giovedì 24 maggio 2018

UN BICCHIERE DI AMARONE


Questo vino è ottenuto da uve raccolte in vari vigneti situati sulle colline della Valpolicella, zona di Verona. Ha un colore rosso scuro quasi ambrato, ha un gusto rotondo e intenso con profumo di vaniglia e frutta come ribes, mirtillo e ciliegia, si abbina a carni rosse e formaggi stagionati, più invecchia più diventa profondo e carico di aromi. L’Amarone, il vino veneto rosso di maggior fama al mondo, qualcuno lo fa risalire a Catullo, quindi prima della nascita di Cristo, che in una delle sue poesie parla del  recioto amaro,  in realtà l’Amarone è un vino moderno, la derivazione secca del Recioto. Il nome Amarone, deriva dalla parola “amaro”, adottata per distinguerlo dal Recioto della Valpolicella da cui ebbe, seppure involontariamente, origine. L’Amarone è il corrispondente (per zona, uvaggio e tipologia) del Recioto, ma è un passito secco, mentre il Recioto è un passito dolce. La bontà del vino veronese è sempre stata nota, l’Amarone è il portabandiera, è un vino da favola e perciò mentre ve ne versate un bicchiere, gustatelo lentamente pensando a questa leggenda ambientata in Paradiso. San Pietro, aveva aperto le porte del Paradiso a un famoso ubriacone che però essendo brillo non era consono per niente a tale ambiente idilliaco pieno di Santi e di angeli. Però ormai era entrato e secondo le regole dell’educazione non si poteva cacciare. San Pietro allora studiò un piano. Aprì i cancelli e da fuori cominciò a gridare: “Il vino della Valpolicella a un euro alla bottiglia!” Subitamente l’ubriacone udito che vendevano un vino così buono a così poco prezzo, non seppe resistere e uscì subito dalle porte ad afferrare l’occasione. San Pietro rientrò in Paradiso e velocemente chiuse i cancelli alle sue spalle… morale della favola il vino si gusta centellinando, senza abusarne che dal Paradiso si può passare all’inferno dell’ubriachezza.    
 

venerdì 18 maggio 2018

UN BICCHIERE DI AGLIANICO


 L’Aglianico è un vino rosso diffuso in Italia meridionale, in particolare in Campania e Basilicata. E’ chiamato anche Barolo del Sud. E’ caratterizzato da intensi profumi fruttati e floreali, quasi speziato, si abbina bene a piatti di carne rossa e a formaggi stagionati. E’ stato un vitigno probabilmente introdotto in Italia dai greci intorno al VII secolo a. C., da cui forse l’origine del nome (elleanico, ellenico). Un’altra teoria vuole che il nome dell’Aglianico derivi dalla città di Elea, l’antica città della Magna Grecia, nel Cilento, chiamata dai romani Velia. Elea fu fondata da esuli Focei in fuga dalla Ionia, sulle coste dell’attuale Turchia, per sfuggire ai persiani. I Focei erano grandi navigatori anche sulle lunghe distanze, gran parte di loro, attorno al 600 a. C. circa, emigrarono, non solo a Velia, ma anche a Marsiglia dove fondarono una colonia. Tra i motivi che fanno di Velia un patrimonio dell’umanità va sicuramente menzionata la scuola eleatica, una scuola filosofica che ha potuto vantare, fra i suoi esponenti, ParmenideZenone di Elea e Melisso di Samo. E per finire perché per sorseggiare e gustare tutti i profumi di un bicchiere di vino occorre conoscerne anche il tratto storico…  Einstein trasse ispirazione per la sua teoria della relatività dal paradosso di Achille e la tartaruga del filosofo Zenone e non è certo casuale che, in onore dell’antica città, Adriano Olivetti abbia voluto denominare Elea la generazione di supercomputer sviluppati negli anni ‘50 del Novecento. E col paradosso di Zenone, con Achille che non riesce a superare la tartaruga, in quanto quest’ultima ha un vantaggio di 10 metri e Achille non riesce a battere sia lo spazio che il tempo, è meglio bersi un bicchiere di Agliatico che non vorrei che stavolta fosse il computer a vincere Achille.


  

domenica 13 maggio 2018

DIARIO 12

Come ho iniziato a scrivere? Il mio sogno di lettrice era quello di scrivere un libro, pareva irrealizzabile in quanto non avevo idea di come fare, non ho titoli di studio adatti, né sapevo scrivere a macchina. Poi il sogno si è tramutato in realtà. Come è successo? Ero contraria all’uso del computer, una realtà virtuale la aborrivo, già c’è tutto il mondo della psiche, del nostro io che lo è, preferivo alla lunga il giardinaggio, il fare e il manipolare realmente delle cose che starmene davanti al video, mi bastava la televisione. Ma dopo la Laurea e il Dottorato, mio figlio era stato contattato per un posto da professore universitario in Canada, un evento quasi miracoloso, un professore di appena trent’anni è precoce pure in Nord America. Lui aveva già un posto di lavoro adatto alla sua Laurea ma l’occasione era talmente ghiotta che ha lasciato tutto ed è partito. In quel frangente mi sono innamorata del computer, perché tramite questo mezzo potevo comunicare con Skype e parlare e vedere mio figlio. Skype è stato la mia consolazione di madre, la mia caramella, il mio dolce nella mia saudade. Da Skype, sono passata ai blog, ho aperto questo sito nel lontano 2008, circa dieci anni fa, poi ne ho aperti altri, sono planata sui social, ho fatto amicizie virtuali, fra cui persone che erano già scrittori e che mi hanno dato dei consigli. Ho iniziato a scrivere sui blog aggregatori, racconti e articoli, ho iniziato a partecipare ai concorsi di poesie, piena di entusiasmo. Nel 2011 mi è venuta l’idea di scrivere un romanzo partendo da un centenario inerente a Ravenna, la mia città. Si rievocavano i 500 anni dalla famosa Battaglia del giorno di Pasqua del 1512, definita come l’ultimo scontro dei cavalieri antichi e l’antesignana delle guerre moderne. Il manoscritto fu accettato da vari editori, e tutt’oggi non so se io scrivo decentemente o se è tutto un business e in realtà gli editori non scartino quasi nulla, anzi come dice Umberto Eco nel suo romanzo Il pendolo di Focault certi editori non hanno bisogno di lettori ma solo di scrittori. Comunque scelsi un editore di Ravenna e se non altro mi ha fatto da Maestro e ho imparato piuttosto bene come si scrive un libro. Dal 2011 non mi sono più fermata e oltre a scrivere per i miei blog e vari articoli per un web giornale scrivo in media un libro all’anno… forse lo scrivere riempie la mia solitudine.

lunedì 7 maggio 2018

DIARIO 11

Che cosa si scrive in un diario, boh, forse un diario privato non è la stessa cosa di un diario pubblico, ma io ho la stessa malattia che hanno circa due milioni di italiani, ho il mal di scrivere e scrivo scrivo. Nel vocabolario la definizione dello scrittore o scrittrice è… chi scrive opere con intento artistico; chi si dedica all’attività letteraria: scrittore di romanzi, di commedie; gli scrittori italiani dell’Ottocento; scrittore arguto, monotono, serio, brillante ecc., con riferimento al contenuto, al tono, alla qualità dei suoi scritti. L’etimologia di scrittura è grafia, che ha la stessa radice di graffito, perché scrivere significa incidere o scavare, quindi uno scrittore scava dentro se stesso poi incide le parole e rende visibile il suo dentro, chissà forse si scrive per rendere più chiaro ciò che si ha dentro e lo si pubblica per ritrovare questo dentro in altre persone, lo si condivide per essere meno soli o forse perché mal comune mezzo gaudio. Per metà della mia vita sono stata un’assidua lettrice, ho letto persino, facendolo di notte, un libro al giorno, per l’altra metà della mia vita un’incessante scriba. Ora scrivendo leggo molto meno, le mie letture sono focalizzate alle ricerche su quello che sto scrivendo o all’etimologia e al significato delle parole, se mi chiedete in questo momento quale libro preferisco, vi risponderò: il vocabolario. A tutt’oggi ho scritto dieci libri, tra romanzi e poesie più vari racconti in parecchie antologie, senza contare un migliaio di articoli sulla Romagna. Bei tempi quelli in cui scrivevo articoli romagnoli per il quotidiano La Voce di Romagna, ho imparato tante cose è stato proprio bellissimo, purtroppo tutto ha un inizio e una fine, anche noi nasciamo e poi finiamo, in tutto questo è meglio vedere rosa e pensare che anche le cose brutte hanno una fine e nel caso della nostra morte, non essendoci più forse saremmo come un tavolo o una sedia o una stella del cielo.

martedì 1 maggio 2018

DIARIO 10

Diario della serie le piccole cose. E’ da un po’ che mi gira in testa… una mela al giorno toglie il medico di torno, i detti hanno sempre una ragione di essere e un fondo di verità ci sarà. Infatti un giro in Internet e ho scoperto che la mela può essere considerata come un farmaco che ci viene fornito dalla natura, un rimedio per molti problemi di salute. La mela contiene tante vitamine e sostanze minerali e soprattutto molta vitamina C e potassio. È anche ricca di pectina, una fibra alimentare che è importante per una buona digestione e un lungo senso di sazietà. I flavonoidi hanno un effetto positivo sul sistema immunitario, sono antinfiammatori e possono addirittura ridurre il rischio per certi tipi di cancro. Il componente più importante della mela è l’acqua con l’85% per questo la mela è relativamente ipocalorica ed è consigliata nelle diete dimagranti. E’ bene mangiare le mele, dopo averle lavate, con la buccia perché la maggioranza delle vitamine si trova proprio qui. Ecco io mangio poca frutta, mi piace quella in scatola e quella estiva, mele non le mangio mai, ma ho deciso di cambiare e mi è venuta un’idea perché le mele cotte mi piacciono assai. Ho trovato una ricetta che abbinava le mele col pollo, il metodo è lo stesso di quello del pollo con patate. Si tagliano le mele Golden, quelle gialle a spicchi come le patate si cuociono in olio, sale e pepe et voilà una squisitezza. Mi sono poi detta perché non abbinare le mele anche con la bistecca, la cotoletta o la polpetta? Oggi ho provato e il risultato è stato veramente ok, così ora riuscirò a mangiare una mela al giorno e forse mi leverò il medico di torno… chissà.