Un’Italia che piace in una lettera d'amore del 1909:
un’Italia
della famiglia, della patria e della scienza
A cura di
Gaetano Barbella
«Fin dal mio sorgere ti vidi ed a te vengo... Mi chiamo
Italia e sola, vengo a cercare in te quel che sia capace di sicuro appoggio,
amore e difesa; tu quale cavaliere, lo sai, lo senti, lo puoi fare. Nasco
proprio oggi, e nel germoglio della mia nuova vita affido a te il mio essere
che fin’oggi ha posseduto un animo sempre deluso e deriso»
L’Italia di uno stivale decisa da
quattro zoccoli di cavalli

Sono particolarmente attento alle cose dell’Italia
nostra e se ebbero inizio a Teano in seguito all’incontro che la storia ci
tramanda, perché non pensare che la stessa Teano sia un’occulta “madre” che
possa aver generato una certa altra Italia che non conosciamo ancora, in cambio
di quella che sappiamo, il risultato di un gioco politico di diverse nazione
europee di quel tempo dell’incontro controverso. Chi ne fu l’artefice non restò
nemmeno soddisfatto e preferì finire i suoi giorni a Caprera, piuttosto che
essere generale di un re “caporale”. Potevano due “caporali” andare d’accordo?
E tutto avvenne in quel tempo “a cavallo”: un formale saluto fra due
dittatori e una fugace stretta di mano altrettanto formale, a sigillo dell’avvenimento,
come a immaginare che la sorte dell’Italia sorgente possa dipendere da un
cavallo, un animale e non dall’uomo stesso tramite le sue gambe e piedi ben
saldi sulla terra. E ancora come se la stessa parola “a cavallo” alluda a
qualcosa che viene scavalcata, giusto un’ipotetica nascita di un’altra Italia
cui ho alluso all’inizio. O forse quei due uomini a cavallo erano dei “zoppi”:
metafora di peccato? Senza dimenticare che fu un astuto cavallo a
causare la caduta di Troia in favore dei Greci!
«La tradizione ebraica ci consegna la parola “peccato” come violazione
dell’ordine voluto da Dio, che Coehlo ne “Il cammino di Santiago” così ci
restituisce: La parola “peccato” viene da “pecus” che significa “piede
difettoso”, piede incapace di percorrere un cammino. Il modo per correggere il
peccato è quello di camminare sempre diritto, adattandosi alle situazioni
nuove e ricevendo in cambio le migliaia di benedizioni che la vita concede con generosità a coloro che chiedono. Diversamente, nella
Sloka 1 della Stanza V di “Theogenesis” è scritto come l’energia universale
Fohat, ponte del percorso tra spirito e materia, diriga l’evoluzione dell’uomo
e del cosmo tramite i propri passi, uno alla volta, così che il progresso
proceda in infinitesimali periodi di tempo, il cui intervallo è rappresentato
dal piede sollevato tra un passo stesso e l’altro: Diventerete così audaci da
ostacolare la mia volontà? – gridò Fohat nella sua ira […] – badate che
non abbassi il mio piede così pesantemente da demolire il ponte tra gli dèi e
gli uomini; allora non potrete più soccorrere gli uomini, né far risuonare
accordi pienamente armonici... »
Attenti
al "segno", ci volle far capire Gesù con il famoso "segno
Giona" evangelico, poiché gli si chiedeva un segno prodigioso da lui per
credere alla sua parola. Ma l'uomo oggi ancora non ha capito l'ammonimento.
Al
di là della necessità di essere ingoiati dalla “balena” delle necessità vitali,
a volte a costo dell’esistenza, l’uomo non presta attenzione a piccole cose
simili a “segni” appunto, sul come avvengono i fatti della vita. Essi ci
sfuggono in realtà, per la loro vaghezza, una casualità senza basi razionali,
né religiose e né scientifiche.
Tuttavia
“Il battito d’ali di una farfalla può
provocare un uragano dall’altra parte del mondo”…
È
una semplice locuzione della fisica sulla teoria del caos che racchiude l’idea
che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni
nel comportamento a lungo termine di un sistema. In poche parole è un concetto
denominato “effetto farfalla”.
Piccole azioni possono contribuire a
generare grandi cambiamenti. Ciò che facciamo oggi influirà sul nostro futuro:
con piccole azioni, possiamo cambiare molte cose che non apprezziamo della
nostra vita oppure, più semplicemente, invece che colpevolizzarci per errori
che tutti commettiamo, possiamo trovarvi una soluzione introducendo piccoli
cambiamenti. Ed è appunto un certo “piccolo cambiamento” che ora mi
appresto a introdurre nel sito web “Il Messaggio”, periodico d’informazione di
Teano, come una certa “bottiglia del naufrago”, al suo direttore
piacendo.
Ma intanto a Teano, in seguito all’incontro
storico di Garibaldi col Re Vittorio Emanuele II, fu come se divampasse una
seconda guerra, dopo quella dei garibaldini contro i borbonici, con lo scontro
di due fazioni locali, Teano e Vairano, per attribuirsi il luogo esatto dell’avvenimento,
peraltro ben acclarato in una lettera dell’8 marzo 1908 (depositata presso
l’Ufficio storico) scrive testualmente:
«La mattina del 26 (ottobre 1860, ndr)
ebbe luogo il memorabile incontro tra i due grandi fattori della unità
d’Italia, e precisamente a Taverna Catena, ove ricordo benissimo v’era una cava
di pietra»
Ed
ecco in un’insospettata lettera un certo “effetto farfalla”, poco meno di un
anno dopo la suddetta lettera dell’8 marzo 1908, cioè il 26 febbraio 1909, un
giovane fidanzato, Gaetano Barbella, scrive alla sua amata Gina, che sposerà
due anni dopo, una lettera d’amore, intravedendo in lei una poetica sorgente
Italia. Ed ora è il suo primo nipote, che porta il suo stesso nome, a rendere
noto questa lettera e alcune note che vi sono legate.
Amore e patria in una
lettera del 1909

26.2.1909
È solo degli angioli il sognare??? Nello
sfondo ardente d’un “incantevole tramonto, discerno ergersi, qual candida nube
nell’orizzonte, una forma vaga che ha del soprannaturale, del paradisiaco. Le
scultoree forme poste a traverso i raggi del rosso sole morente, spiccano
maestosamente e circonfuse d’un’aureola divina sembrava emanare terribili e
deliziosissimi fluidi magnetici che costringono tutte le creature poste al
raggio d’esse a rimanere fisse, incantate estasiate. Veste un lungo camice
bianco con goffe di trina, del medesimo colore, che dal gomito pende
maestosamente fin giù le mani inguantate a bianco. Le cinge la vita una
ghirlanda di verdi foglie di quercia che artisticamente legate al fianco
sinistro sembrano pendere da quel lato in dolce abbandono. Sulle belle, chiome
castagne ammantate con finita arte, posa larga corona d’Alloro e sul davanti di
essa, quasi ad emblema di insuperabilità, erge sublime fulgida una stella. A
tracolla, porta un largo e lungo nastro tricolore che posato sulla spalla
destra scende blandamente obliquo fin all’anca sinistra, ove termina formando
una grande e magnifica nocca. Il viso, coperto da piccola maschera non può
discernersi, ma dalla dimensione di esso e dal fulgido sguardo emesso
attraverso i fori della pendente copertura, si intuisce con matematica certezza
esser degno del corpo che lo porta. Essa dirige i passi alla mia volta con
andatura celere e maestosa. Io assiso in un cantuccio d’una caverna esistente
nella scoscesa parete di una rude roccia isolata, sto guardingo a scrutare le
minime mosse di quella nuova Silfide vivente, deciso soffocare qualunque
sentimento che essa sarebbe stata capace farmi nascere in cuore. Intanto essa
avanzava, avanzava sempre. La potenza magnetica del suo sguardo, che in sulle
prime avea trovato in me un corpo neutrale cominciò a far presa. Tentai allora
evitare quei raggi visivi e mi rannicchiai il più che possibile onde sfuggire a
quella potenza ignota ed arcana; ma mio malgrado guardavo fisso anch’io. Un
dolce torpore e un tremito indefinibile avea assalito il mio corpo, facendolo
sudare a freddo. Volli alzarmi, provare fuggire, ma rimasi lì fermo, spossato,
annientato, con lo sguardo stupito, ma fisso su quella sirena che quale
irruente onda marina riversava su di me tutto il di lei fluido. E così stetti
finch’ella mi fu vicina. Con mosse da Dea mi si fermò a due passi e tendendomi
un’incantevole mano, con voce che fece scuotere tutte le fibre del mio essere
disse piano piano: «Fin dal mio sorgere ti vidi ed a te vengo... Mi chiamo
Italia e sola, vengo a cercare in te quel che sia capace di sicuro appoggio,
amore e difesa; tu quale cavaliere, lo sai, lo senti, lo puoi fare. Nasco
proprio oggi, e nel germoglio della mia nuova vita affido a te il mio essere
che fin’oggi ha posseduto un animo sempre deluso e deriso». Stette per un po’
silenziosa indi toltasi con infinita grazia la mascherina e ritornando a
porgermi la manina, aggiunse: «Accetti??». Quale ebete io stavo a guardare,
guardare ancora, quando quell’ultima parola e la vista del volto mi colpì al
cervello... saltai di scatto, afferrai la mano che mi venia posta e con stretta
atroce la portai al cuore, che dalla massima freddezza era passato alla massima
caloricità, indi alle labbra e dopo avea deposto il più santo dei baci mi
spinsi d’un passo avanti due braccia mi accolsero. Quanto tempo si rimase così?
Io piangevo e le lacrime calde che sgorgavano copiose dai miei occhi, da lungo
tempo aridi, venivano assorbite dall’Italia che confortavami a carezze.
«Accetti??!!...». Sentii ancora ripetermi come un sussurro. Allora senza aprire
bocca guardandola a lungo, mi sciolsi dall’abbraccio e presola per mano la
condussi fuori dalla caverna. Nel prato verde che come tappeto infinito
stendesi innanzi, raccolsi con la mano libera i migliori fiori ivi esistenti,
indi sceltone uno rosso lo porsi ad essa, gli altri li disposi a casaccio, con
mano tremante attorno alle di lei chiome e veste, ed inginocchiatomi a lei
dinnanzi, tenendo sempre la di lei mano stretta nella mia risposi fra
l’emozione: «Abbi infinita fiducia, amore e pazienza; oggi ricorre la tua
nascita, la tua rinascita alla vita e con essa ricorre anche la mia; vivi sicura,
se oggi siamo rinati in due morremo, ed assieme». Nell’orizzonte intanto
splendeva la luna, che con i suoi materni raggi illuminando la coppia,
rendevala un gruppo divino, quasi a formarne l’apoteosi della giornata
trascorsa incantevole a glorificare la natura che sempre tacita godeva. Gli
usignuoli melodicamente lanciavano le loro flebili note al cielo in segno di
gaudio celeste.
G. Barbella
Cenni biografici
Gaetano
Barbella, l’autore di questa lettera e nonno dell’autore di questo scritto,
come già detto, sposò due anni dopo la Gina della lettera, Luisa Sapio nata e
vissuta a Caserta dove si stabilirono dopo il matrimonio. Nonno Gaetano,
chiamato familiarmente Tanino, in seguito ad una polmonite, morì prematuramente
lasciando l’infelice sposa con due figli infanti da accudire, Francesco e mio
padre Ettore. Nonna Luisa riuscì, con grande coraggio, a superare la sventura
della grave perdita subita dimostrandosi piena di vigore ed iniziativa. Si
diplomò come ostetrica ed esercitò, così, la professione di levatrice condotta.
Si risposò ed ebbe altri due figli, Domenico e Filomena. Nonna Luisa mostrò
particolare predilezione per lo scrivente, suo primo nipote, verso il quale non
mancava di dimostrargli un amore filiale straordinario. Intravedeva in lui, pupillo
dei suoi occhi, una personale cristianità ideale che, forse, neanche lei
riusciva a discernere, ma vi prestava fede e speranza.

Mi diceva
spesso, vantandosene alla presenza di altri, e facendomi intimidire più di
quanto non fossi già, che somigliavo tanto per la mia mestizia e tranquillità
al Beato Domenico Savio, l’allievo prediletto del Santo Giovanni Bosco.
La
sorte volle che, in modo a lei congeniale, ella si occupasse degli infanti come
levatrice aiutandoli a sorgere dal grembo materno. Ecco che si delinea il
parallelo con San Giovanni Bosco attraverso le trame incomprensibili del
destino. Nulla che faccia meraviglia, allora, se si determinarono in Luisa
Sapio, inconsapevolmente, le stesse sacre cose che premevano al Santo.
E
dell’Italia tanto onorata idealmente da mio nonno Gaetano, da idealizzarla in
colei che amava in modo superno? Egli non ebbe modo, nella sua vita stroncata
nel momento più bello che il destino gli offriva, di fare la parte che gli
sarebbe spettata e che lui agognava, quella dello sposo amorevole e padre, due
cose che gli furono negate dal destino, come anche quella di servire la Patria nella
vita sociale. Un servizio che certamente avrebbe svolto con grande prestigio, e
che insieme a quello per la famiglia, non può che essere stimato come
un’immolazione per l’Italia che lo esigeva da lui imperiosamente, forse in modo
speciale. Ma come farò vedere brevemente quanto basta in modo incisivo, toccò
al fratello Umberto Barbella occuparsi da milite, nelle vesti di sottufficiale
della Regia Marina Militare, a far da simbolica presenza in due momenti
eccezionali dell’Italia da ricordare immortalati dalle due foto riportate di
lato.

Oggi, ritornando indietro con la memoria, al tempo della presa di possesso della Base del Comando Navale dell'esercito austro-ungarico dislocato ad Abbazia d'Istria, mai si potevano supporre gli estremi sacrifici cui furono soggetti i residenti italiani ivi dislocati. Eppure fu un gran bel giorno quel 4 novembre 1918, quando il R.C.T. Acerbi della Real Marina Italiana sbarcò ad Abbazia ed un plotone si recò marciando alla base dell'ex Comando Austriaco per issarvi il nostro tricolore. Il caso volle, che fra i componenti dell'equipaggio dell'Acerbi vi fosse il sottufficiale Umberto Barbella, fratello del nonno Gaetano. Ma non basta per far evolvere chissà quale disegno progettuale di un'Italia da realizzare poi, perché Umberto Barbella, quattro anni prima si trovò imbarcato sulla Regia Nave Napoli, in concomitanza del perfezionamento degli esperimenti sulle radiocomunicazioni ad opera dello scienziato Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909. Era il 13 marzo 1914.
Brescia, 25 giugno 2021
Biografia dell’autore
Diploma tecnico, innata predisposizione per il disegno, capacità e inventiva nel campo della meccanica delle macchine, interessi culturali a tutto campo: su queste premesse Gaetano Barbella coltiva da autodidatta il suo interesse particolare per la matematica, con lo spirito, la genialità e la curiosità di un dilettante di talento. Dedicatosi anche allo studio di esoterismo, di egittologia, di arte, è uno scrittore esperto che nel corso degli anni ha scritto numerosi articoli pubblicati in rete. Nel 2008 la Macro Edizioni pubblica un suo libro in Ebook, dal titolo, “I due Leoni Cibernetici. L’alfa e l’omega di una matematica ignota, pi greco e la sezione aurea”. Nato nel 1938 a Bolzano e vissuto sin da ragazzo a Caserta, dal 1969 ad oggi vive a Brescia con la famiglia.
1Fonte:
https://www.ereticamente.net/2021/06/piede-e-peccato-triade-e-tetrade-costanza-bondi.html?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=piede-e-peccato-triade-e-tetrade-costanza-bondi
2Fonte:
http://www.tavernacatena.com/Lo%20Scontro%20di%20Teano.htm