Il Chianti è un vino prodotto in
Toscana, nella zona di Firenze e di Siena, con una grossa parte, 80% di Sangiovese
con l’aggiunta, per il 20%, di altri vitigni. Richiede l’invecchiamento di
almeno un anno. Ha colore rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento;
profumo intenso, a volte di viola, al palato è armonico e saporito, col tempo
si affina diventando vellutato e intenso. Si abbina a piatti saporiti come
arrosti, cacciagione e formaggi stagionati. La zona dove si coltiva il Chianti è una terra di antiche tradizioni
vinicole di cui esistono testimonianze etrusche e romane. Ma i primi documenti
in cui col nome Chianti si identifica una zona di produzione di vino risalgono
al XIII secolo
e si riferiscono alla Lega del
Chianti costituita a Firenze per regolare e tutelare la
produzione del vino. Il marchio simbolo dell’antica Lega Militare del Chianti,
che distingue le bottiglie di Chianti Classico, è il Gallo nero, il cui emblema è dipinto dal pittore Giorgio
Vasari sul soffitto del Salone dei Cinquecento, di Palazzo Vecchio a Firenze. Il
Gallo nero è legato a una leggenda medievale, in pratica fu un gallo nero a
decidere i confini della terra del Chianti. Quando,
nel Medioevo, Firenze e Siena erano nemiche e se le davano di santa ragione, per
prevalere l’una sull’altra, il territorio del Chianti, posto in mezzo alle due
città, era fonte di acerrime dispute. Per porre fine alle contese e stabilire
un confine definitivo, si decise di far partire un cavaliere da Firenze e uno
da Siena, il punto dove si sarebbero incontrati sarebbe stato il confine. La
partenza doveva avvenire all’alba e il segnale d’avvio sarebbe stato il canto
di un gallo. I senesi scelsero un gallo bianco, mentre i fiorentini optarono
per uno nero, che tennero chiuso in una piccola e buia stia pressoché a digiuno
per indurlo a cantare con più solerzia. Il giorno della partenza, non appena fu
tolto dalla stia, il gallo nero cominciò a cantare molto prima dell’alba, così
il cavaliere fiorentino partì molto prima di quello senese. Fu così che quasi
tutto il Chianti passò sotto il controllo di Firenze. Non ci resta che versarci
un bicchiere di Chianti, davanti a un gallo arrostito con patatine.
domenica 24 giugno 2018
lunedì 18 giugno 2018
UN BICCHIERE DI BRUNELLO
Il Brunello di Montalcino è un vino rosso prodotto
in Toscana,
nel territorio del comune di Montalcino in provincia di Siena. Il Brunello di Montalcino
può essere considerato, insieme al Barolo,
il vino rosso italiano dotato di maggiore longevità. Il Sangiovese e
il Brunello hanno la stessa varietà di uva e il vino Brunello è creato solo col
vitigno di Sangiovese.
Si presenta con un colore rosso granato dal sapore robusto armonico e intenso
col profumo di geranio, ciliegie e spezie. Il Brunello viene affinato in botti
di rovere per almeno due anni e messo in commercio cinque anni dopo la
vendemmia, mentre la versione Brunello Riserva deve riposare almeno sei anni. Molto
importante col Brunello è l’annata, le migliori a cui vengono attribuite le
cinque stelle, sono il 1945, 1955, 1961, 1964, 1970, 1975, 1985, 1988, 1990,
1995, 1997, 2004, 2006, 2007, 2010, 2012 e 2015. Per la determinazione
della qualità di un vino molto importante è considerare l’annata della
vendemmia, a volte l’annata è considerata come l’unico elemento per determinare
il reale valore sia di gusto che economico. L’annata è importante per via dell’andamento
meteorologico delle stagioni, il bel tempo, le giornate soleggiate incidono sulla
qualità di un vino. Il Brunello si abbina a piatti di carne rossa, selvaggina,
tartufi, funghi, formaggi stagionati, ma può essere per la sua intensa
profondità un vino da meditazione. Prendiamo
un bel bicchiere ampio, versiamo il Brunello lentamente, facciamolo ondeggiare,
annusiamo il profumo intenso, poi gustiamocelo e se abbiamo scelto una buona
bottiglia di questo vino, non lo dimenticheremo perché indimenticabile è il
sentirsi la bocca e il palato invasi da un’onda profumata e ricca di sapore e
allo stesso tempo travolgente di aromi e dolcezza.
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mercoledì 13 giugno 2018
UN BICCHIERE DI BAROLO
Il Barolo è un vino ottenuto da uve Nebbiolo. Nasce nel
cuore delle Langhe piemontesi, a pochi chilometri a sud della città di Alba,
nel territorio di 11 Comuni che si trovano fra colline intessute da antichi
castelli tra cui quello di Barolo, che ha dato il nome al vino oggi celebre in
tutto il mondo. Fu grazie a Camillo Benso Conte di
Cavour e di Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo, che si cominciò
a produrre, a metà dell’Ottocento il Barolo destinato a diventare l’ambasciatore
del Piemonte dei Savoia nelle corti di tutta Europa. Ha colore rosso scuro con riflessi granata,
pieno e intenso, profumo fruttato e speziato; ricorda sia i frutti rossi che la
cannella, il pepe , la noce moscata e perfino il cuoio e la liquirizia, ciò
dipende dal luogo in cui le uve sono coltivate, anche se i luoghi sono vicini esistono
delle differenze organolettiche significative, secondo l’esposizione al sole, ma soprattutto secondo
le qualità del suolo, se prevalentemente sabbioso o argilloso. Il Barolo deve
invecchiare almeno tre anni, di cui uno e mezzo in legno di rovere, e solo dopo
cinque può fregiarsi della “Riserva”, arriva al culmine dopo 10 anni di
invecchiamento e resta ottimo anche dopo 20 o più anni. Il Barolo è usato come ingrediente base per il piatto
Brasato al Barolo, ricetta che forse
deriva, visto gli stretti legami di un tempo fra Piemonte e Francia, dal Manzo
alla borgognona, stufato di carne cotto nel vino Borgogna. Esempi di piatti contadini che si sono lentamente
raffinati in alta cucina. Molto
probabilmente, bollire la carne nel vino serviva a rendere teneri anche quei
tagli di carne meno pregiati. Il Barolo essendo un vino importante viene
abbinato ad arrosti e brasati di carne rossa, selvaggina, formaggi stagionati e
piatti con tartufo. Come tutti i vini rossi
importanti può essere un vino da meditazione. Quindi rilassati sul divano
dopo aver cenato sorseggiamo un calice di Barolo e meditiamo, ovvero
consideriamo e soffermiamo a lungo il pensiero su alcune cose e poi un sorso di
vino e un altro ancora… tutto apparirà più facile.
giovedì 7 giugno 2018
UN BICCHIERE DI BARBERA
La Barbera è
un vino tipico
del Piemonte
principalmente nelle zone di Alessandria, di
Alba,
di Asti,
e dell’Oltrepò Pavese. La Barbera è da bere giovane
nella sua versione senza invecchiamento, da lasciare riposare alcuni anni prima
di degustarla. La Barbera è un vino frizzante, dal colore intenso, netti
profumi di frutta rossa, fiori e quel tanto di spezie per renderla intrigante.
Ha tannini decisi e un’acidità incredibile, tanto che viene considerata uno dei
vitigni più acidi, nonostante cresca in zone relativamente calde. Potete bere la
Barbera leggera e frizzante come aperitivo o per accompagnamento per i classici
antipasti piemontesi, ma anche con semplici salumi, mentre la Barbera più
corposa, invecchiata si può servire anche con piatti più elaborati come ad
esempio la selvaggina. L’estrema adattabilità del vitigno, ha fatto sì di
espandersi non solo in tutt’Italia, ma in tutto il mondo, in Argentina è uno
dei vitigni più coltivati, così come in California e Uruguay. Così si possono trovare bottiglie di Barbera
un po’ dappertutto, ognuna con caratteristiche del luogo dove viene coltivata, ma
il vino rimarrà sempre inconfondibile. E ci sarà un motivo se la Barbera è
stata fonte di ispirazione per cantanti e poeti. Se Gaber canta barbera e champagne
stasera beviam e un cantautore pugliese due gocce di Barbera, canzoni che parlano di amori tormentati o finiti, si può forse intendere che la briosità della Barbera tolga la malinconia del mal d’amore. Quindi prendiamo un bicchiere, versiamo una buona dose di Barbera, e degustiamolo come si deve: osserviamo, ruotiamo lentamente il calice, annusiamo, ruotiamo di nuovo il calice in maniera più ampia e poi finalmente beviamo facendo entrare un po’ d’aria in bocca e pensiamo alla poesia di Giosuè Carducci… Generosa Barbera/ Bevendola ci pare/D’esser soli in mare/sfidanti una bufera e chissà forse dopo ci sentiremmo in grado di superare meglio le disavventure d’amore o le tempeste della vita.
stasera beviam e un cantautore pugliese due gocce di Barbera, canzoni che parlano di amori tormentati o finiti, si può forse intendere che la briosità della Barbera tolga la malinconia del mal d’amore. Quindi prendiamo un bicchiere, versiamo una buona dose di Barbera, e degustiamolo come si deve: osserviamo, ruotiamo lentamente il calice, annusiamo, ruotiamo di nuovo il calice in maniera più ampia e poi finalmente beviamo facendo entrare un po’ d’aria in bocca e pensiamo alla poesia di Giosuè Carducci… Generosa Barbera/ Bevendola ci pare/D’esser soli in mare/sfidanti una bufera e chissà forse dopo ci sentiremmo in grado di superare meglio le disavventure d’amore o le tempeste della vita.
venerdì 1 giugno 2018
UN BICCHIERE DI ASTI
L’Asti
è uno spumante dolce, tuttavia, per essere maggiormente competitivi con altri
prodotti spumante di successo, da non molti anni esiste anche l’Asti secco. Asti
spumante e Moscato d’Asti, pur facendo parte della
medesima denominazione Asti ed
essendo ambedue espressioni di Moscato bianco,
sono due vini diversi: il primo è uno spumante, il secondo no. Il vino ha dato
il nome a un bicchiere: la Coppa Asti,
a mio parere personale è più chic bere spumante dalla coppa che dal fluttino. L’Asti
è il vino italiano DOCG più esportato e lo
spumante dolce più conosciuto al mondo. La “zona del Moscato” comprende
una serie di comuni della provincia di Alessandria, Cuneo ed Asti. La
diffusione di queste uve è dovuta al particolare gusto dolce che si otteneva
facendole appassire. Carlo Gancia,
nel 1865,
apprese le tecniche di spumantizzazione dallo Champagne,
le applicò nella sua azienda di vini, ottenendo con le uve Moscato un prodotto dolce
e poco alcolico che venne chiamato Moscato Champagne. Il successo del
vino fu clamoroso. In breve tempo molte ditte dell’astigiano cominciarono a
produrre il nuovo vino: i F.lli Cora, Martini & Rossi,
Bosca e Riccadonna e altri. L’Asti si presenta con
un bel colore giallo dorato, con la spuma fine e persistente, dal sapore
aromatico e dolce, mentre quello secco è fragrante e floreale, deve essere
servito ad una temperatura di 6°-8°, quello dolce si abbina
con frutta o dolci, e nella chiusura dei pranzi. Il nuovo Asti secco, invece,
può essere consumato sia come aperitivo sia in accompagnamento a pietanze
speziate o saporite. Legato all’Asti è la Douja d’Or, un concorso enologico a
carattere nazionale che si tiene tutti gli anni a settembre nella città
di Asti
e che richiama migliaia di persone da tutt’Italia. La Douja è il termine
dialettale con cui si indica un antico e panciuto boccale piemontese. Ad essa è
legata anche il nome della maschera settecentesca Gianduia. Gianduia nasce
ad opera di un burattinaio che circa 300 anni creò una marionetta chiamata Gironi, nome che non piaceva al
pubblico, così il burattinaio scoprì in un paese intorno ad Asti, un furbo e
simpatico contadino di nome Gioan d‘la douja perché nelle osterie chiedeva
sempre un boccale di vino. Il nome divenne Gianduia e fu subito un enorme successo.
E poi, a Torino, si inventò il cioccolato gianduia da cui derivò il famoso
cioccolatino, quindi non ci resta che sorseggiare una coppa d’Asti lasciando
sciogliere in bocca un gianduiotto.
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