Capitolo 34
Io non ho paura
Si inoltrarono
lungo un sentiero rettilineo, fra due ali di pini, in un silenzio quasi
religioso, in cui l’unico suono era il gorgoglio dell’acqua, del fiume o canale
che avevano alla loro destra, si fermarono seduti su un dosso accanto all’acqua
per gustarsi la colazione, il giornale alla fine non lo lessero perché ambedue
avevano una gran voglia di iniziare la passeggiata, raccolsero i rifiuti,
portandoli in auto, non c’era neanche un bidone per l’immondizia, poi si
incamminarono lungo il viottolo rettilineo che sembrava proseguire
all’infinito.
Per un po’
rimasero zitti, osservando l’acqua che pareva velata da una tela lattiginosa,
non era acqua trasparente ma era fascinosa, pareva un tessuto damascato leggero
come un velo dalla miriade di sfumature dal giallo verde al verde blu. Gli alti
pini si specchiavano stando curvi come vecchi, quasi che dovessero schiantarsi
da un momento all’altro, e qualcuno infatti lo era, altri svettavano dritti,
alcuni avevano i fusti sottili, altri tronchi talmente larghi da non poter
essere abbracciati da due persone. Attorno solo verde, tanto da non vedersi
neanche in alto il cielo e ogni tanto qualche gruppo di graminacee e cannella
palustre, così eleganti coi loro ciuffi di fili alti, un tempo queste erbe
erano usate per creare cestini, sporte e persino capanne.
Stormi di
anatre si libravano all’improvviso a pelo sull’acqua in formazione frecce
tricolori.
Aironi
bianchi in solitudine planavano sui rami che sporgevano sull’acqua.
Le rane
saltavano all’improvviso fra l’erba e l’acqua: nella zona del Delta erano assai
apprezzate sia fritte che in guazzetto, al ranocchio erano dedicate anche delle
sagre, Lyuba non aveva mai voluto assaggiarle, le cosce delle rane fritte, le
rammentavano il loro saltellare e le dispiaceva vederle morte nel piatto, i
vecchi del suo paese natio le avevano insegnato ad amare i rospi e le ranocchie
e le avevano raccontato che le rane nascevano dagli acquazzoni estivi cadendo
direttamente dalle nuvole, giurando di averle viste.
“Allora che
mi dici sugli zingari”.
“Cosa vuoi
che ti dica? Pensavo di essere aperta e amabile con il prossimo, è solo
doratura niente altro che ipocrisia, pensa che ho criticato il Governo per il
denaro che investiva nei campi per i nomadi, soldi per quegli ubriaconi,
nullafacenti e anche ladri, mi vergogno di averlo pensato, questa non è
integrazione ma razzismo, infatti si rinchiudono in un ghetto recintato, fuori
dal centro abitato, gli si dà due soldi, basta che non rompano troppo le
scatole con la questua e i furti. Ieri in un negozio sono entrati una zingara
con due bambini a piedi nudi e sporchi, subito la commessa ha chiamato degli
aiutanti, uno di loro è arrivato armato di una specie di asta appoggiata alla
spalla, giusto per intimorire, la zingara e i bambini sono usciti velocemente
ma uno dei due zingarelli si è girato e
ha detto… io non ho paura.
Ci credi,
quel io non ho paura mi ha scosso più
del libro che ho letto con la storia di un prete che ha vissuto con gli
zingari, che mi ha chiarito come loro vivono la situazione dei campi, dove si
sentono schedati, controllati, sicuramente dei diversi, e così loro fanno
peggio, danno fuoco alle loro baracche e ogni tanto qualcuno di loro muore per
una pallottola vagante, sindaci e cittadini fanno manifestazioni e sollecitano
le Forze dell’Ordine che non vanno tanto per il sottile.
Un’altra cosa
che mi ha colpito, perché è capitata pure a me, se gli regali degli abiti, ma
anche del cibo, loro lo gettano e ciò mi aveva disgustato, ma vedi sono come
bambini, custodiscono solo quello che gli serve al momento, non pensano al
domani, si affidano alla Provvidenza.
Questo mi ha
fatto pensare a Don Bosco, il fondatore degli oratori, che alla sera gettava i
soldi che gli erano rimasti nelle tasche
dalla finestra, perché pensava che al domani avrebbe pensato la Provvidenza,
soldi che raccoglieva un giovane seminarista.
Al mattino
Don Bosco trovava sempre qualche offerta e il giovane seminarista che
raccoglieva i soldi gettati da Don Bosco era Giuseppe Cottolengo, che raccattava
anche la più piccola monetina perché aveva un sogno da realizzare: l’ospedale
che ancora oggi a Torino accoglie persone disabili, così me l’ha raccontata il
prete durante l’omelia, mentre un quotidiano su in Internet lo stesso evento lo
descrive così: “Si racconta che San Giuseppe Cottolengo, fondatore della Casa
che ancora oggi a Torino accoglie persone con disabilità, avesse talmente tanta
fiducia nella Provvidenza da gettare i denari in eccesso dalla finestra, sicuro
che il buon Dio avrebbe provveduto alle necessità future della Casa. I maligni
raccontano che sotto quella finestra si appostasse San Giovanni Bosco,
fondatore dei Salesiani, considerata una delle congregazioni più ricche della
Chiesa.”
La verità è
quella che ha raccontato il prete in Chiesa, ma in Internet questa notizia
errata è dilagata in modo virale… qual è ora la verità?
Visto che
siamo in democrazia è quella dei molti?
Così sugli
zingari mi sono sentita razzista e mal informata e tutta questa marea di notizie
mi hanno spaventato, Rico fra non poco diventeremo tutti degli analfabeti,
perché non sapremmo riconoscere nessuna parvenza di verità.
“Esagerata, sull’ignoranza
sono d’accordo, le cosiddette fake news sono un grosso problema, ma sugli
zingari, sono talmente sporchi che puzzano e poi rubano”.
“Oddio Rico,
mica hanno il bagno riscaldato ad uso singolo, quando non c’è elettricità o
acqua calda è difficile lavarsi in 70/80 persone, d’inverno, magari con un solo
rubinetto, eppure i rom hanno paura dell’impurità,
come gli indiani e gli ebrei. Pensa che lavano le loro cose in bacili diversi:
le pentole divise dai piatti, i vestiti dei maschi separati dagli abiti
femminili e così via. Rubare, non tutti lo fanno, molti rom esercitavano dei
lavori che erano legati al nomadismo, mestieri tradizionali come allevatori,
calderai e fabbri, musicisti, arrotini, venditori, imbonitori ma anche i
mestieri legati al fiume come i cavallari, i barcari, gli zattieri, i cordai,
questi ultimi in inverno passavano le case contadine e vi rimanevano qualche
giorno costruendo le sedie intrecciate di vimini o corda, era una gioia un
tempo quando arrivavano perché portavano racconti e notizie dai luoghi in cui
viaggiavano. Fellini li ha descritti bene nel film “La strada”, con lo zingaro
Zampanò, te lo ricordi Rico? Ricordo la mia bisnonna, quando mi raccontava dei
venditori ambulanti, che vendevano, pizzi e bottoni, aggiustavano i piatti e
stagnavano le pentole, aspettava i venditori con gioia, il manghel un tempo non era solo il chiedere l’elemosina, significava anche
vendere, era accettato un tempo nelle campagne, ma ora i loro mestieri non
servono più i piatti e le pentole si buttano via anche se non sono rotti,
figurati se si aggiustano, ai rom rimane solo la questua. Oggi non c’è spazio
per il lavoro tramandato dai loro padri, forse è per questo che alcuni entrano
a far parte della malavita. Sai che in Irlanda vivono degli zingari coi capelli
rossi e gli occhi chiari? Li chiamano tinkers
che significa stagnai o lattonieri. Una leggenda narra che per la crocifissione
di Gesù si cercava qualcuno che fondesse i chiodi e mettesse insieme una croce.
Il falegname rifiutò e l’unico che si lasciò convincere fu il lattoniere.
Guardandolo, Gesù gli disse: il falegname dovunque andrà sarà ricco e
fortunato, mentre il lattoniere sarà condannato a vagare per sempre sulla terra
e non troverà mai una casa. Su di loro pregiudizi a non finire, li hanno
chiamati maledetti, figli di Caino, li hanno accusati di essere coloro che
forgiarono i chiodi della croce di Cristo, senti come li descrivono: “Correndo l’anno di Cristo 1417 ecco che
cominciano ad apparire uomini brutti, neri e cotti dal sole. Indossano vesti
sudice e sono lesti nel rubare, soprattutto le donne. Commerciano cavalli, ma
la maggior parte di loro va a piedi. Le donne cavalcano giumenti con i loro
bambini”. Così il geografo tedesco Sebastiano Münster descrive i primi
zingari giunti in Germania all’inizio del XV secolo. E senti come li descrive
Lombroso, il medico e antropologo, sociologo, di fine Ottocento, esponente del
positivismo illuminista, fondatore dell’antropologia criminale, le cui tesi
ebbero un grande successo e furono alla base delle teorie naziste della
supremazia della razza ariana. Lombroso riteneva gli zingari, l’immagine di una
razza intera di delinquenti: “Sopportano
la fame e la miseria piuttosto che sottoporsi ad un piccolo lavoro continuato;
vi attendono solo quanto basti per poter vivere; sono spergiuri anche tra loro;
ingrati, vili, e nello stesso tempo crudeli… Dediti all’ira, nell’impeto della
collera, furono veduti gettare i loro figli, quasi una pietra da fionda, contro
l’avversario; e sono, appunto come i delinquenti, vanitosi, eppure senza alcuna
paura dell’infamia. Consumano in alcool ed in vestiti quanto guadagnano; sicché
se ne vedono camminare a piedi nudi, ma con abito gallonato od a colori, e
senza calze, ma con stivaletti gialli… Amanti dell’orgia, del rumore, nei
mercati fanno grandi schiamazzi; feroci, assassinano senza rimorso, a scopo di
lucro; si sospettarono, anni sono, di cannibalismo. Le donne sono più abili al
furto, e vi addestrano i loro bambini; avvelenano con polveri il bestiame, per
darsi poi merito di guarirlo, o per averne a poco prezzo le carni; in Turchia
si danno anche alla prostituzione. Tutte eccellono in certe truffe speciali,
quali il cambio di monete buone
contro le false, e nello spaccio di cavalli malati, raffazzonati per sani,
sicché come fra noi ebreo era, un tempo, sinonimo di usuraio, così, in Spagna,
gitano è sinonimo di truffatore nel commercio di bestiame. Lo zingaro in
qualunque stato o condizione si trovi, conserva la sua abituale e costante
impassibilità, senza sembrar preoccupato dell'avvenire, vivendo giorno per
giorno in una immobilità di pensiero assoluta, ed abdicando ad ogni previdenza…
È importante poi il notare che questa razza così inferiore nella morale ed
anche nella evoluzione civile ed intellettuale, non avendo mai potuto toccar lo
stadio industriale né, come vedesi, in poesia passare la lirica più povera, è
in Ungheria creatrice d’una vera arte musicale, sua propria, meravigliosa,
nuova prova della neofilia e genialità che si può trovare mista agli strati
atavici nel criminale”. E questo dire e ridire che sono sporchi, ladri e
vagabondi ha creato l’orrore degli orrori, lo sai che solo nel 1980 il Governo tedesco ha
riconosciuto ufficialmente il tentativo di genocidio degli zingari e che i loro
aguzzini non sono stati puniti, perché in fondo con loro Hitler aveva qualche
ragione, in quanto geneticamente tutti criminali. Porrajmos (divoramento)e samudaripen ( tutti morti) sono le
parole che usano i rom per il loro olocausto, e come ultimo sprezzo alla caduta
del nazismo, al processo di Norimberga hanno decretato che per gli zingari
forse Hitler aveva qualche ragione, ti rendi conto Rico? Alcune circostanze
accomunano rom ed ebrei: essere stati entrambi schiavi. I primi accusati di
essere della stirpe maledetta di Caino, i secondi di deicidio. Ariani degradati
gli uni, razza inferiore gli altri. Si stima siano stati uccisi tra i 500.000
ed il milione e mezzo di persone e la cosa peggiore è che venivano usati come
cavie, sottoposti all’inoculazione di germi e virus per osservarne la reazione
od obbligati a ingerire acqua salata fino alla morte. Alla base, le convinzioni
dei nazisti sulla razza che li riteneva di origine indoeuropea, e dunque
ariana, e che il ceppo zingaro fosse l’unico ad avere il gruppo genetico
originario della razza tedesca, contaminato però dal gene del nomadismo, che li
aveva portati, a mischiarsi coi non ariani degenerando l’iniziale purezza. Queste
teorie erano l’opposto della logica antisemita, per cui minore era il grado di
appartenenza razziale, maggiore era la speranza di salvarsi, per gli zingari
maggiore era la loro purezza maggiore era la probabilità di salvarsi dalla
soluzione finale e di diventare cavie. Joseph Mengele si trasferisce a
Birkenau, e da qui, dalla pelle di bambini rom e sinti, inizia le sue
sperimentazioni. Alle torture degli esperimenti, si aggiungerà la beffa: le
orchestre zingare, volute dalle SS, faranno da colonna sonora alla loro morte. Nel luglio del ’42 Himmler venne a visitare
il campo. Gli feci percorrere in lungo e in largo il campo degli zingari, ed
egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d’abitazione sovraffollate, i
malati colpiti da epidemie, vide i bambini colpiti dall’epidemia infantile Noma
[tumore dovuto a malnutrizione], che non potevo mai guardare senza orrore e che
mi ricordavano i lebbrosi che avevo visto a suo tempo in Palestina: i loro
piccoli corpi erano consunti, e nella pelle delle guance grossi buchi
permettevano addirittura di guardare da parte a parte; vivi ancora,
imputridivano lentamente. Si fece le cifre della mortalità tra gli zingari.[…]
Dopo aver visto tutto questo ed essersi reso conto della realtà, diede l’ordine
di annientarli, dopo aver scelto gli abili al lavoro, come per gli ebrei.[…]
L’operazione durò due anni. Gli zingari atti al lavoro vennero trasferiti in
altri campi, e alla fine rimasero da noi (era l’agosto del 1944) circa 4000
individui da mandare nelle camere a gas. […] Non fu facile farli arrivare fino
alle camere a gas. Personalmente non vi assistetti, ma Schwarzhuber mi disse
che, fino ad allora, nessuna operazione di sterminio degli ebrei era stata così
difficile, tanto più dura per lui in quanto li conosceva benissimo quasi tutti,
anzi era stato in buoni rapporti con loro. Infatti, a modo loro, erano gente
straordinariamente fiduciose […] (Le memorie del comandante Rudolf Höss)
“Basta, sei
un fiume in piena, basta raccontarmi delle tristezze. Questo viale sembra non
finire mai, è una buona mezzora che camminiamo e la luce che si intravede
laggiù in fondo sembra sempre più lontana. Raccontami qualcosa degli zingari di
bello e allegro, che so sugli ursari, i domatori di orsi, di scimmie o di
leoni, i giocolieri che poi sono i sinti per lo più, quelli del circo Orfei e
di tanti altri circhi o quelli dei luna
park oppure raccontami dei loro musicisti che hanno ispirato e hanno
influenzato e arricchito compositori come
Brahms, Schubert, Ravel, Strawinsky, Ciaikowski, ad esempio, a me la
musica di Goran Bregović, che deriva da temi zigani, con quelle musiche da
funerale e da sposalizio mi eccita, anche sessualmente a te no?
“Come no, se
vuoi ti ballo un flamenco, come una zingara spagnola, così ti ecciti di più,
non mi hai ascoltato e poi cos’è questo mi ecciti o non mi ecciti, devo
preoccuparmi?”
“Preoccuparti
in che senso?”
“Che ti metti
a fare il cascamorto, non mi piace questo”.
“Stavo solo
scherzando, per alleggerire la tua pesantezza, hai finito di raccontarmi sugli
zingari?”
“Se vuoi, ho
dell’altro, lo so è un mio difetto se inizio poi non la finisco più di
raccontare”.
“Vai
Sherazade, continua ad affabulare”.
Nessun commento:
Posta un commento