desidero che…", e si esprime un desiderio.


Un tempo in Romagna, il giorno di San Lorenzo ci si immergeva sette volte in mare, per purificarsi e per attirare a sé fortuna e felicità. Per questo motivo, vi era un grande afflusso di bagnanti, provenienti dalla campagna, speranzosi di veder le loro malattie portate via dal mare, e di propiziarsi un anno migliore e più fortunato. La stessa leggenda, in chiave cristiana giustifica l'usanza con un'apparizione di San Lorenzo, avvenuta a Cervia, quando la cittadina fu colpita dalla febbre malarica. Si narra infatti che il Santo del 10 agosto apparve in sogno ad una ragazza malata, indicandole la via della guarigione nelle acque salmastre, che avrebbero donato ai bagnanti i sette doni dello Spirito Santo: Sapienza, Intelletto, Consiglio, Fortezza, Scienza, Pietà e Timore di Dio.Pensate un po' quante doti hanno accumulato i romagnoli coi sette bagni usuali che fanno il 10 agosto.
Oggi in Romagna il 10 agosto si va in spiaggia ad arrostirsi al sole, immergendosi frequentemente nell' acqua , durante il giorno, la sera si gusta una buona grigliata di pesce innaffiata da vino bianco e leggero, poi la notte ognuno con la sua bella( o bello) ci si bacia sulla spiaggia, osservando le stelle ed ascoltando il rumore lento del mare, infine a mezzanotte i fuochi artificiali illumineranno tutto il litorale e buon San Lorenzo a tutti voi che leggete questo post.




immagine: Notte di Teoderica

lunedì 6 agosto 2012

DEDICATO



Senza fine

tu trascini la nostra vita
senza un attimo di respiro
per sognare
per poter ricordare
cio' che abbiamo gia' vissuto.
senza fine
tu sei un attimo senza fine
non hai ieri, non hai domani
tutto e' ormai
nelle tue mani
mani grandi, mani senza fine.
non mi importa della luna
non mi importa delle stelle.
tu per me sei luna e stelle
tu per me sei sole e cielo
tu per me sei tutto quanto
tutto quanto io voglio avere.
senza fine

Gino Paoli



immagine di Teoderica

venerdì 3 agosto 2012

MADRIGALE D'ESTATE


Madrigale d'estate

Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Sotto l'ora solare del mezzogiorno
morderò la Mela.

Fra i verdi ulivi della collina
c'è una torre moresca,
colore della tua carne agreste
che sa di miele e d'aurora.

Mi offri nel tuo corpo ardente
il divino nutrimento
che dà fiori al ruscello quieto
e stelle al vento.

Come ti donasti a me, luce bruna?
perché mi desti pieni
d'amore il sesso di giglio
e la sonorità dei tuoi seni?

Fu per la mia tristezza?
(Oh, miei goffi passi!)
Forse destò pietà in te
la mia vita spenta di canti?

Perché non hai preferito ai miei lamenti
le cosce sudate
di un San Cristoforo contadino
pesanti in amore e belle?

Danaide del piacere sei con me.
Femminile Silvano.
I tuoi baci odorano come il grano
secco dall'estate.

Oscurami la vista col tuo canto.
Sciogli la tua chioma
dispiegata e solenne come un manto
d'ombra sopra i prati.

Dipingi con la bocca insanguinata
un cielo d'amore,
su un fondo di carne, la stella
violetta del dolore.

Prigioniero è il mio cavallo Andaluso
dei tuoi occhi aperti,
e volerà desolato e assorto
quando li vedrà morti.

Se tu non m'amassi t'amerei
per il tuo sguardo cupo
come l'allodola ama il giorno nuovo
per la rugiada.

Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Lasciami sotto il giorno chiaro
consumare la mela.

Federico Garcia Lorca

Cercando una poesia sull'estate ho incontrato questa di Federico Garcia Lorca e mi è sembrata la più affine al trionfo dell'estate, che come tutti i trionfi ha nella sua bellezza il morso amaro della fine, ma ora siamo al trionfo e non pensiamo ancora che la nostra mela sia consumata.


immagine di Teoderica