Capitolo 2
Lyuba e il casino
delle tre i
Si sentiva in
fallo perché era una sfaticata e non era abbastanza coraggiosa, il gruccione
stava male e lei se ne fregava e lo portava domattina al Centro recupero invece
che ora, lei invece di andare a letto poteva cercare sul cellulare quella
strana Via degli Zingari, prendere l’auto e portare il gruccione là, Ravenna
mica era una metropoli.
“No, guarda
hai fatto bene così, rammenti quello che ti ha detto il tipo al telefono? Ti ha
risposto che se non c’era nessuno e il cancello era chiuso potevi lanciare il
gruccione al di là della rete. Quelli al gruccione non guardano neanche
domattina”.
“Antipatica,
hai sempre poca fiducia nelle persone, però è vero stasera non avrebbero fatto
niente per il gruccione”.
Questo era il
dialogo fra Lyuba e la sua coscienza.
Lyuba aveva
questo strano nome perché quando era nata lei, negli anni Settanta, sua madre
era affascinata dal jet set, di cui allora non si conoscevano gli altarini,
termine che era stato coniato per l’alta società, il cosiddetto bel mondo. All’epoca
sembrava che il jet set fosse una specie di castello incantato e chi ci viveva doveva
essere certamente bello, buono, bravo e… immensamente ricco. Era un’epoca molto
particolare quella dell’Italia dei grandi salotti e delle serate al casinò,
mica poteva sapere la madre di Lyuba che il casinò era un luogo nefasto e che
nei grandi salotti giravano certe vipere; oggigiorno che il casinò e le slot
machine sono aperti a tutti, anche ai poveri cristi che dilapidano il loro
stipendio e la pensione della loro nonna, forse non l’avrebbe chiamata Lyuba.
Forse era
molto meglio la disuguaglianza, nel senso che al casinò fosse possibile
l’ingresso solo ai ricconi, che se perdevano una villa al tappeto verde ne
avevano poi altre nove o altre cento.
No, ora i
ricchi non scialacquavano più, i soldi gli servivano per cose serie, dovevano
comprare sempre più terre, fabbriche, giornali, televisioni e altre risorse
economiche, perché si stava ritornando al latifondo e alla concentrazioni delle
ricchezze in poche mani, è per questo che i poveri devono andare al casinò o
alla slot machine, sono i nuovi schiavi di un sistema malato e perverso,
eremiti senza spirito nel deserto pieno di lucciole che la tecnica ha reso
reali e perfidamente necessarie.
Lyuba
divagava sempre per ogni minimo pensiero, dunque Lyuba si chiamava così per via
di Ljuba Rizzoli una delle donne più belle e più ammirate del jet set che non
fu tanto felice, anche se, come scrive lei stessa, Edda Ciano, la figlia del
Duce, le consigliò di girare sempre con un sacchetto di diamanti, perché
quelli, a differenza delle case, si possono portare e vendere ovunque, la
signora Rizzoli non ne aveva un sacchetto ma uno zaino da alta montagna pieno.
Se poi Lyuba
non era esattamente come il nome della regina del jet set, avendo la y al posto della j era stato colpa dell’impiegato dell’Anagrafe che aveva confuso le
due lettere, come ancora oggi accade che qualcuno confonda la j (i lunga) e l’y (ipsilon o i greca)… come dire che tutte queste i creano casino.
Nella cabala
le tre i sono espresse dalla lettera
ebraica Yod che ha il significato
numerico di 10, infatti, può essere letta come Yad, che vuol dire mano e noi
abbiamo appunto 2 mani (5+5=10). Significa quindi il fare e il realizzare; una
mano chiusa a pugno denota il potere, il possesso, l’avere; una mano aperta la fratellanza, l’amicizia,
il dare. Il bambino quando nasce ha le mani chiuse a pugno, ha tutte le
possibilità, ma quando l’uomo muore le mani sono aperte, non si porta niente
dal mondo fisico.
Per Lyuba il
casino delle tre i era il non
comprendere che la fama è per la fame, nel senso che i talenti ricevuti vanno
fatti fruttare ma non per tenerseli bensì per dividerli con chi non ne ha
ricevuto, che tanto si muore a mano aperta, meglio ricordarlo perché se si
muore con le mani rattrappite e chiuse vuol dire che si sta soffrendo molto
durante la dipartita.
Lyuba
analizzava ogni parola o numero, così per il gusto di farlo e dato che c’era
ora analizzava la dizione, Lyuba era stanca di essere ripresa perché sbagliava
accenti, -con ‘sta storia degli accenti, anche qui c’è un gran casino-.
Le parole
hanno dentro la magia del creare ma vanno dette nel modo giusto, adesso Lyuba
sfidava chiunque… non c’era nessuno, Accademia della crusca o non crusca, che
conoscesse gli accenti primordiali, non dico dei siculi, forse i primi abitanti
dell’Italia, ma manco degli italiani del
tempo di Dante, infatti qualche commentatore della Divina Commedia, dice che
Dante ha sbagliato a scrivere e a interpretare qualche locuzione latina… come
razzo fa a dirlo?
Con le fonti.
Un abitante
del futuro, diciamo del 2100, studioso di storia del Duemila, credete che saprà
ben tradurre l’italiano corrente con tanto di slang e soprattutto con tanto di modo
e intonazione di dire?
No,
comprenderà molto ma non il tutto, figuriamoci al tempo di Dante che era quasi
tutto improntato alla parola volante e poco a quella scritta e senza video o
filmati.
Per quanto riguarda
la discussione degli accenti, la questione è che non è la norma a determinare
l’uso, bensì l’uso a determinare la norma! Non esistono forme sbagliate in una
lingua e forme giuste, ma forme usate e non usate. La lingua evolve, si
trasforma, è un organismo vivo... come una persona!
Lyuba aveva
il dente avvelenato con gli accenti, sebbene avesse notato che anche degli studiosi
avevano il suo stesso problema, diversamente altri erano matematicamente certi
della loro dizione.
Lyuba sin da
piccola era stata ripresa perché diceva incùbo dal verbo incubare e le amiche
le dicevano… si dice incubo non incùbo cos’hai covato dei pulcini questa
notte?
Lyuba ci
rimaneva molto male, per lei incubo andava con l’accento sulla u, dal verbo
incubare che tra l’altro significa proprio giacere o covare, e poi se è l’uso a
determinare la norma, vuol dire che se la massa dice incùbo e solo 100 persone
incubo la regola salta, ma per ottenere ciò il processo è molto lento, come inizio Lyuba doveva
diventare come minimo una star e suggestionare i fan col nuovo accento,
diventando un’influencer, termine di
moda oggi per indicare chi ha la capacità
di influenzare i comportamenti degli altri.
Influencer, coach, hanno più o meno lo
stesso significato: devi diventare loro seguaci, fare quello che consigliano
loro, così sarai, nel primo caso alla moda, nel secondo felice e loro chi sono
per determinare ciò? Meglio la star che sa veramente fare qualcosa che questi
coach e influencer che non si capisce bene quale sia la loro arte e ancora
meglio è lo stare con le regole grammaticali.
Quindi le amiche
sapientone avevano sì ragione loro in quanto stavano nel recinto della regola,
ma non sapevano il perché.
Si dice incubo,
senza accento sulla u, perché non proviene dal verbo incubare, ma dal nome di
una creatura malefica che prendeva l’aspetto di uomo e giaceva con le donne
dandole un senso di soffocamento o congiungendosi carnalmente con loro.
Incubo, lo spiritello
era anche custode di grandi tesori, per carpirne il segreto occorreva riuscire
a portargli via il berretto e poi farsi dire il nascondiglio in cambio della
restituzione del cappello.
Questo
spiritello antico sopravvive ai giorni nostri, con altri nomi, nel folklore
della Romagna, Lyuba conosceva tante belle storie.
Così Lyuba vi
parlerà di Mazapegul o Calcarel.
Uno dei più
singolari personaggi della tradizione romagnola, un folletto con uno strano
berretto rosso, dispettoso e causa di pesi allo stomaco.
Si diceva al
tempo dei nonni… non ho dormito bene, un peso allo stomaco, come una pietra,
sarà stato Mazapegul?
Tante sono le
favole legate all’inquietante Mazapegul, una delle più divertenti è la storia
di una ragazza, la quale ricambiando l’amore notturno del folletto, ebbe da lui
molti servigi come una casa perfettamente linda, candidi bucati e dolci
fragranti. Invaghita da tanta generosità, la giovane donna espresse il
desiderio di vedere la faccia del suo amante, nonostante i dinieghi di
Mazapegul, lo costrinse a mostrarsi, ma all’orribile visione del suo amato, la
ragazza morì di schianto.
Si tratta di
una popolare versione della favola di “Amore e Psiche” che ci attesta come,
dietro al folklore, esista una rete di intrecci psicologici e antropologici.
Ma cosa
c’entra Mazapegul con le corna?
Nelle
famiglie patriarcali di qualche decennio fa, la vita familiare era promiscua, una
dozzina e più fra donne e uomini, cognati e cognate, scapoli zitelloni e spesso
vi era anche il garzone, di solito un giovanotto.
Capitava
quindi qualche amore, così come oggi accade in ufficio.
Lo stretto
contatto fa sì di piacersi.
Rinunciare?
No, i nostri
nonni avevano molto buon senso, sì all’amore, mai rinunciare però o disfare una
famiglia… che la passione amorosa passava e certo un tempo la scintilla
dell’amore era scattata anche fra i coniugi.
Una favola di
Esopo racconta che un capraio trovò in mezzo al suo gregge, mentre era al
pascolo, delle capre selvatiche, tutto contento, giunta la sera, le condusse
assieme alla sua grotta; dove lasciò da parte le sue capre, dandogli poco foraggio,
per offrirlo alle nuove arrivate per farle sue, ma quando, la mattina dopo, le
condusse tutte al pascolo, quelle selvatiche, si diedero alla fuga. Il capraio
le accusò di ingratitudine, perché lo abbandonavano nonostante avessero
ricevuto più attenzioni delle altre, al che risposero… è proprio per questo che
stiamo scappando, se ieri ci hai trattato meglio delle capre che stanno con te
da tanto tempo, è chiaro che domani preferirai altre che verranno dopo di noi.
Consapevole
dell’importanza della famiglia, al marito o moglie cornuta non restava altro
che scaricare la colpa del malessere e del rospo ingoiato a Mazapegul.
Una trentina
d’anni fa, al paese natio di Lyuba, un marito tornò a casa prima dal bar e
trovò qualcuno al suo posto nel letto, vide solo un’ombra che fuggiva
indistinta, la moglie gli disse, che si era sbagliato, che non c’era nessuno,
negò strenuamente, ma il marito irremovibile insisteva che aveva visto
qualcuno, la donna allora disse: “Sarà stato Mazapegul”, il marito cedette.
Sembra, che
anche se ti trovano sul fatto, durante l’amplesso, occorra negare, negare anche
l’evidenza, perché si crede sempre quel che si vuol credere e non a ciò che fa
male.
Comunque il
marito soleva dire agli amici al bar, mentre giocava a briscola: “Però questo
Mazapegul è un peso allo stomaco che vi auguro non dobbiate sentire mai”.
Nessun commento:
Posta un commento