Possono gli ortaggi comporre un ritratto umano?
L’Ortolano”, olio su tavola del 1590, custodito al Museo Civico di Cremona, l’effigie è quella di una scodella color verde scuro, ricolma di vari tipi di verdura, ma basta capovolgerla perché diventi un volto rozzo e paffuto. Bisogna capovolgere e capovolgersi per vedere l’altro lato della realtà.Questa è l' arte strana e meravigliosa del pittore milanese Giuseppe Arcimboldi( o Arcimboldo come a volte si firma).Arcimboldi può sicuramente essere considerato uno dei degli artisti lombardi più estroso del XVI secolo. Nato e morto a Milano (1527-1593), visse anche a Vienna e Praga. Arcimboldi reagisce alla monotonia della tradizione rifugiandosi nella fantasia, non ignora la realtà ma parte da questa, utilizzandone i suoi elementi, per organizzarli in maniera del tutto differente da come si presentano in natura. L’arte di Arcimboldi si trova a cavallo di un momento storico molto particolare: la crisi e la conseguente fine dell’umanesimo quindi le sue opere possono essere interpretate secondo due strade differenti. Una prima nella quale l’uomo non è più centro razionale dell’universo ma è ridotto a cosa; o viceversa è l’ultima esaltazione dell’uomo, sintesi di ogni oggetto creato dalla natura. Arcimboldi fu molto apprezzato dall’imperatore alla corte di Praga, dove esistevano le Wundernkammern (sale delle meraviglie), strane raccolte di oggetti mostruosi o paradossali.E’ davvero profondo e radicale il mutamento di linguaggio artistico avvenuto in Arcimboldi dal momento del suo trasferimento a Praga. Dalle figurazioni classiche degli arazzi e delle vetrate disegnate per il Duomo di Milano, alle originalissime soluzioni figurative delle composizioni di frutti, di fiori, di animali, di piante, di oggetti che formano volti ed immagini, il divario è enorme. Ma cosa è avvenuto a Praga al nostro pittore Arcimboldi ? A Praga c’era la corte dell’imperatore, ma c’era anche il ritrovo prediletto degli alchimisti e dei Rosa Croce, e tanti altri che resero negli anni questa città il centro dell’esoterismo europeo, al punto di conquistarsi l’attributo di città magica. Per questa via ed acquisendo questa conoscenza Arcimboldo elaborò la sua tecnica: scomporre la realtà in parti, trasformare queste parti, a loro volta in organismi che avessero un senso simbolico rispetto al quadro generale, e ricomporre infine la realtà, come un mosaico, utilizzando le nuove tessere che aveva creato. Uno scomponi e ricomponi che affascina e meraviglia grandi e piccoli, per parte mia, la prima volta che ho visto un lavoro di Arcimboldi sono rimasta a bocca aperta per un bel po'.Arcimboldi ebbe una grande notorietà ed uno stuolo di imitatori. Seguì un secolare silenzio finchè, all' inizio del "900 , i Surrealisti individuarono nelle sue opere uno dei principi della loro arte: conferire nuovo significato ad un oggetto attraverso l' assemblaggio di elementi estranei.
immagine:Ortaggi in una ciotola (L'ortolano) - rovesciato
immagine:L'ortolano (Ortaggi in una ciotola) - diritto
7 commenti:
Ciao Paola, guardo "l'ortolano" di Arcimboldi e penso che con gli stessi prodotti della terra si può mettere su un'altra opera, dandole sempre lo stesso titolo. Quindi è la rappresentazione dello scomponi e ricomponi della vita di ognuno di noi. Dove c'è l'arrivo di vari eventi con la loro evoluzione naturale o forzata. Eventi che non solo modificano il decorso della vita, pure e sopratutto il nostro io. A Milano c'è un teatro con il nome di Arcinboldi e credo non sia stato scelto a caso per presentare tanta variegata comicità, attraverso uno spettacolo che vede protagoniste le varie facce dell'uomo.
Paola c'è un premio per te da me.
Intanto ti auguro un bel fine settimana di ogni mare!
Un beso.
Ps- Il video con l'acqua che saltella e va, e la canzone che hai inserito sul tuo blog, a me piacciono tantissimo, e non sai che avevo pensato di salvarlo accostando una mia poesia, che avrei postato a brevissimo. Poi la rosa mi ha fatto desistere.
Arcimboldi ha in sè la magia del costruttore, la sua tecnica si avvicina a quella del mosaico che a me piace tanto, la sua idea è meraviglioa è un po' come vedere da tanti lati, un po' come la vita che è fatta di tanti pezzetti che cambiano di volta in volta e alla fine pure quello che si crede di avere ottenuto viene ribaltato in un attimo, e le nostre certezze saltano.
Ciao uno splendido fine settimana per te ed un bacio per il premio che ho già portato via da te...mi terrà compagnia.
Ciao, Paolè.
Io trovo l'Arcomboldi davvero straordinario. Mi ha sempre affascinato la sua arte intrisa di capacità magico-mimetica.
Giocando un pò, si possono prendere le sue nature morte anche come incantesimi di un mago che dà vita ai frutti della natura. Una specie di mago Merlino, che mette in fila ortaggi e fiori e mette in moto una processione di personaggi incredibili.
NOn te lo immagini mentre suona, come il pifferaio di Hammelin, il suo flauto magico? E loro, i suoi vegetali viventi, tutti in fila, obbedienti, che si mettono in posa, sporgersi dalle cornici anguste, loro, le nuove creature viventi, che ci sfidano con lo sguardo, increduli nel vedere in noi altre forme di vita, differenti dalle loro, senz'altro,per loro, altrettanto impossibili come loro per noi...
L'Arcimboldo, come ti ho detto nella risposta al post precedente, dosa ingredienti irrazionali con sapienza e maestria che non hanno avuto, forse, pari, nella storia dell'arte. Almeno, lui è stato una specie di surrealistas ante litteram. Dopo di lui, Dalì e compagni sono arrivati tardi. Anche se il carico di fascino di quella surrealtà è davvero ammaliante.
Buona domenica, Paolè.
Un bacio
Forse mi sono già intrattenuto, qui da te Paola, su “Il falso specchio” di Magritte come ne ha parlato Francesca Bonazzoli, vedi Corriere della Sera, 22.11.2008.
L'opera che condanna la verità dell'immagine, che tanto attiene l'opera di Arciboldo qui in discussione. Nel “falso specchio”, le nuvole dell'illusione, così un grande occhio mette in crisi il mondo, ma anche gli ortaggi di questo quadro di Arciboldo c'entrano come il cavolo a merenda con la relativa immagine capovolta, tuttavia giova rileggere ciò che ha scritto Francesca Bonazzoli.
«Dimmi, Damide, esiste una cosa chiamata pittura?» «Certo», risponde Damide. «E perché si fa?». «Per l'imitazione, per ottenere una figura somigliante di un cane o un cavallo o un uomo, o una nave, o di qualsiasi altra cosa sotto il sole». «Allora la pittura è imitazione, mimesi?». «Certo, che cos'altro dovrebbe essere, se non fosse così sarebbe un ridicolo trastullarsi con i colori », ribatte Damide. «Già, ma che dire delle cose che vediamo in cielo quando le nubi corrono portate dal vento, di quei centauri e antilopi, di quei lupi e cavalli? Sono anch'esse opere di imitazione? Dio è forse un pittore che occupa le sue ore libere in questo divertimento?», chiede ancora il filosofo pitagorico Apollonio di Tiana al suo discepolo con il quale, all'epoca di Cristo, arrivò fino in India. E poiché, procedendo nel dialogo, i due concordano che le nubi si formano per caso e che siamo noi a attribuire loro una forma somigliante a quelle che già conosciamo, Apollonio conclude che due sono le possibili imitazioni: «Una è quella che porta a utilizzare le mani e la mente per realizzare imitazioni, l'altra è quella che realizza la somiglianza unicamente con la mente».
Quasi mille anni di storia dell'arte dopo, nel primo ventennio del XX secolo il pensiero estetico torna da capo su questo tema e, dopo aver compiuto l'intero giro della mimesi passando attraverso l'illusione e i cieli sfondati barocchi di Correggio, Padre Pozzo o Tiepolo, Magritte dipinge un quadro che riporta la speculazione filosofica al punto dove l'aveva lasciata Apollonio di Tiana. Quel quadro si intitola «Il falso specchio» ed è un enorme occhio che ci guarda, ma dentro il quale non vediamo riflessi noi stessi, bensì un cielo attraversato da nubi. L'immagine più semplice del mondo, eppure quanto mai ambigua, a partire dalla pupilla che, al centro di quel cielo azzurro, appare come un inspiegabile sole nero. Ma non solo: che cosa è quel cielo? Quello reale riprodotto dalla superficie specchiante della pupilla, oppure un «falso specchio » che non rappresenta ciò che l'occhio vede, bensì ciò che ci illudiamo di vedere? È una finestra sul mondo o il nostro mondo interiore che diventa una finestra? La stessa riflessione verrà sviluppata da Magritte in molti altri quadri e soprattutto ne «I due misteri», dove dipinge un'enorme pipa e, sotto, un cavalletto con un altro quadro che riproduce a sua volta una pipa, ma con la scritta: «Ceci n'est pas une pipe».
Ancora una volta Magritte spiazza colui che guarda: ci sono due pipe oppure due disegni di pipe? O una pipa e il suo dipinto o due dipinti di una pipa vera, oppure due disegni che non sono e non rappresentano né l'uno né l'altra e a che cosa dunque si riferisce la frase scritta sul quadro nel quadro? Insomma, Magritte vuole spostare il valore della pittura dalla sua funzione mimetica, che l'arte occidentale gli ha riconosciuto fin dai tempi dei Greci, a quella concettuale. La qualità dell'opera d'arte, dice, non sta nell'abilità esecutiva (egli stesso parlava di peinture vache, di bassa qualità), bensì nella capacità di innescare una riflessione sul mondo e la realtà.
(Continua)
Gaetano
(continuazione)
È lo stesso spostamento dal manufatto alla sua dimensione mentale che aveva già sperimentato Duchamp e che porterà all'arte concettuale, ma Magritte lo attua attraverso gli strumenti del Surrealismo, ovvero l'accostamento incongruo di oggetti, indipendente dalle leggi della logica, come in sogno, per sancire l'irrealtà dell'apparenza. Così la riflessione, e la visione, trasferiscono il loro centro dall'esterno all'interno, come suggerito anche nella celebre scena di «Un chien andalou » in quello stesso anno girato da Buñuel (e sceneggiato da Dalì) dove una nube affilata che attraversa la luna si trasforma nella lama di un rasoio che taglia l'occhio di una donna come a negare la possibilità della visione e dell'interpretazione della realtà attraverso la vista. Alla pittura viene quindi negato ogni valore naturalistico: come aveva intuito Apollonio di Tiana, nella visione c'è sempre una componente soggettiva, la tendenza a proiettare nelle forme immagini di cose che già abbiamo nella testa. Con Magritte arriviamo dunque al punto di rottura più radicale della storia della mimesi, messa già in crisi dal trompe l'oeil fin dall'epoca rinascimentale e barocca anche se tale esercizio virtuosistico rimaneva ancora nell'ambito dell'imitazione (del cielo, del soffitto sfondato, delle architetture, delle nubi) e non metteva veramente in discussione la verità dell'immagine che restava sempre uno strumento di conoscenza della realtà. Ecco perché nel XX secolo Magritte si accanisce proprio contro la pittura: perché negare le immagini è un modo di negare finalmente l'oggettività del mondo. E dopo le guerre virtuali che abbiamo visto in tv seduti sul divano, sappiamo quanto questo sia vero.
http://www.ildialogo.org/filosofia/documenti_1227397789.htm
Ciao, Paola
Gaetano
Piero,
Arcimboldo è stato riscoperto proprio dai surrealisti che ne hanno fatto il loro antesignano.A differenza dei surrealisti odierni l' Arcimboldo ha la matematica e l' alchimia, lui sapeva governare l' irrazionalità, se penso ad Arcimboldo mi viene in mente l'amico Gaetano , perchè anche lui è come il pifferaio di Hammelin.
Certo che mi sarebbe piaciuto vivere nella Praga magica di allora, ma io in quanto donna sarei forse stata bruciata come strega.
Ciao Piero, qua piove ed è una giornata molto triste.
Gaetano,
concordo con tutto ciò che hai commentato,ma penso che sia ora di un nuovo passo, cioè quello che hai fatto tu, realizzare l' armonia fra il P.greco e la sezione aurea, fra irrazionalità e razionalità, raggiungere cioè un accordo, quello che magari è presente in Magritte ma non in Dalì...esiste ciò che non si vede ma esiste anche quello che si vede.
«Una è quella che porta a utilizzare le mani e la mente per realizzare imitazioni, l'altra è quella che realizza la somiglianza unicamente con la mente».
Ciao Tanino e buona domenica di pioggia rilassato sul divano.
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