mercoledì 20 novembre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello

Amore nel Vento “La leggenda di brezza di sera” di Vito Coviello 

Amore di vento e di goccia, di rugiada, 

amore di brina, amore di vento 

figlia della bianca Poseidone 

e della notte più scura. 

È la fresca brezza della sera, 

del solo manto di stelle vestita, 

arrivava al calar della sera, 

volando libera e sola 

come aquilone nel cielo d’autunno,

attraversava mari, pianure e montagne

 facendo innamorare bianche nuvole

 di sé e stormire di gelosia

 degli alberi le foglie. 

Volando libera e sola,  

una sera d’autunno

 incontrò su una di quelle foglie

 goccia di rugiada

 che il tempo e il gelo della solitudine

 avevano fatto brina come fiocco di neve. 

Amore di vento e amore di brina 

si intesero subito 

e felici di essersi ritrovati, 

pur così diversi ma 

così profondamente uguali, 

volarono via insieme nel vento 

quasi Paolo e Francesca. 

Volarono insieme teneramente, 

abbracciati sotto quel manto di stelle 

per molte notti e molte notti ancora. 

Erano inseparabili 

e avevano tante cose da dirsi

e da raccontarsi, da fare l’alba, 

ma poi arrivò la primavera 

e poi l’estate. 

In primavera, 

le visite di amore e di vento, 

si fecero rare e amore di brina, 

goccia di rugiada, 

in sua paziente attesa, 

con i suoi ghirigori, 

sulle foglie

 scriveva poesie da lasciare nel vento.

 Ma quando all’inizio dell’estate 

amore di vento intendeva 

volare altrove, non venne più. 

Amore di brina, goccia di rugiada

 come lacrima solitaria

 si lasciò scivolare da quella foglia

 per finire nel fiume e di lì nel mare. 

Amore di brina, goccia di rugiada

 era tornata alla casa del padre,

 l’immenso mare.

Quando tornò l’autunno

 e arrivò il suo d’inverno,

 con le fredde e solitarie nott

i vestite di un pesante mantello nero

 a falde larghe, amore di vento

 andò a cercare amore di brina

 ma non lo trovò, 

lo cercò ancora e ancora, non lo trovò,

 allora come lupa lo chiamò, 

ululò al vento

 del suo perduto amore invano,

 il loro amore è rimasto nel vento. 

Quando in primavera sentirete stormire 

le foglie, se saprete ascoltare,  

udirete le poesie di amore di brina e, 

quando d’inverno

 udirete ululare il vento,

 è amore di vento

che cerca ancora amore di brina.

domenica 10 novembre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello

Paolo e Francesca di Paola Tassinari Questo dipinto è un acrilico su tela, misura 50×60 cm., è del 2018. E’ uno dei pochi in cui sono raffigurate due persone, un uomo e una donna ed è l’unico in cui i volti sono di profilo. I due raffigurati sono “Paolo e Francesca”, Canto V dell’Inferno dantesco… Potevano mancare due amanti fra i miei dipinti? Poteva mancare che cercassi di rappresentare gli amori che restano per sempre, gli amori dei poeti, dei romanzi, dei film e dei cantanti? Nel dipinto i due amanti sono su uno sfondo nero, che vuol essere il buio della ragione, hanno entrambi i capelli neri, lei lunghi, lui corti, sono di profilo, contornati di rosso, che rappresenta il fuoco ardente e bruciante della passione. Si toccano punta a punta il naso, gli scienziati dicono che ci innamoriamo attraverso l’olfatto, che fu il primo dei nostri sensi… nella narrazione biblica: “... E plasmò il Signore Iddio l’uomo polvere dal suolo, e soffiò nel suo naso alito di vita, e fu l’uomo anima vivente”. Si guardano e si fondono attraverso gli stessi occhi grandi e gialli con scintille giallo intenso e ipnotiche: i due innamorati sono come in trance ipnotizzati l’una dall’altro, sentono e vedono solo attraverso quello che vorrebbero sentire e vedere, sono in un’altra realtà che non è quella terrena. Nel V Canto dell’Inferno, la pena per la legge del contrappasso è di essere trasportati dal vento (come in vita dal vento della passione), qui Dante incontra le anime di Paolo e Francesca, che volano unite e paiono leggere al vento. Paolo piange, mentre Francesca racconta la storia del loro amore, nato mentre leggevano la storia di Lancillotto. Dante, alla vista delle loro anime è turbato, talmente turbato che sviene e cade come se fosse morto. Come mai Dante mette i due amanti all’Inferno? Mentre leggevano le storie dei cavalieri arturiani? Dante era un Fedele d’Amore e il ciclo bretone era un riferimento per questo gruppo di poeti, che ritenevano l’esperienza d’amore come elevazione morale. Dante è obbligato a metterli all’Inferno perché timoroso di incorrere nell’eresia, essendo Francesca traditrice del sacro vincolo del matrimonio, però, “cadendo come corpo morto cade”, quando non c’è più nessuna speranza ci si può salvare fingendosi morti… Ecco che metaforicamente l’Alighieri salva Paolo e Francesca, infatti, non può essere inferno se Paolo e Francesca sono per sempre avvinti dal vento della passione perché se il vento cessa l’amore finisce… e qui sta il punto. Se l’amore/passione/follia cessa, anche il vento termina, se l’amore diventa rispetto e comprensione il vento impetuoso diventa brezza. Da dove viene questa idea? Arriva dal Romanticismo ed io mi sono avvoltolata per anni in questo movimento artistico, sin dalla fanciullezza, sin da quando appena dodicenne lessi “Cime tempestose”, desiderando un amore travolgente, di fuoco e di tormento… potevo essere stata tanto sciocca? Il tragico è che ho perdurato per lungo tempo, fino a che mi sono bruciata, anche se mi consolo con Shakespeare… Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente, scrive il bardo in un’altra grande storia d’amore finita male, quella di Giulietta e Romeo. E ancor più mi consolo col Vangelo secondo Luca: “In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo”. Gesù le disse: “Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi peccati, perché ha molto amato”, rispondendo al fariseo che pensava di dover restituire i doni ricevuti da Dio attraverso prestazioni e opere morali e religiose, pareggiando così i conti e non essendo più debitore. La peccatrice, invece, amava senza condizioni. Si prostra ai piedi di Gesù non chiedendo nulla se non il suo perdono e se ha il coraggio di farlo è appunto perché avendo molto amato sa che Gesù può amare ancora di più, mentre il fariseo ama col contagocce. Il Romanticismo divenne un movimento artistico dominante in tutta Europa a partire dagli anni venti del XIX secolo, ispirato dal movimento tedesco Sturm und Drang, termine che di solito viene tradotto come “tempesta e tormento”, due termini che sintetizzano molto bene le idee romantiche. Sebbene fosse principalmente un movimento letterario e musicale ebbe un grande impatto e influenza sulla coscienza pubblica e artistica. Il Romanticismo presentava delle caratteristiche contrarie a quelle del Neoclassicismo (una tendenza culturale sviluppatasi nel ‘700, nata come reazione al tardo barocco e al Rococò che era immaginario, scenografico e suntuoso) che era armonia, equilibrio, ordine e decoro, il Romanticismo era sfrenata passione e forti sentimenti, inoltre, se l’artista neoclassico era convinto che la perfezione dell’arte fosse stata raggiunta dagli antichi, il romantico traeva, invece, ispirazione dal cupo e misterioso mondo del Medioevo, che fino a quel momento era stato considerato un periodo privo di importanza e prettamente negativo… Per farla breve il Romanticismo è Dioniso, il Neoclassicismo è Apollo e tutto gira, ci si stanca di uno ci si aggrappa all’altro e solo qualche rara volta vi è equilibrio, generando un periodo che viene chiamato del buon governo o anche dell’età dell’oro, per inciso oggi si dice che siamo nell’età del ferro.

venerdì 1 novembre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello



Strega di Paola Tassinari Questo dipinto su tela, è un acrilico, dimensioni 60X80 cm., del 2017 si intitola “Strega” o “Dea dei serpenti”, è un autoritratto simbolico, che segue gli autoritratti di Gilles/Cassandra e di Omaggio a Mondrian. Ricordo che quest’ultimo autoritratto con il taglio dei capelli simboleggia la perdita di qualcosa, mentre Gilles aveva i capelli fluenti ma piangeva… e ora col terzo ritratto da strega cosa voglio dire? Il volto spigoloso è di tre quarti, è su uno sfondo rosso/peccato, immaginatevi un divano rosso con grandi ed enormi cuscini, ha il cappellino da strega messo in modo vezzoso, il sorriso ironico, pungente e canzonatorio, un gatto nero, che evoca subito le streghe, le avvolge il collo come una soffice sciarpa, gli occhi del gatto sono gialli come quelli della strega/dea dei serpenti. In Oriente il giallo è il colore del sole, della fertilità e della regalità mentre nell’antica Grecia era il colore dei pazzi. Nel medioevo era il colore della veste imposta agli ebrei come distintivo ingiurioso, come era gialla la stella, utilizzata allo stesso modo denigratorio, durante il nazismo. Il giallo è stato usato anche come colore di guerra, alcune tribù dei Pellerossa si cerchiavano gli occhi di giallo, pensando così di ipnotizzare il nemico. Dunque gli occhi gialli significano regalità e autostima, ma anche segnale di pericolo, questo segnale di pericolo si avverte anche dal forte contrasto dello sfondo rosso contrapposto dal cappellino, i capelli e il gatto di colore nero… Attenzione a cosa? Il   senso è questo: la strega è consapevole di essere diversa, ecco la differenza con gli altri autoritratti che accettavano la diversità come una punizione. Diversa, ma consapevole, nel cercare e ricercare, diversa nella sua grande curiosità ma, ora è conscia che deve fare attenzione perché occorre andare cauti con la conoscenza, perché è possibile, se non preparati, di cadere nel pozzo. Il dipinto è ispirato all’arte minoica, in particolare per la posa e i colori all’affresco della “Parigina”, anche conosciuto come la Signora Minoica, che fu probabilmente dipinto sulla parete della Sala del Santuario nel palazzo di Cnosso. Nell’affresco della Parigina, colpisce l’elaborata acconciatura e l’uso del colore nero per enfatizzare la forma degli occhi e il rosso per le labbra. Per il titolo e per il gatto mi sono ispirata a una piccola scultura chiamata Dea dei serpenti. La statuetta risale al 1700 a.C. e fu ritrovata a Cnosso. Ha il seno scoperto, i vestiti che corrispondono agli abiti delle donne cretesi del tempo, in mano tiene dei serpenti ed in testa ha un piccolo gatto. Il serpente può simboleggiare il potere dell’oltretomba poiché sbuca dal terreno ma è anche un simbolo fallico e può rappresentare gli organi genitali maschili; il gatto è connesso con la civiltà egizia, con cui i cretesi hanno avuto stretti rapporti e si lega al culto diffusissimo della dea Buba (dea gatto) e del suo santuario di Bubasti, situato alle foci del Nilo nel basso Egitto. La dea Buba, chiamata anche Bastet dea-leonessa o Bast dea-gatta è collegata alla procreazione ed è una figura di divinità zoomorfa di grande importanza. Il culto dei gatti ebbe un largo seguito: ogni anno, migliaia di pellegrini si recavano a Bubasti. Si pensa che i gatti selvatici furono addomesticati e poi venerati in Egitto in quanto deterrenti ai topi, roditori che attaccavano le loro riserve di grano. Una decina di anni fa, quando mi dedicavo al recupero di oggetti dal cassonetto, di cui ho già scritto, ho realizzato una piccola scultura, utilizzando una bottiglia di acqua vuota poi con gesso ed altri materiali ho creato la mia Dea dei Serpenti. Volendo dare un’aurea antica e mistica ad un prodotto di scarto, elevando il rifiuto a divinità… dal basso all’alto e viceversa, traendo ulteriore ispirazione da Ermete Trismegisto, una figura leggendaria, associata anche al dio egiziano Thot, a cui è attribuita la fondazione della corrente filosofica nota come ermetismo, di cui cito solo la legge più famosa… Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso.

domenica 20 ottobre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello



Angelo V di Paola Tassinari Questo dipinto è intitolato “Angelo V”, è un acrilico, misura 50x60 cm, del 2017. Su uno sfondo blu che ricorda il cielo e la divinità, rosseggiano come fuoco rosso cupo le ali di questo angelo, il cui volto in primo piano dagli occhi giallo/verde è imperscrutabile, ha la bombetta in testa ed è vestito con un abito scuro, la camicia bianca e la cravatta nera, rappresenta un angelo particolare, un angelo che arriva in terra ad avvisarti di stare attento perché non sai quando sarà la tua ora. Oppure può essere una persona terrena che è buona e gentile come un angelo o anche un angelo che si presenta a te con le fattezze di una qualsiasi persona. È infatti, liberamente ispirato al film “Vi presento Joe Black” interpretato da Anthony Hopkins e Brad Pitt. Nella vita di Bill un ricco magnate delle telecomunicazioni, arriva Joe un uomo affascinante, interpretato da Brad Pitt, che è in realtà l’angelo della Morte, che vuole prima conoscere le emozioni umane di Bill prima di portarlo via per sempre. Per questo, per restare sulla terra e provare i sentimenti umani si è incarnato in Joe, un ragazzo umano. Joe/la Morte scopre sentimenti mai provati con la figlia di Bill, Susan, tra loro nasce una grande storia d’amore, si erano già incontrati e piaciuti quando Joe era solo Joe. Molto preoccupato è Bill il padre, che ha paura che Joe/la Morte, innamorato di sua figlia, voglia portar via Susan e non lui. Dopo un toccante discorso con Bill, Joe/la Morte decide di rinunciare all’amore e di sparire dopo aver fissato la data della morte di Bill. Il giorno del suo compleanno Bill dovrà dire addio a tutti. Un addio ancor più difficile sarà quello di Joe/la Morte a Susan. Muore il padre e Joe/la Morte svanisce. Susan è molto triste ma poi, incontra di nuovo Joe, il bel ragazzo incontrato giorni prima, che era stato volutamente sacrificato dalla Morte alla ricerca di un corpo con il quale agire indisturbata e che ora evidentemente la Morte ha riportato in vita. Susan decide di vivere una storia d’amore con Joe, che non è più l’angelo della Morte ma ne ha le fattezze e forse chissà in qualche modo è rimasto impresso nel corpo di Joe, qualcosa dell’angelo della Morte o viceversa. Gli angeli esistono veramente? Forse sì, forse no: se trovo una penna di un volatile in un luogo insolito penso che un angelo mi abbia sfiorata per dirmi che sono sulla strada giusta perché Dio utilizza i suoi fedeli angeli per aiutare le persone. Se invece mi accadono fatti irritanti e fastidiosi penso ai dispettosi “angeli che peccarono”, quelli che si unirono a Satana nella ribellione contro Dio che forse non sono del tutto cattivi. Dante descrive, nel XXI Canto dell’Inferno, un gruppetto di diavoli spiritosi, il capo dei diavoli, Malacoda, chiama Barbariccia con altri diavoli, per scortare Dante e Virgilio lungo la bolgia. Barbariccia, messo in riga la sua truppa, la fa partire al suono ritmato delle sue scorregge: “Ed elli avea del cul fatto trombetta”, una buffa metafora che ci rende simpatici anche questi poveri diavoli che devono essere sempre cattivi…Nella nostra religione cattolica non c’è dualismo, esiste solo il bene, o i beni; il male invece, o i mali, sono semplicemente mancanza di bene. Satana e i demoni sono stati creati da Dio buoni per natura, essi stessi si sono resi malvagi per superbia, chissà mai che diventino umili, anche se a dir la verità l’arroganza e la superbia non è solo degli angeli ribelli ma anche di persone umane. Da ultimo, ma non ultimo… forse Dante ci consiglia di rendere ridicolo il male per neutralizzarlo, ma oggi purtroppo il gioco del ridicolo sui media, non risparmia nessuno né quelli “cattivi” e ancor di più quelli “buoni”, anzi oggi più che mai si rende ridicolo il bene mentre il male pare essere alla moda, trendy per dirla all’inglese che fa più chic.

giovedì 10 ottobre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello



Angelo IV di Paola Tassinari Questo dipinto fa parte della serie “Angeli”, realizzata nel 2017, comprende dei ritratti immaginati e forse immaginari, sempre col volto in primo piano e gli occhi enormi. Questo in particolare è intitolato “Angelo IV” o “Angelo delle anime gemelle”, misura 50x60 cm. Su uno sfondo azzurro/cielo/infinito, si staglia un volto frontale, che occupa tutta la tela, diviso idealmente in verticale a metà. Per la metà donna, ha un grande occhio giallo/sole/terra con l’arco sopraccigliare ad ala di gabbiano, per la metà uomo, ha un grande occhio azzurro/cielo/ghiaccio con l’arco sopraccigliare folto e ispido, i capelli di entrambe le metà sono neri, un colore profondo come la notte, lei li ha scivolati un  poco sull’occhio, lui ha il ciuffo, appena dietro il volto si intravedono delle ali con le penne giallastre, tenere e soffici come quelle del pulcino. Questa è la descrizione estetica e il messaggio qual è? Il concetto di anima gemella è molto antico. “Platone sosteneva che all’origine ci fossero esseri completi di parte maschile e femminile, gli androgini o uomini palla, erano esseri perfetti, fieri, forti e vigorosi non mancavano di nulla. Ma erano anche arroganti e vollero tentare la scalata al cielo per combattere gli dei. Zeus, preoccupato e invidioso di tale perfezione, li spaccò in due e li sparpagliò per il mondo destinati a perdersi: da allora ogni anima è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione”. Da allora noi tutti, siamo alla ricerca della nostra metà mancante per essere pienamente felici. La tradizione vuole che l’incontro tra anime gemelle sia possibile dopo varie reincarnazioni, in modo che le due metà abbiano raggiunto lo stesso livello spirituale. La convinzione che l’anima, una volta morto il corpo fisico, si reincarni, deriva dalle dottrine orientali, quali la filosofia buddista e la religione induista. Secondo l’Induismo l’esistenza si basa sul concetto di causa-effetto, quest’idea che è un concetto universale, l’induismo lo sposta all’infinito in un ciclo infinito. Questo per me è incomprensibile, come mi è inafferrabile il concetto delle caste, in modo che un avo che centinaia di anni prima ha peccato, la cui anima si reincarna con l’obiettivo di purificarsi nelle generazioni successive, i suoi nipoti, pronipoti, ecc., avranno così la sfortuna di nascere come intoccabili. La casta dei pari a la casta di chi è meno di niente e dovranno per sempre soffrire, trattati peggio degli animali, senza chiedere un miglioramento perché devono espiare? Platone o Induismo trovare l’anima gemella è impossibile, visto che è quasi impossibile incontrarsi fra 7 miliardi di persone e che se poi ti incontri devi verificare che non solo tu sia nella casta giusta ma, pure i tuoi antenati. Il mio Angelo delle anime gemelle invece è realizzabile, i due mezzi volti simili hanno il significato di essere simili nelle loro emozioni, mentre gli occhi dai colori differenti sono i loro diversi trascorsi di vita e poi, forse in quell’incontro di occhi/anime, un fremito antico… si erano già incontrati in un’altra vita?

martedì 1 ottobre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello



Santa allegrezza di Paola Tassinari Questo dipinto ad acrilico, misura 50x60 cm., è stato realizzato nel 2017, continuando la serie dei volti in primo piano e con gli occhi enormi di cui ho già spiegato il perché, il titolo è “La santa Allegrezza”, è anche la copertina del mio romanzo omonimo uscito nello stesso anno. “La santa allegrezza” è un romanzo che mescola inquietudine, speranza, ricerca, meditazione e amore, proiettandoci nella vita di Francesca, la protagonista del romanzo “Lo spaventapasseri”, il mio precedente libro, dove Francesca era stata internata in un manicomio, ora Francesca risale i gradini verso la guarigione e l’alto attraverso le piccole cose, l’arte, la storia e la Fede. Il titolo prende spunto dal canto  molfettese “La Santa Allegrezza” un canto natalizio di autore ignoto che ancora oggi viene eseguito da comitive di giovani, gruppi che in occasione del Natale cantano in piazza o nei cortili i canti natalizi tradizionali, dietro ricompensa di dolciumi o piccole offerte. Il canto festeggia in letizia sia la Nascita che la Crocifissione di Cristo a significare di accettare con santa allegrezza tutti gli eventi, sia buoni che cattivi, ovvero con pacatezza e lievità, consapevoli che i giorni lieti non durano ma, non durano neanche quelli grevi, consapevoli che dietro la Crocifissione c’è la Resurrezione. Questo canto mi ha sempre attratto per questo particolare motivo della “leggerezza” confidando in Dio, ma anche perché da Molfetta, in provincia di Bari lo ritroviamo anche nella mia terra, la Romagna, dove ha un altro nome ma l’intento è lo stesso, festeggiare nel periodo natalizio la Pasqua, perché per la Chiesa e quindi anche per i suoi fedeli, è La Pasqua la festa più felice… Infatti, si dice son felice come una Pasqua (lo scrivo perché io credevo fosse il Natale la festa più bella). Così in Romagna i pasqualotti sono gruppi di persone che nel periodo dell’Epifania girano di casa in casa a cantare la Pasquella, (con chiaro riferimento alla Pasqua) con l’accompagnamento di strumenti musicali. Di norma si inizia il canto all’esterno della casa con formule di saluto, una volta ottenuto il permesso di entrare, i pasqualotti, proseguono cantando gli eventi e i personaggi del Natale, poi si passa alla richiesta insistente, ma in toni scherzosi, di offerte di vino e cibarie, in particolare di prodotti derivanti dalla lavorazione del maiale. (La lavorazione del maiale è molto sentita in Romagna, ancora oggi ci sono famiglie che acquistano un maiale intero, per poi conciarlo e avere salsicce, salumi e prosciutti nella cantina di casa per tutto l’anno). Questa antica tradizione della Pasquella stava scomparendo, ma a metà degli anni ‘70 è tornata in voga. Il dipinto presenta un volto di donna sorridente, col volto dalla pelle chiara, diafana, quasi perlacea, fresca quasi come bere un bicchiere di latte, i capelli neri e setosi quasi come accarezzare il manto di un gatto. Gli occhi sono grandi, chiari come l’acqua fresca dei fiumi di montagna, con la pupilla dilatata dall’immenso piacere. A cosa è dovuto questo piacere? Ce lo indica la donna raffigurata con l’indice rivolto al cielo in un gesto carico di spiritualità e non solo. Di nuovo mi ispiro a Leonardo, e al suo meraviglioso Battista che con quel dito indice puntato in alto, invita a cercare il divino, a seguire un cammino di ascesa, verso la trascendenza. La vita è un viaggio, si cade, non importa quante volte si cade, importa il rialzarsi guardando verso Dio, che ci tenderà sempre una mano, sta a noi faticare un poco per afferrarla ricordando il capolavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina, dove il dito del Padreterno tocca la mano di Adamo trasmettendo la divinità stessa dal Dio alla sua creatura.

venerdì 20 settembre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello



People I di Paola Tassinari Il titolo di questa tela ad acrilico è “People I”, misura 50x60 cm., è del giugno 2016, fa parte di una serie di tele simili, con ritratti di persone realizzate in maniera simbolica, ispirate dalle immagini bizantine e attualizzate attraverso un linguaggio quasi fumettistico e con colori accesi, segnando una svolta nel mio esprimermi, occhi grandi enormi e i volti in primo piano sono la caratteristica di tutti i miei lavori ad acrilico, dal 2016 all’inizio del 2020. Continuo, con grande divertimento e passione anche con l’Arte Digitale creo immagini soprattutto per libri di favole o per stampe su t-shirt. L’immagine di quest’opera, come di tutte le altre di questo periodo, è in primo piano,  perché mi focalizzo sul volto? Non so se a questo sono stata spinta dalla fisiognomica, materia che mi attrae, una disciplina pseudoscientifica che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, non so se questo sia completamente vero, ciò non toglie che certi atteggiamenti dal volto siano ben riconoscibili. Sia un pittore che uno scrittore descrivono bene i volti per far capire anche la psiche, l’allure, il tipo, ecc…; ad esempio, una persona dai capelli neri sarà considerata mediterranea e una coi capelli biondi nordica, nonostante i rimescolamenti della popolazione, certi topos rimangono. Il volto è il fulcro del nostro corpo, così come lo è il muso di un’animale o la corolla di un fiore… ecco per me è così, lo stelo è il corpo e il volto è il fiore. Perché gli occhi così grandi? Non solo  perché sono considerati lo specchio dell’anima, in quanto sono la parte più sincera del volto, non essendo controllabili, se ci piace qualcosa o siamo interessati, le pupille si dilatano e se abbiamo paura o se qualcosa ci provoca ribrezzo o rabbia, le nostre pupille si restringono e se ci annoiamo restano “normali”. Gli occhi fotografano la realtà, il nostro cervello decodifica, “solo il 10% delle connessioni neurali riguarda la visione; il restante 90% è per lo più costituito da una rete interna, che lavora incessantemente per dare un senso all’informazione proveniente dall’esterno!” Detto questo sono del parere che nell’occhio rimanga la verità, ovvero quel 10%, ciò che ha fotografato e non è stato mediato o addolcito dal 90% da parte del cervello, che decodifica anche tramite i nostri pregiudizi e credenze. In questo dipinto, il volto è in primo piano, su fondo giallo acido, come una spremuta di limone senza zucchero, è il volto spigoloso di una donna con i capelli neri ben squadrati, la bocca rossa, chiusa e un po’ amara che guarda lo spettatore con occhi verde bosco, occhi interrogativi e un po’ spaventati, ma decisi e con dentro un’affermazione. Cosa vogliono dire questi occhi? La risposta è nell’orecchino che ha al lobo, una perla con un cuore rosso… nonostante tutto (la perla simbolo del pianto) questa donna sarà mossa solo dall’amore (il cuore rosso). Il dipinto è attraversato da tutta una serie di linee diagonali equidistanti, volendo rappresentare simbolicamente delle linee di confine/limite, in quanto è stato creato per il Festival delle Arti di Cervia del 2016 il cui tema era, “Schengen ostaggio delle politiche internazionali“. Lo Spazio Schengen (cittadina in Lussemburgo, nella quale è stato stipulato l’accordo) è una zona di libera circolazione dove i controlli alle frontiere sono stati aboliti, aderiscono 22 Stati su 27 dell’Unione europea. Contrariamente a quello che credevo teoricamente, la realizzazione delle linee/confine non hanno deturpato il volto della donna, come se inconsciamente non fossi sicura che il confine sia in fin dei conti negativo associandolo al limite. Il termine limite deriva da due differenti sostantivi latini: limes e limen. Il primo ha il significato di termine, confine, il secondo di ingresso, quindi il confine chiude o apre la porta? Il confine è una fine o un inizio? Il limite/confine/porta è un tema molto profondo che associo al divino e putacaso nel Vangelo di oggi 23/08/2020, le parole centrali sono legate alla fondazione della Chiesa: “Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Matteo 18,18). Un qualcosa che ha che fare…, che fa riferimento con l’aprire o il chiudere, infatti, nell’Apocalisse (3,7) si legge: “Così parla il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude, quando chiude nessuno apre”