Il rosolaccio non è altro che il papavero, sì proprio
quello che cresce fra il grano con le caratteristiche campane rosse, chi non
ama i papaveri? E’ un’erba molto buona da mangiare e qua da noi le massaie di
una certa età ne vanno a raccogliere a iosa, si trovano preferibilmente vicino
ai campi di grano, ma un po’ ovunque, vanno raccolti prima che abbiano il fiore.
Il nome del papavero, secondo una fantasiosa etimologia deriverebbe dal celtico
papa, cioè “pappa”, in riferimento al fatto che nella pappa dei bambini veniva
inserito il succo di questa pianta per farli dormire… è pur sempre della
famiglia degli oppiacei. Sembra che il termine “alti papaveri”, che si usa per
indicare personaggi importanti, derivi da un episodio in cui Tarquinio il
Superbo, uno dei re di Roma, indicò al figlio Sesto il modo di conquistare una
città, cioè di uccidere gli uomini che rappresentavano le più alte cariche, e con
la spada intanto recise con un solo colpo i fiori dei papaveri che erano nel
campo dove si trovavano. E un tempo lontano quando le donne non avevano il
rossetto si truccavano le gote e le labbra col rosso dei loro petali. Ma
andiamo in cucina e iniziamo a padellare i rosolacci sia crudi che cotti. Li possiamo
sbollentare e poi passare in padella con olio, semplici oppure con una dadolata
di pancetta o bacon. Il risotto è ottimo, un riso semplice, sfumato col vino
bianco, aggiungendo a metà cottura i rosolacci e mantecare poi con burro e
parmigiano. Una frittata è sempre gradita, e il ripieno per i crescioni o i
tortelli assieme ad altre erbe è unico. Ma c’è una ricetta che è detta
minestrella che contiene un misto da 10
a 30 erbe selvatiche tra cui naturalmente il rosolaccio, si lessano le verdure,
lasciandole poi in acqua fredda per qualche ora intanto si lessano i fagioli (
io ho usati quelli in scatola). Preparare quindi un soffritto con il lardo o la
pancetta, poi mettere la verdura tagliata finemente, aggiungere i fagioli
precedentemente lessati che però metà vanno messi interi e per metà
schiacciati. Ricoprire con l’acqua di ammollo dei fagioli e lasciare cuocere
per circa un ora e mezzo, si può aggiungere minestrina fine del tipo “mafrigul”
(manfettini)
o crostini di pane. Poi c’è la “paparina” dei leccesi, si sa che in Puglia si
mangia da re, si rosola uno spicchio d’aglio ( io non lo metto) si uniscono le
paparine (i rosolacci)si sala e si mette il coperchio, si mescola spesso e a
metà cottura si aggiungono le olive nere, a fine cottura un poco di peperoncino…
e qui andiamo con un bicchiere di vino Albana secco.
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