martedì 21 marzo 2023
lunedì 20 marzo 2023
Il volo del gruccione
Capitolo 26
Le toccava andare nel
bosco, il gruccione era morto per portarle il messaggio
Lyuba stava
girando su e giù nella zona delle Bassette ma la via degli Zingari non riusciva
a trovarla neanche con l’aiuto del cellulare, per fortuna che non si era messa
in cerca ieri sera col buio.
Il gruccione
stava nello scatolone sul sedile dell’auto e lei ogni tanto occhieggiava per
vedere cosa faceva, non si muoveva di un millimetro.
Finalmente
trovò la strada, era una specie di carraia polverosa, andando avanti diventava poco
più di un sentiero fra sterpaglie e canneti, in poche centinaia di metri era
passata da una zona commerciale e industriale in una specie di bosco.
Stava quasi
per tornare indietro quando arrivò davanti ad una casa con un grande recinto:
era il Centro di recupero… era arrivata.
Scese
dall’auto, vide una grande casa chiamata Cà Ponticelle, un gran recinto con un
mucchio di volatili e animali e sul fondo un paio di uomini che lavoravano con
uno escavatore e che le fecero da lontano una specie di saluto, ma Lyuba non
ricambiò il saluto, come in trance proseguì dritto davanti a lei.
Una strana
forza l’attraeva verso il bosco, sentiva il gorgoglio dell’acqua, si avviò col
gruccione nella scatola verso il sentiero che conduceva nella boscaglia, mentre
pensieri come saette veloci, le arrivavano nella mente, un coacervo di rimandi,
di cavalieri e di pellegrini che entrano nella foresta e hanno tante avventure,
Dante che entra nella selva, Ernst Junker e il ribelle, Der Waldgang, colui che passa al bosco, il proscritto, il bandito,
l’eremita, l’esule, lo zingaro, lo scout, il partigiano ecc., colui che
abbandona il mondo nichilista e materialistico dominato dalle macchine per
ritrovare la propria libertà e spiritualità. Junker nel Trattato del Ribelle
scrive incisivo, quasi che al posto di un pennino avesse uno stiletto: “Ogni tirannia ha bisogno di giustificarsi.
Per questa ragione organizza false elezioni democratiche dove è utile che vi
siano anche alcuni voti contrari, veri. Possibilmente non più del 2%. Questi
coraggiosi che osano sfidare il regime nelle urne, nonostante il rischio di
venir scoperti con trucchi diretti (spie nel seggio) o indiretti (schede
numerate con macchine da scrivere senza nastro), sono comunque utili alla
dittatura che, se avesse il 100% dei consensi, non potrebbe più fingere di
credere nella democrazia”. Junker scartavetrando le false sicurezze identificava
due figure: l’Operaio e il Milite Ignoto, il primo figlio della devastazione tecnica e meccanica (già ne
parlava Chaplin nei suoi film) il secondo figlio delle guerre, dei massacri, dei
regimi. Il primo è il simbolo della padronanza e del predominio dell’uomo sulla
tecnica mentre il secondo rappresenta le gloriose vite sacrificate in nome
della democrazia.
A queste due
si viene ad affiancare la figura del Ribelle, colui che passa al bosco, Lyuba non
aveva proprio voglia di fare la ribelle, eppure ormai sapeva che il gruccione
le era stato inviato come messaggero… cosa avrebbe fatto Lyuba?
Avrebbe
continuato le ricerche?
Avrebbe
lasciato le sue sicurezze, il suo essere arrivata per darsi alla macchia?
“Signora, ma
dove va? Torni indietro, là non c’è niente, l’entrata è qua”.
Un uomo
vestito di pantaloni color kaki e una felpa verde militare, la stava
rincorrendo, era sicuramente un operatore del Centro avifauna, Lyuba tornò
indietro velocemente con la sua scatola che diede all’uomo.
“Non sapevo
di questo bosco, sembra una bella passeggiata, ha il sentiero segnalato,
comunque ecco qua il gruccione. Si salverà?”
“Ci proviamo,
sembra che abbia i sintomi di un avvelenamento”.
“La prego, mi
faccia sapere qualcosa, sia che si salvi, sia che non ce la faccia”.
Dopo i
convenevoli di rito e i saluti Lyuba risalì in auto, riservandosi di tornare
con più calma.
Passarono una
ventina di giorni, ma nessuno la chiamò e quando si decise lei a telefonare, le
risposero che il gruccione era morto per emorragia interna, che anche se
dall’esterno non si vedeva certamente aveva preso un colpo mortale, forse da un’auto,
chissà.
Lyuba decise
che era venuto il momento del suo Der
Waldgang, cioè di andare nel bosco, le toccava il gruccione era morto per
portarle il messaggio.
Nei giorni
che erano passati Lyuba non era stata con le mani in mano, ma si era recata in biblioteca e si era procurata dei libri che trattavano degli zingari, in
particolare sul loro olocausto, dato che la via del Centro salva uccelli era intitolata agli Zingari caduti nei lager.
Era rimasta
giorni e giorni fra le scartoffie, cercando di trovare un senso dove non era possibile
trovarlo, con la testa piena di dati che si contraddicevano, decise di
chiudere, con le sciocchezze che aveva macinato sino ad ora, ritenendo che
stabilire la provenienza iniziale degli zingari fosse qualcosa che in fondo non
aveva importanza.
Gli zingari
erano nomadi come lo erano stati un tempo antico tutti gli uomini prima di
diventare stanziali, forse mantenevano usanze che avevano mutuato nei vari
paesi dove si erano spostati lungo i millenni e non aveva intenzione di
chiedersi il perché fossero considerati maledetti.
Lyuba si
sentiva triste, non sapeva il perché, si sentiva triste e basta.
Aveva creduto
veramente a qualcosa di oltre al mondo fisico, di particolari messaggi che lei
era in grado di decifrare, si era fatta uno di quei viaggi visionari descritti,
nei romanzi che parlano di templari, di graal, di merovingi, di sangue reale,
ma ora vedeva tutto ciò come etichette di corte, con la stessa funzione del
marchio nei vestiti o negli accessori, per cui un borsa di plastica poteva
costare dai 10 euro ai 3000 euro, etichette per legittimare il potere, che
servivano anche a creargli intorno un po’ di magia, ben più utile sarebbe
liberarsi di queste simbologie/archetipo, ricomparse in modo massiccio tramite la
pubblicità.
-Cielo,
quando andavo a scuola, guai se i professori mi trovavano a leggere l’oroscopo
e ora, la prima cosa che mi chiedono non è manco il nome ma il segno zodiacale- disse fra sé Lyuba, tristemente si rendeva
conto che lei era caduta completamente nella superstizione, altro che magia, per capire e modificare la realtà, non
era maturata per niente, altro che arrivata era incontentabile non le bastava
la realtà; come quando da bambina forò il pallone e la mamma gliene comprò un
altro, ma la piccola Lyuba piangeva perché pensava che se non avesse forato il
primo ora ne avrebbe avuti due o forse già intuiva che anche le cose seriali a
volte non sono mai le stesse, cambiano col momento che stai vivendo, che è
sempre diverso, così uno spremiagrumi un giorno ti può apparire utilissimo e
sorseggi con gioia il succo d’arancia e un’altra volta antipatico e complicato
perché ti spruzza le piastrelle della cucina e non hai voglia per niente di
pulirle.
I giorni
passavano e si sentiva sempre più depressa, tutta la sua ricerca era priva di
contenuto, semplicemente si era imbattuta in un volatile ferito, lo aveva
soccorso e con la sua fantasia aveva creato un castello fantastico, restava il
fatto che il gruccione non lo aveva salvato, tutto era stato inutile come i
suoi trastulli mentali… la realtà era tangibile, tutto il resto follia.
venerdì 10 marzo 2023
Il volo del gruccione
Capitolo 25
Il tè della morte, il
tè della vita, il tè dell'amore
Si alzò, andò
in bagno e dopo i soliti preliminari, si vestì e truccò gli occhi di blu, Lyuba
non usciva mai senza disegnare il contorno dei suoi occhi verdi con una matita
blu, poi schiacciò il tasto dello sciacquone e accipicchia il pulsante si era
rotto… grrr, grrr, grrr.
Lyuba,
fremeva di rabbia le piccole cose la indisponevano in maniera assurdamente
esagerata, cercò di calmarsi, di non pensarci, anche se non sopportava le cose rotte, lei aveva sempre a portata di
mano l’attak e con questa colla provava ad incollare ogni tipo di materiale, a
volte l’impresa era ok, a volte non era ok e allora si sentiva una scema ritrovandosi
con un nulla di fatto e con le dita impiastricciate e incollate fra di
loro.
Telefonò
all’idraulico, sarebbe venuto a mezzogiorno, nella pausa lavoro, Lyuba
risollevata pensò bene di farsi un tè e poi avrebbe portato via il gruccione.
Mentre stava
sorseggiando il tè allo zenzero e limone, un flash improvviso le rammentò Sidi
Bou Said e i bicchierini di tè alla menta coi pinoli dentro.
Un tempo a
Lyuba non piaceva il tè, aveva cominciato a berlo, dopo essere stata in
Tunisia.
Sidi Bou Said
è un incantevole paese della Tunisia, arroccato sul mare, un paese luminoso in
quanto assai soleggiato ma anche perché tutte le case sono imbiancate a calce, riflettendo
così e amplificando la luce solare; mentre, le porte e le finestre per lo più
dipinte di celeste/blu, sono armoniosamente decorate a filigrana, simili, ma ognuna
con il proprio stile, riflettevano il colore del mare.
Qui la luce e
il mare sono padroni e qui in questo angolo meraviglioso si respira aria
d’Europa, e fanno un tè delizioso, Lyuba ricordava che durante la sua vacanza
svuotava bicchierini su bicchierini, tanto le piaceva e tanto voleva essere
fortunata… a Sidi Bou Said la cerimonia del tè
nel deserto era anche un rito di buona fortuna, consuetudine mutuata dai
berberi.
Per i tuareg
la cerimonia del tè, conosciuta anche come il tè nel deserto, è un’usanza
religiosa che si condivide con chi si incontra per augurargli buona fortuna, un
punto d’incontro, poi ognuno va lungo la sua strada.
La cerimonia
comincia con la preparazione della bevanda, tutto deve essere a modo e
percepito come intenso rituale, per esempio il fischio della teiera è visto
come un simbolo gioioso di arrivo e paragonato al proprio battito cardiaco.
Il tè viene
preparato tre volte, ogni volta seguendo una ricetta e una preparazione diversa:
la prima variante, piena di tè amaro e forte, è conosciuta come il tè della morte; la seconda variante è
composta da tè più dolce ma dal retrogusto amaro, ed è chiamata tè della vita ed infine la terza
variante è preparata con tè molto dolce, dal gusto intenso e inebriante, il tè dell'amore.
Il tè nel deserto è anche un film e un
libro molto famoso, ma Lyuba non si trovava per niente d’accordo con la trama e
il suo intendimento, non si trovava d’accordo con chi non essendo religioso non
capiva neanche la religione degli altri, mutuando un qualcosa che era solo un
doppio, un qualcosa di degenerato e di imbastardito, che ha perso le qualità e
il senso della iniziale tradizione e diviene così vizioso
Paul Bowles,
l’autore del Il tè nel deserto,
faceva parte della cosiddetta comunità degli espatriati occidentali che si
muoveva tra Tangeri e Casablanca, come Truman Capote, Tennessee Williams, Gore
Vidal, Brion Gysin e molti protagonisti della Beat Generation come Allen
Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso, Jack Kerouac, Peter Orlovsky.
Un gruppo di
persone di cultura, disgustato dai valori americani, nemico del complesso
militare-industriale-imperialista e nemico delle religioni istituite,
appassionato di viaggi, attorno al modo ma soprattutto di viaggi interni,
usando droghe a go-go e poi successivamente interessato al buddismo e alle
tecniche di meditazione orientale.
Questo gruppo
dedito all’introspezione e dedito all’yoga e al buddismo, durante il soggiorno
in Marocco e Tunisia non si interessò ai valori dell’islam, alla frequentazione
di moschee, preferì divertirsi coi vizi, piagnucolando poi sull’insulsaggine
della vita e infarcendo i loro libri, seppur molto belli, di non speranza.
Tangeri o
Tunisi o Sidi Bou Said erano per loro una specie di terra di nessuno dove le
autorità non erano troppo esigenti e le prestazioni dei bei giovani dalla pelle
abbronzata, molto a buon mercato, specie per chi pagava in dollari.
Bowles, come
molti non-musulmani in Occidente, tra cui parecchi eruditi, percepisce la vita
delle popolazioni mediorientali, come soggiogata dal fatalismo religioso, dove
il credente è completamente privo del
libero arbitrio e quindi incapace di cambiare ciò che Dio ha stabilito. Quando è solo destino, la vita non è altro che
un disperato gioco già perso in partenza, anche se la fede nella compassione di
Allah prevede la salvezza per chi si sforza di comportarsi bene.
Bowles non
riusciva a capire la facilità con cui i ragazzi magrebini si prestavano ad avere
rapporti omosessuali con uno straniero, accettandone i soldi e le loro abitudini
viziose, come l’alcool e le droghe, mantenendo la loro di fede di musulmani
osservanti, li considerava degli immorali e degli ipocriti perché consideravano
i cristiani solo da sfruttare, facendosi pagare le loro marchette e facendogli
pagare un’extra per ogni tè che bevevano.
Bowles, non
capiva che lui portava a loro, il mito dello straniero ricco e arrogante, dai
molti vizi, il ricco che in quanto erudito aveva capito tutto della vita, il
ricco che comunque aveva disprezzo di loro, e allora che facevano? Quello che ci
si aspettava da loro, ma avendo fede, non si buttavano nel pozzo vuoto della
disperazione di chi aveva tutto e piagnucolava, ma si dicevano che prima o poi avrebbero
smesso, liberandosi dalle lucciole dello straniero, essendo certi che Allah avrebbe
perdonato.
Bowles e gli
altri invece erano arroganti, si credevano umili, ma non lo erano, perché se
avessero avuto vero amore dentro a loro stessi avrebbero intuito che la
salvezza c’è: è lo sforzarsi di fare bene, se si cade pazienza, ma il non fare
niente, l’accidioso presuntuoso che crede di aver capito tutto e non si sforza
di comportarsi bene cosa fa, se non credere che tutto è destino e non conti
niente fare qualcosa?
Lyuba finì di
sorseggiare il tè allo zenzero e limone e un ulteriore ricordo illuminò la sua
mente… durante il suo viaggio in Tunisia, su uno dei fili del telefono, mentre
si trovava a Kelibia, antica città sul mare prima fenicia, poi punica, romana e
bizantina, aveva visto un uccello verde e blu, colorato come un pappagallo, che
l’aveva tanto colpita, ora sapeva che era un gruccione.
Bee-eater
ovvero mangia-api, così è chiamato il gruccione in inglese, ha due rotte
principali di migrazione: quelli che nidificano, in primavera, nel Sud Ovest dell’Europa,
in autunno passano dallo stretto di Gibilterra, attraversano il Sahara e si
dirigono verso l’Ovest dell’Africa. Invece i Gruccioni che nidificano nell’Est
dell’Europa si dirigono, in autunno, verso l’Africa passando per Israele,
chissà poi perché si chiede Lyuba, mah!
Comunque i
gruccioni che arrivavano sulle coste della Tunisia avevano le guance blu, Lyuba
corse dal suo gruccione, era ora di portarlo al Centro avifauna e constatò che
aveva le gote blu.
venerdì 3 marzo 2023
mercoledì 1 marzo 2023
Il volo del gruccione
Capitolo 24
E poi gorgheggiando
la laringe si modificò
Per Lyuba, l’attrazione
per il nascosto e il misterioso era talora sopita e sonnecchiante, altre volte
accadeva un minimo evento, come il ritrovamento del gruccione, per partire per
la tangenziale del complotto onirico, un’avventura di sogni e pensieri, che poi
diventavano quasi reali con la possibilità dell’esistenza di un intrigo
internazionale, una cospirazione vecchia di millenni, una catena di eventi sia
politici, sociali che naturali, guidati da un gruppo di persone di stirpe nobile
o illuminate o unte o predestinate che interloquivano fra loro con il linguaggio
dei simboli e l’uso della magia, a volte
uniti, talvolta in contrasto, alternandosi alla guida del mondo e delle genti,
secondo il loro pensiero filosofico, morale e sociale. Così Lyuba, riusciva a
mettere in atto un calderone con tante di quelle cose dentro che non trovava
più il bandolo della matassa nemmeno lei stessa; ma ormai era dentro alla
ricerca e doveva seguire l’arcobaleno, iniziato col volatile, poi là dove
finiva, come racconta la leggenda, avrebbe trovato la pentola piena d’oro, ma
per ora era in alto mare e il porto sembrava irraggiungibile.
Di questo suo
interesse al non visibile, Lyuba ne aveva un certo timore, aveva così lasciato
alle spalle la pericolosa decifrazione della scacchiera politica, in quanto
dopo la pubblicazione delle sue ricerche, non ne era certa, in quanto è
difficile comprendere il nascosto, ma in quel frangente si era sentita come
teleguidata, qualcun altro pensava al suo posto, si era salvata perché aveva un
attaccamento alla famiglia e alla religione inviolabili. Vero, non vero, le
ricerche oniriche sugli eventi politici ed economici li aveva lasciati perdere perché,
anche senza la teoria del complotto, pasticciona com’era poteva incamminarsi
non volendo in simboli pericolosi ed evocare la magia nera, non era
un’eventualità remota in quanto il districarsi tra i simboli orientali e
occidentali che col tempo si sono sovrapposti, travisati, mal tradotti e
falsificati, era complicatissimo se non impossibile, poteva prendere lucciole
per lanterne e ottenere il contrario di ciò che auspicava; comunque lei era
mossa solo al bene, all’amore universale, alla pura conoscenza con l’animo
della bambina curiosa e credulona.
Il filosofo
romano Cicerone riteneva la superstizione una specie di sopravvivenza, pensava
al superstizioso come colui che stancava talmente gli dei con offerte e preghiere,
che alla fine era accontentato per sfinimento e così il superstizioso diventava
il superstite.
Detto ciò, in
merito al gruccione ritrovato, Lyuba doveva indagare seriamente e smetterla di
andare dalle amigdale, alle costellazioni e ai miti più strani che tanto non
sarebbe mai riuscita a sbrogliare il tutto, meglio per lei focalizzarsi solo
sul gruccione.
In tutte le
culture gli uccelli, con tutte le loro parti, le penne, le ali, il canto e l’uovo,
vengono percepiti come la manifestazione dell’invisibile, i volatili vengono
visti allegoricamente come messaggeri celesti, come fossero degli angeli che
vogliono comunicare qualcosa.
Doppiamente
doveva indagare perché ultimamente aveva a che fare con elementi che secondo
certe teorie testimoniavano il contatto con gli angeli, così trovava piume
nelle zone più disparate, le arrivavano ondate di profumi inebrianti e allo
stesso tempo leggeri e delicati, il suo sguardo si posava spesso sulle farfalle
e spesso si incantava al cinguettio dei passeri, perdeva cose che poi ritrovava
dove aveva cercato, tornava a casa e trovava le luci accese mentre era sicura
di averle spente, non aveva mai amato le nuvole e ora si ritrovava ad osservare
in loro forme di stelle, croci, frecce e
pesci e cuori, tanti cuori e tante stelle; se aveva scritto sulla stella
argeade, di cui non conosceva l’esistenza, era perché l’aveva vista formata in
cielo tra le nuvole, aveva cercato in Internet tra le immagini delle stelle e
aveva trovato Il Sole di Verghina.
Trovava
monete nei luoghi più impensabili, aveva persino trovato 5 euro nell’acqua del
mare mentre vi passeggiava con le gambe a mollo!
E poi,
inavvertitamente si infilava abiti e mutande a rovescio, con le cuciture in
evidenza, addirittura era arrivata al mare col bikini a rovescio e se n’era
accorta solo quando si era stesa sul telo da mare.
E poi, e poi,
certe volte all’improvviso le si svuotava la testa, tutto girava e sembrava che
qualcuno volesse entrare dentro di lei, questi secondo certe teorie sono tutti
segnali di contatto con gli angeli.
A volte se
non si vuole svelare la fonte di una qualche notizia si dice scherzosamente me
l’ha detto un uccellino. Una frase certo non vera ma nei detti popolari a volte
si trovano verità o comunque un rimasuglio di una credenza antica.
Esiste una
lingua degli uccelli?
Forse sì,
forse no.
Questa credenza
probabilmente proviene da tempi arcaici, forse l’uomo della pietra ascoltando
il suono melodioso degli uccelli e vedendoli saettare nel cielo, pensò che fossero
esseri magici, forse imitò i loro gorgheggi e come noi impariamo una nuova
lingua, il nostro progenitore imparò a comunicare con loro e poi gorgheggiando
la laringe si modificò e fu così possibile iniziare a parlare con le prime
parole che so, mamà, dadà o bubù.
Comunque sono
veramente tanti i religiosi e gli artisti che hanno parlato di questo linguaggio
magico.
Per esempio i
sufi, i monaci spirituali dell’Islam; Salomone la cui saggezza era dovuta al
fatto che capiva il linguaggio degli uccelli; San
Francesco che predicava agli uccelli.
Poi ci sono
le leggende sui Santi, come San Benedetto che dava da mangiare a un corvo che
obbediva ai suoi comandi o San Paolo eremita che ritiratosi nel deserto in una
solitaria grotta, aveva la compagnia di un corvo che all’ora del pasto gli
portava il pane e il profeta Elia che fu sfamato da un altro corvo.
Nella magia e
nell’alchimia, la lingua degli uccelli era considerata un qualcosa di perfetto,
era anche un linguaggio segreto usato dai trovatori, collegato ai tarocchi; vi
sarebbe pure una corporazione talmente segreta da non esistere: la Società
Angelica, chiamata anche la Nebbia,
formata da letterati e artisti che usavano un codice cifrato chiamato lingua
degli uccelli, soliti ritrovarsi al cabaret del Gatto Nero a Montmartre… bè
erano pure spiritosi, il gatto ama acchiappare i volatili e prima di ucciderli
sadicamente ci gioca.
Nelle favole
spesso si trova l’eroe che dialoga coi volatili, come pure nell’opera lirica
del Flauto Magico di Mozart e poi c’è l’opera teatrale Gli uccelli di Aristofane e chissà quanto altro ancora…anche Gli uccelli, il film del 1963 diretto da
Alfred Hitchcock ha qualcosa a che fare col mistero dei pennuti.
Se poi
andiamo al mondo pagano, troviamo gli àuguri, i sacerdoti che si occupavano di
trarre previsioni, dal volo e dal canto degli uccelli oltre che attraverso i
tuoni, i lampi, le eclissi, le comete e altro ancora.
Gli etruschi,
poi mutuati dai romani, furono maestri di questa arte divinatoria, tanto che
era detta etrusca disciplina.
L’àugure era
il sacerdote che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi
osservando il volo degli uccelli, a partire dalla loro tipologia, dalla
direzione del loro volo, dal fatto che volassero da soli o in gruppo e dal tipo
di versi che emettevano; da questi elementi il sacerdote traeva gli auspicia (che
significa osservare gli uccelli) per capire se gli dèi approvavano o meno l’agire
umano sia nell’ambito pubblico che in quello privato, sia in pace che in
guerra.
L’àugure come
insegna, aveva un bastone ricurvo: il lituo, simile al pastorale della Chiesa
cattolica, l’osservazione avveniva al centro di un recinto tenendo conto delle
porzioni di cielo da cui provenivano i pennuti tramite cippi astronomici.
La loro
attività era a vita ed erano molto venerati, al punto che per chi li offendeva
era prevista la pena di morte.
In guerra,
dato che erano necessari segni di rapida consultazione, non si poteva quindi
aspettare che arrivassero volatili dal cielo ci si serviva dei polli sacri,
erano chiamati Auspicia Pullaris. Se i polli mangiavano, l’auspicio era
favorevole, se poi mangiavano molto avidamente facendo ricadere a terra briciole
di cibo la previsione era ottima, se mangiavano poco il segnale era infausto.
A questo
proposito Lyuba ricordava che la bisnonna quando sparpagliava sull’aia il
becchime alle galline, e Lyuba le chiedeva di farlo lei, la bisnonna rispondeva
che non era possibile, in quanto dare da mangiare ai polli era una cosa molto
particolare che se non si faceva bene, poi i polli non avrebbero mangiato e
magari il giorno dopo ci sarebbe stato un temporale o un altro contrattempo.
Lyuba doveva
chiedere scusa anche ad Onorio, fratello di Galla Placidia, che fu imperatore alla
fine del IV secolo, quando la capitale dell’impero era Ravenna, perché aveva
sempre ridacchiato sull’ aneddoto raccontato dallo storico bizantino Procopio
di Cesarea, eppure sapeva che questo Procopio era una malalingua e un
pettegolo, basti leggere cosa ha scritto su Teodora.
La storiella
racconta che all’imperatore Onorio un eunuco, annunziò che Roma era perita.
Onorio esclamo: “Ma come! Se ha appena mangiato dalle mie mani!” L’imperatore
aveva un gallo di dimensioni enormi, a cui aveva dato il nome di Roma.
L’eunuco, comprendendo l’equivoco, disse che Roma, la città, era perita per
mano di Alarico. Onorio con un sospiro di sollievo, rispose: “Temevo che il mio
pollo Roma fosse morto!”.
Tanta, infatti
tramandano, fosse l’inettitudine dell'imperatore.
Ora alla luce
di quello che aveva scoperto, poteva pensare che Onorio si dedicasse agli
Auspicia Pullaris e che avendo visto il suo gallo Roma mangiare avidamente aver
creduto ad un responso assai favorevole e fosse rimasto allibito dall’esito
reale nefasto…quindi Procopio può essere accusato di blasfemia.
A questo
punto Lyuba poteva cercare di decifrare il messaggio angelico sul ritrovamento del gruccione e su ciò che stava
accadendo nella sua vita.
Il gruccione
era stato ritrovato alla sua destra, quindi il probabile evento era giusto e
corretto, il suo piumaggio era per lo più verde, indicando quindi un sacco di
cose belle… amore, emozioni, relazioni, armonia, unità, compassione, perdono,
guarigione, benessere.
Un pensiero
improvvisò l’allarmò e se il gruccione non si salvava?
Che vorrà
dire?
Forse
qualcosa riguardo al mio percorso di castità, infatti il gallo è colorato e
vivace ma se lo castrano diventa un cappone e il suo piumaggio diventa bianco…
bastaaa quante corbellerie, adesso mi alzo e porto il gruccione al Centro di
recupero, disse a se stessa Lyuba stiracchiandosi.