giovedì 31 ottobre 2013

OH MIO BEL GIARDINO


Incastonato come una piccola perla nel piccolo centro di Bagnacavallo vi è un piccolo giardino, piccolo , piccolino e picciò.
Ultimo esempio di orto botanico esistente all'interno del centro storico di Bagnacavallo, il Giardino dei Semplici è anche conosciuto come Giardino degli Aforismi per le sue panchine in ferro battuto con aforismi diLeo Longanesi, che qui a Bagnacavallo nacque, inscritti sugli schienali. Secondo la tipica organizzazione dei giardini che un tempo numerosi abbellivano i palazzi e i conventi ubicati all'interno delle mura cittadine, l'orto è suddiviso in quattro aree:
- l'umbraculum, riservato allo svago e alla meditazione e perciò caratterizzato da piante rampicanti e da viti;
- il pomarium, destinato alla coltivazione degli alberi da frutto;
- l'horteus holeorum, in cui si coltivano le piante destinate alla cucina;
- l'hortus sanitatis, ovvero l'orto officinale.

Gli aforismi di Longanesi incisi sulle panchine d’autore:
Tutto ciò che non so l’ho imparato a scuola
Veterani si nasce
I ricordi dell’anno venturo già mi pesano
L’arte è un appello al quale molti rispondono senza essere chiamati
L’amore è l’attesa di qualcosa che quando arriva annoia
Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica.
Diffidate delle donne intellettuali: finiranno per rintracciare sempre il cretino che le capisce.
La famiglia è uno stato che riceve autorità dalla noia, dalla convenienza e dalla paura di morire soli in casa.
E poi si resta soli con una bandiera stinta in pugno, in un vicolo chiuso, che sarà demolito dal piano regolatore.
Le società si fondano sopra quella sorta di romantici che sulla seggiola coltivano la nostalgia di diventare pastori di cavalli in una steppa, mandriani in alta montagna, campanari in una chiesa di valle, frati in un convento del Caucaso, falegnami in un villaggio olandese, o guardaboschi nelle selve della California, e muoiono impiegati del catasto.
Foto. Giardino degli Aforismi di Bagnacavallo

lunedì 28 ottobre 2013

IL ROBIN HOOD ROMAGNOLO

Il suo vero nome era Stefano Pelloni(1824-1851). La sua storia si è sviluppata nel contesto di una Romagna di metà del XIX secolo spesso attraversata da briganti e uomini di malaffare, che agivano in un contesto sociale di miseria e di malcontento, ma una contingenza a lui favorevole ha fatto sì che il nome del Passatore restasse legato all’immagine  del Robin Hood di Romagna.
Giovanni Pascoli lo chiamò "Passator cortese, re della Romagna, re della foresta".
Garibaldi lo riteneva un uomo ardito e intelligente, lo ammirava.
Stefano Pelloni,  c'è stato chi l'ha definito perverso e bestiale, e chi ne ha cantato le gesta elevandolo al rango di mito. Ancora oggi la sua popolarità è ancora molto alta in Romagna, lo dimostra anche il fatto che l’immagine del Passatore è stata scelta dall'Ente Tutela dei Vini romagnoli come marchio. 
 Il mestiere del Passatore era traghettare sul fiume Lamone fra i comuni di Bagnacavallo e Russi. Durante questo lavoro conobbe, specialmente di notte, contrabbandieri, banditi e ladri. Fatto sta che egli intraprese quella famigerata carriera delinquenziale che lo portò ad occupare le cronache popolari, e che lo trasformarono in mito folcloristico per via di ben chiari intenti sociali che pare non esistessero affatto. Il bandito Stefano Pelloni per più di due anni, dal 1849 al 1851, dominò i paesi delle Legazioni, vale a dire le province di Bologna, Forlì, Ravenna e Ferrara, sconfinando all'occasione anche nel Granducato di Toscana, tenendo in scacco sia il governo austriaco che quello pontificio. Viste le condizioni d’oppressione in cui versava la popolazione di allora, fra la dominazione papalina da un lato e polizia austriaca dall'altro, chiunque riuscisse a contrastare il potere, anche un feroce bandito, poteva diventare un simbolo, poteva dare speranza, magari mal riposta.
Il Passatore bandito o meno era un uomo superiore, pensate a una persona del popolo che riesce ad organizzare una banda, con tutta una rete di appoggi, nel 1850, quando la popolazione romagnola era analfabeta e superstiziosa, è una cosa che sa di fantastico...  per stare sul fantastico vi dico che il cadavere dello Stefano Pelloni non fu riconosciuto dal fratello e  si favoleggia che il Pelloni arraffato un bel gruzzolo se ne sia espatriato in America.

Immagine Il Passatore

venerdì 25 ottobre 2013

OH MIO BEL GIARDINO



Il Giardino Rasponi o delle Erbe Dimenticate si trova a Ravenna. Qui è assai piacevole passeggiare o sedersi sulle comode panchine ascoltando piacevolmente un sottofondo di musica New Age. Il binomio musica più giardino è molto accattivante. Il giardino è nascosto da mura, ed è è proprio nel centro città. Al giardino è possibile accedere attraverso il portale progettato da Camillo Morigia. Le mura di cinta proteggono il giardino rendendolo ovattato.
La caratteristica del Giardino delle Erbe Dimenticate è quella di custodire preziose erbe aromatiche all’interno di aiuole in perfetto stile ottocentesco. Tutte le aiuole sono poste attorno alla bellissima fontana in ferro battuto del XIX secolo.
Nella fontana ci sono pesci rossi che guizzano ruotando ed accompagnano i nostri pensieri. Tra le varie erbe coltivate all’interno del Giardino Rasponi bisogna ricordare l’Issopo, il Pungitopo, e piante di Farfara, Farfaraccio, Bardana, Luppolo, Levistico, Erba di San Pietro e tante altre.

foto Il Giardino delle Erbe dimenticate

martedì 22 ottobre 2013

CHI ERA PIETRO ARETINO? UN LUSSURIOSO


Poeta e scrittore italiano senza scrupoli che mise la sua penna al servizio di chi meglio lo pagava o poteva assicurargli protezione. Definitosi “censore del mondo, oracolo della verità e flagello dei principi”, si sentiva l’uomo più libero del mondo.
Cacciato dalla natia Arezzo per aver scritto un sonetto contro le indulgenze, si recò a Roma dove fu notato da Leone X e da Clemente XII. In seguito, a causa di alcuni sonetti licenziosi, scappò anche dalla corte papale per rifugiarsi prima a Firenze, protetto da Giovanni de’ Medici, e poi Venezia dove condusse vita sfarzosa.
Di volta in volta corteggiato o odiato per la grande forza d'impatto della sua penna, sperimentò i generi letterari più vari, passando dalla commedia alla tragedia, dal dialogo parodistico all'epistolografia e al poema cavalleresco, dalla letteratura oscena a quella sacra. Come scrittore sostenne sempre la necessità di trarre ispirazione dalla natura, cioè dalla vita, piuttosto che dai classici. Resta per questo il prototipo dello scrittore anticlassicista, che preferisce affidarsi al suo genio piuttosto che all'imitazione dei modelli. Morì a Venezia nel 1556, avendo goduto in vita finanche della protezione di Francesco I e Carlo V.
Dimenticavo, si dice che morì...per eccesso di risa.

I sonetti lussuriosi sono veramente...lussuriosi, io ho il coraggio di proporvi una sola quartina.



Fottiamci, anima mia, fottiamci presto
perchè tutti per fotter nati siamo;
e se tu il cazzo adori io la potta amo,
e saria il mondo un cazzo senza questo.

immagine di Teoderica

sabato 19 ottobre 2013

IL RISO CHE SCONFIGGE IL PIANTO


Non avevo mai voluto leggere il Don  Chisciotte, io amante di Achille,  di Rolando, dei Cavalieri della Tavola Rotonda come potevo amare o leggere le avventure di uno scalcagnato cavaliere, pazzo, brutto e rinsecchito?
Di un cavaliere dui cui tutti ridevano?
Avevo visto le raffigurazioni che ne aveva fatto Honorè  Daumier e mi erano bastate per capire il genere.
Ancora oggi considero Daumier l'artista che più ha colto l'essenza del Chisciotte.
Il Don Chisciotte di Miguel  Cervantes, lo avrete letto tutti e quindi vi scrivo solo una brevissima traccia per rammentarvelo.
E' la storia di un hidalgo, un signore spagnolo benestante, appassionato di romanzi cavallereschi. Tanto lo avvinceranno queste letture che Alonso Quijano - il nostro eroe  - finirà per credersi egli stesso un cavaliere errante. Partirà in cerca di avventure  per difendere i deboli e gli oppressi e coinvolgerà   Sancho Panza  come suo scudiero che non sempre lo asseconderà nelle sue follie visionarie. Ovviamente la Spagna che si troverà di fronte non è affatto quella dei suoi amatissimi romanzi ma lui non se ne accorgerà neanche. Combatterà con improbabili nemici e mostri frutto della sua fantasia e ne risulterà sempre sconfitto suscitando  il sollazzo degli altri.
Poi venne un giorno che non avevo niente da fare, aprii quel librone con tante pagine e fu amore a prima vista, lo lessi d'un fiato fra notte e giorno.
Quanto riso, quanta poesia, quanto divertimento, quanto amore, Don Chisciotte vive la vita che vuole, leggero passa incurante degli altri, ha uno scopo nella vita e lo realizza, fa diventare realtà il suo sogno, gli altri ridono e non vivono, lui vive, infatti solo  in punto di morte sarà savio.
Tenero è Sancho Panza che non riesce ad elevarsi al grado più alto di fantasia del Chisciotte, ma aiutato dal buon senso che il contadino trae  dal ciclo vitale della terra, intuisce la grandezza del Cavaliere e cerca di aiutarlo a farsi meno male.
Questo grande capolavoro è la linea sottile che unisce la vita e la morte, è il riso che sconfigge il pianto.


immagine di Teoderica 

mercoledì 16 ottobre 2013

SE QUALCOSA PUO' ANDAR MALE LO FARA'

Cos'è la "Sconfitta"?
Nient'altro che il primo passo verso qualcosa di meglio.
 Bruce Lee

Questo aforisma a l'ho trovato, leggendo la   Terza  Pagina di un quotidiano locale, non ho letto l'articolo perchè conosco l'autore che a me pare prolisso , pomposo e scontato, ma la citazione l'ho rubata perchè la sento dentro di me.
La sconfitta  insegna sempre più di una vittoria o di qualcosa che ti è andato bene, non so, forse perchè la sconfitta fa stare male, fa riflettere e si dimentica molto lentamente.
Nel momento buio ricordate che non rimarrà sempre così, tenete a mente che vi arricchirete intimamente molto di più di chi ha più fortuna di voi.
E poi tenete a mente le Leggi di Murpy.

 
 
 
 
 
 
Niente e' facile come sembra.
Tutto richiede piu' tempo di quanto si pensi.
Se c'e' una possibilita' che varie cose vadano male, quella che causa
il danno maggiore sara' la prima a farlo.
Se si prevedono quattro possibili modi in cui qualcosa puo' andare male,
e si prevengono, immediatamente se ne rivelera' un quinto.
Lasciate a se stesse, le cose tendono a andare di male in peggio.
Non ci si puo' mettere a far qualcosa senza che qualcos'altro non vada
fatto prima.
Ogni soluzione genera nuovi problemi.
I cretini sono sempre piu' ingegniosi delle precauzioni che si prendono
per impedirgli di nuocere.
Per quanto nascosta sia una pecca, la natura riuscira' sempre a scovarla
Madre Natura e' una puttana.
  
E tenete a mente la costante di Murphy
 
Le cose vengono danneggiate in proporzione al loro valore.
 
 
immagine di Teoderica ( è la Nike di Samotracia deturpata da me, in ogni sconfitta 
c'è già la vittoria questo il senso) 

domenica 13 ottobre 2013

OH MIO BEL GIARDINO








La tenuta di Pratolino fu acquistata nel 1568 dal Granduca Francesco I de' Medici, il quale dette incarico al Buontalenti di trasformarla in villa. Lasciata   in abbandono da Ferdinando III e Leopoldo II di Lorena, la villa fu demolita ed il suo parco ristrutturato in giardino all'inglese. Successivamente il complesso venne venduto al Principe Paolo Demidoff che nel 1872 fece trasformare il superstite edificio della Paggeria nell'attuale villa. Il 4 agosto 1981 il complesso venne acquistato dall'Amministrazione Provinciale di Firenze per essere destinato ad uso pubblico.
Il parco è magnifico, con tracce di grotte artificiali e fontane: dell'impianto rinascimentale sono giunte a noi soltanto la colossale statua - fontana dell' Appennino - del Giambologna con il laghetto prospiciente, la statua del Mugnone e la cappella esagonale, retta da 14 colonne di pietra con cupola laminata in piombo, progettata dal Buontalenti. Nel parco è possibile camminare per chilometri lungo strade bianche, stradelle e sentieri, immersi in un ambiente naturale fantastico.

foto giardino Villa Demidoff

giovedì 10 ottobre 2013

CLAUDIA E DANIELE



CLAUDIA E DANIELE
La discoteca, il luogo più bello per Claudia, qui al rinchiuso, al sicuro, nel mondo della notte, nel mondo di Dioniso, può lasciare libero il suo Io, tenuto a freno di giorno dall’inflessibile ragione.
Questa ragione così ben ammaestrata inizialmente dai genitori, poi dalla scuola e poi dalla vita tutta, una ragione che è il legame più forte per non farci realizzare i sogni.
Claudia ama la musica, arte principale, legame con l’inconscio collettivo, certamente quando nasciamo ciò che prima di tutto ci inonda è il profumo e poi il suono ed il nostro pianto e forse il clamore, l’applauso, la musica nasce proprio per scacciare il nostro primo pianto.
Claudia ama la musica ed ama soprattutto entrare nella musica attraverso il ballo, è un piacere vederla ballare al ritmo ondulatorio delle note, ha lo stesso incanto del mare in ardore.
Non è ben vista dai soliti frequentatori della discoteca, le ragazze la considerano una poco di buono, perché ha uno stuolo di “filarini” a cui Claudia elargisce baci alla francese perché è fermamente convinta di trovare il suo ragazzo attraverso l’emozione che proverà attraverso il bacio.
I ragazzi “a posto” poi non l’avvicinano appunto per questo, fa paura Claudia per la sua libertà.
La sua corte è un po’ quella dei miracoli, depressi, artisti, introversi, drogati, tristi e melanconici.
“ Hai da accendere?”.
Un ragazzo, dai jeans sbrindellati, il giubbotto di pelle nera, stivali neri, lunghi capelli neri, sino alla cintola, e dagli occhi verde mare, si è avvicinato a Claudia mentre è sotto la pensilina dell’entrata della discoteca.
“No, mi dispiace, non fumo”. Claudia non sa perché ha risposto così, in effetti, lei fuma, ma quel ragazzo l’ha inquietata.
Ha bisogno di una sigaretta, e nel mentre se l’ha sta accendendo, il ragazzo la sta guardando.
“Perché mi hai detto che non fumi?”
“Non lo so”.
Così si erano conosciuti Claudia e Daniele.
Claudia non sentì emozioni diverse col suo bacio, ma si infilò lo stesso nella fossa dei leoni.
Nel racconto biblico Daniele si salvò dai leoni, ma Claudia ne venne divorata.
Daniele aveva subito una cocente delusione d’amore, con una ragazza che lo aveva usato, dapprima lo aveva amato perché era trendy avere un ragazzo artista, pittore e poeta, poi visto che lui era un morto di fame lo aveva lasciato per diventare l’amante del suo ricco e anziano e sposato datore di lavoro.
Daniele, voleva vendicarsi delle donne e Claudia così libera gli pareva la miglior vendetta su tutte le donne.
Quando Claudia attratta dalla sua melanconia, dalle poesie d’amore che lui componeva per lei, dalle canne che lui fumava ma che non voleva assolutamente che fumasse lei, si innamorò perdutamente , lui non solo iniziò a chiederle soldi, Claudia innocentemente dava tutto quello che aveva, ma le propose un legame a tre, con una donna anziana, ma che avrebbe pagato molto bene il menage.
Claudia era talmente fuori dalle logiche meschine, che non capiva che lei era il mezzo di rivalsa per Daniele, ma se non capiva ciò, il rispetto per sé stessa, quell’Io che non sapeva vivere senza libertà le impedì di accettate l’incontro a tre.
Daniele la lasciò, Claudia credette di impazzire di dolore, invece si rese conto che era libera, si rese conto che stava bene, che respirava e che il più grande regalo d’amore di Daniele era averla lasciata, il legame spezzato e Claudia, generosa com’era, sperava che il demone della vendetta si fosse acquietato per Daniele e che entrambi fossero pronti per nuove avventure.
Perché ogni amore è sempre e comunque un’avventura, è sempre …un ciò che accadrà.
acquarello di Teoderica

lunedì 7 ottobre 2013

IL VENTO MI CHIAMA GALOPPANDO

Sono una divoratrice di libri, dai classici ai fumetti,  in essi ho incontrato tanti cavalli che sono entrati nel mio immaginario.   
Quando un racconto, una storia mi colpisce cerco di ricrearla nella realtà, quindi dopo aver letto del cavallo di Troia, dei  Centauri, di Dinamite il cavallo di Tex Willer, di Ronzinante il cavallo di Don Chisciotte, di Tornado il cavallo di Zorro e poi di Bucefalo che era di Alessandro Magno, Marengo quello di Napoleone, Trottalemme quello di Cocco  Bill, Marsala che era di Garibaldi, e tanti che ora non ricordo fra cui quello di Caligola e di Cesare e pure Furia cavallo del west, decisi che dovevo avere il cavallo anch'io.
Feci un po' di cassetta e racimolai il denaro per le lezioni di equitazione, il cavallo  dal vero risultò essere molto alto ed ebbi un po' di timore, ma vinto il primo spavento fra me e  l'animale fu subito amore.
Io non sono portata per lo sport, per l'attività fisica in generale, sono un tipo da poltrona o da ottomana, mia sorella da vero sagittario riesce invece bene in tutti gli sport, ma con l'equitazione fui io la più in gamba perchè sentivo il cavallo, eravamo in sintonia, fra noi vi era grazia.
Purtroppo l'idea di avere il cavallo naufragò  ben presto perchè non è il costo dell'animale elevato, anzi un brocco si salva dal macello, era il suo mantenimento che era improponibile, il sogno sfumò ma non del tutto, perchè un'ora al maneggio si poteva ben fare.
La simbologia mitologica del cavallo presenta un'ambivalenza di fondo che lo vede da un lato come un essere nobile ed intelligente, dall'altro come un concentrato di forza istintuale, capace di incutere angoscia.  
Sorge dalle tenebre come cavallo-serpente (il cavallo porta con sé la morte nelle leggende celtiche, irlandesi e germaniche) e termina la sua corsa come cavallo alato (associato al vento).
Nell'immaginario collettivo è simbolo di libertà senza confini e senza limiti: la sua corsa affascina per la sua misteriosa alchimia di armonia e di forza che induce nel cavaliere l'esperienza di sentirsi tutt'uno col magnifico animale. 
Il cavallo è anche annunciatore di disgrazia, come nell'Apocalisse, in cui il cavallo bianco sta ad indicare il nemico venuto da fuori, il cavallo fulvo la guerra, il cavallo nero la carestia ed il cavallo verde la peste.
Sempre in ambito leggendario, la principale qualità del cavallo è quella di prevedere il futuro; conoscitore delle cose dell'altro mondo, vede ciò che l'uomo non vede, conduce il carro del sole nella sua corsa notturna e, così come Ermes e Caronte e i delfini, funge da psicopompo nell'atto di accompagnare le anime dei defunti nell'oltretomba.
 Nelle mitologie indiane è spesso Figlio dell'Acqua. Il suo galoppo è associato alla corsa delle onde e lo si ritrova anche accanto a Venere, come simbolo dell'impetuosità del desiderio.

Il vento è un cavallo:
senti come corre
per il mare, per il cielo.

Vuol portarmi via: senti
come percorre il mondo
per portarmi lontano.

Nascondimi tra le tue braccia
per questa notte sola,
mentre la pioggia rompe
contro il mare e la terra
la sua bocca innumerevole.

Senti come il vento
mi chiama galoppando
per portarmi lontano.

Con la tua fronte sulla mia fronte,
con la tua bocca sulla mia bocca,
legati i nostri corpi,
all’amore che che brucia,
lascia che il vento passi
senza che possa portarmi via.

Lascia che il vento corra
coronato di spuma,
che mi chiami e mi cerchi
galoppando nell’ombra,
mentre, sommerso,
sotto i tuoi grandi occhi,
per questa notte sola
riposerò, amor mio.
            Pablo Neruda
immagine di Teoderica

venerdì 4 ottobre 2013

OH MIO BEL GIARDINO











 

























 







Se andate a Verona, non dimenticate di visitare il Giardino Giusti, è uno dei luoghi più romantici che esistano, uno dei giardini più celebrati nei secoli, visitato da personaggi come Cosimo de' Medici, Goethe, Mozart. Realizzato nella seconda metà del '400 sul retro del palazzo cittadino fatto costruire dai Giusti, famiglia proveniente da Firenze e che voleva forse ricreare uno di quegli splendidi giardini rinascimentali che avevano visto nella loro città d'origine. Il giardino rimane un po' nascosto dalle mura e si snoda con un percorso che parte dal basso per innalzarsi verso il mascherone da cui si gode un panorama mozzafiato.
Nella parte bassa è il tipico giardino all' italiana con siepi di bosso, un labirinto, cipressi, statue mitologiche, cippi ed epigrafi romane. Nella parte alta il giardino si libera dalle costrizioni e diventa un bosco con essenze rare, rocce e grotte artificiali, e per sentieri si inerpica sulla collina dalla quale si gode un segreta vista sulla città di Verona.
Se Giulietta e Romeo avessero visto questo luogo, sarebbe stato il loro rifugio d' amore.


foto Giardino Giusti

martedì 1 ottobre 2013

OFFRI UN GALLO AD ASCLEPIO


Asclepio ( Eusculapio per i romani) era ritenuto figlio di Apollo e della Ninfa Coronide. Coronide, gravida, fu uccisa da una freccia per essersi data a uno straniero. Deposta sulla pira funebre, Mercurio ebbe l'incarico di far nascere Asclepio dalla madre ormai senza vita. Venne quindi affidato alle capaci mani del centauro Chirone che lo istruì con grande profitto nella Medicina: acquisì delle capacità tanto elevate che resuscitò addirittura Ippolito divorato dai propri cavalli. Plutone indispettito, dato che Asclepio non si limitava a guarire gli ammalati ma resuscitava anche i morti, si lagnò con Giove impensierito dal fatto che il suo regno potesse trasformarsi in un deserto se questi non fosse stato fermato. Giove lo fulminò.
Il principale attributo di Asclepio è il serpente; questo lo aiutava nelle guarigioni lambendo le ferite. Poi anche il cane ne era un importante attributo; cane e oche ricoprivano nei sanatori lo stesso ruolo del serpente: disinfettavano con la loro saliva. Il rito prevedeva il sacrificio di un gallo, a lui sacro; come il gallo annuncia il nuovo giorno, così Asclepio ridava la vita e rinnovava i giorni a coloro che erano stati malati.
Fedele alle sue antiche origini misteriche il culto di Asclepio celava ai più i dettagli delle guarigioni che avvenivano all’interno dei santuari. Un alone di mistero aleggiava, nel luogo dove i malati si preparavano all’incontro con il Dio, poi per aumentarne la suggestione si tendeva a trasformare le prime cure mediche dei sacerdoti in atti di devozione astratta affinchè avessero l’impressione che fosse avvenuto un miracolo. In realtà i sacerdoti effettuavano operazioni chirurgiche e vere e proprie terapie mediche, sempre però mascherandole da atti dovuti al Dio. Bisogna pensare a questi santuari come a luoghi che somministravano effettivamente cure al pari, se non a livelli superiori, degli ospedali gestiti da medici laici; luoghi a cui ricorrevano persone di ogni estrazione sociale: dal popolino alle fasce più agiate.


Immagine di Teoderica