lunedì 20 marzo 2023

Intervista a Paola Tassinari

  

Il volo del gruccione

Capitolo 26

Le toccava andare nel bosco, il gruccione era morto per portarle il messaggio

 

 

Lyuba stava girando su e giù nella zona delle Bassette ma la via degli Zingari non riusciva a trovarla neanche con l’aiuto del cellulare, per fortuna che non si era messa in cerca ieri sera col buio.

Il gruccione stava nello scatolone sul sedile dell’auto e lei ogni tanto occhieggiava per vedere cosa faceva, non si muoveva di un millimetro.

Finalmente trovò la strada, era una specie di carraia polverosa, andando avanti diventava poco più di un sentiero fra sterpaglie e canneti, in poche centinaia di metri era passata da una zona commerciale e industriale in una specie di bosco.

Stava quasi per tornare indietro quando arrivò davanti ad una casa con un grande recinto: era il Centro di recupero… era arrivata.

Scese dall’auto, vide una grande casa chiamata Cà Ponticelle, un gran recinto con un mucchio di volatili e animali e sul fondo un paio di uomini che lavoravano con uno escavatore e che le fecero da lontano una specie di saluto, ma Lyuba non ricambiò il saluto, come in trance proseguì dritto davanti a lei.

Una strana forza l’attraeva verso il bosco, sentiva il gorgoglio dell’acqua, si avviò col gruccione nella scatola verso il sentiero che conduceva nella boscaglia, mentre pensieri come saette veloci, le arrivavano nella mente, un coacervo di rimandi, di cavalieri e di pellegrini che entrano nella foresta e hanno tante avventure, Dante che entra nella selva, Ernst Junker e il ribelle, Der Waldgang, colui che passa al bosco, il proscritto, il bandito, l’eremita, l’esule, lo zingaro, lo scout, il partigiano ecc., colui che abbandona il mondo nichilista e materialistico dominato dalle macchine per ritrovare la propria libertà e spiritualità. Junker nel Trattato del Ribelle scrive incisivo, quasi che al posto di un pennino avesse uno stiletto: “Ogni tirannia ha bisogno di giustificarsi. Per questa ragione organizza false elezioni democratiche dove è utile che vi siano anche alcuni voti contrari, veri. Possibilmente non più del 2%. Questi coraggiosi che osano sfidare il regime nelle urne, nonostante il rischio di venir scoperti con trucchi diretti (spie nel seggio) o indiretti (schede numerate con macchine da scrivere senza nastro), sono comunque utili alla dittatura che, se avesse il 100% dei consensi, non potrebbe più fingere di credere nella democrazia”. Junker scartavetrando le false sicurezze identificava due figure: l’Operaio e il Milite Ignoto, il primo figlio della devastazione tecnica e meccanica (già ne parlava Chaplin nei suoi film) il secondo figlio delle guerre, dei massacri, dei regimi. Il primo è il simbolo della padronanza e del predominio dell’uomo sulla tecnica mentre il secondo rappresenta le gloriose vite sacrificate in nome della democrazia.

A queste due si viene ad affiancare la figura del Ribelle, colui che passa al bosco, Lyuba non aveva proprio voglia di fare la ribelle, eppure ormai sapeva che il gruccione le era stato inviato come messaggero… cosa avrebbe fatto Lyuba?

Avrebbe continuato le ricerche?

Avrebbe lasciato le sue sicurezze, il suo essere arrivata per darsi alla macchia?

“Signora, ma dove va? Torni indietro, là non c’è niente, l’entrata è qua”.

Un uomo vestito di pantaloni color kaki e una felpa verde militare, la stava rincorrendo, era sicuramente un operatore del Centro avifauna, Lyuba tornò indietro velocemente con la sua scatola che diede all’uomo.

“Non sapevo di questo bosco, sembra una bella passeggiata, ha il sentiero segnalato, comunque ecco qua il gruccione. Si salverà?”

“Ci proviamo, sembra che abbia i sintomi di un avvelenamento”.

“La prego, mi faccia sapere qualcosa, sia che si salvi, sia che non ce la faccia”.

Dopo i convenevoli di rito e i saluti Lyuba risalì in auto, riservandosi di tornare con più calma.

Passarono una ventina di giorni, ma nessuno la chiamò e quando si decise lei a telefonare, le risposero che il gruccione era morto per emorragia interna, che anche se dall’esterno non si vedeva certamente aveva preso un colpo mortale, forse da un’auto, chissà.

Lyuba decise che era venuto il momento del suo Der Waldgang, cioè di andare nel bosco, le toccava il gruccione era morto per portarle il messaggio.

Nei giorni che erano passati Lyuba non era stata con le mani in mano, ma si era recata in  biblioteca e si era procurata  dei libri che trattavano degli zingari, in particolare sul loro olocausto, dato che la via del Centro salva uccelli era intitolata agli Zingari caduti nei lager.

Era rimasta giorni e giorni fra le scartoffie, cercando di trovare un senso dove non era possibile trovarlo, con la testa piena di dati che si contraddicevano, decise di chiudere, con le sciocchezze che aveva macinato sino ad ora, ritenendo che stabilire la provenienza iniziale degli zingari fosse qualcosa che in fondo non aveva importanza.

Gli zingari erano nomadi come lo erano stati un tempo antico tutti gli uomini prima di diventare stanziali, forse mantenevano usanze che avevano mutuato nei vari paesi dove si erano spostati lungo i millenni e non aveva intenzione di chiedersi il perché fossero considerati maledetti.

Lyuba si sentiva triste, non sapeva il perché, si sentiva triste e basta.

Aveva creduto veramente a qualcosa di oltre al mondo fisico, di particolari messaggi che lei era in grado di decifrare, si era fatta uno di quei viaggi visionari descritti, nei romanzi che parlano di templari, di graal, di merovingi, di sangue reale, ma ora vedeva tutto ciò come etichette di corte, con la stessa funzione del marchio nei vestiti o negli accessori, per cui un borsa di plastica poteva costare dai 10 euro ai 3000 euro, etichette per legittimare il potere, che servivano anche a creargli intorno un po’ di magia, ben più utile sarebbe liberarsi di queste simbologie/archetipo,    ricomparse in modo massiccio tramite la pubblicità.

-Cielo, quando andavo a scuola, guai se i professori mi trovavano a leggere l’oroscopo e ora, la prima cosa che mi chiedono non è manco il nome ma il segno zodiacale-  disse fra sé Lyuba, tristemente si rendeva conto che lei era caduta completamente nella superstizione, altro che  magia, per capire e modificare la realtà, non era maturata per niente, altro che arrivata era incontentabile non le bastava la realtà; come quando da bambina forò il pallone e la mamma gliene comprò un altro, ma la piccola Lyuba piangeva perché pensava che se non avesse forato il primo ora ne avrebbe avuti due o forse già intuiva che anche le cose seriali a volte non sono mai le stesse, cambiano col momento che stai vivendo, che è sempre diverso, così uno spremiagrumi un giorno ti può apparire utilissimo e sorseggi con gioia il succo d’arancia e un’altra volta antipatico e complicato perché ti spruzza le piastrelle della cucina e non hai voglia per niente di pulirle.  

I giorni passavano e si sentiva sempre più depressa, tutta la sua ricerca era priva di contenuto, semplicemente si era imbattuta in un volatile ferito, lo aveva soccorso e con la sua fantasia aveva creato un castello fantastico, restava il fatto che il gruccione non lo aveva salvato, tutto era stato inutile come i suoi trastulli mentali… la realtà era tangibile, tutto il resto follia.

 

 

 

venerdì 10 marzo 2023

Il volo del gruccione


 

Capitolo 25

Il tè della morte, il tè della vita, il tè dell'amore

 

 

Si alzò, andò in bagno e dopo i soliti preliminari, si vestì e truccò gli occhi di blu, Lyuba non usciva mai senza disegnare il contorno dei suoi occhi verdi con una matita blu, poi schiacciò il tasto dello sciacquone e accipicchia il pulsante si era rotto… grrr, grrr, grrr.

Lyuba, fremeva di rabbia le piccole cose la indisponevano in maniera assurdamente esagerata, cercò di calmarsi, di non pensarci, anche se non sopportava le cose rotte, lei aveva sempre a portata di mano l’attak e con questa colla provava ad incollare ogni tipo di materiale, a volte l’impresa era ok, a volte non era ok e allora si sentiva una scema ritrovandosi con un nulla di fatto e con le dita impiastricciate e incollate fra di loro.   

Telefonò all’idraulico, sarebbe venuto a mezzogiorno, nella pausa lavoro, Lyuba risollevata pensò bene di farsi un tè e poi avrebbe portato via il gruccione.

Mentre stava sorseggiando il tè allo zenzero e limone, un flash improvviso le rammentò Sidi Bou Said e i bicchierini di tè alla menta coi pinoli dentro.

Un tempo a Lyuba non piaceva il tè, aveva cominciato a berlo, dopo essere stata in Tunisia.   

Sidi Bou Said è un incantevole paese della Tunisia, arroccato sul mare, un paese luminoso in quanto assai soleggiato ma anche perché tutte le case sono imbiancate a calce, riflettendo così e amplificando la luce solare; mentre, le porte e le finestre per lo più dipinte di celeste/blu, sono armoniosamente decorate a filigrana, simili, ma ognuna con il proprio stile, riflettevano il colore del mare.

Qui la luce e il mare sono padroni e qui in questo angolo meraviglioso si respira aria d’Europa, e fanno un tè delizioso, Lyuba ricordava che durante la sua vacanza svuotava bicchierini su bicchierini, tanto le piaceva e tanto voleva essere fortunata… a Sidi Bou Said la cerimonia del tè nel deserto era anche un rito di buona fortuna, consuetudine mutuata dai berberi.

Per i tuareg la cerimonia del tè, conosciuta anche come il tè nel deserto, è un’usanza religiosa che si condivide con chi si incontra per augurargli buona fortuna, un punto d’incontro, poi ognuno va lungo la sua strada.

La cerimonia comincia con la preparazione della bevanda, tutto deve essere a modo e percepito come intenso rituale, per esempio il fischio della teiera è visto come un simbolo gioioso di arrivo   e paragonato al proprio battito cardiaco. 

Il tè viene preparato tre volte, ogni volta seguendo una ricetta e una preparazione diversa: la prima variante, piena di tè amaro e forte, è conosciuta come il tè della morte; la seconda variante è composta da tè più dolce ma dal retrogusto amaro, ed è chiamata tè della vita ed infine la terza variante è preparata con tè molto dolce, dal gusto intenso e inebriante, il tè dell'amore.

Il tè nel deserto è anche un film e un libro molto famoso, ma Lyuba non si trovava per niente d’accordo con la trama e il suo intendimento, non si trovava d’accordo con chi non essendo religioso non capiva neanche la religione degli altri, mutuando un qualcosa che era solo un doppio, un qualcosa di degenerato e di imbastardito, che ha perso le qualità e il senso della iniziale tradizione e diviene così vizioso

Paul Bowles, l’autore del Il tè nel deserto, faceva parte della cosiddetta comunità degli espatriati occidentali che si muoveva tra Tangeri e Casablanca, come Truman Capote, Tennessee Williams, Gore Vidal, Brion Gysin e molti protagonisti della Beat Generation come Allen Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso, Jack Kerouac, Peter Orlovsky.

Un gruppo di persone di cultura, disgustato dai valori americani, nemico del complesso militare-industriale-imperialista e nemico delle religioni istituite, appassionato di viaggi, attorno al modo ma soprattutto di viaggi interni, usando droghe a go-go e poi successivamente interessato al buddismo e alle tecniche di meditazione orientale.

Questo gruppo dedito all’introspezione e dedito all’yoga e al buddismo, durante il soggiorno in Marocco e Tunisia non si interessò ai valori dell’islam, alla frequentazione di moschee, preferì divertirsi coi vizi, piagnucolando poi sull’insulsaggine della vita e infarcendo i loro libri, seppur molto belli, di non speranza.

Tangeri o Tunisi o Sidi Bou Said erano per loro una specie di terra di nessuno dove le autorità non erano troppo esigenti e le prestazioni dei bei giovani dalla pelle abbronzata, molto a buon mercato, specie per chi pagava in dollari.

Bowles, come molti non-musulmani in Occidente, tra cui parecchi eruditi, percepisce la vita delle popolazioni mediorientali, come soggiogata dal fatalismo religioso, dove il credente è  completamente privo del libero arbitrio e quindi incapace di cambiare ciò che Dio ha stabilito.  Quando è solo destino, la vita non è altro che un disperato gioco già perso in partenza, anche se la fede nella compassione di Allah prevede la salvezza per chi si sforza di comportarsi bene.

Bowles non riusciva a capire la facilità con cui i ragazzi magrebini si prestavano ad avere rapporti omosessuali con uno straniero, accettandone i soldi e le loro abitudini viziose, come l’alcool e le droghe, mantenendo la loro di fede di musulmani osservanti, li considerava degli immorali e degli ipocriti perché consideravano i cristiani solo da sfruttare, facendosi pagare le loro marchette e facendogli pagare un’extra per ogni tè che bevevano.

Bowles, non capiva che lui portava a loro, il mito dello straniero ricco e arrogante, dai molti vizi, il ricco che in quanto erudito aveva capito tutto della vita, il ricco che comunque aveva disprezzo di loro, e allora che facevano? Quello che ci si aspettava da loro, ma avendo fede, non si buttavano nel pozzo vuoto della disperazione di chi aveva tutto e piagnucolava, ma si dicevano che prima o poi avrebbero smesso, liberandosi dalle lucciole dello straniero, essendo certi che Allah avrebbe perdonato.

Bowles e gli altri invece erano arroganti, si credevano umili, ma non lo erano, perché se avessero avuto vero amore dentro a loro stessi avrebbero intuito che la salvezza c’è: è lo sforzarsi di fare bene, se si cade pazienza, ma il non fare niente, l’accidioso presuntuoso che crede di aver capito tutto e non si sforza di comportarsi bene cosa fa, se non credere che tutto è destino e non conti niente fare qualcosa?

Lyuba finì di sorseggiare il tè allo zenzero e limone e un ulteriore ricordo illuminò la sua mente… durante il suo viaggio in Tunisia, su uno dei fili del telefono, mentre si trovava a Kelibia, antica città sul mare prima fenicia, poi punica, romana e bizantina, aveva visto un uccello verde e blu, colorato come un pappagallo, che l’aveva tanto colpita, ora sapeva che era un gruccione.

Bee-eater ovvero mangia-api, così è chiamato il gruccione in inglese, ha due rotte principali di migrazione: quelli che nidificano, in primavera, nel Sud Ovest dell’Europa, in autunno passano dallo stretto di Gibilterra, attraversano il Sahara e si dirigono verso l’Ovest dell’Africa. Invece i Gruccioni che nidificano nell’Est dell’Europa si dirigono, in autunno, verso l’Africa passando per Israele, chissà poi perché si chiede Lyuba, mah!

Comunque i gruccioni che arrivavano sulle coste della Tunisia avevano le guance blu, Lyuba corse dal suo gruccione, era ora di portarlo al Centro avifauna e constatò che aveva le gote blu.

 

 

mercoledì 1 marzo 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 24

E poi gorgheggiando la laringe si modificò

 

 

Per Lyuba, l’attrazione per il nascosto e il misterioso era talora sopita e sonnecchiante, altre volte accadeva un minimo evento, come il ritrovamento del gruccione, per partire per la tangenziale del complotto onirico, un’avventura di sogni e pensieri, che poi diventavano quasi reali con la possibilità dell’esistenza di un intrigo internazionale, una cospirazione vecchia di millenni, una catena di eventi sia politici, sociali che naturali, guidati da un gruppo di persone di stirpe nobile o illuminate o unte o predestinate che interloquivano fra loro con il linguaggio  dei simboli e l’uso della magia, a volte uniti, talvolta in contrasto, alternandosi alla guida del mondo e delle genti, secondo il loro pensiero filosofico, morale e sociale. Così Lyuba, riusciva a mettere in atto un calderone con tante di quelle cose dentro che non trovava più il bandolo della matassa nemmeno lei stessa; ma ormai era dentro alla ricerca e doveva seguire l’arcobaleno, iniziato col volatile, poi   là dove finiva, come racconta la leggenda, avrebbe trovato la pentola piena d’oro, ma per ora era in alto mare e il porto sembrava irraggiungibile.

Di questo suo interesse al non visibile, Lyuba ne aveva un certo timore, aveva così lasciato alle spalle la pericolosa decifrazione della scacchiera politica, in quanto dopo la pubblicazione delle sue ricerche, non ne era certa, in quanto è difficile comprendere il nascosto, ma in quel frangente si era sentita come teleguidata, qualcun altro pensava al suo posto, si era salvata perché aveva un attaccamento alla famiglia e alla religione inviolabili. Vero, non vero, le ricerche oniriche sugli eventi politici ed economici li aveva lasciati perdere perché, anche senza la teoria del complotto, pasticciona com’era poteva incamminarsi non volendo in simboli pericolosi ed evocare la magia nera, non era un’eventualità remota in quanto il districarsi tra i simboli orientali e occidentali che col tempo si sono sovrapposti, travisati, mal tradotti e falsificati, era complicatissimo se non impossibile, poteva prendere lucciole per lanterne e ottenere il contrario di ciò che auspicava; comunque lei era mossa solo al bene, all’amore universale, alla pura conoscenza con l’animo della bambina curiosa e credulona.     

Il filosofo romano Cicerone riteneva la superstizione una specie di sopravvivenza, pensava al superstizioso come colui che stancava talmente gli dei con offerte e preghiere, che alla fine era accontentato per sfinimento e così il superstizioso diventava il superstite.

Detto ciò, in merito al gruccione ritrovato, Lyuba doveva indagare seriamente e smetterla di andare dalle amigdale, alle costellazioni e ai miti più strani che tanto non sarebbe mai riuscita a sbrogliare il tutto, meglio per lei focalizzarsi solo sul gruccione.

In tutte le culture gli uccelli, con tutte le loro parti, le penne, le ali, il canto e l’uovo, vengono percepiti come la manifestazione dell’invisibile, i volatili vengono visti allegoricamente come messaggeri celesti, come fossero degli angeli che vogliono comunicare qualcosa.

Doppiamente doveva indagare perché ultimamente aveva a che fare con elementi che secondo certe teorie testimoniavano il contatto con gli angeli, così trovava piume nelle zone più disparate, le arrivavano ondate di profumi inebrianti e allo stesso tempo leggeri e delicati, il suo sguardo si posava spesso sulle farfalle e spesso si incantava al cinguettio dei passeri, perdeva cose che poi ritrovava dove aveva cercato, tornava a casa e trovava le luci accese mentre era sicura di averle spente, non aveva mai amato le nuvole e ora si ritrovava ad osservare in loro forme di stelle, croci, frecce e  pesci e cuori, tanti cuori e tante stelle; se aveva scritto sulla stella argeade, di cui non conosceva l’esistenza, era perché l’aveva vista formata in cielo tra le nuvole, aveva cercato in Internet tra le immagini delle stelle e aveva trovato Il Sole di Verghina.

Trovava monete nei luoghi più impensabili, aveva persino trovato 5 euro nell’acqua del mare mentre vi passeggiava con le gambe a mollo!

E poi, inavvertitamente si infilava abiti e mutande a rovescio, con le cuciture in evidenza, addirittura era arrivata al mare col bikini a rovescio e se n’era accorta solo quando si era stesa sul telo da mare.

E poi, e poi, certe volte all’improvviso le si svuotava la testa, tutto girava e sembrava che qualcuno volesse entrare dentro di lei, questi secondo certe teorie sono tutti segnali di contatto con gli angeli.

A volte se non si vuole svelare la fonte di una qualche notizia si dice scherzosamente me l’ha detto un uccellino. Una frase certo non vera ma nei detti popolari a volte si trovano verità o comunque un rimasuglio di una credenza antica.

Esiste una lingua degli uccelli?

Forse sì, forse no.

Questa credenza probabilmente proviene da tempi arcaici, forse l’uomo della pietra ascoltando il suono melodioso degli uccelli e vedendoli saettare nel cielo, pensò che fossero esseri magici, forse imitò i loro gorgheggi e come noi impariamo una nuova lingua, il nostro progenitore imparò a comunicare con loro e poi gorgheggiando la laringe si modificò e fu così possibile iniziare a parlare con le prime parole che so, mamà, dadà o bubù.

Comunque sono veramente tanti i religiosi e gli artisti che hanno parlato di questo linguaggio magico.

Per esempio i sufi, i monaci spirituali dell’Islam; Salomone la cui saggezza era dovuta al fatto che   capiva il linguaggio degli uccelli; San Francesco che predicava agli uccelli.

Poi ci sono le leggende sui Santi, come San Benedetto che dava da mangiare a un corvo che obbediva ai suoi comandi o San Paolo eremita che ritiratosi nel deserto in una solitaria grotta, aveva la compagnia di un corvo che all’ora del pasto gli portava il pane e il profeta Elia che fu sfamato da un altro corvo.

Nella magia e nell’alchimia, la lingua degli uccelli era considerata un qualcosa di perfetto, era anche un linguaggio segreto usato dai trovatori, collegato ai tarocchi; vi sarebbe pure una corporazione talmente segreta da non esistere: la Società Angelica, chiamata anche la Nebbia, formata da letterati e artisti che usavano un codice cifrato chiamato lingua degli uccelli, soliti ritrovarsi al cabaret del Gatto Nero a Montmartre… bè erano pure spiritosi, il gatto ama acchiappare i volatili e prima di ucciderli sadicamente ci gioca.      

Nelle favole spesso si trova l’eroe che dialoga coi volatili, come pure nell’opera lirica del Flauto Magico di Mozart e poi c’è l’opera teatrale Gli uccelli di Aristofane e chissà quanto altro ancora…anche Gli uccelli, il film del 1963 diretto da Alfred Hitchcock ha qualcosa a che fare col mistero dei pennuti.

Se poi andiamo al mondo pagano, troviamo gli àuguri, i sacerdoti che si occupavano di trarre previsioni, dal volo e dal canto degli uccelli oltre che attraverso i tuoni, i lampi, le eclissi, le comete e altro ancora.

Gli etruschi, poi mutuati dai romani, furono maestri di questa arte divinatoria, tanto che era detta etrusca disciplina.

L’àugure era il sacerdote che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi osservando il volo degli uccelli, a partire dalla loro tipologia, dalla direzione del loro volo, dal fatto che volassero da soli o in gruppo e dal tipo di versi che emettevano; da questi elementi il sacerdote traeva gli auspicia (che significa osservare gli uccelli) per capire se gli dèi approvavano o meno l’agire umano sia nell’ambito pubblico che in quello privato, sia in pace che in guerra.

L’àugure come insegna, aveva un bastone ricurvo: il lituo, simile al pastorale della Chiesa cattolica, l’osservazione avveniva al centro di un recinto tenendo conto delle porzioni di cielo da cui provenivano i pennuti tramite cippi astronomici.

La loro attività era a vita ed erano molto venerati, al punto che per chi li offendeva era prevista la pena di morte.

In guerra, dato che erano necessari segni di rapida consultazione, non si poteva quindi aspettare che arrivassero volatili dal cielo ci si serviva dei polli sacri, erano chiamati Auspicia Pullaris. Se i polli mangiavano, l’auspicio era favorevole, se poi mangiavano molto avidamente facendo ricadere a terra briciole di cibo la previsione era ottima, se mangiavano poco il segnale era infausto.

A questo proposito Lyuba ricordava che la bisnonna quando sparpagliava sull’aia il becchime alle galline, e Lyuba le chiedeva di farlo lei, la bisnonna rispondeva che non era possibile, in quanto dare da mangiare ai polli era una cosa molto particolare che se non si faceva bene, poi i polli non avrebbero mangiato e magari il giorno dopo ci sarebbe stato un temporale o un altro contrattempo.

Lyuba doveva chiedere scusa anche ad Onorio, fratello di Galla Placidia, che fu imperatore alla fine del IV secolo, quando la capitale dell’impero era Ravenna, perché aveva sempre ridacchiato sull’ aneddoto raccontato dallo storico bizantino Procopio di Cesarea, eppure sapeva che questo Procopio era una malalingua e un pettegolo, basti leggere cosa ha scritto su Teodora.

La storiella racconta che all’imperatore Onorio un eunuco, annunziò che Roma era perita. Onorio esclamo: “Ma come! Se ha appena mangiato dalle mie mani!” L’imperatore aveva un gallo di dimensioni enormi, a cui aveva dato il nome di Roma. L’eunuco, comprendendo l’equivoco, disse che Roma, la città, era perita per mano di Alarico. Onorio con un sospiro di sollievo, rispose: “Temevo che il mio pollo Roma fosse morto!”.

Tanta, infatti tramandano, fosse l’inettitudine dell'imperatore.

Ora alla luce di quello che aveva scoperto, poteva pensare che Onorio si dedicasse agli Auspicia Pullaris e che avendo visto il suo gallo Roma mangiare avidamente aver creduto ad un responso assai favorevole e fosse rimasto allibito dall’esito reale nefasto…quindi Procopio può essere accusato di blasfemia.

A questo punto Lyuba poteva cercare di decifrare il messaggio angelico sul ritrovamento del gruccione e su ciò che stava accadendo nella sua vita.

Il gruccione era stato ritrovato alla sua destra, quindi il probabile evento era giusto e corretto, il suo piumaggio era per lo più verde, indicando quindi un sacco di cose belle… amore, emozioni, relazioni, armonia, unità, compassione, perdono, guarigione, benessere.

Un pensiero improvvisò l’allarmò e se il gruccione non si salvava?

Che vorrà dire?

Forse qualcosa riguardo al mio percorso di castità, infatti il gallo è colorato e vivace ma se lo castrano diventa un cappone e il suo piumaggio diventa bianco… bastaaa quante corbellerie, adesso mi alzo e porto il gruccione al Centro di recupero, disse a se stessa Lyuba stiracchiandosi.

 

 

 

Il volo del gruccione di Paola Tassinari