venerdì 23 luglio 2021

Vacanze romane 107°

 


Antonino Mongitore che stampò, nel 1726, a Palermo il suo libro: Il Monastero dei sette Angeli, dopo aver fatto la storia delle sette immagini di angeli con i loro nomi, venute in luce a Palermo nel 1516, e della copia di esse, esistente nel quadro che vediamo tuttora nella Cattedrale di Palermo, aggiunge un lungo elenco di località dell’Europa dove si trovano le immagini con i nomi dei sette arcangeli. Nel libro, edito a Bruxelles, di Andrea Serrano, del 1707, intitolato “Los Siete principos” sono raffigurati i sette arcangeli con gli stessi nomi e simboli di quelli ritrovati a Palermo: Michele con una lancia e un vessillo crociato, nelle sinistra una palma e sotto i piedi il dragone vinto; Raffaele con in mano una pisside di aromi medicinali e vicino il piccolo Tobia; Uriele con in mano una spada; Gabriele con uno specchio di diaspro e una lanterna; il quinto angelo chiamato Sealtiele in atto di pregare; il sesto angelo chiamato Jehudiele, con una corona e un flagello; l’ultimo dei sette spiriti chiamato Barachiele con un serto di rose. Sul finire del 1400, il Beato Amodeo de Sylva, un frate portoghese morto in concetto di santità e vissuto a Roma in San Pietro in Montorio, nella sua Apocalittica, nomina gli stessi sette angeli con gli stessi nomi venuti poi in luce a Palermo, i quali afferma essere i più gloriosi dopo Dio e la Vergine Santissima. Verso la fine del 1600, nella Biblioteca apostolica Vaticana venne ritrovato un antichissimo codice ebraico in cui, oltre agli arcangeli Michele, Gabriele, Raffaele, venivano nominati anche Uriele, Sealtiele, Jehudiele e Barachiele. Il cistercense Giulio Bartolocci, in un suo libro, del 1683 parla di questi nomi con molta circospezione e prudenza. Parlando delle immagini di Palermo e del quadro in Santa Maria degli Angeli a Roma, il Bartolocci afferma che: “Le iscrizioni che sorreggono questi sette angeli specificano il ministero di ciascuno di essi e si può accettare il nome, dall’ebraico, di essi stessi” e cioè quei medesimi nomi ed epiteti che figuravano ai piedi di ognuna delle immagini dei sette angeli venute in luce nel 1516 a Palermo.  

MICHELE: Vittorioso, è nel quadro di Santa Maria degli Angeli: “Paratus ad animas suscipiendas”.

RAFFAELE: Medico, è nel quadro suddetto: “Viator comitor; infirmos medico”.

JEHUDIELE: Remuneratore, è nel quadro suddetto: “Deum laudantibus; praemia retribuo”.

GABRIELE: Nunzio, è nel quadro suddetto: “Spiritus sanctus superveniat in te”.

URIELE: Forte alleato (Luce di Dio), è nel quadro suddetto: “Flammescat igne charitas”.

BARACHIELE: Tutore, è nel quadro suddetto: “Adjutor ne derelinquas nos”.

SEALTIELE: Oratore, è nel quadro suddetto: “Oro, supplex, acclinis”.


immagine: Icona russa dei 7 arcangeli

giovedì 15 luglio 2021

Vacanze romane 106°

 


Da principio, la Chiesa delle origini conosceva unicamente le rappresentazioni angeliche ispirate dagli avvenimenti della Sacra Scrittura e quindi raffigurava anche gli Angeli assistenti al trono di Dio. La più antica immagine angelica cristiana risale al II secolo nelle Catacombe di Priscilla e rappresenta l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele. Il Principe degli Angeli, San Michele ebbe, nel 312-328, la prima chiesa di cui si ha notizia che fosse dedicata al suo nome, edificata ad Alessandria d’Egitto dal Patriarca Alessandro. La chiesa Ortodossa egiziana, fin dal III e IV secolo invocava, nella sua liturgia, oltre che i nomi noti dei tre Arcangeli, anche il nome dell’Arcangelo Uriele, nominato nei Libri apocrifi di Enoch e terzo e quarto di Esdra; ugualmente facevano la chiesa copta ed etiopica. In molte “natività” i sette angeli sono rappresentati presso la Madonna col Figlio, oppure circondano quali cherubini il volto dell’Eterno Padre. Sette angeli con lo scettro, secondo la più antica tradizione bizantina, erano tra le figurazioni in mosaico che rivestivano la volta dell’altare maggiore in San Marco a Venezia nel 1543, da cui fu ritratto il quadro della Vergine con i sette angeli, che attualmente vediamo nella chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri in Roma, a Piazza Esedra. http://www.iotibenedico.info/2017/04/30/antica-devozione-dei-sette-angeli-davanti-al-trono-dio/


immagine: Annunciazione-Catacombe Priscilla- Roma

giovedì 8 luglio 2021

Vacanze romane 105°

 


Quando il Concilio di Nicea (735) ristabilì il culto delle immagini, si ebbero immagini di angeli sia a gruppi sia separati, ma molto raramente sembra in numero di sette e tanto meno con i loro nomi. Il motivo potrebbe forse essere questo: quasi contemporaneamente alla bufera iconoclasta, cioè nel 745 gli eretici Adalberto e Clemente erano caduti in una quasi idolatria degli angeli, invocando addirittura con i nomi otto di questi: Uriel, Raguel, Tubuel, Michele, Abnis, Tubua, Sabaoth e Simile, con formule di terrore superstizioso, per cui non solo furono solennemente scomunicati, ma fu anche stabilito nel Concilio di Laodicea da, papa San Zaccaria, che i cristiani non dovessero menzionare nelle loro preghiere altri nomi d’angelo all’infuori di Michele, Gabriele e Raffaele. Tale grave decisione sarebbe stata presa tanto più in quanto in quel particolare momento, gli iconoclasti non avessero una fondata ragione di incolpare di idolatria quei fedeli che abbagliati dallo splendore degli angeli, finissero per perdersi nella adorazione di essi. Oggi, tale pericolo all’interno della Chiesa è del tutto svanito, data la sicurezza dogmatica del Magistero, anche se purtroppo il New Age, l’Esoterismo e la Cabala creano grande confusione nei cattolici del XXI secolo.  http://www.iotibenedico.info/2017/04/30/antica-devozione-dei-sette-angeli-davanti-al-trono-dio/


immagine: Rappresentazione del concilio di Nicea II

sabato 3 luglio 2021

LA STATUA DEL SOGNO DI SAN FRANCESCO

                                            LA STATUA DEL SOGNO DI SAN FRANCESCO

                                                    La donna nera in carriera del xx secolo

                                                             A cura di Gaetano Barbella


Il segno di Giona e l'adultera

salvata dalla lapidazione da Gesù

Due cose sono inspiegabili sulla parola di Gesù attraverso i vangeli e che sono legate fra loro, entrambe sulla questione dei segni, e sorge l'idea che una sia la chiave che spiega l'altra. Da un lato si erge il segno di Giona, attraverso i vangeli di Matteo (12,40) e di Luca (11, 29-32), in cui Gesù parla sulla sua missione; dall'altro lato ripete due volte dei segni per terra, senza spiegarne la ragione, nella circostanza della lapidazione dell'adultera da lui scongiurata, attraverso il vangelo di Giovanni (8,3-11).

>> Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. >> (Mt 12,40)

>> Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui. Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui. >> (Lc 11,29-32)

A differenza degli altri profeti, realmente esistiti, Giona è un personaggio immaginario e la storia che lo riguarda è quasi fiabesca. Il profeta, chiamato e inviato da Dio a portare la sua parola a Ninive, decide di non andarvi perché non sopporta la compassione di Dio verso Ninive, la città che aveva distrutto il suo popolo. E s'imbarca su di una nave guidata da un equipaggio pagano, per andare a Tarsis, lontano dal Signore. La sua fuga è interrotta da una tempesta. I marinai gettano la sorte per cercare il colpevole che risulta essere proprio lui, Giona. Il profeta, riconoscendo la colpa della sua disobbedienza, domanda di essere gettato in mare. Dio, che prima aveva inviato la tempesta, lo fa divorare da un grosso pesce e Giona rimane nel suo ventre tre giorni e tre notti. Poiché Dio lo vuole vivo comanda al pesce di vomitarlo sulla terra asciutta.

A che cosa corrisponda il pesce che inghiotte Giona non ci è dato saperlo. La Bibbia non ne descrive i particolari. Afferma solo che si tratta di un grosso pesce. Per questo si è pensato alla balena o al Leviatan (cfr. Sal 104,26). L'immagine di Giona nel ventre del pesce è simbolica e indica, anzitutto, che Dio, ponendo il profeta in una situazione impossibile, lo costringe a capire che solo da Lui può ottenere salvezza. Il numero tre è pure simbolico e indica un periodo dopo il quale non vi è più speranza (cfr. Lc 24,21). Alcuni pulpiti dell'Europa centrale, come ad esempio in Slesia e Boemia, hanno la forma della balena. Questa iconografia indica che il predicatore, se vuole essere efficace, come Giona deve attraversare le difficoltà della predicazione. Significativo è il pulpito a Dobroszów.1

E veniamo al vangelo di Giovanni (8,3-11)

>> Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.

Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più». >> (Gv 8,3-11)

Gesù che scrive, un caso singolare della storia evangelica di Gesù ed è in relazione all'episodio dell'adultera che stava per essere lapidata raccontata da Giovanni.

Ma cosa scriveva Gesù? E perché quelle parole non ebbero fortuna? Perché Giovanni riferisce l’episodio, ma non svela le misteriose parole che Gesù scrive sulla sabbia? Ma soprattutto per quale misteriosa ragione l’episodio di Gesù che scrive, è ignorato dai commentatori, dai biblisti, dai padri della Chiesa e dai teologi?

Non sono parole mie, ma di Roberto Cotroneo della manifestazione Milanesiana, che ha scritto un articolo in merito, sul Corriere della sera il 38 giugno 2014, che ho tratto dal web.

Egli argomenta alcune spiegazioni, ma non approda a certezze, cosa che peraltro è la stessa di molti altri come lui, compreso teologi, che si sono posti la sua stessa domanda senza una chiara risposta, restando così un vuoto a livello esegetico sul conto di Gesù. È un paradosso considerato che gli evangeli sono stati scritti e tramandati fino a noi col preciso scopo di ammaestrarci sulle cose di Dio.

Quale spiegazione dare allora?

Alla luce di mie concezioni esposte in questo scritto mi viene di formulare questa ipotesi.

Gesù è il Figlio di Dio e per questo caso si rivela in lui la verità che Egli ripone “scrivendo” per terra, da cui fu tratto il fango unito alla saliva del Creatore dell’uomo. Quasi a costituire il sacello tombale dell’episodio che si stava preparando per l’adultera trasgressiva. Egli, così facendo, forse volle dimostrare che Suo tramite, l’episodio dell'adulterio della donna, con la legge mosaica infranta e la tentata lapidazione, ma non attuata, venivano riposte nella terra. Nulla doveva dunque essere dimenticato, per il Suo giudizio finale. E allora viene da pensare che veramente la terra, attraverso la sua morfologia, in qualche modo è simile ad un hard disk di immenso computer in cui è riposta la memoria di tutta la storia della Terra. E se così fosse in che modo? Ma prima di fare una certa ipotesi esaminiamo un altro mistero legato alla Terra, nell'intento di rafforzare al suddetta ipotesi che la Terra conservi la memoria della storia umana. Cioè che potere ha Terra in relazione all'uomo che, in seguito all'ammonimento di Gesù col "Segno di Giona", mostra una cecità nel capire la lezione che vi deriva.

Gesù guarisce il cieco nato

Sorge una prima idea sul segno di Giona proposto da Gesù agli uomoni increduli, forse l'unico in grado di distoglierli dalla loro cecità, quasi che fossero dei "ciechi nati": la guarigione del "cieco nato" nel vangelo di Giovanni (8,12). E qui riemerge qualcosa che si lega al fatto inspiegabile di Gesù che scrive due volte sulla sabbia supposto da me in stretta relazione con il fango con cui fu generato l'uomo dal Creatore.

>> Chi segue me, avrà la luce della vita >> (Gv 8,12).

Gesù dona la luce a quanti vogliono accoglierla. L’episodio viene descritto subito dopo che Gesù ha avuto un confronto acceso con i giudei, tanto che volevano lapidarlo; ed egli è uscito di nascosto dal Tempio. A questo punto Gesù vede un uomo cieco dalla nascita; unica occasione, tra le varie guarigioni di ciechi, in cui è specificato che lo era dalla nascita, dato che prelude a un evento straordinario. La presenza del cieco dalla nascita è motivo di discussione, tanto che i discepoli, condizionati dalla logica della ‘retribuzione’ (per cui a ogni azione corrispondono le equivalenti conseguenze buone o cattive), chiedono a Gesù se la cecità fosse la conseguenza del peccato dell’uomo o dei suoi genitori. Anche se già alcuni profeti come Geremia ed Ezechiele avevano criticato la ‘dottrina retributiva’, tuttavia a livello popolare essa sussisteva ancora. Ma Gesù non asseconda la logica popolare, e dichiara piuttosto che l’uomo è in quello stato “perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (Gv,9,3), annunciando così il prodigio che, prima ancora di essere compiuto, è anticipato dalla definizione che Gesù dà di se stesso come “luce del mondo”.

Ora l’apice della scena, il miracolo:

>> sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi >> (Gv 9,6).

Perché il fango? Sant’Ireneo di Lione ritiene che il fango alluderebbe alla terra dalla quale è stato tratto il primo uomo. Gesù effettivamente dona la vita donando al cieco nato la vista. E il rimando alla creazione (luce, acqua, vita) è confermato dal fatto che poi il cieco è invitato da Gesù ad andare a lavarsi nella piscina di Siloe, piscina già menzionata dal profeta Isaia, sita fuori le mura della città vecchia di Gerusalemme e alimentata dalle acque del torrente Ghicon. Era un luogo significativo per gli ebrei, che vi andavano a festeggiare il ricordo del miracolo dell’acqua sgorgata dalla roccia. La tradizione afferma: “Chi non ha mai visto l’allegrezza della festa dell’attingimento dell’acqua, non ha mai visto in vita sua l’allegrezza autentica” (Mishnah Sukkat), in riferimento al corteo che andava ad attingere acqua in occasione della festa delle Capanne, e che aveva valore messianico (da qui il legame con il nome di Siloe che significa ‘Inviato’).2

E poi vale rammentare le parole che compaiono in Genesi 3,19 allorché Dio, dopo il peccato originale, cacciando Adamo dal giardino dell’Eden lo condanna alla fatica del lavoro e alla morte. Egli dice:

>> Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris >>,

ovvero: «Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai».

Sono le parole che si dicevano e si dicono tutt'ora in chiesa all’atto del cospargimento del capo dei fedeli di cenere nel mercoledì dopo martedì grasso.

Ed ecco ancora la polvere che impastata con la saliva di Gesù dona col "fango" la vista al "cieco nato"!

Che si vuole di più per credere, allora, che la Terra, tramite la sua morfologia, come già ipotizzato, sia veramente immenso "hard disk" di memoria simile a quello dei computer!

E allora diamoci da fare per fare un esperimento a campione, esaminando una mappa particolare che sembra mostrare una curiosa morfologia davvero sorprendente. Ma già si capisce che si tratta della mappa di Assisi la città del Santo Poverello, Francesco di Bernardone, poiché il tema di questo scritto si rivela attraverso il titolo  relativo, cioè

"Il piede del peccato di Assisi sanato da San Francesco"

Ma che significato ha il piede? Perché sono i piedi a rilasciare le impronte sulla terra e, dunque, a costituire la memoria nell'ipotetico hard disk terrestre in questione. E come Gesù si addossò i peccati degli uomini per  la loro riabilitazione animica, che prima era "cieca" e non vedeva la luce di Dio, così San Francesco, con la sua disposizione a fare altrettanto con il prossimo, scegliendo la povertà assoluta, liberò dal peccato la sua Assisi.

Promemoria del 1997 su Assisi

Il 10 dicembre 1997 scrissi alcune note su San Francesco di Assisi a commento di alcuni disegni che eseguii a ricalco della mappa di Assisi (illustr.1) definendole cartografie mappali. Oggi le riporto su questo saggio perché portano luce sul messaggio che da esse sembra trapelare e che si riflette sui tempi nostri tempi. 

                                                          Illustrazione 1: Mappa di Assisi

Già si è colpiti dall'immagine che si presenta all'osservazione della mappa di Assisi come divisa in due parti: quella in primo piano, sembra chiaramente una scarpa che ci riporta al discusso piede di Assisi, argomentato in precedenza; e quella a sinistra una sorta di un grosso pesce che ingoia la Basilica di San Francesco. Il passo è breve per intravedere nel pesce la balena del famoso Segno di Giona, argomentato ampiamente in precedenza, e che ci ha indirizzati a cercare nella morfologia terrestre per intravedervi il segno col suo segreto ivi riposto.

La via del "segno" è difficile da far digerire alla ragione umana di questo millennio rivolto alla scienza e alla pura ragione umana, ma, per la fede nelle scritture evangeliche e bibliche, unito al possibilismo dello scienziato che tenta coraggiosamente la strada sperimentale per giungere a scoprire una nuova legge scientifica, parimenti non c'è altro modo per giungere a rintracciare uno spiraglio della luce di Dio.

>> Audaces fortuna iuvat (La fortuna aiuta gli audaci) recita un vecchio proverbio popolare, poiché costoro sono sicuri di sé, non indietreggiano di fronte ai rischi e non temono di esporsi. Sono capaci da azzardare e questo li mette in risalto. Non c’è forza più grande. Sinonimi di audace, a seconda dei diversi contesti, si può può essere considerati: ardito, coraggioso, intrepido, valoroso, avventato, rischioso, imprudente, sconsiderato, spericolato, temerario, insolente, irriverente, provocante, sfrontato, spudorato e perfino innovativo e originale. [...]

Potrebbe sembrare strano al lettore, dopo aver letto il significato della parola Audacia, associare questa parola alla Chiesa. [...]

Una chiesa audace non può non essere anche creativa! Se la Chiesa, infatti, vuole ringiovanire il proprio volto, deve riscoprire la creatività nel dire Dio, riscoprire l’audacia dell’annuncio dell’amore di Dio, rivisitando e mettendo in discussione i modi di fare abituali, partendo dall’ascolto del Vangelo, discernendo con creatività le strade su cui il Signore chiama la comunità a vivere nuovi orizzonti, a gettare nuovamente le reti in quei mari dove a volte ci sembra di aver pescato solo fallimenti, delusione, scoraggiamenti. >>3

La maledizione di San Francesco

La scarpa col puntale

Francesco, che si trova alla Porziucola, riceve notizie non buone sulla sua comunità, poiché da Bologna arrivano segnali di allarme.

>> In quella città i "minori" sono tentati più che altrove di abbandonare la via della semplicità e della povertà. Nell'autunno del 1222 un brutto terremoto colpisce l'Italia settentrionale e moltissimi sono convinti che sia un castigo di Dio predetto da Francesco. In verità il "poverello aveva parlato in toni molto aspri, riferendosi sopreattutto ai problemi della comunità che ha fondato, senza però fare previsioni del tipo di quelle che gli venivano attribuite dalla fantasia popolare.

Per cercare di estirpare il male alla radice torna a Bologna e, fose per la prima volta nella vita perde la calma serafica.

Nela città che ospita forse l'embrione di un rivolta si rivolge con accenti accorati all'Onnipotente, presenti tutti i frati che vorrebbero una vita più comoda.

>> Signore Gesù Cristo, tu che hai scelto i dodici Apostoli, dei quali anche se uno venne meno, gli altri però rimasero fedeli ed hanno predicato il santo Vangelo animati dall'unico Spirito, tu, o Signore, in questa ultima ora, memore della antica misericordia hai fondato l'Ordine dei frati a sostegno della tua fede e perché per loro mezzo si adempisse il mistero del tuo Vangelo.

Chi dunque ti darà soddisfazione per loro, se quelli che hai mandato a questo scopo, non solo non mostrano a tutti esempi di luce, ma piuttosto le opere delle tenebre?

Da Te, o Signore santissimo, e da tutta la Corte Celeste e da me tuo piccolo siano maledetti quelli che col loro cattivo esempio confondono e distruggono ciò che un tempo tu hai edificato per mezzo dei santi frati di questo Ordine e non cessi di edificare!

Dove sono quelli che si dichiarano felici della sua benedizione e si vantano di essersi accaparrati a loro piacimento la sua amicizia? Se, Dio non voglia, si troverà che hanno mostrato le opere delle tenebre con pericolo del prossimo, senza pentirsene, guai a loro, guai di dannazione eterna! >>

È davvero duro l'intervento del figlio di Pietro di Bernardone. Ilverbo maledire non era stato mai conigato da questo mite personaggio amico dei poveri, dei diseredati, degli umili, degli uccelli e dei pesci ai quali durante la quaresima al lago Trasimeno aveva dettodi non farsi ingannare dai pescatori.

Ma proseguendo nella requisitoria contro i presunti "traditori" va anche oltre.

>> Verrà tempo - dice - nel quale pei mali esempi la diletta religione di Dio sarà diffamata così che i suoi membri dovranno vergognarsi di uscire tra la gente. >>

>> Gli amici più intimi raccontano che Francesco ha avuto un sogno profetico. Avrebbe visto - secondo la testimonianza dei suoi seguaci - una statua: la testa sembrava d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre di cristallo e le gambe di piombo. >>7

La maledizione di Francesco deve aver lasciato il segno sulla terra di Assissi che si conforma ad una particolare scarpa con un puntale acuminato, come si può riscontrare dalla cartografia dell'illustr. 2.

E ancora meglio in forma di una scarpa di quelle degli uomini d'arme del XV secolo, come si vede dall'illustr. 3.

 

Illustrazione 2: La scarpa col puntale, di Assisi. La maledizione di San Francesco. Il piede del "Peccato" di Assisi

Del puntale disegnato da me e di tutto il resto, oltre la scarpa, se ne parla ora, Apocalisse di Giovanni alla mano.

Si vede un'enorme testa del Dragone rosso dell'Apocalisse che lotta con un altro Drago verde dalla coda di pesce.

Di loro così racconta l'Apocalisse:

Illustrazione 3: Scarpa con armatura a puntale dell'uomo d'arme del XV secolo

Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel cielo che diceva:

«Ora si è compiuta

la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio

e la potenza del suo Cristo,

poiché è stato precipitato

l'accusatore dei nostri fratelli,ù

colui che li accusava davanti al nostro Dio

giorno e notte. >>(Ap 12,7-1)

 Illustrazione 4: La statua del sogno di San Francesco, la “donna nera in carriera del XX secolo”

alto, come adagiata sulla coda del Drago verde (di Michele e i suoi angeli), è la «donna vestita di sole» (Ap 12,1) che era incinta, e ha partorito «un figlio maschio destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro». (Ap 12,2-5).

Nella posizione in cui si trova la «donna vestita di sole» è come se fosse in salvo nel deserto, al riparo del Dragone Rosso che aveva tentato di aggredirla, mentre il figlio è «rapito verso Dio e il suo trono». (Ap 12,5-6)

Ma la «donna vestita di sole» è anche la donna della cartografia dell'illustr. 4 che rappresenta una particlare "donna nera in carriera del XX secolo, profetizzata da San Francesco col sogno della statua descritta in precedenza.

Si sarà capito che la testa del Dragone verde, in sede della Basilica di San Francesco, è rappresentato dal puntale della scarpa di acciaio dell'illustr. 4.

Nello scudo sulla sinistra in basso dell'illustr. 3, si vede che si fronteggiano le forze della Croce di Dio con quelle di un leone rampante, il Dragone rosso.

 

 

 

La lavanda dei piedi simbolo di lavacro del peccato

Il Vangelo di Giovanni, al capitolo 13, racconta l'episodio della lavanda dei piedi. Gesù

>> avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine >> (Gv 13,1), e

>> Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto >> (Gv 13, 2-5)

Fu un gesto inaudito, perché riservato agli schiavi ed ai servi, quello di lavare i piedi degli Apostoli, asciugandoli poi con l’asciugatoio di cui era cinto.

Bisogna sottolineare che a quell’epoca si camminava a piedi su strade polverose e fangose, magari sporche di escrementi di animali, che rendevano i piedi, calzati da soli sandali, in condizioni immaginabili a fine giornata. La lavanda dei piedi era una caratteristica dell’ospitalità nel mondo antico, era un dovere dello schiavo verso il padrone, della moglie verso il marito, del figlio verso il padre e veniva effettuata con un catino apposito e con un “lention” (asciugatoio) che alla fine era divenuto una specie di divisa di chi serviva a tavola.

Quando fu il turno di Simon Pietro, questi si oppose al gesto di Gesù:

>> «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». >> (Gv 13, 7-11)

Questa lavanda è una delle più grandi lezioni che Gesù dà ai suoi discepoli, perché dovranno seguirlo sulla via della generosità totale nel donarsi, non solo verso le abituali figure, fino allora preminenti del padrone, del marito, del padre, ma anche verso tutti i fratelli nell’ umanità, anche se considerati inferiori nei propri confronti.

Lavanda dei piedi, Papa vicino a Francesco d’Assisi

>> Papa Francesco ha modificato le rubriche liturgiche del Messale Romano circa il rito della “Lavanda dei piedi” «affinché esprimano pienamente il significato del gesto compiuto da Gesù nel Cenacolo, il suo donarsi “fino alla fine” per la salvezza del mondo, la sua carità senza confini». Nel decreto di attuazione si ricorda che «tale rito era tramandato col nome di Mandatum del Signore sulla carità fraterna secondo le parole di Gesù (cfr. Gv 13,34), cantate nell’Antifona durante la celebrazione»; si è «invitati a conformarsi intimamente a Cristo che “non è venuto per farsi servire, ma per servire”».

Anche in questo la decisione papale richiama Francesco d’Assisi, il Santo da cui Bergoglio ha preso il nome pontificio quasi a indicarne un riferimento non solo per il proprio pontificato ma per il momento storico attuale. Infatti l’Assisiate nel suo Testamento afferma che l’avvenimento determinate del suo cambiamento di vita fu l’usare misericordia con i lebbrosi (cfr. Paolo Martinelli – Pietro Messa, Francesco e la misericordia, Bologna 2015). Tale notizia autobiografica fu ripresa dagli agiografi e Buonaventura da Bagnoregio la inserì persino nella cosiddetta Legenda minor, ossia la prima vita del Santo d’Assisi scritta appositamente per l’uso liturgico. In tale narrazione, che ebbe una vastissima diffusione proprio a motivo del suo inserimento nella liturgia, si racconta che la misericordia verso i lebbrosi si esplicitò anche nella lavanda dei piedi:

>> Da allora, amante di tutta l’umiltà, si dedicò a onorare i lebbrosi per imparare, prima di insegnarlo, il disprezzo di sé e del mondo, mentre si assoggettava alle persone miserabili e ripudiate con il giogo del servizio. E, in verità, prima egli era abituato ad avere in orrore i lebbrosi più che ogni altra categoria di uomini; ma, quando l’effusione della grazia divenne in lui più copiosa, egli si diede come schiavo a ossequiarli con tanta umiltà di cuore che lavava i piedi e fasciava le piaghe e spremeva fuori la marcia e ripuliva la purulenza. Perfino, per eccesso di fervore inaudito, si precipitava a baciare le piaghe incancrenite: poneva, così, la sua bocca nella polvere, saziandosi di obbrobri, per assoggettare con piena potestà l’arroganza della carne alla legge dello spirito e, soggiogato il nemico di casa, ottenere in pacifico possesso il dominio di sé (Franciscus liturgicus.  Editio fontium saeculi XIII, a cura di F. Sedda, Padova 2015, p. 244). >>8

Piede e Peccato

>> La tradizione ebraica ci consegna la parola “peccato” come violazione dell’ordine voluto da Dio, che Coehlo ne “Il cammino di Santiago” così ci restituisce: La parola “peccato” viene da “pecus” che significa “piede difettoso”, piede incapace di percorrere un cammino. Il modo per correggere il peccato è quello di camminare sempre diritto, adattandosi alle situazioni nuove e ricevendo in cambio le migliaia di benedizioni che la vita concede con generosità a coloro che chiedono. Diversamente, nella Sloka 1 della Stanza V di “Theogenesis” è scritto come l’energia universale Fohat, ponte del percorso tra spirito e materia, diriga l’evoluzione dell’uomo e del cosmo tramite i propri passi, uno alla volta, così che il progresso proceda in infinitesimali periodi di tempo, il cui intervallo è rappresentato dal piede sollevato tra un passo stesso e l’altro: Diventerete così audaci da ostacolare la mia volontà? – gridò Fohat nella sua ira (…) – badate che non abbassi il mio piede così pesantemente da demolire il ponte tra gli dèi e gli uomini; allora non potrete più soccorrere gli uomini, né far risuonare accordi pienamente armonici.

Vediamo ora le analogie metaforiche, sul rispetto o meno delle Leggi di Natura (la discendenza), tra il monito cristiano del IV comandamento e le narrazioni mitologiche, partendo da Edipo, che a sua insaputa diverrà parricida nonché incestuoso, e iniziamo dall’etimologia. Infatti, il suo nome significa il piede gonfio che in metafora ci dà il concetto seguente: il piede offeso non può tenere l’equilibrio, al pari di tutti gli zoppi e ciechi nominati, in seguito, nei testi biblici. Si tratta di una stortura metaforica che indica la confusione dei ruoli creata dall’uomo rispetto all’ordine della legge divina. Se infatti andiamo a ricercare nella genealogia edipica, abbiamo Cadmo fondatore di Tebe che però uccise il drago sacro ad Ares, segue Penteo che con atto di hybris disprezzerà i riti dionisiaci e Laio, padre di Edipo, che in barba alla xenìa (la legge sacra dell’ospitalità) stuprò Crisippo, figlio di un suo ospite.

Il monito qual'è? Onorare il padre e la madre va concepito nell’ottica del rispetto delle leggi divine, nel rispetto dell’ordine che Dio ha dato al creato. Purtroppo, come a Tebe furono sovvertite le leggi divine, così oggi vorrebbero che avvenisse nella nostra società quando ritroviamo altrettanta confusione nei ruoli di genere (ben riassunti dalla teoria gender e dalla conseguenza di fluid sexualitye utero in affitto, affiancati ai neologismi di Genitore 1 e Genitore 2) in quanto deviazione che allontana dalla biologia-natura, che al contrario è divina poiché direttamente dal volere divino e naturale scaturisce. Perciò, più siamo zoppi, meno viene rispettato l’equilibrio universale. Lo stesso Asmodeo il distruttore è il diavolo appartenente alla gerarchia degli angeli di Satana ed è il simbolo della discordia coniugale (Libro di Tobia) raffigurato con un arto artificiale, poiché appunto zoppo, dacché distruttore delle leggi di natura. [...] >>9

La statua del sogno di San Francesco d'Assisi

Il riscatto: la donna nera in carriera del secolo XX

Donne afroamericane che hanno fatto del loro mestiere una missione: eliminare i pregiudizi sulla razza. Donne che hanno scelto di portare in vita donne di speranza, determinazione, grinta e grazia perché questo è quello che sono. La loro integrità è impeccabile.

Donne che hanno aperto la strada ad altre donne nere che hano osato fare carriera nell’intrattenimento, ma per essere la strada.

Queste sono le 10 (splendide) donne afroamericane che stanno scrivendo (letteralmente) la storia.

>> Un'attrice, una giornalista, un'imprenditrice, una scrittrice, una modella, una presentatrice, una deputata, una bellerina, due cantanti, una chef. No, non è l'inizio di una barzelletta divertente ma di una storia straordinaria, o meglio di dieci storie straordinarie. Dieci simboli di empowerment femminile, dieci esempi di come il coraggio e la determinazione possano cambiare il mondo e fare la differenza, dieci changemaker e teste di serie che hanno stravolto le coordinate di genere nei rispettivi campi, facendo sentire sempre e comunque la propria voce nonostante le intemperie e gli sgambetti. Dieci donne afroamericane (individuate e celebrate da Refinery29 a fine del 2019) che stanno scrivendo la storia e di cui Michelle Obama, Oprah Winfrey e Beyoncé non potrebbero essere più fiere, e noi tutte ancora di più. Oggi più che mai.10

Kiki Layne

La sua performance in Se la strada potesse parlare (If Beale Street Could Talk) l'ha catapultata direttamente nell'olimpo delle attrici più talentuose e promettenti di tutta Hollywood (e il look incredibile by Atelier Versace sul red carpet degli Oscar 2019 ha contribuito a legittimare il suo ruolo di attrice di serie A). Per ottenere il ruolo di Tish ha dovuto "sfidare" 300 colleghe molto più famose e conosciute, ma alla fine il regista Barry Jenkins (Moonlight) si è innamorato di lei. E non è l'unico.

Kamala Harris

Tra i candidati dem anti Trump più quotati, Kamala Harris, senatrice e già procuratore generale della California e seconda donna di colore a ricoprire questa carica negli Stati Uniti, non a caso viene chiamata The Female Barack Obama. Si è espressa chiaramente sui temi più caldi e controversi della presidenza Trump, ovvero aborto, immigrazione, gender equality e diversità (è stata una delle madrine del Gay Pride di New York) ed è già diventata un punto di riferimento per le minoranze (bistrattate dall'attuale presidenza).

Ego Nwodim

Egobunma Nwodim è tra le star della 44esima stagione del Saturday Night Live. Il suo ingaggio da leading nel team del più celebre show comico del tubo catodico a stelle e strisce è stato qualcosa di epocale. Perché le donne afroamericane non sono habitué del celebre SNL (tanto che nella stagione 39 fu chiamata Kerry Washington a vestire i panni di Michelle Obama in uno sketch comico per la totale assenza di imitatrici di colore) e la Nwodim ha fatto la storia.

City Girls

Le Destiny's Child Millenial Edition. Le City Girls aka Caresha Romeka "Yung Miami" Brownlee e Jatavia Shakara "JT" Johnson sono sulla cresta dell'onda dall'agosto 2017 dopo il lancio della riuscitissima Fuck Dat Nigga. Apprezzate per i testi forti e potenti, hanno elevato il girl power a un altro livello, dimostrando che anche le donne possono parlare in modo crudo, reale e vibrante.

Erica Lall

Misty Copeland è stata la prima donna afroamericana a diventare prima ballerina all'American Ballet Theater, una delle principali compagnie di balletto classico al mondo. Al suo fianco da qualche mese, tra esercizi alla sbarra, attitude e arabesque la giovane e talentuosa Erica Lall, considerata dagli esperti la sua degna erede.

Tomi Adeyemi

Per la scrittrice Tomi Adeyemi il suo libro Figli di sangue e ossa è "un’allegoria dell’essere neri oggi". Una storia di inclusione e empowering, in cui la protagonista è una forte e coraggiosa ragazzina di colore (la protagonista è Zélie Adebola, la giovane figlia di un pescatore che combatte contro il re per far tornare la magia nel regno di Orisha, nell’Africa Occidentale ndr). La prima volta che il fantasy ci regala un'eroina di colore, e sinceramente, era ora.

Adut Akech

Segnatevi questo nome perché la metamorfosi del fashion system verso la diversità e l'inclusione passa da Adut Akech Bior. Classe 1999 e originaria del Sud Sudan è una delle modelle più richieste, più ammirate, più desiderate del momento. Adut è di una bellezza rara e potente (nonostante sia stata bullizzata a scuola proprio per il colore della pelle, i capelli e la distanza tra i due incisivi) ed è riuscita a portare la black heritage sul tetto del mondo.

Adrienne Cheatham

Adrienne Cheatham ama raccontarsi attraverso il cibo. Da chef a Le Bernardin, Red Rooster e poi come personaggio televisivo nello show Top Chef ha tradotto le tradizioni culinarie black mainstream, ha portato le sue origini sul bancone mediatico, sfidando lo status quo e parlando per la prima volta di Soul Food.

Yamiche Alcindor

Durante una conferenza stampa, Yamiche Alcindor ha chiesto (retoricamente) al presidente Trump se si poteva definire "un suprematista bianco". E lo ha fatto con il sorriso dimostrando di non avere paura. Yamiche è una giornalista preparata, conosce il suo mestiere, è conosciuta e rispettata per la sua dedizione. Ed è una delle poche a cui è concesso di dare la possibilità anche alla storia afroamericana di avere un posto in prima pagina.

Melissa Butler

Melissa Butler ha lasciato il suo lavoro di analista finanziaria a Wall Street per lanciarsi nel vuoto. E ha fatto bene. Ha lanciato una linea di make up, The Lip Bar, pensata per tutte le donne, senza eccezioni. Una linea di rossetti vegani e cruelty-free su cui nessuno avrebbe puntato ma che oggi vale quasi mezzo milione di dollari. Yes women can. >>

Brescia, 30 giugno 2021



1 Filippa Castronovo. Il segno di Giona. https://www.paoline.it/blog/bibbia/3195-il-segno-di-giona.html

2Fonte: https://www.lavoce.it/cura-per-la-cecita-dellanima/

3I LINGUAGGI DELLA PASTORALE. Comunità Audaci e Creative. Don Elio Santaniello

7Ibidem - 3 - pag. 133.

8  Fonte: https://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/fede/Lavanda-dei-piedi-Papa-vicino-a-Francesco-d%E2%80%99Assisi-36807

9Fonte: https://www.ereticamente.net/2021/06/piede-e-peccato-triade-e-tetrade-costanza-bondi.html?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=piede-e-peccato-triade-e-tetrade-costanza-bondi

10Articolo di Monica Monnis. 02.06.2020.  https://www.elle.com/it/magazine/women-in-society/a28588164/donne-afroamericane-famose-2019/





giovedì 1 luglio 2021

Vacanze romane 104

 


Come ho già scritto, la tradizione cattolica ci presenta solamente tre Arcangeli, considerati messaggeri supremi e mediatori tra l’uomo e Dio: Michele, Gabriele e Raffaele. La storia e la memoria collettiva sembrano infatti aver dimenticato ed abbandonato in buona parte il culto e le preghiere verso Uriele, Sealtiele, Barachiele e Geudiele. Un primo tentativo di spiegazione e giustificazione può essere quello riguardante le Scritture, ovvero i primi tre Arcangeli sono presenti nella Bibbia mentre gli ultimi quattro non vengono nominati se non in testi apocrifi (seppure Uriele è presente in alcune Bibbie ortodosse). Il secondo tentativo è di tipo storico: durante il Concilio di Roma del 745 si stabilì che i cristiani non dovevano pregare altri angeli all’infuori di Michele, Gabriele e Raffaele, questo dovuto ad alcune superstizioni dell’epoca, ove in preghiere che sfociavano in rituali magici s’invocavano spiriti celesti con diversi nomi, a volte con nomi di divinità pagane. Attorno al VIII – IX secolo, probabilmente a causa delle dispute sull’iconoclastia, molte raffigurazioni dei sette Arcangeli vennero distrutte, lasciando il compito di portare avanti la devozione alla tradizione orale. Nonostante ciò diverse testimonianze nel corso dei secoli, anche di Santi, riuscirono a far sopravvivere la credenza di sette Arcangeli, tant’è che in alcune chiese (come quella di San Michele a Vasto in provincia di Chieti) vi si possono trovare ancora statue e rappresentazioni di tutti e sette. Vi è inoltre un passo della Bibbia in cui lo stesso Arcangelo Raffaele esplicitamente afferma l’esistenza di più Arcangeli: “Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore”. Tobia 12:15) Anche nell’Apocalisse si fa riferimento ai sette angeli: “La grazia sia con voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai Sette Spiriti che stanno davanti al suo trono.” (Ap. 1, 4)  http://www.iotibenedico.info/2017/04/30/antica-devozione-dei-sette-angeli-davanti-al-trono-dio/


immagine: Tobiolo e l'angelo- Andrea del Verrocchio e Leonardo da Vinci?