Capitolo 35
Dava a loro la
facoltà di poter rubare liberamente
“Dallo studio
della loro lingua sembra provenissero dall’India. Nei primi secoli si
spostarono in Persia, l’attuale Iran, poi in Armenia, finché nel 1100 è
testimoniata la loro presenza nell’impero bizantino, dove vennero chiamati
athinganoi, dal nome di una antica setta eretica, da cui deriva la parola zingari.
In seguito alcuni gruppi si stabilirono nella città greca di Modone, conosciuta
come Piccolo Egitto, forse è questo il motivo per cui essi dicevano che erano
egiziani. Un documento del 1417, li attesta nella città di Hildesheim, dove
vengono appellati tartari dell’Egitto, ben accettati in onore di Dio, poi
vengono via via segnalati in tutta la Germania, quindi in Svizzera, Francia,
Spagna, Inghilterra, Scozia e nel XVI secolo arrivano anche in Svezia.
Nell’area balcanica, alla fine del XVI secolo erano tutti censiti e abitavano
in dimore fisse pagando come tutti i lavoratori le tasse. Nella parte che oggi
è la Romania erano chiamati caldarari, ursari, lautari, florari. I caldarari
lavoravano i metalli, i florali si occupavano della vendita dei fiori, gli
ursari erano domatori di orsi, li facevano danzare a suon di musica alle fiere
di paese, i lautari erano dei musicisti che suonavano i Manele, un mix di
musiche orientali con una forte influenza balcanica che trattavano di temi come
l’amore, i nemici, i soldi, l’alcolismo e le difficoltà della vita in genere o
di eventi quali feste, nozze e funerali. In Romania arrivarono agli inizi del
1200, al seguito dei mongoli, alcuni di loro
mantennero la vita nomade pagando un tributo ai boiardi (l’antico titolo
nobiliare dei paesi slavi), altri diventarono sedentari e schiavi, diventando
proprietà delle famiglie nobili, un po’ come gli schiavi neri in America. La schiavitù
venne abolita nell’Ottocento, ma la loro vita si mantenne ai margini della
società. Durante il comunismo si è cercato di integrarli con casa e lavoro, ma
il crollo del regime li ha riportati al gradino più basso della società. Alcuni
sono ricchissimi e si coprono d’oro; altri se la cavano bene lavorando il
legno, i metalli, oppure facendo i muratori, i musicisti o altri lavori, ma
tanti, i più, i vivono in baracche senza luce né acqua corrente, continuando a
fare molti figli, sposandosi molto giovani. Pochi di loro vanno a scuola,
precludendosi così un futuro migliore, la situazione è simile a quella
italiana. Fra il 1417 e il 1430 in Italia, giunsero compagnie di pellegrini che
si dicevano “egiziani”. I pellegrini all’epoca godevano di una serie di privilegi
garantita dalla protezione del re. Queste compagnie erano condotte da presunti
conti e duchi, composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. Erano muniti
di salvacondotti e si dichiaravano egiziani e cristiani, raccontavano di dover
espiare una penitenza per un peccato di apostasia che li condannava a un
pellegrinaggio di 7 anni, chiedevano perciò aiuto. Le lettere/lasciapassare
erano firmate da Sigismondo re d’Ungheria e imperatore del Sacro Romano Impero,
dal papa o da altri grandi. Alcune forse erano vere, molte altre false.
Risultato: molte città fecero cospicue donazioni ai sedicenti “egiziani”, che
non erano altro che i rom. Erano veramente in pellegrinaggio o si fingevano
furbescamente tali per soggiornare comodamente nei vari luoghi a sbafo? Ma un
pellegrinaggio credibile non poteva durare in eterno. Si diffusero così bandi
per cacciare i rom. Il 18 luglio del 1422 le cronache bolognesi riferiscono
dell’arrivo in città di un gruppo di zingari al seguito del duca Andrea
proveniente dal Piccolo Egitto. Il duca Andrea soggiorna a Bologna per quindici
giorni e dice di essere diretto a Roma da papa Martino V. Le cronache
raccontano che potevano essere un centinaio di persone. Avevano il
salvacondotto del re d’Ungheria Sigismondo, che dava a loro la facoltà di poter
rubare liberamente. Le zingare andavano per botteghe e se ne andavano con le
lunghe sottane piene di roba rubata, erano indovine e intanto che leggevano la
ventura portavano via le borse… onde
fecero un gran rubare in Bologna… Costoro erano dei più fini ladri che fossero
al mondo. Fu data licenza a quei ch’erano rubati che potessero rubar insino
alla quantità del loro denaro, sicché furonvi alcuni uomini che andarono
insieme una notte ed entrati in stalla dove erano alquanti loro cavalli, gliene
tolsero uno il più bello. Coloro, volendo il cavallo, convennero di restituire
ai nostri di molte robe. Così, vedendo di non poter più rubare, andarono verso
Roma. Nota che questa era la più brutta genia, che mai fosse in queste parti.
Erano magri e negri e mangiavano come porci. Le femmine loro andavano in
camicia, e portavano una schiavina ad armacollo, e le anella alle orecchie con
molto velame in testa. Andarono a Roma, ebbero udienza dal Pontefice, non
si sa? Furono accolti inizialmente con simpatia, onori e privilegi: esenzione
dei tributi di frontiera, crediti e donazioni in metallo e il permesso di
esercitare la giustizia nelle loro questioni; ma poi passati più volte i 7 anni
del loro ipotetico pellegrinaggio, la conflittualità fra le popolazioni locali
e gli zingari crebbe fino a che vennero emesse leggi e ordinanze per metterli al
bando, fino ad espellerli. Il primo a volerli cacciare fu Ludovico il Moro: nel
1473 stabilisce che gli zingari vengano allontanati dal territorio del ducato
di Milano, pena la morte. Nel 1492 la Corte spagnola emanò il primo bando di
espulsione dei rom; a cui si accodarono Francia, Regno di Napoli e Stato
Pontificio. Il concetto di povertà, col protestantesimo religioso cambia: la
povertà da virtù evangelica diviene colpa, mentre l’operosità, la ricchezza e
il benessere una qualità per cui il ricco passa agevolmente dalla cruna
dell’ago. Cosa fare degli zingari girovaghi e con scarsa dedizione al lavoro? In
tutti gli Stati italiani tra il XVI e il
XVII secolo vennero emanate molte ordinanze contro gli zingari, i decreti
furono appoggiati anche dalla Chiesa, ma come sempre accade da quest’ultima si
alzarono voci in difesa, come quella di San Filippo Neri”.
“Tu stai
sempre a difendere la Chiesa”.
“È la forza
della Chiesa, quando il peso del potere diventa micidiale ecco che si alzano le
voci di nuovi Santi che la purificano, vuoi sentire un aneddoto su San Filippo
e gli zingari”.
“Ma sì, dai,
Filippo Neri, piace anche a me, per la sua generosità verso tutti e per la sua
allegria”.
“Pippo bono, lo chiamavano e anche
“buffone di Dio”, a volte è rappresentato col grembiulone intento a offrire da
mangiare a tutti. Ma era anche molto tosto. Dunque anche a Roma, c’erano
ordinanze contro gli zingari, tra le pene anche la fustigazione. Nella città si
stava preparando la spedizione che avrebbe portato la vittoria di Lepanto nel
1571, si stavano così reclutando persone per le navi e gli equipaggi e si pensò
bene di prendere forzatamente gli zingari per metterli a remare. Le mogli, i figli,
i vecchi, che per ovvi motivi non furono presi cominciarono a girare per la città
chiedendo aiuto fino a commuovere il popolo. Si organizzò autonomamente una
protesta generale e San Filippo si pose fra i protestanti, la loro azione ebbe
successo e gli zingari furono liberati.
Se in Italia funzionava così in Spagna, nel Seicento, per gli zingari si
tenta la strategia dell’assimilazione culturale e dell’obbligo dell’istruzione.
Nel XVIII secolo un altro tentativo di assimilazione forzata: nell’impero
austroungarico, si tentò di integrarli, si bandirono tutti i loro usi e le loro
tradizioni, fu proibito il nomadismo, il commercio di cavalli, la musica, la
lingua e lo stesso loro nome, non più zingari ma “nuovi magiari” (nuovi
contadini); i loro figli più piccoli vennero sottratti per essere allevati
dallo Stato. In Russia nel 1956, Krusciov emanò un decreto che vietava il
nomadismo e condannava a cinque anni di lavori forzati chi non si fosse
adeguato. Provvedimenti simili seguirono negli altri paesi comunisti. Come ben sai
Rico, anche in Italia si è tentato coi cosiddetti campi di integrarli, ma i
risultati se sono arrivati ancora non si vedono”.
“Ma quanti
libri ti sei letta sugli zingari?”
“In realtà
solo un paio, oltre a dispense pubblicate da operatori sociali che frequentano
i loro campi, è in Internet che ho trovato tesi di laurea e zingari assai
istruiti che tengono in particolar modo alla loro cultura e che hanno creato
siti molto ben fatti ed esaustivi. Sai che la cultura rom non ha la scrittura,
la loro tradizione si fonda sul racconto orale e forse è anche per questo che
sono più vicini agli antichi, sai che ti dico Rico? Uno scambio culturale alla
pari farebbe forse più bene a noi che a loro, rom significa uomo e ci aggiungo
un aggettivo uomo libero che è una gran bella cosa”.
“Lyuba,
questo viale non finisce mai, e tu hai finito sugli zingari?”
“No, non ho
finito, parlando con te, mi ritorna la memoria su quello che ho letto, una cosa
tira l’altra e così vorrei parlarti degli artisti che tanto si sono ispirati al
mondo gitano e soprattutto alla zingara dai lunghi capelli neri, indomabile e
affascinante”.
“Prendi questa mano,
zingara, leggi pure che destino avrò. Dimmi che mi ama, dammi la speranza, solo
questo conta ormai per me… perché non rompi il voto di castità?
“Prendi questa mano, zingara dimmi pure che
futuro avrò. Ora che il vento porta in giro le foglie e la pioggia fa fumare i
falò… se non la smetti di fare il marpione non racconto più nulla.”
“Obbiettivo
raggiunto ah ah ah, sto scherzando continua”.
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