mercoledì 24 ottobre 2018

LA BARONESSA ELSA 2


La baronessa Elsa Von Freytag Loringhoven, una vita dalle stelle alle stalle, da musa di Man Ray, amica di Marcel Duchamp  e di Ezra Pound ad ognuno dei quali, non mancò di fare avances sessuali nonostante preferisse le donne agli uomini. Un’artista che anticipa di molto il movimento punk, la body-art, la scultura e le installazioni fatte con oggetti rubati o trovati per strada nella spazzatura. Una vita inquieta, eccessiva e folle che certamente non l’ha resa felice, testimonianza che ci viene dalle sue poesie aspre e nichiliste. Qualche poesia e qualche ritratto è dedicato a Marcel Duchamp, che Elsa ha amato non ricambiata. Tanto per intendere la forte trasgressione di Elsa, Duchamp e Man Ray la coinvolgono in un video, intitolato The Baroness shaves Her Public Hair (La baronessa si rade i peli pubici). Una vita infelice, sia quando è alle stelle, al pieno della fama nei circoli dadaisti, sia quando è in condizioni di estrema povertà, sia quando è sposata, ha ben tre mariti ma una sessualità estrema e sconosciuta, dividendosi fra uomini e donne, e poi gli spettacoli porno, la polizia sempre alle costole per i suoi furti  da cleptomane, una vita infelicissima quella di Elsa in estrema solitudine con una se stessa che non conosce, non si ama e si mette sempre alla prova sia quando sta in alto, provocando e trasgredendo, che quando è in basso suicidandosi col gas (o dimenticandosi di chiudere il gas, che poi è la stessa cosa perché vuol dire non curarsi di sé) .  
In uno dei suoi quaderni personali, la baronessa aveva elencato ciò che portava in visita all’ambasciata francese a Berlino: “Indossavo  una grande  torta di compleanno sulla mia testa con 50 candele accese fiammeggianti, mi sentivo proprio così coraggiosa e irresistibile! Sulle  mie orecchie avevo orecchini fatti con prugne secche . Inoltre avevo messo  più francobolli come marchi di bellezza sulle mie guance dipinte color smeraldo e le mie ciglia erano fatte di penne dorate porcospino; questo per  civetteria nei confronti del  console. Inoltre portavo  alcune corde di fichi secchi intorno al mio collo per dargli modo di succhiarli al mio ingresso all’ambasciata.”

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giovedì 18 ottobre 2018

LA BARONESSA ELSA 1


La Baronessa Elsa von Freytag, chiamata Baronessa Elsa (1874/1927), poetessa e scultrice, amica dei dadaisti in particolare di Marcel Duchamp, è diventata famosa per le sue eccentricità, come i cucchiaini usati  al posto degli orecchini, i francobolli incollati sulle guance, una torta di compleanno, con tanto di candeline accese, al posto del cappello o la rasatura dei capelli o il frugare nell’immondizia per creare dei gioielli con cui si adorna. Nata nel 1874 a in Pomerania, Elsa si trasferisce a vent’anni a Berlino dove lavora nello spettacolo. Dopo varie peripezie, mariti e amanti e molti viaggi arriva a New York, dove sposa il barone Leo von Freytag-Loringhoven, ricco rampollo di una famiglia tedesca. Vivono un anno veramente alla grande, abitando al Ritz,  poi quando scoppia la guerra il marito torna in Germania e si suicida. La baronessa, non più giovane, tre mariti alle spalle e una sempre più evidente bisessualità diventa anche cleptomane. Nel 1923 Elsa torna a Berlino, dove vive in condizioni economiche estreme, chiedendo ai vecchi e importanti amici di prestarle denaro, finisce per qualche tempo in manicomio, termina la sua vita soffocata col gas lasciato aperto. Forse una dimenticanza, forse un suicidio, di certo vivere così inquietamente è un peso molto greve e grave.  Tutto ciò fa realmente pensare che la linea di confine tra arte/genio e sregolatezza/follia sia veramente molto esile mentre all’opposto lo stare in manicomio o alla ribalta, il confine sia ben definito e cioè se sei famoso e ricco o nullatenente e sconosciuto.
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venerdì 12 ottobre 2018

MARCEL DUCHAMP 8



Marcel Duchamp ha rivoluzionato l’arte, praticamente l’ha annullata, dopo di lui nessuno è più in grado di dire cosa è o non è un’opera d’arte, paradossalmente non si sa cosa sia l’arte e forse proprio per questo diventa elitaria e allo stesso tempo diviene merce che vale solo se sdoganata dai critici d’arte ed esposta in musei famosi. L’arte diviene un concetto, cioè cosa concepisce la mente di un oggetto, quindi non esiste se non nella mente, diventa un’utopia. Nel 1938 Marcel Duchamp realizzò un’installazione per l’Esposizione Internazionale del Surrealismo di Parigi. Il titolo era 1200 sacchi di carbone o The Grotto. Si trattava di un lavoro composto da sacchi di juta riempiti di carta e pendenti dal soffitto, sotto di loro c’era una stufa di ghisa che conteneva una lampadina e che costituiva l’unica fonte di luce. I sacchi erano ancora sporchi di carbone e il pubblico spaventato circolava sotto una coltre di fumo nero. L’idea, il concetto era che i sacchi di carbone rappresentavano il mezzo fra la mente, la stufa, e il non vedere né sapere quale fosse il reale contenuto nei sacchi. Il fatto è che si può prendere qualsiasi oggetto e poi arzigogolarci sopra e trovare intenti e similitudini. Questa installazione è stata riprodotta moltissime volte. Se Alberto Burri, negli anni Cinquanta scandalizzava usando dipingere vecchi sacchi, Duchamp venti anni prima era già oltre, cambiando addirittura la galleria o il museo, che da contenitore bianco e lindo, spazio per presentare al meglio le opere d’arte, diventa l’oggetto della scena. La sacralità del luogo non è più dettata dalle opere che vi sono esposte ma è lo spazio che rende sacro tutto ciò che vi entra, anche l’immondizia. Qualsiasi cosa, performance, accatastamento di roba vecchia, addirittura la chiusura o il gesto più banale se allestito nel museo, nella galleria o in una biennale o triennale ecc., diventa arte. Questa trasformazione va di pari passo con il mutamento della società che non sa più cosa è giusto o cosa è sbagliato, società dove tutto diventa sterile relativismo.  

domenica 7 ottobre 2018

MARCEL DUCHAMP 7


“Lasciami spiegare, mia cara, che la tartara alla quale mi riferisco non ha niente a che vedere con la salsa ed è stata inventata dai cosacchi in Siberia: pensa che può essere preparata a cavalloal galoppo addirittura, se le circostanze lo rendono necessario. Ecco le indicazioni: tagliate al coltello mezza libbra (per persona) della miglior carne che riuscite a trovare e mettetela in un piatto di porcellana, bianco – così che nessuna decorazione possa disturbare la disposizione degli ingredienti – dandole una forma a nido di uccello. Sistemate poi, al centro del nido, due tuorli d’uovo e infine disponete a lato del piatto, in graziosi bouquet, i seguenti ingredienti: cipolla bianca finemente sminuzzata, capperi, acciughe, prezzemolo fresco, olive nere accompagnate con foglie di sedano, sale, pepe. Ogni commensale mescolerà gli ingredienti alla carne. Al centro del tavolo: pane, burro e una bottiglia di vino rosè. Questa è la ricetta della tartare scritta da Marcel Duchamp. Non è una novità che il cibo abbia interessato gli artisti da sempre, basti pensare alle nature morte, per arrivare poi ai futuristi, ai surrealisti che sovvertirono gli accostamenti e gli abbinamenti culinari. Non è una novità che il cibo evochi l’eros. Molto spesso dalla cenetta, magari afrodisiaca, dalla tavola, dalla tovaglia si passi al lenzuolo del letto. Così non può stupire che dal cibo si passi agli utensili per la cucina. Duchamp realizza queste due presine in tessuto scozzese che possiamo definire maschile/femminile, in quanto in una sbuca un pene, mentre nell’altra Duchamp applica un quadratino di pelliccia… non resta che sorridere.

lunedì 1 ottobre 2018

MARCEL DUCHAMP 6


Scatola in una valigia (titolo originale: Boîte en-valise) è un’opera di Marcel Duchamp del 1941 che consiste in una valigia di pelle contenente copie in miniatura, riproduzioni a colori e una fotografia delle opere dell’artista, fa parte di una serie di valigette da viaggio che l’artista propone come evoluzione dei ready made. Nelle valigie vengono assemblati e incastrati oggetti, tra cui si riconoscono il famoso orinatoio e l’ampolla air de Paris, i fogli di riproduzioni di suoi lavori, su più livelli. L’idea di Duchamp è quella di raccogliere le riproduzioni di tutte le sue opere realizzate fino a quel momento. Nella Scatola in una valigia si individua di solito la conferma della totale rinuncia all’arte tradizionale e una riflessione sull’opera d’arte nell’epoca in cui la tecnica sta iniziando a realizzare ogni oggetto, ogni pittura in serie. Sembra che Duchamp anticipi il pensiero di Andy Wharol che in un’intervista del 1963 disse: “Tutti si rassomigliano e agiscono allo stesso modo, ogni giorno che passa di più. Penso che tutti dovrebbero essere macchine. Io dipingo in questo modo perché voglio essere una macchina”. La Valigia di Duchamp sembra quella piena di mercanzia del commesso viaggiatore, l’artista si propone come un qualsiasi commesso che porta in giro il suo campionario per vendere, anticipazione della mercificazione dell’arte,ma all’opposto può essere percepita come opera d’arte la Valigia stessa in quanto contenitore/museo.