
Pietà di Cosmè Tura, 1460, olio su tavola, 48 x 33 cm, Venezia,Museo Correr.
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LA PIETÀ
DI COSMÈ TURA
Di Gaetano Barbella
Mi sono compiaciuto nel vedere in bella mostra, nel blog dell’amica Paola,
Il Forum di
Teoderica, la struggente immagine del dipinto di Cosmè Tura, La Pietà. Quale opera d’arte è
davvero universale nell’esorcizzare il senso della pietà nel cuore degli uomini, specie in
questi giorni, meglio in questa epoca cruciale, in cui gli occhi del mondo sono rivolti
all’immane cataclisma tellurico che ha devastato la piccola e povera terra di Haiti.
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Ho chiesto a Paola cosa l’ha spinta a mostrare questo dipinto e non un altro e lei mi ha
confidato: «Gaetano, di mio cosciente non c’è niente, la Pietà di Cosmè Tura è la Pietà che
preferisco, è una delle pitture che più mi commuovono, in cui nelle fattezze spigolose e
disarmoniche definiscono per me il “tutto”, non l’ho neanche mai studiata perché voglio che mi
lasci il brivido che provo quando la vedo, ...». E poi mi ha rivelato un fatto che mi ha riempito
di speranza, sentite: «Devi poi sapere che ho fatto un sogno pochi giorni fa, in cui forse c’eri
anche tu, in una specie di teatro dove c’erano personaggi “strani” ma buoni, c’era anche mio
figlio, in una specie di coacervo di idee uno di questi personaggi dall’alto con una bottiglia
contenente un infiammabile la gettava contro gli altri ed a me, una vampata di calore e tutto
divampava rimanendo ognuno come una fiammella, come se fosse il passaggio reale dalla vita
alla morte, doloroso ma breve, dopo la vampa, il non più esistere ero lì a chiedermi sono o non
sono, ero aria e fuoco, come se fosse rimasta la mia anima, te lo racconto perché è uno dei miei
rari sogni così “reali” da svegliarmi, e perché forse ti può far luce sulla scelta “autonoma” per
Cosmè Tura.».
A questo punto, sono come trascinato in un vortice di idee sorgenti, una più attrattiva
dell’altra, tutte provenienti dal quadro di Cosmè Tura in questione.
Confesso che non lo avevo mai analizzato ed ora mi si presenta appena “velato”, giusto il
segno del velo sulla coscia del Cristo fra le braccia della Madre del dolore.
Il “tutto”, trasmesso da Cosmè Tura con tempera e olio per l’intima “Pietà”, cui si riferisce
Paola, mi si incanala nella mente turbinosamente ed io ne resto soggiogato. Vorrei restare
in silenzio con sommo rispetto, ma è d’uopo che io lo dica ad altri, a Paola per prima,
perché venga onorato il suo sogno premonitore.
Ma non è questo sogno che, per primo, mi ha aperto la mente, bensì altre cose che poi vi
hanno trovato rispondenza e posto un suggello.
Potrei stare a parlare per ore su quel che mi è parso di vedere nel dipinto in causa, ma due
sono i fatti che maggiormente contano per dare rilievo allo scopo dell’opera – secondo la
mia visione – che si prefigge di suscitare il senso della pietà non solo cristiana. Ma c’è di
più, come rimandato da Cosmè Tura ad un certo futuro, allorché la scienza darà i giusti
frutti, dunque oggi.
Viste le cose della “Pietà” in questa ottica, il mio discorso risulta, naturalmente, fuori
dall’ortodossia della critica d’arte, ma dopo averle dette non dispiacerà stimarle amabili e
condividerle.
Il primo fatto è riposto in modo occulto nell’estranea presenza dell’essere simile a scimmia
sull’albero alla sinistra sui cui rami, a portata delle sue mani, si vedono un paio di frutti
(sono senza dubbio i due frutti dell’albero della scienza del bene e del male) sospesi.
Abbastanza più in là si vede un altro frutto piuttosto piccolo, immagino quello del futuro
che racchiuderebbe i due bene in vista, come a preludere una scienza giusta ed equa.
Non mi soffermo tanto su questo fatto potendo rimandare ad un sito dove viene spiegata
ogni cosa in modo amabile.
Il link è questo:
http://www.fondiantichi.unimo.it/FA/Gadaldini/marca/Ar3467.htmlIn sintesi la scimmia è il bambino in noi che in modo innocente e inconsapevole getta i frutti
dall’albero e altri in basso se ne nutrono. Ma il bambino è tutto preso per il gioco, per
l’effetto che fanno i frutti nell’impatto con l’acqua di uno stagno sottostante. Insomma è
come un certo Newton, svincolato dalla realtà umana circostante (lo scienziato è solo nella
sua astrazione dal mondo) che seredipicamente è incuriosito dalla caduta della mela
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dall’albero sotto il quale è sdraiato.
Nel nostro caso lo scopo dei frutti, come suddetto, dell’albero della scienza del bene e del
male, è in primis l’opera di soccorso per chi soffre destato dal senso di pietà.
Ma purtroppo nel quadro compaiono a mala pena tre piccole pianticelle di tale senso sulla
terra inaridita dal male dei cuori dell’umano vivere. Però l’altro frutto isolato, quello che
appena si scorge, come prima immaginato da me, farà nascere qualcosa di meglio,
rigoglioso.
Il secondo fatto, che riguarda una fondamentale speranza su cui ora mi soffermo.
Si tratta delle Tre Croci del Golgota che, come ho detto nel commento al post di Paola su
Haiti e Cosmè Tura, «Par che siano geometrie che uniscono la terra al cielo. Meglio: l’elicoide
del monte con un vago ellisse chiaro del cielo. Mi sovviene la base del manto di Teodora (il
mosaico di Ravenna): i due di pi greco (i due ladroni) e l’altro semicoperto che li precede, la
sezione aurea (Gesù), che salgono verso la “torre” dalle 5 gemme più una vaga stella o altro in
sommità.».
In aderenza alle cose della scienza moderna, dalla quale ci si aspetta qualcosa di prodigioso
per fronteggiare la sofferenza nel mondo dell’umanità povera, allo stremo delle forze di
sopravvivenza, l’immagine delle Tre Croci fra cielo e terra l’ho vista come il filamento di una
lampadina che, nell’essere attraversato dalla corrente elettrica, diventa incandescente,
illuminando l’ambiente d’intorno.
Di qui la mia esultanza nel rileggere il racconto del sogno di Paola: «uno di questi
personaggi dall’alto con una bottiglia contenente un infiammabile la gettava contro gli altri ed
a me, una vampata di calore e tutto divampava rimanendo ognuno come una fiammella, come
se fosse il passaggio reale dalla vita alla morte, doloroso ma breve, dopo la vampa, il non più
esistere ero lì a chiedermi sono o non sono, ero aria e fuoco, come se fosse rimasta la mia
anima...». Si capisce quel personaggio dall’alto del sogno è il bambino in noi, la scimmia o un
antico Re secondo certe leggende.
Nell’Arte dell’alchimia conta prima d’altro trovare un pesce che nell’ermetismo riguarda la
remora, ma nemmeno ignoto al primo Cristianesimo, perché sappiamo del loro simbolo ictis
raffigurato, appunto, con un pesce.
Infatti è un geroglifico del II secolo per indicare il Cristo, e si trova nelle catacombe di
Roma in più modi. La spiegazione è questa: Ictis, (Ιχθυζ, greco, pesce) composto di
lettere iniziali greche corrispondenti alle latine di Jesus Christus filius Salvator.
Nelle catacombe si trova anche il pesce che porta una nave e che gli archeologi cristiani
spiegano che è per la Chiesa condotta dal Cristo. Ma per i cabalisti l’Ictis è una parola a
cinque lettere o punte come la stella dei Rosa Croce, come il pentagono cabalistico adorato
dai re magi nella stella.
Ovviamente con La Pietà di Cosmè Tura non siamo sott’acqua o... sì, perché il mondo dei
lavori alchemici ha a che vedere con l’occulto mare dell’anima. Dunque la
remora che si cerca di adocchiare non è un pesce qualsiasi e deve pur essere da qualche
parte.
Ma nessuno ha mai pensato ad una remora da trovare, appunto, pur ritenendo il quadro in
questione un’opera di un artista al quale l’alchimia non è poi tanto estranea, come si sa.
Tuttavia chi è avvezzo a questo genere di concezioni filosofiche sa di questa cosa misteriosa
ed assai preziosa. E si sa anche che senza questa curiosa remora è da pazzi accingersi alla
pratica del “fornelli”, tanto meno capire l’arcano che vi attiene.
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«La remora, chiamata dagli ermetisti in altri modi è la terra dei saggi, una massa che è lo
zolfo prezioso, il bambino appena nato, il piccolo re; ed il nostro delfino, pesce simbolico
chiamato appunto remora o echineis o pilota, e con altri nomi.» [1]
Ma per i cristiani la remora, come ho detto, è Gesù Bambino che cerchiamo di far rinascere
in noi all’Epifania di ogni anno, senza il quale non sorge mai in noi il sole dell’amore per il
prossimo. Sì proprio la fiamma intesa da Cosmè Tura che ha immaginato simile ad un “Sole
Nero”, noto fra gli esoteristi come il Sole di Mezzanotte.
Ma siamo nel duemiladieci e questo sole deve pur illuminare le menti coscienti. Di certo, a
questo punto, generato dal piccolo frutto dell’albero della scimmia, ovvero della scienza che
da iniziale alfa della vita arriva ad essere una omega prodigiosa.
[1] Le dimore filosofali di Fulcanelli. Edizione Mediterranee, vol. II, pag, 24. Edizione
Mediterranee.