Una
biondina, dai capelli lunghi e lisci, esile come un giunco e come un giunco
camminava, oscillando in qua e in là, forse era stata espulsa da scuola, forse
aveva un appuntamento, forse aveva mal di testa.
Forse,
forse, ma intanto era giunta là, davanti a lui, all’improvviso, e lo stava
guardando con gli occhi stupiti.
Franco
infilò in fretta il coltello in tasca.
La ragazza
aveva capito?
Aveva
intuito qualcosa?
Si presentò,
la ragazza si chiamava Silvia e la madre era stata un’allieva del Professore;
ancora oggi, la madre le faceva una testa “così“, ricordandole il proprio
impegno, le assemblee, le richieste, gli
scioperi e nominava il Professore, così bravo, così mite e sempre dalla
parte degli studenti.
Silvia,
aveva fretta, era uscita prima da scuola con una scusa, doveva incontrarsi con
il suo ragazzo, un tunisino e perciò malvisto dalla sua famiglia.
Si vedevano
di nascosto.
Era
impaziente ma non poteva lasciare quell’anziano professore, tanto elogiato
dalla madre, in fretta e furia, poi magari lui poteva mettere una pulce
nell’orecchio della mamma.
Ravenna è
una città piccola, la madre e il Professore potevano incontrarsi e lui dirle
che l’aveva trovata fuori dalla scuola in orario di lezione.
Pensare che
quando l’aveva visto accanto all’auto, la Mini Minor, un pensiero fulmineo le
era baluginato in mente: “era forse lo sfregiatore dell’auto?”
Che pensiero
ridicolo, era il … Professore.
Lo seguì nei
giardinetti proprio dietro San Giovanni Evangelista, lui voleva sedersi su una
panchina, voleva sapere di sua madre.
Sentì due
dita farle pressione, sulla vena del collo, sentì venirle meno il respiro, non
sapeva cosa accadeva, il suo ultimo pensiero fu per Abdul, avrebbe fatto tardi
all’appuntamento.
Franco aveva
la ragione sconnessa, l’inconscio guidava i suoi gesti, andava avanti a caso.
Invitò
Silvia al giardino, era pieno di fiori, c’era la strada accanto, ma gli alberi
creavano una cortina, e nel parco non c’era nessuno.
Seduti sulla
panchina, Franco osservava la gola bianca di Silvia, lo sguardo correva sempre
là.
Lo sguardo
correva alla gola inerme di Silvia e il pensiero si rivolgeva al suo decoro,
alla sua immagine pubblica che si sarebbe sgretolata.
Silvia, lo aveva visto all’opera col coltello,
ora, sempre per il motivo delle apparenze, non se ne rendeva conto, ma poi il
pensiero sarebbe venuto a galla, e come un fiore malefico avrebbe avvelenato l’esistenza di Franco .
Franco si
rese conto di non poter vivere senza sua maschera pubblica.
Non voleva
ucciderla, non voleva, le mani corsero veloci alla giugulare che si trova nel collo, dove scorre
sangue arterioso e che se viene gravemente lacerata o compressa, tipo
strangolamento, ti può portare rapidamente alla morte, nel primo caso per
emorragia e nel secondo caso per asfissia, perché non circola più sangue nei grandi vasi
cardiaci.
La lasciò lì, come un burattino
senza fili.
Nessuno lo fermò.
Silvia fu ritrovata dopo poco, proprio da Abdul, il suo innamorato.
Per il gioco delle apparenze e dei pregiudizi fu Abdul l’unico indiziato.
2 commenti:
una bella fetta di giustizia italica viaggia tra le ingiustizie e le apparenze
Hai proprio ragione
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