sabato 7 aprile 2018
DIARIO 6
Ho incominciato ad andarmi a letto alle 21:00 e delle volte
anche prima, sto riflettendo seriamente di tornare a vedere la televisione,
così dormo un paio di ore sul divano, così riuscirò ad andare a letto almeno alle
23:00, che dormire così presto mi sembra di essere un pollo. E in questi giorni
mi sento tanto un pollo o per lo meno un tacchino induttivo. Sapete la storia
di quel tacchino che stava sicuro perché tutte le mattine alle nove gli
portavano da mangiare, invece la mattina della vigilia di Natale, alle nove gli
tirarono il collo. Il tacchino induttivio
è una celebre metafora ideata dal filosofo Bertrand Russell, e ripresa poi
anche da Karl Popper, allo scopo di confutare le pretese di validità in senso
assoluto secondo diciamo l’abitudine e la molteplicità delle volte che accade
una cosa. A questo punto devo dire che mi sento un pollo o un tacchino ma al
contrario di quello di Popper o di Russell, mi sento senza certezze né
abitudini, mi sento disordinata e sola, vorrei tanto avere le certezze del
tacchino, quella bella abitudine, anche se so che del domani non c’è certezza, mi
basterebbe la falsa sicurezza. Invece non è vero neanche questo, se avessi
delle false sicurezze, mediterei sulla loro falsità, quindi il mio problema è l’incertezza,
e parafrasando il poeta Gozzano il mio motto può essere… Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state e in merito a queste parole ho un ricordo
infantile che è indelebile. Mi regalarono una palla, non ero mai stata così
felice, giocavo sempre con quel pallone finché non si bucò su uno spino… quanto
dolore, quanto piansi. Durai non giorni, ma settimane a piangere, finché mia
madre non mi portò a casa una palla nuova, ma io piangevo lo stesso. Allora mia
madre mi disse, perché continui a piangere, hai la palla adesso, io risposi…
penso che se non avessi forato l’altra ora ne avrei due.
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