Donna allo specchio di Cagnaccio san Pietro
Antonio Donghi (Roma 1897/1963) apprezzato in Italia proprio per la
sua appartenenza al realismo magico, ebbe i successi più consistenti
grazie ai favori dei collezionisti privati e negli Stati Uniti.
Il termine “realismo magico”, utilizzato anche in letteratura dopo la pubblicazione del romanzo di Marquèz Cent’anni di solitudine, fu coniato dal tedesco Franz Roh e indica quell’elemento soprannaturale, magico e un poco onirico che emerge nella vita di tutti i giorni. La definizione di ciò che in pittura caratterizza il realismo magico la diede lo scrittore Massimo Bontempelli: “precisione realistica dei contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo, e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, attraverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”.
Il termine “realismo magico”, utilizzato anche in letteratura dopo la pubblicazione del romanzo di Marquèz Cent’anni di solitudine, fu coniato dal tedesco Franz Roh e indica quell’elemento soprannaturale, magico e un poco onirico che emerge nella vita di tutti i giorni. La definizione di ciò che in pittura caratterizza il realismo magico la diede lo scrittore Massimo Bontempelli: “precisione realistica dei contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo, e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, attraverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”.
Giocoliere di Antonio Donghi
Ecco che forse per Antonio Donghi, di carattere schivo nonostante
l’arridere dei successi nazionali e internazionali, le figure prese in
prestito dal circo e dall’avanspettacolo furono una sorta di magico
alter ego i suoi acrobati,
giocolieri e Arlecchini sono soggetti isolati e tuttavia protagonisti
unici in un ridotto spazio che li circonda. Il suo successo si basò soprattutto sui favori di affezionati
collezionisti che non lo abbandonarono mai, neppure nel periodo
dell’immediato dopoguerra, non facile per nessuno, in particolare per il
pittore che di lì a poco si trovò suo malgrado invischiato nella lotta
astrattisti e realisti.
Orizia agli specci di Ferruccio FerrazziFerruccio Ferrazzi (1891-1978), maestro eclettico del Novecento, primo italiano vincitore del prestigioso Premio Carnegie a New York presieduto da Bonnard. Artista di straordinaria caratura, contemporaneo di pittori come De Chirico, Funi e Morandi, ma a differenza loro conosciuto poco se non pochissimo. Ossequiato nella prima metà del Novecento, dimenticato nel dopo guerra, passato di moda negli Anni Cinquanta divenne quasi ingombrante nel panorama nazionale fino alla morte che diede avvio ad una breve riscoperta durata pochi anni, poi più niente.
Un incomprensibile oblio che inizio a credere sia più invidia cha altro, perchè
Ferrazzi non è mai ossequioso al potere, non dimentichiamo che sono i
critici che determinano la fama degli artisti e i primi a volte sono pittori
mancati e si accaniscono così sui più bravi.
E beccatevi in chiusura Renato Guttuso, celebrato e ricelebrato da una sinistra con le fette di salame sugli occhi. E' mia personale veduta che Guttuso sia un mediocre pittore, scopiazzattore del Picasso di Guernica, a sua volta copione degli italiani di Novecento, aggiungendoci un pizzico di cubismo copiato dai futuristi e da Braque.
Guttuso è collaboratore e amico del fascistissimo direttore della famosa rivista "Il Primato" Giuseppe Bottai intorno agli anni Trenta, tra l'altro con scritti "allineati" al regime come quelli di Ruggero Zangrandi e PierLuigi Battista: “Il lungo viaggio attraverso il fascismo" e "Cancellare le tracce".
"La Crocifissione" suo famoso quadro ottenne il secondo posto nel 1941 al Premio Bergamo e piacque molto al "fascistissimo" ministro Bottai.Un altro "capolavoro" è la "Fuga dall'Etna" del 1938, di proprietà della Galleria Nazionale d'arte moderna di Roma, dove i comunisti del dopoguerrra videro la colata della lava come metafora del fascismo.
Infatti negli gli anni del dopoguerra l'artista si poteva esprimere "liberamente", ad esempio con i "Funerali di Togliatti" (1972), dove in una selva di bandiere rosse, rendeva omaggio al "migliore".
6 commenti:
Magari la sinistra avesse solo pochissime fette si saleme sugli occhi!
...e che ha interi salumifici in modo voluto ed im modo ossessivamente stampato. E persino l'arte del sinistro è l'arte dei salumi a fette, ovvero prendere dall'altrui e farlo a fettine sperando che il derubato non se ne possa accorgere.
Meglio l'Antonio Donghi che si cimenta con l'arte circense, perchè circense è la vita degli uomini.
Un beso, Paola!
Caro Cosimo,
la sinistra aveva dato tante speranze è per questo che io sono amareggiata...le promesse se si fanno bisogna mantenerle.
Ciao.
Cara Paola, ormai, di sinistra, in Italia è rimasta solo la mano che usiamo per tenere il foglio mentre scriviamo.
E dato che non scriviamo quasi più, anche per quello c'è rimasto poco.
Però credo che l'arte sia sempre "di rottura".
Quindi qualcosa di sinistra c'è ancora lì.
Un abbraccione,
Piero
Caro Piero...e meno male, valgano i contenuti, se un'idea è buona conta forse il colore?
L'arte cos'è...un addolcimento della vita, un qualcosa che ci fa appena, appena odorare quello che eravamo e quello che saremo, un nulla che forse è un tutto.
Ciao Piero, buona domenica.
Importante presentazione la tua, per chi come me colpevolmente scopre da poco gran parte dell'arte moderna in Italia. Forse sono troppo soggettivo, ma tante opere di Guttuso, di cui ho pur letto di recente ampi cenni biografici, un guizzo di emozione, per la scelta dei soggetti, invero, me lo procurano.
Ti ringrazio Adriano, io cerco di condensare, di restringere, ma di lasciare ciò che conta, per far comprendere che l'arte è come la storia o se vuoi come i luoghi che tu presenti nel tuo post, si può capire il vissuto eliminando un po' di relativismo.
Guttuso lo stimo poco perchè secondo me non ha usato il suo talento per aiutare a comprendere i tempi, ma era un comunista all' acqua di rose, stava nel bel mondo e stava con gli operai...non va...
Ciao
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