L’immagine che vedete è una
fotografia, era in mostra a Bologna, è di Salvador Dalì del 1939 e raffigura “The
Dream of Venus” ovvero la Venere che Dalì sogna e vorrebbe. Bendata,
quindi che si fidi ciecamente di lui, vestita di nero con tagli strategici di
vedo non vedo, ma soprattutto una specie di cintura di castità, oppure di pene
rappresentato da un’aragosta. Occorre dire che Dalì aveva una specie di
ossessione per i crostacei, l’aragosta per lui è simbolo di sessualità e di piacere
erotico ma anche di dolore. Dalì aveva ideato anche un telefono che al posto
della cornetta aveva un’aragosta, in anticipo sui tempi, l’artista sembra
profetizzare il nostro oggi, in cui tramite il telefono nascono amori a iosa,
si pensi solo a Facebook o a WhatsAppp, ma si pensi anche al sesso virtuale che
tramite questo mezzo sta dilagando. Dalì diversamente da quella coppia di turisti
tedeschi che comprano in un ristorante della Costa Smeralda 500 euro di
aragoste per sottrarle dalla cucina e le gettano in mare per salvarle, l’artista
le aragoste e i crostacei se li pappava con molto gusto. Dalì dedicò a sua
moglie e musa Gala, il libro “Les dîners de Gala”, pubblicato nel 1971 in sole
400 copie, ricco di 136 ricette tra cui non mancano i piatti dell’aragosta. Se
ci pensiamo il cibo lo introduciamo in noi e non solo il fisico ma anche la
psiche è legata a quello che mangiamo, pensiamo solo ai problemi di anoressia o
di bulimia, ma anche ai piccoli guai legati al cibo in eccesso o al cibo sbagliato
che crea invece grossi impicci, siamo quello che mangiamo non è un ovvio modo
di dire, e ricordatevi sempre che nell’ovvietà si cela l’arcano e gli artisti
lo sanno. Non solo Dalì si interessava di cibo, anche Filippo Tommaso Marinetti
scrisse il “Manuale di cucina futurista”, eppoi pensate ai banchetti sontuosi
del Medioevo e del rinascimento o alle migliaia d opere d’arte che
rappresentano nature morte, che non sono altro che cibo. Per tornare all’aragosta
di Dalì, essa ha ispirato perfino l’alta moda. Dalì insieme a Elsa Schiapparelli, designer italiana
hanno realizzato un vestito in seta bianca con la stampa di aragosta e
ciuffetti di prezzemolo, nel 1937. Il vestito diventò famoso quando fu
indossato da Wallis Simpson, duchessa di Windsor, prima del suo matrimonio.
venerdì 24 agosto 2018
venerdì 17 agosto 2018
Salvador Dalì 4
L’immagine dell’Elefante
appare per la prima volta nei quadri di Dalí nel 1941,
nel dipinto Sogno Causato dal Volo di un’Ape, per poi
incarnarsi come simbolo nel famoso dipinto dell’artista del 1946, La
Tentazione di Sant’Antonio che
vedete nell’immagine. Nel deserto appare piccolo e indifeso e nudo Sant’Antonio
che si difende alzando una croce, da un cavallo imbizzarrito e da una teoria di
elefanti che stanno trasportando le tentazioni. Il cavallo è associato alla
pazzia, mentre le tentazioni sono raffigurate simbolicamente, con la donna
lussuriosa, la piramide, il palazzo, la torre tutto ciò che riguarda i sensi
sia erotici che quelli legati alla ricchezza e al potere. Gli elefanti di Dalí hanno zampe lunghe
e sottili, che accentuano il contrasto tra la robustezza e la
fragilità, gli elefanti in tacchi a spillo, gli elefanti leggeri che si muovono
come ballerine con le gambe lunghe come quelle degli insetti. All’età di cinque
anni Dalí vide un insetto mentre veniva divorato dalle formiche, del quale non
rimase nulla, eccetto il guscio. Le formiche nei dipinti e nelle sculture di
Dalí fanno riferimento alla morte e al declino, ricordano la mortalità
dell’essere umano, rappresentano anche il desiderio sessuale. Forse allora
Dalì vuole accentuare quanto peso delle passioni sia deleterio, forse vuole
rendere paradossalmente ancora più pesanti gli elefanti ma a me non fanno quest’effetto.
Questi elefanti leggeri mi intrigano perché Dalì usa le basi della pittura, per
dare rilievo per dipingere qualsiasi cosa si gioca col contrasto del
chiaro/scuro ebbene con gli elefanti Dalì gioca sui contrasti, alla pesantezza
degli elefanti oppone un’inusuale loro essere lievi, dotandoli di lunghe e
filamentose zampette facendoli diventare degli insettoni, creando dei nuovi animali che ci paiono assai
indovinati. Questo dipinto è realistico anche se irrealistico, dipinto con
eccellente tecnica, ma è l’idea nuova che ci cattura… quella degli elefanti
ballerini.
sabato 11 agosto 2018
SALVADOR DALI' 3
La persistenza
della memoria o Gli orologi molli di Salvador Dalí uno dei quadri più famosi, di cui mi
innamorai tanti anni fa, non conoscendo né l’arte, né Dalì, ma avendone captato
il rapporto difficile per me col tempo e col cibo. Diceva Dalì “non so cosa
faccio, so quello che mangio” forse riprendendolo dal filosofo Ludwig
Feuerbach o dagli antichi romani. In effetti mangiamo e assimiliamo
il cibo, senza cibo non abbiamo vita, logico che ciò che mangiamo è vita per
noi e forse l’infelicità dei tempi nostri è dovuta anche all’invenzione delle
diete dimagranti e al tempo che fugge sempre più veloce dalle nostre mani. Forse
Dalì che ha capito dove sta andando l’umanità ci dice… rendi molle e dilatato
il tempo, stai tanto a tavola ma gusta ogni secondo, non rimpinzarti gusta col
palato ciò che ami, lentamente e senza sensi di colpa.
Il cibo che più di tutti ha stimolato la fantasia gastronomica di Dalì, oltre alle uova, è senz’altro il formaggio Camembert, che ha ispirato questo famosissimo quadro. Questi tre orologi che si stanno liquefando nel paesaggio marittimo, uno è stesso su un ramo di ulivo ormai secco quasi come a dargli un po' di vita. L'ulivo, l'olio, il mondo mediterraneo e il suo muoversi col sole, ormai tutto è andato e l'orologio definisce non più il giorno o la notte, ma le ore, addirittura i secondi. Il tempo dilatato degli orologi molli invece si scioglie con dolcezza. Il quarto orologio rigido e normale è pieno di laboriose formiche, gli operai alienati dalle macchine, disadattati, senza più lo scandire lento del suono delle campane del mondo agricolo. Dalì racconta … E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all’ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com’è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato”. (Salvador Dalì, La mia vita segreta, 1942)
Il cibo che più di tutti ha stimolato la fantasia gastronomica di Dalì, oltre alle uova, è senz’altro il formaggio Camembert, che ha ispirato questo famosissimo quadro. Questi tre orologi che si stanno liquefando nel paesaggio marittimo, uno è stesso su un ramo di ulivo ormai secco quasi come a dargli un po' di vita. L'ulivo, l'olio, il mondo mediterraneo e il suo muoversi col sole, ormai tutto è andato e l'orologio definisce non più il giorno o la notte, ma le ore, addirittura i secondi. Il tempo dilatato degli orologi molli invece si scioglie con dolcezza. Il quarto orologio rigido e normale è pieno di laboriose formiche, gli operai alienati dalle macchine, disadattati, senza più lo scandire lento del suono delle campane del mondo agricolo. Dalì racconta … E il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni amici e invece, all’ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala, però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare subito a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a tavola, a meditare sul problema filosofico dell’ipermollezza posto da quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com’è mia abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie. Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per spegnere la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due orologi molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo dell’ulivo. Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi, preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe diventato uno dei più famosi, era terminato”. (Salvador Dalì, La mia vita segreta, 1942)
lunedì 6 agosto 2018
SALVADOR DALI' 2
Non starò a soffermarmi sui dati tecnici, che sono sempre
assai importanti, ma sull’idea di fare di un volto un appartamento (1934/35). Salvador
Dalí ha fatto questo lavoro, di cui vedete le immagini, su una foto di giornale
dell’attrice Mae West, un’icona degli anni ’20 per poi realizzare realmente la
stanza (1947) che io ho visto riproposta alla mostra di Palazzo Albergati a
Bologna. Per Salvador Dalí, Mae ha rappresentato un modello femminile di
bellezza, di cui senz’altro Dalì ne apprezzava anche l’ironia, l’attrice era
famosa per le sue ironiche battute… hai
una pistola in tasca o ti stai eccitando vedendomi? Usando il suo
metodo paranoico-critico, Salvador Dalí crea una scena realistica dalla
fotografia dell’attrice. Adesso la paranoia è fatta di pensieri distorti e
sbagliati non voluti, meglio sarebbe
dire che Dalì immagina e poi realizza sogni, perché questo è un sogno non un
incubo. I tratti del viso di Mae diventano
mobili e motivi ornamentali, gli occhi sono le finestre sono delle immagini e
infatti gli occhi fotografano ciò che vediamo, il naso diventa un camino ed
infatti ha le canne pelosette e quindi scure come un camino.
I capelli di Mae diventano tende e la nostra capigliatura è il nostro velo, che
incornicia il volto. Le labbra di Mae diventano quel divano rosso che è
diventato un’icona del design, come poteva non essere? Le labbra sono morbide e
cuscinose, invitanti e carnose e i baci rilassano quindi è azzeccata l’idea di
un sofà. Ecco che la magia di Dalì è svelata… quanta fantasia, quanta
intelligenza, quanta conoscenza? Tanto di tutto ciò. E’ per questo che il
ritratto a collage o la stanza attraggono e piacciono, c’è fantasia, c’è gioco,
ma sotto sotto c’è tanta analogia, tanta similitudine… alla fine questa Mae
West/appartamento non è altro che una fiaba realizzata.
mercoledì 1 agosto 2018
SALVADOR DALI' 1
Lo spagnolo Salvador Dalí (1904-1989) è considerato
uno dei più importanti artisti del XX secolo, ed uno degli esponenti di punta
del Surrealismo, fu un po’ il Leonardo del Novecento in quanto è stato anche
scultore, scrittore, fotografo, cineasta, designer e sceneggiatore… sino ad
ideare il logo del Chupa Chupa i famosi lecca lecca. Il Surrealismo è il movimento artistico e letterario
d’avanguardia, nato dopo la Prima Guerra Mondiale che afferma l’importanza
dell’inconscio nel processo di creazione, in contrapposizione al dominio
della ragione. Dalì dai baffi lunghi e sottili, ispirati a quelli del maestro del
Seicento spagnolo Diego Velázquez, abiti di velluto dai colori sgargianti con
ricami in oro, certo ha fatto di tutto per mostrarsi irrazionale quasi in preda alla pazzia, anche
se in effetti il suo sembra un gioco assai razionale a tal punto razionale da
sembrare una grande operazione di marketing che gli costa la contestazione da
parte degli altri artisti surrealisti. Dopo la seconda guerra mondiale Dalì si
sposta a New York dove è accolto come un genio. Allora New York era veramente
all’avanguardia e aveva riconosciuto in Dalì quello che sarebbe stata la
pubblicità, che Dalì in anticipo sui tempi aveva profetizzato cosa sarebbe
accaduto. Strana la nascita di Dalì. Chiamato Salvador come il fratello morto
nove mesi prima che lui nascesse, i genitori, come Dalì stesso, crederanno che
lui fosse la reincarnazione del fratello. Dalì iniziò a fare arte giovanissimo,
si iscrisse all’ Accademia di Belle
Arti di Madrid ma fu cacciato nel 1926 perché si rifiutò di dare
l’esame finale dichiarando che nessuno dei membri della commissione era
abbastanza competente per giudicarlo… forse non aveva studiato ma la genialità
del gesto rimane e certo anche un fondo di verità perché l’artista Dalì era un
outsider. A Parigi incontra Picasso che ammira e collabora col il regista Luis Buñuel con cui realizza il famoso cortometraggio surrealista… Un chien
andalou. In questo
periodo conosce Gala di undici anni più
grande di lui ed ex moglie dell’amico poeta Paul Éluard. La sposerà nel 1934. Dalí
si lega moltissimo a Gala sia sentimentalmente che professionalmente. Come
nelle coppie più affiatate che quando uno dei due si spegne l’altro lo segue
poco dopo, così nel 1982 con la morte
dell’amata Gala, nel 1984 muore per un attacco cardiaco Salvador Dalì.
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