venerdì 23 marzo 2018

Diario 4

E oggi è l’8 gennaio, finite le feste si ritorna alla normalità, un po’ di riflessione non guasta. Ogni tanto l’umanità sembra preda dell’inconscio, come all’inizio del Novecento con Freud e gli artisti che vi si accodarono, inconscio di cui Freud ha dato un nome, ma mica l’ha inventato lui. Se si scorre all’indietro nel tempo si potranno trovare tempi in preda all’irrazionalità ed altri più ordinati, l’ideale sarebbe armonizzare, seguire una strada mediana. Adesso non voglio fare la moralista o il grillo parlante ma tutte questa New Age che alla fine non è altro che surrogato di un surrogato, penso sia meglio stare nel solco delle religioni tradizionali, che già sono un surrogato, ma ad aggiuntive divisioni non si scappa corrispondono le moltiplicazioni dell’indefinito che alla fine ci fanno molto molto male. Oggi tutto è permesso, nessuno sta più alle regole il lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, di Pablo Neruda ha fatto breccia in noi perciò si butta a mare la consuetudine che viene vista totalmente in negativo, in realtà per essere liberi occorrono forti abitudini e radici robuste altrimenti invece di dirigere il nuovo ne saremo preda. Questo mi ha fatto riflettere sulle festività che sono un deragliamento dalla consuetudine, belle niente da dire ma alla fine se tutti i giorni fossero dei festivi ci troveremmo allo sbaraglio, l’ozio quando è troppo genera vizio. Non credo che dobbiamo fare rivoluzioni oggi, semplicemente dovremmo solo lottare per mantenere ciò che abbiamo, perché con la scuola del divertimentificio stiamo diventando come i romani col panem et circenses… insomma vessillo alla normalità perché abbiamo bisogno anche di quella è quella che fa essere bella l’eccezione, quando tutto è sconvolgimento non si apprezzano più, come sovente accade neanche le feste.

domenica 18 marzo 2018

DANTE 7

Tanti sono i luoghi che vantano la presenza sul loro suolo del Poeta, molti magari non hanno prove certe, ma non è detto che col tempo si possano rivelare con un fondo di verità. Pare infatti che Dante sia arrivato anche nel sud Italia, almeno fino a Napoli, certo è stato in Francia e forse anche in Inghilterra. Cito due luoghi emblematici uno è la Lunigiana, l'altro luogo è il Friuli Venezia Giulia
Sì come ad Arli, ove Rodano stagna,
sì com’a Pola, presso del Carnaro
ch’Italia chiude e suoi termini bagna, 
(Canto IX Inferno)
Sulla base di questi versi, alcuni critici hanno affermato, ed altri hanno negato, un viaggio a Pola del sommo poeta; non è cosa di poco conto perchè in questi versi pare che Dante ci scriva una sua propria convinzione circa i confini politici del bel paese, dove il sì suona. E' un dato di fatto che il nome dell’Alighieri divenne anche per gli Italiani di Fiume, come per quelli di Trento e Trieste, tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, un simbolo e un auspicio di riunificazione alla madrepatria, tanto che nel 1908 e nel 1911 i soci della società culturale (in realtà patriottica) “Giovine Fiume” parteciparono alle celebrazioni dantesche in Ravenna, attirandosi la persecuzione della polizia austriaca. È vero, inoltre,che il ricordo di Dante e la citazione del verso citato “presso del Carnaro, ch’Italia chiude e suoi termini bagna” verranno utilizzati copiosamente nell’oratoria e nella pubblicistica dannunziana, all’epoca dell’impresa di Fiume e della cosiddetta “Reggenza del Carnaro”. Passiamo alla Lunigiana.
Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
come sono ite, e come se ne vanno
di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
udir come le schiatte si disfanno
non ti parrà nova cosa né forte,
poscia che le cittadi termine hanno (Paradiso XVI)
Su questi versi ci sarebbe moltissimo da dire, ma ci allargheremo troppo, mi limito citando solamente la Pace di Castelnovo.La presenza di Dante in Lunigiana è legata all’ incarico, che il Poeta ebbe dai Malaspina, di trattare, per loro conto, la pace del 1306 col Vescovo di Luni.Il fatto è confermato dal ritrovamento, a metà del ‘700, di due atti notarili molto importanti: la procura diFranceschino Malaspina e l’atto finale della pace, documenti che a detta di eminenti studiosi sono : “La scoperta più importante sull’esilio di Dante”. In base a questi atti possiamo affermare che: il 6 ottobre del 1306 Franceschino Malaspina di Mulazzo, sulla pubblica piazza della Calcandola di Sarzana nomina l’Alighieri suo procuratore nelle trattative di riappacificazione col vescovo di Luni, Antonio Nuvolone da Camilla e che, subito dopo, “in ora tertia” Dante si reca a Castelnuovo, nel palazzo vescovile, dove stipula la pace che risulterà favorevole ai Malaspina.

martedì 13 marzo 2018

DANTE 6


Passiamo ora a vedere il Dante di tutti e perciò di nessuno perchè come ho detto prima Dante, che si è definito una capra, Dante apparteneva a se stesso e alla sua sete universale di conoscenza. Per quanto riguarda i luoghi prendiamo in esame quelli di Romagna. “Romagna tua non è, e non fu mai,/sanza guerra ne' cuor de' suoi tiranni;/ma 'n palese nessuna or vi lasciai”. Questi versi esprimono tutto il fiero carattere della Romagna, mi sovviene pensare che Dante sia molto più romagnolo che fiorentino. Nella Divina Commedia, e precisamente nel canto XXVII dell’Inferno, Dante descrive, le condizioni politiche della Romagna del 1300, a Guido da Montefeltro. Guido fu un personaggio di molte imprese militari, alla fine della sua vita si pentì e divenne frate, ma tradì la sua veste per aiutare papa Bonifacio VIII che lo che indusse a peccare, assolvendolo anticipatamente, ma il diavolo non si lasciò convincere da questa ante/assoluzione e Guido finì all’Inferno. Il Poeta dice a Guido che la Romagna non è mai stata senza guerre a causa dei tiranni che la dominano, ma in questo momento non se ne combatte apertamente nessuna. Ravenna è nella stessa situazione da molti anni, sotto la Signoria dei Da Polenta che domina il territorio fino a Cervia. Forlì, che sostenne un lungo assedio e fece strage dei francesi, è dominata dagli Ordelaffi. I Malatesta si sono impadroniti di Rimini, mentre le città di Faenza e Imola sono governate da Maghinardo Pagani, che cambia facilmente le sue alleanze. Cesena oscilla continuamente tra libertà e tirannide. Dante nel suo amaro vagare, salendo le scale e mangiando il pane altrui, visitò non solo queste città ma siccome non c’era l’aereo o il treno, Dante avrà fatto molte fermate anche in altri paesi romagnoli. Lasciando la terra di Toscana, valicando il Passo del Muraglione oggi meta d’obbligo per i centauri, anticamente una mulattiera, il valico divenne carrozzabile nel 1836, furono costruiti sul passo anche una casa cantoniera, un albergo e un muro di pietre in modo di offrire un riparo dal forte vento, da qui l’origine del toponimo. Dante si sarà arrancato fra questi tornanti su una pericolosa mulattiera sferzato dal vento e dal freddo anche in estate, qui poco dopo il Passo del Muraglione incontrò la Cascata dell’Acquacheta (Inferno Canto XVI), paragonata dal Poeta per la violenza della caduta delle acque al fiume infernale Flegetonte. Pochi chilometri in direzione di Forlì e siamo a Portico di Romagna, dove la tradizione vuole che, a Palazzo Portinari, Dante abbia conosciuto Beatrice. Altri chilometri sempre sulla Strada Statale numero 67 e siamo a Castrocaro Terme. Siamo nella Romagna Toscana e proprio Castrocaro ne è stata per lungo tempo la capitale.“Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;/ e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,/ che di figliar tai conti più s’impiglia...” (Purg. XIV). Dante è arrabbiato coi romagnoli colpevoli di essere responsabili della degenerazione dei costumi. Mi domando se Dante vivesse oggi quali invettive userebbe. E siamo giunti a Forlì, “La terra che fé già la lunga prova/ e di Franceschi sanguinoso mucchio,/ sotto le branche verdi si ritrova…” (Inf. Canto XXVII), la targa è affissa sul Campanile dell’Abbazia di San Mercuriale, ricorda la resistenza dei forlivesi contro i francesi inviati dal Papa per sottomettere la città ghibellina. Da Forlì ci dirigiamo alla terra del vino, al colle di Bertinoro , “O Brettinoro, ché non fuggi via,/ poi che gita se n’è la tua famiglia/ e molta gente per non esser ria?” (Purg. Canto XIV) questi versi si possono leggere sul Palazzo Comunale di Bertinoro. Poco lontano da Bertinoro, a Polenta vi è la Pieve di San Donato. Giosùè Carducci ha dedicato un’ode a questa Chiesa domandosi se qui si era inginocchiato Dante e da allora ogni anno si tengono letture dantesche. Non cito Ravenna perché tutti sappiamo che Dante è morto qui, ma ci tengo a scrivervi che Dante, lo affermano valenti studiosi, avrebbe scritto in Romagna tutta la Commedia e non solo il Paradiso. Per l’Inferno oltre alla Cascata dell’Acquacheta fonte di ispirazione sarebbe stato il territorio riminese… le Grotte di Onferno che un tempo si chiamavano Inferno. Gli abitanti del luogo credevano che la grotta fosse l’ingresso per l’Inferno. Si racconta che anche Dante abbia soggiornato in questi luoghi e preso così lo spunto per ambientare, in una zona simile a questa, il primo canto della Divina Commedia. 

mercoledì 7 marzo 2018

DANTE 5

Nei primi anni del nuovo secolo, il poeta comincia a comporre Il Convivio, un’enciclopedia del sapere umano in volgare , che si impegni ad acculturare in particolari i signori italiani in modo da combattere la corruzione dilagante e il De Vulgari Eloquenti, un trattato in latino sulle origini e le strutture delle lingue parlate in Europa. Opere che lascerà incompiute per occuparsi della sua Commediapoema narrativo in volgareDurante questo periodo, Dante viaggia in diverse regioni: si trova a Lumigiana, alla corte dei Malaspina, a Forlì, forse a Parigi, e a Verona, alla corte di Cangrande della Scala, dove resta probabilmente fino al 1318. L'arrivo in Italia di ArrigoVII o Enrico VII, Enrico in tedescxo, Arrigo in volgare, (1310) ispira forse a Dante il trattato politico Monarchia, la datazione è tuttavia incerta, in cui scrive della teoria dei due soli che non sono in contrapposizione fra loro perchè uno l'imperatore si occupa del potere temporale l'altro il papa di quello spirituale. Secondo la concezione di Dante dai due soli , potevano venire la sicurezza e il benessere materiale e la salute dell’anima, scopo ultimo della vita terrena. Nel 1308 Dante era in Toscana, nuovamente immerso nella politica, pieno di speranza per la discesa in Italia di Arrigo VII che voleva restaurarvi il potere imperiale. L’impresa era impossibile, ma Dante si infiammò indirizzò una lettera solenne a tutti e’ singoli regi d’Italia e a’ senatori dell’alma cittade, a’ duchi e a’ marchesi e a tutti i popoli, per invitarli a sottomettersi all’Imperatore, ma questi re e senatori non ne avevano nessuna intenzione.
Agli scelleratissimi fiorentini Dante scrisse allora un’altra lettera invocando sulla loro testa morte e distruzione. Ed una terza indirizzò ad Arrigo per sollecitarlo a castigare la città ribelle. Ne invocava la resa incondizionata, il massacro, l’incenerimento, ma Arrigo morì ben presto e tutto sfumò. I fiorentini, che sono da sempre un po' altezzosi, promulgarono un’amnistia ma non perdonarono Dante e diciamocelo che sbaglio fecero, Dante ebbe il duro pane ma Firenze perse per sempre il suo uomo più illustre. Povero assai, trapassò il resto della vita dimorando in vari luoghi per Lombardia e Toscana e per Romagna sotto il sussidio di vari Signori, dice uno dei suoi primi biografi, Leonardo Bruni. E' quasi certo che il primo di questi Signori fu Cangrande della Scala a Verona, non si sa poi con certezza perché accolse l’invito di Guido Novello da Polenta di stabilirsi a Ravenna. La quiete, il silenzio, di Ravenna, la stima e la cordialità con cui si vide accolto da Guido e le lunghe passeggiate nella pineta, forse resero Dante un po' meno arrabbiato. Ogni tanto Guido lo incaricava di qualche missione, ma riservandogli solo quelle più delicate per non distrarlo dalle sue carte. Fu così che una volta lo mandò a Venezia per risolvere una spinosa diatriba che minacciava di sfociare in una guerra tra le due città. S’ignora come Dante se la cavasse. Forse non fece nemmeno in tempo a svolgere il suo compito perché cadde ammalato e, sentendo approssimarsi la fine, affrettò il ritorno. Doveva trattarsi di una forma acuta di malaria perché aveva la febbre altissima e delirava. Quando arrivò a Ravenna era già allo stremo. Non si sa nemmeno se riconoscesse i volti dei figli e degli amici che si avvicendavano al suo capezzale. Spirò nella notte fra il 13 e il 14 settembre del 1321. Il feretro su cui era adagiato il Poeta vestito con un saio francescano fu portato sulle spalle degli uomini più illustri alla Chiesa di San Francesco dove oggi accanto vi è il suo sacello. I contemporanei non si accorsero molto di quella scomparsa: Dante era molto meno conosciuto e ammirato di certi mediocri latinisti come Giovanni del Virgilio; e anche tra i poeti lo si considerava inferiore a un Guinizelli che Bologna aveva laureato ad honorem. La sua grandezza fu scoperta molto più tardi. Il primo a farsene un’idea abbastanza esatta, bisogna riconoscerlo, fu Boccaccio.

giovedì 1 marzo 2018

DANTE 4

 Dante era nell'arte dei medici/speziali perciò, con la sua gran voglia di sapere e conoscere sicuramente si intendeva di medicamenti, erbe, veleni e affari magici, cioè fatture, niente di dispregiativo ai tempi, anzi l'attività era una delle più redditizie. Questo spiega anche il come si manteneva Dante, non come dicono certuni con la dote della moglie, ve lo figurate Dante che si fa mantenere da una donna? A supporto di ciò il triste affare, in cui tentarono d’implicarlo in un processo per magia nera, che indagava sul tentato assassinio di papa Giovanni ventiduesimo. Quelli di Dante erano paragonabili ai nostri anni di piombo, tutti contro tutti, papa Giovanni XXII e la corte avignonese a rappresentare i conservatori, Ubertino da Casale e i francescani i riformisti, Fra Dolcino e i movimenti ereticali in quello dei gruppi armati. L'implicazione di Dante nel contesto di una fattura di magia nera è certamente un dispetto per liberarsi di un personaggio scomodo come Dante che te le cantava in faccia senza paura né ritegno, appunto perchè perché libero e non di alcuna parte, ciò però avvalora la tesi che egli fosse realmente anche uno speziale. Ma torniamo alla biografia di Dante, il quale dice che a mettere fine alla sua vita di bagordi fu un sogno in cui gli apparve la visione di Beatrice. Svegliandosi, giurò a se stesso di dire di lei ciò che nessun uomo aveva detto di nessun’altra donna al mondo, forse fu l'inizio della Commedia. Intanto i ghibellini, dopo la battaglia di Campaldino, erano ridotti all’impotenza. Ora i guelfi, combattevano fra loro, dividendosi in Bianchi e  in Neri , non si sa per quale motivo Dante era un Bianco, visto che la famiglia con cui era imparentato, i Donati, erano Neri. Il conflitto fra loro si trasformò in guerra civile, quando Bonifacio VIII volle annettere la Toscana agli Stati della Chiesa, chiamando Carlo di Valois. Nel 1301 viene mandato in ambasciata (forse a Roma) da papa Bonifacio VIII, ed è probabilmente per questo motivo che non si trova a Firenze quando la fazione, precedentemente perdente, dei Neri prende il controllo della città, guidata dalle truppe di Re Carlo di Valois. Nel 1302 Dante viene, perciò, condannato all'esilio e poi a morte, costretto a non rivedere mai più la sua città.