venerdì 25 agosto 2023

GEOMETRIA DÜRERIANA Nudo femminile da dietro. 1495 AMORE E PSICHE DI UN DIALOGO GEOMETRICO Di Gaetano Barbella

 

GEOMETRIA DÜRERIANA

Nudo femminile da dietro. 1495

AMORE E PSICHE DI UN DIALOGO GEOMETRICO

Di Gaetano Barbella

Alla donna in punta del piede sinistro consensiente, ma solidamente poggiata sul tallone destro e sul bastone, la stella dell'Esagramma. Ad Albrecht Dürer della sua firma, la stella del Pentalfa.




La punta del piede di lei, in C, si congiunge con la sommità del bastone inlA che rappresenta il capo di Amore-Cupido. Passa per il centro O della stella dell'esagramma, la passione dell'Eros di lei.

Uno dei piedini della firma di Albrecht Dürer, in D, si congiunge con O il centro della sua stella Pentalfa il fulgore dell'Eros di lui e nel contempo si ricongiunge col piede del bastone.

Il bastone rappresenta Amore-Cupido, cui si adagia quasi Psiche, della favola di Apuleio. Il Pentalfa si intreccia in sintonia con l'Esagramma col parallelismo delle linee IH ed EG.  Come lo sono il suo asse yy con quello del bastone AB. Si nota il dialogo d'amore della punta del piede sinistro di lei, con il "piede " della firma di Albrecht Dürer. Il mantello copre sul davanti l'ignudità di lei e di lui, e sul di dietro tutto è visibile del mistero.

Amore e Psiche sono i due protagonisti di una nota storia narrata da Apuleio all'interno della sua opera Le Metamorfosi, anche se è considerata risalire ad una tradizione orale antecedente all'autore.

Nella vicenda narrata da Apuleio, Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, diventa sposa di Amore-Cupido, senza, tuttavia, sapere chi sia il marito, che le si presenta solo nell'oscurità della notte. Scoperta su istigazione delle invidiose sorelle la sua identità, è costretta, prima di poter ricongiungersi al suo divino consorte, a effettuare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l'immortalità. Altre versioni, differenti da quella di Apuleio, narrano, invece, la morte della ragazza prima dell'ultima prova, altre ancora narrano che la ragazza abbia fallito l'ultima prova e che abbia, quindi, dovuto lasciare Amore-Cupido.

Il piedino della seduzione


È poetico il ricorso al piede rialzato sul tallone di Psiche di Albrecht Dürer, cui corrisponde il piede della sua firma. Ed è immediato il pensiero a immaginare lo scenario di un amore che sboccia, provocato da un'audace segno con piede di lui sul piede di lei, che non si ritrae. È Amore Cupido che ha fatto centro con la sua freccia.

Fare piedino è un gesto di approccio e seduzione non verbale  che consiste nello sfiorare intenzionalmente col proprio piede (o con la scarpa) il piede o la scarpa della persona da sedurre. La maggior parte delle volte si effettua da seduti e, poiché il contatto avviene per lo più sotto un tavolo, il seduttore gioca sul dubbio che il contatto possa non essere intenzionale. In generale, è un gesto che avviene di nascosto e che implica un'intesa tra due persone, ma in molti casi esso è utilizzato come prima manifestazione di un'intenzione seduttiva, soprattutto laddove questa è volta all'immediata conquista erotica piuttosto che a un più meditato corteggiamento.

Nella seduzione

Il "fare piedino" è soltanto una tecnica per manifestare un'intenzione seduttiva. Se la persona a cui il gesto è rivolto non allontana il proprio piede e finge di non accorgersene o addirittura asseconda i movimenti del "seduttore", quest'ultimo potrà correttamente interpretare tali comportamenti come inequivocabili ed eccitanti segnali di disponibilità. Al contrario, se la persona a cui è rivolto il gesto non gradisce il corteggiamento, questa allontanerà il proprio piede e il mancato seduttore potrà tranquillamente fingere che quel contatto sia stato del tutto accidentale e per nulla intenzionale.

Dovrebbe quindi risultare abbastanza chiaro come il "fare piedino" non vada assolutamente confuso con le svariate forme di feticismo del piede, come, per esempio, il retifismo, che sono invece delle vere e proprie pratiche sessuali[1].

Il Laccio dell'Amore



[1]  https://it.wikipedia.org/wiki/Piedino_(sessualit%C3%A0)

L'intreccio del Pentalfa con l'Esagramma nel disegno di Albrecht Durer dell'illustr. 2 è un fatto meraviglioso dell'Eros che trova risonanza attraverso La danza del Laccio D‘Amore dell'illustr. 4 che affonda le sue origini nella preistoria, parte di una più vasta liturgia di venerazione delle divinità arboree e di propiziazione della fecondità.

In questo caso si tratta di una delle tradizioni popolari più sentite che cadenza i ritmi della vita rurale abruzzese, attraverso le tappe più importanti come il primo amore, il fidanzamento, il matrimonio. Tra i tanti balli popolari, quello del Laccio D'Amore è senza dubbio il più ricco, dal punto di vista scenografico e delle implicazioni simboliche. La danza si apre con l'arrivo delle dieci coppie che indossano un tipico costume abruzzese e che passano sotto un lungo arco formato da ragazze che agitano in alto tamburelli e nastri multicolori. Il ballo si intreccia attorno a un palo conficcato al centro della piazza, alla sommità del quale vengono fissati i ‘lacci d'amore', venti lunghi e colorati nastri, tenuti per l'altro capo dai venti ballerini che, al suono del ‘ddu' botte', caratteristica armonica a due bassi, danno inizio alle danze che partono da sinistra verso destra, a coppie sciolte. [...]

A Penna Sant'Andrea (prov. di Teramo in Abruzzo), la danza del Laccio d'Amore è rimasta radicata sino ad oggi. All'inizio del ‘900 si è costituito l'omonimo Gruppo Folkloristico che ha fatto conoscere il ballo in tutto il mondo. La tipica danza, infatti, chiude tradizionalmente l’Incontro del Folklore Internazionale, che si svolge da oltre quaranta anni a Penna Sant’Andrea agli inizi di agosto, con la partecipazione di gruppi folkloristici da tutto il mondo.

Come si evince dagli approfonditi studi dell’etnocoreologo Giuseppe M. Gala, la danza dei nastri è un modulo coreutico diffuso in tutto il continente europeo, riscontrato anche in alcune zone dell’Africa settentrionale (Marocco e Algeria), nel Bengala occidentale e in buona parte dell’America Latina (Messico, Guatemala, Venezuela, Perù e Bolivia). In Europa la danza dei nastri è attestata in Provenza con il nome di danse des cordelles, mentre in Borgogna, presso Mâcon, era in uso un ballo analogo chiamato danse de rubans; la stessa danza era diffusa in Belgio, in Svezia, in Inghilterra, in Russia e in Spagna ma le testimonianze più numerose riguardano l’area tedesca, dove è ancora praticata in una vasta zona della Baviera con il nome di Bandltanz.

In Italia la danza dei nastri è presente nell’area campana nel periodo carnevalesco (‘ndrezzata, palintrezzo, laccio d’amore), a Petralia Sottana in provincia di Palermo (ballo della cordella), in Piemonte (bal do sabre); infine, unico caso in Abruzzo oltre a quello di Penna Sant’Andrea, il ballo del palo intrecciato sopravvive a Castiglione Messer Marino come rito carnevalesco itinerante (ballo della sposa).

La straordinaria estensione geografica del ballo rafforza l’ipotesi della sua antichità; alcuni studi collegano l’intreccio coreutico dei nastri alle danze arboree praticate in relazione al culto degli alberi, di derivazione neolitica e basato sull’evocazione della forza vitale e della fecondità. Che il ballo abbia delle funzioni propiziatorie è testimoniato dall’uso che ancora oggi ne viene fatto a Penna Sant’Andrea, dove l’intreccio dei lacci colorati è spesso eseguito in occasione di matrimoni come augurio per la coppia di sposi. [...]

Il ballo è caratterizzato dall’intreccio attorno a un palo di ventiquattro nastri colorati tenuti da dodici coppie di ballerini, e da una serie differenziata di intrecci e di esecuzioni di danza, codificati nel corso del Novecento dal gruppo folkloristico del “Laccio d’amore”: la zenna cupertë, danza processionale di trasferimento, usata in passato per gli spostamenti da una contrada all’altra e divisa in due fasi, la processione e la galleria; la saldarellë, eseguita in coppia e inserita in un contesto formale di simulazione del corteggiamento; lu trallallerë, accentuazione del corteggiamento al ritmo di quadriglia; la polchë, con uomini e donne che girano in direzioni opposte, dandosi in alternanza la mano destra e la mano sinistra a ogni incontro con un differente ballerino; il ballo del laccio vero e proprio, contrassegnato da cinque tipi di intrecci differenti e di diverso grado di complessità, eseguiti a ritmo di saltarella (il palo semplice, il palo a coppie, il palo a quattro, il palo doppio e le treccette), guidati da comandi in dialetto e accompagnati dall’organetto a due bassi (ddu bottë), dalla fisarmonica, dal tamburello (ciuciombrë), dalla chitarra e dal tamburo a frizione (battafochë)[1].

La catena del DNA avvolta al palo dell'Eros metafisico



[1]  https://www.gransassolagaich.it/arti-e-spettacolo/laccio-damore/


Potremmo legare il palo dove si attorcigliano i Lacci d'Amore (fig. 5) con le catene o eliche degli infiniti casi di DNA degli abitanti della nostra Terra, (fig. 6) per avere l'idea della funzione dell'Amore emanante dall'Eros metafisico.

La catena del DNA è un acido nucleico (detto desossiribonucleico) che contiene le informazioni genetiche necessarie alla biosintesi di RNA e proteine, molecole indispensabili per lo sviluppo ed il corretto funzionamento della maggior parte degli organismi viventi.

Il DNA è la base fondamentale della vita. Possiamo immaginarlo come una lunga catena, che si trova all’interno di ogni cellula del corpo umano.

Al suo interno troviamo i cromosomi, che contengono tutte le informazioni genetiche che si trasmettono da un individuo all’altro. Ogni parte di questa catena è formata da elementi più semplici.

Dal punto di vista chimico, possiamo definire il DNA come un polimero organico costituito da monomeri chiamati nucleotidi (deossiribonucleotidi).

Questi nucleotidi sono costituiti da tre elementi:

1.    Un gruppo fosfato;

2.    Il deossiribosio (zucchero pentoso);

3.    Una base azotata che si lega al deossiribosio con legame N-glicosidico.

Ma vediamo ora qualcosa in più sulla struttura del DNA e sulla sua funzione.

Come struttura il DNA, così come l’RNA, è un acido nucleico costituito da subunità chiamate nucleotidi. Ogni nucleotide è costituito da tre componenti (gruppo fosfati, zucchero pentoso e base azotata).

Lo zucchero di riferimento è il desossiribosio, che può legarsi a quattro basi azotate differenti: adenina, timina, guanina e citosina.

La molecola del DNA è formata da due catene polinucleotidiche appaiate e avvolte intorno allo stesso asse, in modo da formare una doppia elica. Ecco le principali caratteristiche della stessa:

   Si tratta di catene complementari e antiparallele;

   I legami tra i nucleotidi all’interno di ciascuna catena sono covalenti, mentre quelli che uniscono i due filamenti appaiati sono legami a idrogeno;

   L’elica ha diametro costante e avvolgimento destrogiro.

Il DNA si trova nel nucleo di tutte le cellule, di cui porta il codice genetico.

A cosa serve l’acido desossiribonucleico?

Sicuramente, la funzione più preziosa ascrivibile al DNA è quella di contenere le informazioni necessarie per far funzionare l’organismo.

Questo patrimonio di dati è trasmissibile da una cellula all’altra e da un organismo all’altro. Nella molecola ci sono tutte le istruzioni fondamentali per la sintesi delle proteine importanti per costruire i tessuti e gli organi e per attivare i processi biologici e chimici che garantiscono la sopravvivenza dell’organismo.

Dunque, la funzione più rilevante del DNA è quindi quella di trasmettere le caratteristiche ereditarie da un individuo all’altro[1].

Brescia, 14 agosto 2023



[1]  https://www.unicusano.it/blog/didattica/corsi/struttura-del-dna/


domenica 20 agosto 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 40

Ho chiuso coi pleiadiani, i marziani, e i rettiliani

 

 

“Rico quella pianta di finocchietto esiste ancora, è nella casa in campagna dove abitava mia nonna.   Ora la casa è disabitata, ci sono andata l’ultima volta la primavera scorsa in una delle mie gite in bici. Quando ci passo davanti, a volte mi fermo proprio per rivedere la pianta di finocchietto. Nel mese di maggio è tutto verde, poi si alza e si infittisce e sbocciano gli ombrelli di fiori gialli. Raccolgo i fiori, li faccio essiccare poi li uso per insaporire vari cibi, i piccolissimi noccioli hanno     dentro un solo seme a forma di cuore, credevo che tutte le piante di finocchietto avessero sentore di menta e che i semi fossero tutti a forma di cuore, mica sono una botanica… andiamoci subito”.

“Andiamo, ma cosa vuoi fare? Non puoi essere certa che il tuo finocchietto selvatico sia il silfio”.

“Intanto la fotografo e poi la estirpo e me la porto via, che è mia perché l’hanno regalata a me e l’ha piantata la mia bisnonna, poi mi metto in contatto con qualcuno, in Internet si trova di tutto, troverò qualcuno che è informato”.

Tornarono indietro, a buon passo mentre Lyuba non la finiva di dire: “… pensa te, incredibile, pensa un po’, si hanno le cose sotto agli occhi e non si notano, che ignorante che sono, ma ci pensi Rico, mi sta scoppiando il cuore, ma ci pensi Rico…”  

Arrivarono alla casa di campagna, con il viottolo che calava dalla strada sopraelevata, che costeggiava il fiume, sulla cui aia vi era a fianco della casa un pozzo.

Lyuba aprì lo sportello prima che l’auto si fermasse, corse al pozzo e rimase fissa e tinca come un baccalà.

“Che c’è perché fai quella faccia? Dov’è il silfio?”

“Non c’è più, c’è solo erba”

“Una bella iella, ora che sai che forse poteva essere il silfio, il finocchietto non c’è più”.

“Incredibile, trent’anni e più questa pianta è stata qui. Accanto al gelsomino che è ancora qui ma il silfio no, non c’è più”.

“Adesso non esagerare Lyuba, è più probabile che fosse una comune pianta di finocchietto”.

“In primavera spuntava e poi cresceva, anche quest’anno a maggio c’era e ora è sparita, al suo posto solo dell’erba, vieni con me nel capannone, forse c’è ancora una vanga o un badile”.

“Che vuoi fare?”

“Scavare per vedere se c’è il vaso di rame”.

“Lyuba, lascia perdere, va bene, lascia che scavo io”.

“Abbiamo scavato, un metro per un metro, non c’è nulla, con gli anni si sarà disintegrato”.

“Va bene Rico, basta, qualcuno l’ha portato via, qualcuno che lo credeva una pianta di finocchietto selvatico, qualcuno a cui piace il coniglio arrosto o la pasta alle sarde col finocchietto, alla mia vicina di casa hanno rubato i gerani dal davanzale di casa, ormai rubano tutti e di tutto e poi danno del ladro agli zingari”.

“Ci sei rimasta male?”

Rico, le prende il mento, le solleva il viso, la guarda con strani occhi liquidi, poi la bacia lievemente sulle labbra, tentando di insinuarsi con la lingua, ma Lyuba serra velocemente i denti.

“Non ti provare mai più, non hai rispetto per la mia scelta, mai più, mai più darò fiducia a un uomo, ha ragione la Chiesa sulla castità, ti dai ad uomo e lui non ti apprezzerà più per quello che sei ma ti riterrà solo un contenitore da riempire col suo coso, non farti sentire più, vattene”.

“Scusami, non volevo offenderti… dove stai andando”.

“Vado ad aspettare la corriera, con te non torno, sei un falso amico, perché ti aspettavi qualcosa da me, e poi già che ci siamo ho chiuso coi pleiadiani, i marziani, e i rettiliani come te”.

Duga che aveva dissotterrato, la pianta già da una settimana, ma non aveva ancora avvisato il Maestro, aveva provato tramite Rico ad entrare nella psiche di Lyuba, per rendersi conto se poteva metterla al corrente delle sue capacità divinatorie, se era possibile un futuro per loro due, ma vista la sua reazione, soprattutto avendo percepito dentro di lei un terrore autentico, non se la sentiva di rischiare, non voleva farle altro male, senza di lui che interferiva con la sua mente Lyuba sarebbe stata finalmente in pace.

Non avrebbe mai saputo che lei era stata la messaggera divina più importante, meglio così all’oscuro di tutto non sarebbe stata in pericolo, non avrebbe più avuto bisogno di un agente segreto innamorato di lei.

Ora doveva andare, l’ultimo tassello del puzzle, il silfio, andava al suo posto, ora era tempo di lavorare per realizzare il nuovo Rinascimento. 

Intanto Lyuba aspettava la corriera e la rabbia iniziale per il sentirsi un oggetto sbollì improvvisamente così come era venuta, ebbe come la consapevolezza che non si sarebbe mai più sentita invadere l’anima, la testa, il cuore, tutta sé stessa, da qualcuno che non avrebbe mai saputo chi fosse, sentiva che sarebbe finito tutto e non voleva, ora alla paura di sentirsi come posseduta era subentrato il terrore di perdere per sempre quel qualcuno che non sapeva chi era o cos’era ma ormai non poteva più farne a meno, intuiva che dietro a Rico, dietro ai suoi amori c’era sempre la stessa persona, ma non capiva come poteva accadere.

Lyuba ora si struggeva, sapeva dentro di sé che era libera da quel qualcuno, che non lo avrebbe mai più sentito palpitare dentro di lei e un ardore, una fiamma la bruciava, voleva con tutte le sue forze una storia d’amore che finisse bene, ma come fare, dato che lei non sapeva nulla di nulla?

Arrivò l’autobus e Lyuba salì e fece il biglietto alla macchinetta e si sedette con un gran sorriso… quel qualcuno avrebbe sentito che lei lo cercava e qualcosa di nuovo e di bello sarebbe accaduto.

 

 

giovedì 10 agosto 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 39

Era un finocchietto speciale al profumo di menta

 

 

Lyuba stava distesa, seminascosta dall’erba alta, osservando gli specchi d’acqua, che si allargavano all’infinito, come pure infiniti sembravano i gruppi di volatili, di cui sembravano pieni zeppi sia il cielo che le acque.

Milioni di uccelli.

Lyuba era immersa nella luminosità e nella la pace circostante, ancora più evidente in quanto se girava il volto dalla parte opposta trovava il grigio delle ciminiere industriali e il traffico della strada.

Si sentiva appagata e felice immensamente grata alla bellezza della natura, stupita come di fronte a un grande miracolo; mentre Rico era andato ad osservare il bottino di carpe di due giovani pescatori dagli alti stivali.

Lyuba sonnecchiando mentre il sole la riscaldava, pensava che tutto quel ricercare sugli zingari e la sua ipotesi bislacca sul loro perpetuo girovagare per colpa del silfio, era veramente assurda e strampalata.

Poi all’improvviso ricordò.

Tanti anni prima, si trovava con la bisnonna al mercato rionale, lei avrà avuto al massimo cinque anni, una zingara, che non pareva neanche tale, offrì alla bisnonna dei bottoni per mille lire, che furono acquistati.

La zingara le disse che era scura e bella come i loro bambini, le chiese come si chiamava e alla sua risposta la zingara disse che lei era un amore di zingarella poi le prese le mani dicendole di strofinarle forte forte chiedendole che odore sentisse.

Lyuba rispose che sentiva odore di terra, la zingara tirò fuori da non so dove, come per magia, un contenitore di rame decorato con dei graffiti, poi le diede un seme e disse alla bisnonna: “Piantalo   in questo vaso con della terra di fiume, poi coprilo e tienilo al buio, appena spunta il germoglio interra tutto, vaso compreso, all’ombra di un pozzo”.

La nonna bisa  tornata a casa, andò al fiume a prendere della terra, con Lyuba che le trotterellava accanto e assieme misero il seme nella terra e la nonna lo coprì con un pezzo di stoffa bagnato d’acqua.

Lyuba andava ogni giorno a sollevare un poco il pezzo di tela per sbirciare e fu lei che si accorse per prima del germoglio, tre piccole foglioline.

La nonna fece un buco con la vanga accanto al vecchio pozzo chiuso da una pesante lastra di ferro, che era ornato da un gelsomino rampicante di colore giallo.  

Si era dimenticata tutto, eppure quella pianta era cresciuta, la bisnonna era morta pochi anni dopo, ma Lyuba ricordava che la nonna la usava per cucinare il coniglio e in agosto quando si apriva la caccia e il nonno acchiappava la lepre le diceva: “Lyuba corri, vai al pozzo a prendere un po’ di finocchietto selvatico che cucino una lepre in salmì coi fiocchi” e un po’ di quel finocchietto lo metteva pure nel ragù che serviva per condire le tagliatelle.

Lyuba si ricordava bene che la nonna diceva che era un finocchietto speciale al profumo di menta.

Poteva essere il silfio?

Si alzò e chiamò a gran voce Rico, era eccitata al massimo.

“Che c’è devi raccontarmi altro sugli zingari?”

Raccontò la scoperta a Rico e poi e poi era troppo eccitata.

 

sabato 5 agosto 2023

LE LACRIME SALATE ALCHEMICHE DEGLI OCCHI DI HORUS DI UNA NUOVA VEGGENZA A cura di Gaetano Barbella


  LE LACRIME SALATE ALCHEMICHE DEGLI OCCHI DI HORUS DI UNA NUOVA VEGGENZA

A cura di Gaetano Barbella


Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate[1].

Il Caput Mortuum e il sale del vero pensiero

Figura 1: Allegoria del Caput Mortuum nel teschio legato al logo di Albrecht Dürer nell'atto di versare, della terza fase conclusiva alchemica. Crediti: Salamon Fine Art. 2018_Catalogo Durer.indd 45

In alchimia il Sale è uno dei Tre Principi, presenti sia nel cosmo sia nell’uomo: una triade mistica, composta dal sale, dal mercurio e dallo zolfo. Benché si presenti come una polvere bianca, inerte, il sale è uno dei grandi misteri e simboli dell’iniziazione. Nella tradizione alchemica esso era l’emblema di un patto sacro che non poteva mai essere rescisso, simile a quello che il neofita stringeva con la sua scuola o il suo maestro. «Il patto di sale» di cui parla l’Antico Testamento potrebbe avere un significato diverso da quello che gli viene di solito attribuito. Il Nuovo Testamento è meno evasivo al proposito: in Matteo, infatti, «sale della terra» sono gli eletti, ossia gli iniziati e non, come si tende oggi a pensare, quanti sono poco più che semplici contadini. Nei secoli lontani gli eletti sedevano al posto d’onore, «più in alto del sale», perché avevano conquistato il sale che avevano dentro di sé. Come si spiegherebbe altrimenti tutta l’importanza che nei convivi medievali veniva attribuita al salinum, ossia alla saliera? [...]

Gli alchimisti ponevano talora a emblema del sale il più semplice di tutti i sigilli: un minuscolo quadrato o un piccolo rettangolo. Con quelle quattro linee che descrivono uno spazio vuoto – come lo spazio fra l’Aria e l’Acqua – intendevano delineare i misteri dei quattro elementi o disegnare una bara? Il reverendo Brewer, un colto collezionista di idee curiose, totalmente ignaro di esoterismo, ci ricorda la consuetudine, tuttora esistente, di porre una manciata di sale nella cassa del morto.

C’è forse un nesso fra il sale e la morte? Un altro sigillo del sale – usato con frequenza nei gruppi alchemici rosacrociani – era un cerchio tagliato a metà da una linea orizzontale Θ . Quel sigillo deriva dalla theta maiuscola di Thanatos, che in greco significa «morte».

In numerosi testi alchemici il sale rappresenta il processo mentale, che è un processo di morte. Il sale è il residuo dell’attività spirituale che avviene nella nostra testa: come nelle triade alchemica, è la scoria che resta quando la vita è volata via, è il cranio, il caput mortuum, la polvere bianca residua dopo l’estrazione dell’oro. È la cenere del pensiero.

Quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, allora produce lacrime salate[2].

Ma perché mai il pensiero – quel processo che ha prodotto la nostra tanto decantata civiltà di superficiale razionalismo – dovrebbe essere associato alla morte nei circoli arcani? Noi moderni non dovremmo invece sostenere che il pensiero è la nostra salvezza, la strada che ci condurrà alla terra promessa? Qualsiasi iniziato che abbia un granello di sale, inutile dirlo, contesterebbe questa interpretazione. L’autore anonimo di A discourse of Fire and Salt («Discorso del fuoco e del sale») spiega chiaramente che fra il sale e il fuoco avviene uno scambio mistico. Ci sono due sali, afferma questo adepto, l’uno nato dall’attività del fuoco e l’altro il residuo rimasto quando le fiamme si spengono, che è a sua volta «un fuoco potenziale». In questa perpetua interazione fra fuoco e sale che sta alla base del mondo fenomenico il sale rappresenta lo stato inerziale della morte. Nessun alchimista tuttavia sosterrebbe mai che una cosa può morire nel senso di essere esclusa per sempre dalla vita. La morte è un interludio fra una vita e l’altra.

Un tempo, però, esisteva il sale del vero pensiero, che non era neppure sfiorato dalla contaminazione della morte. Allora, anche le invenzioni delle menti più raffinate, come quelle dei poeti romani, erano saporite come il sale, erano salsae, ossia mordaci e facete. Di certo i versi sgorgavano di getto dalla mente dei loro autori; in latino salire significa «saltare», «guizzare fuori», da cui la parola saltatore: i latini sapevano che dalla sfera spirituale le idee penetravano d’un balzo nella mente dei poeti. Una parola dal suono così simile al nome di quel semplice condimento quotidiano non può che suggerirci qualche profondo significato riposto. Sono molti i misteri del mondo antico che la parola sale richiama: c’erano, per esempio, i Salii, quei «saltatori» splendidamente vestiti, danzatori dell’aria, che costituivano uno dei tanti collegi sacerdotali romani. Di loro sappiamo soltanto che cantavano e parlavano in una lingua incomprensibile, che erano votati al culto di Marte e formavano una confraternita esoterica. La lingua incomprensibile che parlavano era la Lingua degli Uccelli – ossia il linguaggio segreto dell’esoterismo – e i loro «salti» erano una forma di danza sacra[3].

Paradossalmente è in questo stato di disordine mentale che si realizza uno stato di neutralità e di volontà nella terapeutica ermetica.

La purità magica ed ermetica, e non purità religiosa, [...] integralmente intesa, è la neutralità cosciente ed inalterabile che noi conserviamo rispetto ai nostri simili. Ogni odio, ogni amore, direi ogni interesse dell’operatore ermetico nella riuscita di una cosa voluta, rende inutile, annulla, distrugge il risultato aspettato. [...] - La neutralità è di regola in ogni esame ponderato delle cose, ma nelle pratiche psichiche o ermetiche o magiche è assolutamente indispensabile. [...] E’ l’idea della più perfetta imparzialità che assume l’immagine del completo integrato [...] – (Nella Medicina Ermetica) l’operatore deve essere neutro, cioè non interessato, ora farsi credito, cercare la fama o il danaro significa interesse vivo alle risultanze. [...] - Quale è la filosofia che spiega la incompatibilità tra il potere mentale e l’imperfezione morale? Si contenti per ora di constatare il fatto, perché le idee correnti oggi sulla perfezione morale sono in conflitto con la verità esistente. Quando il mito parla dell’Eden o Paradiso terrestre dice che l’uomo comandava alle fiere perché senza malizia o nello stato di innocenza, cioè di incapacità a nuocere…la preparazione magica è la purificazione di cui la Vergine Immacolata, senza macchia, è il simbolo più nobile del cattolicesimo. I poteri spirituali non si acquistano né diventano effettivi che così. Inutile tentare altre vie.  [...] - La scienza divina non può essere confidata che agli uomini puri, cioè disinteressati personalmente e quindi indipendenti da ogni bisogno e spogli da ogni ambizione – il dare la scalata alla scienza secreta dei magi per solo apparente disinteresse è opera di stregone[4].

Una geomanzia moderna

Ed ecco che, nello stato di completo disordine mentale, entra in ballo, quasi per magia, una sorta di "lingua segreta degli uccelli" dell'esoterismo incomprensibile, una nuova geomanzia. La vecchia geomanzia è una tecnica divinatoria che deriva dal greco geōmanteía (geō “terra” e manteía “divinazione”) e significa “divinazione per mezzo della terra”. Essa mirava ad accordare l'orografia della terra con quella del cielo. Con questa parola s’intendeva una tecnica divinatoria elementare basata sull’ispezione della “terra” intesa come elemento fisico, quindi sull’ispezione di segni rilevabili sul suolo terrestre.

Nel passato il geomante gettava i rituali sassolini per terra e, dalla forma che assumevano vaticinava. Oggi con la nuova geomanzia sono i segni mappali di strade, case, fiumi ed altro che si sostituiscono agli antichi sassolini, per dar luogo a varie forme secondo la veggenza di un moderno geomante.

La geomanzia che io intendo è concepita secondo un moderno postulato della filosofia ermetica,  la sincronicità, che in un certo senso si sposerebbe con qualsiasi forma di sapere, con il quale possiamo analizzare e spiegarne il funzionamento.

«La sincronicità è un concetto introdotto dallo psicoanalista Carl Gustav Jung nel 1950. Egli la definì “un principio di nessi acausali”, ovvero il legame tra due eventi che, in contemporanea, influiscono l’uno sull’altro senza un nesso causale. Per rendere più chiaro tale principio Jung parlava di “coincidenze significative” e spiegò il fenomeno fornendo numerosi esempi. Tra questi, il caso di un signore che ordinò un vestito blu, ma per uno sbaglio del commerciante, si vide recapitare a casa un vestito di colore nero proprio il giorno del funerale del fratello, oppure il caso in cui lo stesso Jung, parlando con una paziente riguardo il sogno di quest’ultima riguardante una volpe, si imbatté realmente in una volpe. Naturalmente di esempi di questo tipo, e anche molto più sorprendenti, ce n’è moltissimi, e scommetto che anche a chi sta leggendo queste pagine sia successo almeno una volta nella vita qualcosa di simile. Per Jung la corrispondenza significativa tra i fenomeni è dovuta al fatto che psiche e materia sono due aspetti differenti della stessa e unica cosa, aspetti che sono supportati da fattori trascendenti incomprensibili”. Tuttavia, benché il principio di sincronicità possa mettere in discussione il concetto classico di spazio e tempo, di per sé sufficiente a spiegare concettualmente qualsiasi dispositivo divinatorio, l’eccezionalità dell’evento sincronico può mettere in dubbio la fondatezza del principio stesso.

E ricollegandomi al concetto alchemico dello stato del geomante con la sua cenere del pensiero (le lacrime salate): quando la testa – o la sua attività spirituale che chiamiamo mente – raggiunge il punto in cui non è più in grado di capire, in cui l’ordine dell’universo sembra frantumarsi, per effetto della sincronizzazione si determina il legame con un secondo evento estraneo che, in contemporanea, influiscono l’uno sull’altro senza un nesso causale. Sono due "terre" che entrano in sintonia vibratoria tale da permettere al geomante di "prevedere" (e non "predire") un certo segreto conservato nella "terra" esaminata (le linee di una mappa geografica fra case, strade, fiumi e altro).

Ma ho titolato questo capitolo "Le lacrime salate alchemiche dell'occhio di Horus di una nuova veggenza, la geomanzia moderna" e non ho spiegato perché. Tuttavia ci mettono sulla strada due cose, il vedere le mappe delle località terrestri per trarne le cartografie geomantiche e poi il potere che occorre per vedere grazie ad una condizione speciale della visione che è legata all'alchimia con la cenere del pensiero, meglio espressa da lacrime salate.

e se ne è parlato in precedenza. Insomma tutto il segreto sta nella vista ed è speciale, ma non proviene da una mente normale che fa capo ad una fervida immaginazione. No e parlo del mio caso, perchè essa è stata sempre buia sin dalla nascita a causa di una malattia chiamata afantasia.

L'afantasia è la condizione della mente che non è capace di visualizzare nessuna immagine mentale, come se l'occhio della mente fosse completamente cieco. Il termine inglese aphantasia è stato proposto dal professor Adam Zeman dell'università di Exeter che ha pubblicato l'unico studio attualmente disponibile sull'argomento. Il termine "afantasia" significherebbe esattamente il contrario della parola greca phantasia (a-phantasia, con alfa privativo) con la quale Aristotele definiva il potere dell'immaginazione della mente umana. Il fenomeno è stato descritto da Francis Galton nel 1880, ma è rimasto in gran parte non studiato da allora. Ad alcune persone manca completamente, o in parte, la capacità di visualizzare o di richiamare nella propria mente immagini, parole, suoni, sapori, odori, altro. Lo studio, pubblicato dal team di ricercatori della University of Exeter Medical School sulla rivista di neuroscienze Cortex, ne esplora per la prima volta la natura: in alcune persone congenita, in altre connessa a patologie pregresse o interventi chirurgici avvenuti in precedenza[5].

L'immagine delle lacrime salate alchemiche degli occhi di Horus

Figura 2: L'occhio sinistro di Horus e le sue parti tradotte in frazioni.

Mette sulla strada della comprensione degli occhi di Horus sulla vista speciale per leggere le mappe topografiche e trarne le cartografie geomantiche l'occhio sinistro di Horus rappresentato con la fig. 2. Un occhio intero rappresentava l'unità, ma...

Non si è notato nulla di strano? Se provate a sommare tutti i pezzi, vedrete che si ottiene 63/64 e non 64/64! Manca all'appello 1/64!

In questo caso, però, gli egiziani ci hanno dato una spiegazione: "l'1/64 mancante sarebbe comparso grazie a una magia di Thot."

Tutto ciò esprime (in maniera certo molto suggestiva) che in generale nell'eseguire una divisione non importava andare oltre la approssimazione del risultato esatto per 1/64[6].

Ora immaginando che gli antichi egizi dovevavo saperla lunga sull'aritmetica dell'occhio di Horus in stretta relazione con la magia di Thot, per cominciare, non resta che esaminare il bazar dei geroglifici egizi che ne son tanti. Però la ricerca non è difficile essendo limitata all'occhio di Horus, onnipresente un po' ovunque tra i reperti archeologici dell'antico Egitto. Ci mette sulla giusta strada il fatto che si debba considerare anche l'occhio destro.E qui ora le cose si fanno semplici perché c'è l'imbarazzo della scelta. E l'attenzione non può che essere rivolta ad un reperto archeologico in particolar modo, però ve ne sono altri simili. Si tratta della stele marmorea di Nebipusesostri risalente al regno di Amenemhet III, fig. 1. Su di essa si possono leggere le annotazioni sul culto di Osiride Abido.

Figura 3: Stele marmorea di  Nebipusesostri risalente al regno di Amenemhet III. Fonte: «Come leggere i geroglifici» di Mark Collier e Bill Manley, pag. 58.

Come si vede nella fig. 3, sulla colonna di centro si nota con chiarezza in alto il geroglifico che si sta cercando. E con gran soddisfazione, non senza meraviglia, si scopre qualcosa di nuovo posto fra i due occhi di Horus. Più da vicino riporto di seguito con la fig. 4, i dettagli che vi riguardano. Premetto che tutte queste cose sono state tratte dal libro edito da Giunti, «Come leggere i geroglifici» di Mark Collier e Bill Manley.


 


Figura 4: Traduzione di alcuni geroglifici della stele marmorea di  Nebipusesostri risalente al regno di Amenemhet III. Fonte: «Come leggere i geroglifici» di Mark Collier e Bill Manley, pag. 58.

Non c'è bisogno di esaminare l'intimo significato recondito racchiuso in questi simboli che, peraltro, sembra trasparire stimando esatta l'interpretazione relativa data dagli autori del libro citato (quella accanto ai simboli sopra raffigurati). Perciò il ragionamento sarà limitato alla possibile spiegazione che può portare alla risoluzione dell'incognita numerica pari a 1/64.

Semplice, a questo punto, per immaginare che quei tre piccoli simboli posti in basso sotto i due occhi in causa, potendoli tradurre in frazioni, diano la risposta alla presunta magia di Thot. Infatti se poniamo 1/128 (la metà di 1/64) al posto di ognuno dei due simboli esterni e 1/64 (che è la loro somma) a quello centrale, ci troviamo di fronte a una terna di valori, la cui somma è 2 volte 1/64. Giusto 1/64 per ogni occhio.

Ma quello che volevamo sapere sull'occhio di Horus in stretto legame con le lacrime salate dell'alchimia ora appare chiaro nell'apprezzare per questo la fig. 4 in cui sono poste in risalto tre lacrime sgorganti dagli occhi di Horus definiti magnificamente

nfrw: perfezione, bellezza, meraviglia, splendore

 

Storia delle cartografie geomantiche mappali

Figura 5: Cartografia geomantica, zona Pavese, di Opicino de Canestris.

In merito alla storia, connessa alle cartografie geomantiche, scavando nel passato emerge la storia di Opicino de Canistris, un prelato di Pavia nato il 24 dicembre 1296 a Lomellina (PV).

Fu  attivo presso la corte papale di Avignone. Di lui si sa che si distinse come cartografo, ma soprattutto come cultore di astrologia e studioso delle tradizioni popolari delle sua natia Lomellina. Disegnò un gran numero di carte antropomorfizzate e generalmente intese in senso “morale” (fig. 5).

Attratto dalle credenze della mitologia celtica si dispose a tradurle in latino insieme alle storie longobarde. È significativo uno squarcio interessante della sua vita: Opicino aveva ossessione da morire del caprone, il simbolo per il mondo cristiano del male e dell'anticristo. La cosa lo conturbò non poco da indurlo, a disegnare con dovizia, essendo un cartografo di talento, la carta del Mediterraneo come un enorme osceno caprone, attraverso cui l'Europa e l'Africa si univano in atto carnale in sembianze femminili. Oltre a ciò, come già suddetto, disegnò tante altre configurazioni basate sullo stesso criterio.

Opicino de Canistris morì nel 1352 nella sua Pavia cui aveva dato sé stesso in eredità, se non altro attraverso le sue incomprese cartografie, rimaste ironicamente alla storia dei suoi eredi come «un Noè malato che cerca di mettere nella sua Arca di carta, ciò che può salvare della terra e di sé stesso».

Occorre procedere poi fino al 1929, ch’io sappia, allorché la scultrice inglese Katharine Malthwood, attraverso un suo libro Il Tempio delle Stelle di Glastonbury, afferma destando molto scalpore all’epoca di avere scoperto un gruppo di enormi figure distribuite nella campagna di Somerset a sud di Glastonbury dell’Inghilterra (fig. 6).

Queste figure, delineate dai contorni naturali di fiumi, sentieri, strade, colline, fossati e terrapieni, rappresenterebbero i segni dello zodiaco astrologico.

Figura 6: Il Tempio delle stelle di Glastombury di  Katharine Malthwood. Tratto da: Atlante dei luoghi misteriosi, a cura di Jennifer Westwood, pag 14. Ediz. Euroclub.


Un’altra inglese, Mary Caine, con certezza almeno fino al l995, prosegue i suoi studi e ricerche sulla scia della suddetta Malthwood. In un articolo apparso su I Misteri, edizione Cioè di marzo 1997, a firma Antonio Bonifacio, si parla diffusamente del caso Malthwood anzidetto, oltre che nel libro Atlante dei luoghi misteriosi, a cura di Jennifer Westwood, pag 14. Ediz. Euroclub.

Ad essere preciso, allorché iniziai ad intuire e poi disegnare le prime cartografie geomantiche mappali, non sapevo nulla di Opicino de Canestris, né di Katharine Malthwood e tanto meno di Mary Caine. Fu solo in seguito, leggendo l’articolo di Antonio Bonifacio suddetto, sulla rivista “I misteri”, che ne venni a conoscenza.

A questo punto mi profilo io all’orizzonte delle supposte manifestazioni geomantiche, sin dal 1993.

Brevi note dell’autore di moderne cartografie geomantiche mappali

Come appena detto, sin dal 1993 sono stato portato ad eseguire numerose configurazioni

Figura 7: Cartografia geomantica di Caserta. Il bambino veggente mi impersona. La sua testa è in corrispondenza di una mia abitazione (pi greco). La successiva è quella indicata dall'occhio di Ra.


cartografiche geomantiche, connesse alla morfologia mappale dei centri urbani e località della Terra in genere. In esoterismo queste configurazioni potrebbero rientrare in una certa realtà astrale.

A quel tempo cercai di darmene una spiegazione ritenendo di essere una sorta di sensitivo di nuovo genere, non contemplato nella casistica – mettiamo – dei noti veggenti che riguardano il mondo del cosiddetto paranormale. Tant'è che, ottenni di veder pubblicati i primi risultati delle mie cartografie geomantiche terrestri, prima sul periodico "Il Giornale dei Misteri" di giugno, nel 1997, e successivamente sul periodico "I Misteri", edizione Cioè. In seguito ci furono alcuni studiosi che mi contattarono per approfondire la tematica su queste mie configurazioni insolite e nel 1999 entrai in relazione con il Dott. Mauro Bigagli, il coordinatore della rivista Energie di "Studi. Ricerca e Scienza dello Spirito" di Cosentino. Mi parve un erudito personaggio carismatico e a giugno del 1999 mi scrisse una lettera in seguito ad una mia in relazione sulle mie configurazioni terrestri.

Non la riporto per intero ma solo per la parte che riguarda le surrealtà mappali in questione che è questa:

«...La sua sensibilità è tale che non può essere compreso facilmente dall’Uomo di oggi. Lei nelle sue cartografie vede una realtà astrale, appartenente ad una dimensione eterica che nessuno può concepire; questa è la verità. Ciò che dice è vero ma appartiene alla realtà dell’energia astrale. Ho approfondito molto le sue cartografie e questa è la mia conclusione. La sua sensibilità lo eleva e vede cose che altri non vedono. Lei ha una trance lucida...».

Non mancò di attrarmi, cosa inspiegabile all'inizio delle mie esperienze cartografiche geomantiche, la mappa di Pechino così lontana dall'Italia. Non passò che qualche giorno che fui preso nel vortice dei disegni di ciò che mi sembrò attinente a quelle mappe topografiche. Ne mostro di seguito una, quella di Pechino con le figure 8 e 9, che mi sembrarono molto avvincenti.

Figura 8: Cartografia mappale di Pechino rivolta a Nord. L'insana eucaristia.

Figura 9. Cartografia mappale di Pechino a rovescio. "Trasognate incerte gioie".


Figura 10: La pagina della rivista FOCUS n. 61 di novembre 1997. Riporta in evidenza la mia cartografia di Pechino.


A quel tempo la commentai così:

Scenari di una mente turbinosa

Un incipriato vanesio Cavaliere:

lo tradiscono due nei sul viso.

Con la realtà virtuale

or si diletta, che portento.

Gli sembra sano l'arto leso,

e rinnovato, il calor del corpo.

E, a coronar le sue delizie,

una regale dormiente

il suo bacio attende.

Ma il ragazzo in me non sembra dar ascolto.

Vaghi ricordi d'innocenza mestizia:

trasognate incerte gioie d'un giocar.

Costruir giunche con fragili legni,

e poi... sospinger mollemente.

Pareva d'esser in lontano mar, felice,

e pesci qua e là, ma il tempo

il tempo, non era in me.

Ma cosa vuol dire «il ragazzo in me»?

Figura 11: cartografia mappale di Castel del Monte  (Bari) e dintorni. operazione occulta "Mani pulite"). Opera dell'autore.


Il « ragazzo in me» sono io che il destino ha disposto lontano dal luogo di nascita, come svincolato dallo scenario che imprigionava il vanesio Cavaliere preso anche lui nella sua prigione, se pur al riparo di quella malefica "eucaristia". Sono frequenti cartografie relative a mappe poste a rovescio che non riguardano situazioni del mondo reale, ma della dimensione astrale; questa è la differenza con le corrispondenti disegnate al contrario.

La cartografia mappale di Pechino della fig. 8 fu anche riportata sulla rivista FOCUS n.61 di novembre 1997, della quale ho mostrato sopra la pagina relativa con la fig. 9.

Oggi a distanza di tempo, alla luce dei fatti della pandemia del Covid-19, mi sono convinto che la cartografia della fig. 8 si lega al sorgere di questo male, giusto in Cina a Wuhan. Ma è vero anche che era a Pechino la "centrale" occulta del male e del bene di tutta la Cina storica dei loro imperatori e con essa poi di tutto il mondo degli imperatori. Possono mai restare inpuniti coloro che hanno causato questo terribile male che ha seminato tanti morti la nostra terra di questi tempi? La cartografia di Pechino dell'illustr. 8, infatti reca il segno della ritorsione con una occulta mano verde che raccoglie la bava del malcapitato giovane contaminato dalla inasana "eucaristia", in uno strano sasso.

Quella stessa mano la ritroviamo in un'altra cartografia, che feci di lì a poco (fig. 11), del complesso mappale di tutta l'area di Castel del Monte (Bari) in cui, da un lato è rappresentato il volto sofferente del Cristo in basso a sinistra, e al lato opposto è rappresentata una verde mano occulta che lancia un sasso contro i tanti personaggi storici dei potenti della Terra, tutti con guanti neri.

Brescia, 6 luglio 2023

 



[1]https://markhedsel.blogspot.com/2015/08/il-mistero-del-sale.html

[2]Ibidem 1

[3]Fulcanelli. Le Dimore Filosofali. I, pg 96. Edizioni mediterranee.

[4]https://www.kremmerz.it/lo-stato-di-neutralita-e-di-volonta-nella-terapeutica-ermetica/

[5]  https://it.wikipedia.org/wiki/Afantasia

[6]http://progettomatematica.dm.unibo.it/NumeriEgitto/horus.html