Sto ripassando psicologia, così per non annoiarmi, approfondisco i temi, perchè credo, volutamente, siano stati resi confusionari. Mi sono riletta l'orribile storia di Albert ( chissà quanti altri Albert in ospedali legalizzati e certificati) perciò vi scandalizzerò se sdoganerò pure Hitler ( il Duce non c'è bisogno che lo dica io era un brav'uomo, tentava di moderare Hitler e le idee esaltate che provenivano da Inghilterra, Francia and company. Sino al 1943, anno della sua caduta-tradimento, nessun ebreo è stato 'gasato' o deportato, li mandava al confino o in prigione come ad esempio Gramsci che era filosionista, non è bello ma il confino non è certo un lager o la camera a gas. Il Duce faceva con Hitler quello che faceva Seneca con Nerone, cercava di chetarlo, entrambi Nero e l'Adolfo volevano fare gli artisti non glielo hanno permesso) A Watson egregio medico psicologo ( ispirato da Pavlov e ai suoi studi sui cani) non hanno mai fatto una Norimberga, nonostante il suo protocollo hitleriano, tutt'oggi studiato e definito Comportamentismo.Il mostro non era solo Hitler... Watson con Albert faceva i suoi esperimenti all'ospedale di Baltimora, gli USA e altre nazioni occidentali fecero i primi esperimenti eugenetici sulle donne sterilizzando le deboli le sgualdrine, le innocenti... il vero mostro non era Hitler, lui è solo stato più 'tecnologico', il vero mostro era la follia ideologica scaturita da un'errata interpretazione di Darwin con l'uomo occidentale colionalista, superuomo e supermostro, la follia è stata collettiva e come dice Sartre tutti siamo responsabili tranne chi si è fermato... chi ha dato retta alla sua coscienza e si è fermato a costo della vita come Massimiliano Kolbe che come Cristo morì dicendo... vi perdono perchè non sapete cosa state facendo.... perchè sulla folla con la scienza o meglio scemenza si è scoperto il riflesso condizionato così ai neuroni a specchio incondizionati ( già pericolosi per sè stessi, vedasi il comportamento della folla manzoniana) si sono aggiunti i neuroni condizionati. Chi ci salverà da questa pseudoscienza, lo vedremo solo vivendo... questi esperimenti continuano tutt'oggi, li ho sperimentati proprio a Ravenna... Ma tu, Ravenna di tutte la più amata ( il mio Oscar selvaggio)
giovedì 29 giugno 2023
sabato 24 giugno 2023
OMAGGIO A FRIDA KAHLO
venerdì 23 giugno 2023
INTERMEZZO

La Libellula è chiamata Dragonfly in inglese, ed è quindi associabile al messaggero degli Dei secondo le popolazioni pre-Colombiane che loro chiamavano Serpente piumato , oppure al Lung degli orientali, cioè il Drago benefico e portatore di conoscenza e potere spirituale. Il nome Libellula è invece derivato dal latino “libella”, vale a dire bilancetta. Dunque il nome indica la Bilancia, simbolo di Giustizia e quindi del Cristo, il messaggero degli Dei nella tradizione cristiana. La libellula è capace di dominare il volo ma anche di galleggiare sull’acqua e queste sono caratteristiche del Cristo-Messia, e in generale dell’Uomo perfettamente reintegrato nella sua immagine divina, conoscitore del Volo astrale verso i mondi spirituali e dominatore del corpo acqueo-animico (Gesù cammina sulle acque, come fa la libellula). La libellula è anche un insetto associato alla Velocità, dunque al Mercurio, il messaggero degli Dei secondo i Greci.
Comunque sia per me la libellula ha più grazia di una farfalla, essa nel linguaggio simbolico significa :rivelazione. Se compare o inizia ad interessarci significa che si ha bisogno di dissipare il velo di illusioni creato, rivelando a sè stessi una verità nascosta. Forse si ha necessità di riscoprire la creatività o di esprimere concretamente qualche talento. Quindi questo post vuol essere un augurio di conoscenza di sè stessi per tutti voi che lo state leggendo.
INTERMEZZO SPECIALE


giovedì 22 giugno 2023
martedì 20 giugno 2023
Il volo del gruccione
Capitolo 35
Dava a loro la
facoltà di poter rubare liberamente
“Dallo studio
della loro lingua sembra provenissero dall’India. Nei primi secoli si
spostarono in Persia, l’attuale Iran, poi in Armenia, finché nel 1100 è
testimoniata la loro presenza nell’impero bizantino, dove vennero chiamati
athinganoi, dal nome di una antica setta eretica, da cui deriva la parola zingari.
In seguito alcuni gruppi si stabilirono nella città greca di Modone, conosciuta
come Piccolo Egitto, forse è questo il motivo per cui essi dicevano che erano
egiziani. Un documento del 1417, li attesta nella città di Hildesheim, dove
vengono appellati tartari dell’Egitto, ben accettati in onore di Dio, poi
vengono via via segnalati in tutta la Germania, quindi in Svizzera, Francia,
Spagna, Inghilterra, Scozia e nel XVI secolo arrivano anche in Svezia.
Nell’area balcanica, alla fine del XVI secolo erano tutti censiti e abitavano
in dimore fisse pagando come tutti i lavoratori le tasse. Nella parte che oggi
è la Romania erano chiamati caldarari, ursari, lautari, florari. I caldarari
lavoravano i metalli, i florali si occupavano della vendita dei fiori, gli
ursari erano domatori di orsi, li facevano danzare a suon di musica alle fiere
di paese, i lautari erano dei musicisti che suonavano i Manele, un mix di
musiche orientali con una forte influenza balcanica che trattavano di temi come
l’amore, i nemici, i soldi, l’alcolismo e le difficoltà della vita in genere o
di eventi quali feste, nozze e funerali. In Romania arrivarono agli inizi del
1200, al seguito dei mongoli, alcuni di loro
mantennero la vita nomade pagando un tributo ai boiardi (l’antico titolo
nobiliare dei paesi slavi), altri diventarono sedentari e schiavi, diventando
proprietà delle famiglie nobili, un po’ come gli schiavi neri in America. La schiavitù
venne abolita nell’Ottocento, ma la loro vita si mantenne ai margini della
società. Durante il comunismo si è cercato di integrarli con casa e lavoro, ma
il crollo del regime li ha riportati al gradino più basso della società. Alcuni
sono ricchissimi e si coprono d’oro; altri se la cavano bene lavorando il
legno, i metalli, oppure facendo i muratori, i musicisti o altri lavori, ma
tanti, i più, i vivono in baracche senza luce né acqua corrente, continuando a
fare molti figli, sposandosi molto giovani. Pochi di loro vanno a scuola,
precludendosi così un futuro migliore, la situazione è simile a quella
italiana. Fra il 1417 e il 1430 in Italia, giunsero compagnie di pellegrini che
si dicevano “egiziani”. I pellegrini all’epoca godevano di una serie di privilegi
garantita dalla protezione del re. Queste compagnie erano condotte da presunti
conti e duchi, composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. Erano muniti
di salvacondotti e si dichiaravano egiziani e cristiani, raccontavano di dover
espiare una penitenza per un peccato di apostasia che li condannava a un
pellegrinaggio di 7 anni, chiedevano perciò aiuto. Le lettere/lasciapassare
erano firmate da Sigismondo re d’Ungheria e imperatore del Sacro Romano Impero,
dal papa o da altri grandi. Alcune forse erano vere, molte altre false.
Risultato: molte città fecero cospicue donazioni ai sedicenti “egiziani”, che
non erano altro che i rom. Erano veramente in pellegrinaggio o si fingevano
furbescamente tali per soggiornare comodamente nei vari luoghi a sbafo? Ma un
pellegrinaggio credibile non poteva durare in eterno. Si diffusero così bandi
per cacciare i rom. Il 18 luglio del 1422 le cronache bolognesi riferiscono
dell’arrivo in città di un gruppo di zingari al seguito del duca Andrea
proveniente dal Piccolo Egitto. Il duca Andrea soggiorna a Bologna per quindici
giorni e dice di essere diretto a Roma da papa Martino V. Le cronache
raccontano che potevano essere un centinaio di persone. Avevano il
salvacondotto del re d’Ungheria Sigismondo, che dava a loro la facoltà di poter
rubare liberamente. Le zingare andavano per botteghe e se ne andavano con le
lunghe sottane piene di roba rubata, erano indovine e intanto che leggevano la
ventura portavano via le borse… onde
fecero un gran rubare in Bologna… Costoro erano dei più fini ladri che fossero
al mondo. Fu data licenza a quei ch’erano rubati che potessero rubar insino
alla quantità del loro denaro, sicché furonvi alcuni uomini che andarono
insieme una notte ed entrati in stalla dove erano alquanti loro cavalli, gliene
tolsero uno il più bello. Coloro, volendo il cavallo, convennero di restituire
ai nostri di molte robe. Così, vedendo di non poter più rubare, andarono verso
Roma. Nota che questa era la più brutta genia, che mai fosse in queste parti.
Erano magri e negri e mangiavano come porci. Le femmine loro andavano in
camicia, e portavano una schiavina ad armacollo, e le anella alle orecchie con
molto velame in testa. Andarono a Roma, ebbero udienza dal Pontefice, non
si sa? Furono accolti inizialmente con simpatia, onori e privilegi: esenzione
dei tributi di frontiera, crediti e donazioni in metallo e il permesso di
esercitare la giustizia nelle loro questioni; ma poi passati più volte i 7 anni
del loro ipotetico pellegrinaggio, la conflittualità fra le popolazioni locali
e gli zingari crebbe fino a che vennero emesse leggi e ordinanze per metterli al
bando, fino ad espellerli. Il primo a volerli cacciare fu Ludovico il Moro: nel
1473 stabilisce che gli zingari vengano allontanati dal territorio del ducato
di Milano, pena la morte. Nel 1492 la Corte spagnola emanò il primo bando di
espulsione dei rom; a cui si accodarono Francia, Regno di Napoli e Stato
Pontificio. Il concetto di povertà, col protestantesimo religioso cambia: la
povertà da virtù evangelica diviene colpa, mentre l’operosità, la ricchezza e
il benessere una qualità per cui il ricco passa agevolmente dalla cruna
dell’ago. Cosa fare degli zingari girovaghi e con scarsa dedizione al lavoro? In
tutti gli Stati italiani tra il XVI e il
XVII secolo vennero emanate molte ordinanze contro gli zingari, i decreti
furono appoggiati anche dalla Chiesa, ma come sempre accade da quest’ultima si
alzarono voci in difesa, come quella di San Filippo Neri”.
“Tu stai
sempre a difendere la Chiesa”.
“È la forza
della Chiesa, quando il peso del potere diventa micidiale ecco che si alzano le
voci di nuovi Santi che la purificano, vuoi sentire un aneddoto su San Filippo
e gli zingari”.
“Ma sì, dai,
Filippo Neri, piace anche a me, per la sua generosità verso tutti e per la sua
allegria”.
“Pippo bono, lo chiamavano e anche
“buffone di Dio”, a volte è rappresentato col grembiulone intento a offrire da
mangiare a tutti. Ma era anche molto tosto. Dunque anche a Roma, c’erano
ordinanze contro gli zingari, tra le pene anche la fustigazione. Nella città si
stava preparando la spedizione che avrebbe portato la vittoria di Lepanto nel
1571, si stavano così reclutando persone per le navi e gli equipaggi e si pensò
bene di prendere forzatamente gli zingari per metterli a remare. Le mogli, i figli,
i vecchi, che per ovvi motivi non furono presi cominciarono a girare per la città
chiedendo aiuto fino a commuovere il popolo. Si organizzò autonomamente una
protesta generale e San Filippo si pose fra i protestanti, la loro azione ebbe
successo e gli zingari furono liberati.
Se in Italia funzionava così in Spagna, nel Seicento, per gli zingari si
tenta la strategia dell’assimilazione culturale e dell’obbligo dell’istruzione.
Nel XVIII secolo un altro tentativo di assimilazione forzata: nell’impero
austroungarico, si tentò di integrarli, si bandirono tutti i loro usi e le loro
tradizioni, fu proibito il nomadismo, il commercio di cavalli, la musica, la
lingua e lo stesso loro nome, non più zingari ma “nuovi magiari” (nuovi
contadini); i loro figli più piccoli vennero sottratti per essere allevati
dallo Stato. In Russia nel 1956, Krusciov emanò un decreto che vietava il
nomadismo e condannava a cinque anni di lavori forzati chi non si fosse
adeguato. Provvedimenti simili seguirono negli altri paesi comunisti. Come ben sai
Rico, anche in Italia si è tentato coi cosiddetti campi di integrarli, ma i
risultati se sono arrivati ancora non si vedono”.
“Ma quanti
libri ti sei letta sugli zingari?”
“In realtà
solo un paio, oltre a dispense pubblicate da operatori sociali che frequentano
i loro campi, è in Internet che ho trovato tesi di laurea e zingari assai
istruiti che tengono in particolar modo alla loro cultura e che hanno creato
siti molto ben fatti ed esaustivi. Sai che la cultura rom non ha la scrittura,
la loro tradizione si fonda sul racconto orale e forse è anche per questo che
sono più vicini agli antichi, sai che ti dico Rico? Uno scambio culturale alla
pari farebbe forse più bene a noi che a loro, rom significa uomo e ci aggiungo
un aggettivo uomo libero che è una gran bella cosa”.
“Lyuba,
questo viale non finisce mai, e tu hai finito sugli zingari?”
“No, non ho
finito, parlando con te, mi ritorna la memoria su quello che ho letto, una cosa
tira l’altra e così vorrei parlarti degli artisti che tanto si sono ispirati al
mondo gitano e soprattutto alla zingara dai lunghi capelli neri, indomabile e
affascinante”.
“Prendi questa mano,
zingara, leggi pure che destino avrò. Dimmi che mi ama, dammi la speranza, solo
questo conta ormai per me… perché non rompi il voto di castità?
“Prendi questa mano, zingara dimmi pure che
futuro avrò. Ora che il vento porta in giro le foglie e la pioggia fa fumare i
falò… se non la smetti di fare il marpione non racconto più nulla.”
“Obbiettivo
raggiunto ah ah ah, sto scherzando continua”.
sabato 10 giugno 2023
Il volo del gruccione
Capitolo 34
Io non ho paura
Si inoltrarono
lungo un sentiero rettilineo, fra due ali di pini, in un silenzio quasi
religioso, in cui l’unico suono era il gorgoglio dell’acqua, del fiume o canale
che avevano alla loro destra, si fermarono seduti su un dosso accanto all’acqua
per gustarsi la colazione, il giornale alla fine non lo lessero perché ambedue
avevano una gran voglia di iniziare la passeggiata, raccolsero i rifiuti,
portandoli in auto, non c’era neanche un bidone per l’immondizia, poi si
incamminarono lungo il viottolo rettilineo che sembrava proseguire
all’infinito.
Per un po’
rimasero zitti, osservando l’acqua che pareva velata da una tela lattiginosa,
non era acqua trasparente ma era fascinosa, pareva un tessuto damascato leggero
come un velo dalla miriade di sfumature dal giallo verde al verde blu. Gli alti
pini si specchiavano stando curvi come vecchi, quasi che dovessero schiantarsi
da un momento all’altro, e qualcuno infatti lo era, altri svettavano dritti,
alcuni avevano i fusti sottili, altri tronchi talmente larghi da non poter
essere abbracciati da due persone. Attorno solo verde, tanto da non vedersi
neanche in alto il cielo e ogni tanto qualche gruppo di graminacee e cannella
palustre, così eleganti coi loro ciuffi di fili alti, un tempo queste erbe
erano usate per creare cestini, sporte e persino capanne.
Stormi di
anatre si libravano all’improvviso a pelo sull’acqua in formazione frecce
tricolori.
Aironi
bianchi in solitudine planavano sui rami che sporgevano sull’acqua.
Le rane
saltavano all’improvviso fra l’erba e l’acqua: nella zona del Delta erano assai
apprezzate sia fritte che in guazzetto, al ranocchio erano dedicate anche delle
sagre, Lyuba non aveva mai voluto assaggiarle, le cosce delle rane fritte, le
rammentavano il loro saltellare e le dispiaceva vederle morte nel piatto, i
vecchi del suo paese natio le avevano insegnato ad amare i rospi e le ranocchie
e le avevano raccontato che le rane nascevano dagli acquazzoni estivi cadendo
direttamente dalle nuvole, giurando di averle viste.
“Allora che
mi dici sugli zingari”.
“Cosa vuoi
che ti dica? Pensavo di essere aperta e amabile con il prossimo, è solo
doratura niente altro che ipocrisia, pensa che ho criticato il Governo per il
denaro che investiva nei campi per i nomadi, soldi per quegli ubriaconi,
nullafacenti e anche ladri, mi vergogno di averlo pensato, questa non è
integrazione ma razzismo, infatti si rinchiudono in un ghetto recintato, fuori
dal centro abitato, gli si dà due soldi, basta che non rompano troppo le
scatole con la questua e i furti. Ieri in un negozio sono entrati una zingara
con due bambini a piedi nudi e sporchi, subito la commessa ha chiamato degli
aiutanti, uno di loro è arrivato armato di una specie di asta appoggiata alla
spalla, giusto per intimorire, la zingara e i bambini sono usciti velocemente
ma uno dei due zingarelli si è girato e
ha detto… io non ho paura.
Ci credi,
quel io non ho paura mi ha scosso più
del libro che ho letto con la storia di un prete che ha vissuto con gli
zingari, che mi ha chiarito come loro vivono la situazione dei campi, dove si
sentono schedati, controllati, sicuramente dei diversi, e così loro fanno
peggio, danno fuoco alle loro baracche e ogni tanto qualcuno di loro muore per
una pallottola vagante, sindaci e cittadini fanno manifestazioni e sollecitano
le Forze dell’Ordine che non vanno tanto per il sottile.
Un’altra cosa
che mi ha colpito, perché è capitata pure a me, se gli regali degli abiti, ma
anche del cibo, loro lo gettano e ciò mi aveva disgustato, ma vedi sono come
bambini, custodiscono solo quello che gli serve al momento, non pensano al
domani, si affidano alla Provvidenza.
Questo mi ha
fatto pensare a Don Bosco, il fondatore degli oratori, che alla sera gettava i
soldi che gli erano rimasti nelle tasche
dalla finestra, perché pensava che al domani avrebbe pensato la Provvidenza,
soldi che raccoglieva un giovane seminarista.
Al mattino
Don Bosco trovava sempre qualche offerta e il giovane seminarista che
raccoglieva i soldi gettati da Don Bosco era Giuseppe Cottolengo, che raccattava
anche la più piccola monetina perché aveva un sogno da realizzare: l’ospedale
che ancora oggi a Torino accoglie persone disabili, così me l’ha raccontata il
prete durante l’omelia, mentre un quotidiano su in Internet lo stesso evento lo
descrive così: “Si racconta che San Giuseppe Cottolengo, fondatore della Casa
che ancora oggi a Torino accoglie persone con disabilità, avesse talmente tanta
fiducia nella Provvidenza da gettare i denari in eccesso dalla finestra, sicuro
che il buon Dio avrebbe provveduto alle necessità future della Casa. I maligni
raccontano che sotto quella finestra si appostasse San Giovanni Bosco,
fondatore dei Salesiani, considerata una delle congregazioni più ricche della
Chiesa.”
La verità è
quella che ha raccontato il prete in Chiesa, ma in Internet questa notizia
errata è dilagata in modo virale… qual è ora la verità?
Visto che
siamo in democrazia è quella dei molti?
Così sugli
zingari mi sono sentita razzista e mal informata e tutta questa marea di notizie
mi hanno spaventato, Rico fra non poco diventeremo tutti degli analfabeti,
perché non sapremmo riconoscere nessuna parvenza di verità.
“Esagerata, sull’ignoranza
sono d’accordo, le cosiddette fake news sono un grosso problema, ma sugli
zingari, sono talmente sporchi che puzzano e poi rubano”.
“Oddio Rico,
mica hanno il bagno riscaldato ad uso singolo, quando non c’è elettricità o
acqua calda è difficile lavarsi in 70/80 persone, d’inverno, magari con un solo
rubinetto, eppure i rom hanno paura dell’impurità,
come gli indiani e gli ebrei. Pensa che lavano le loro cose in bacili diversi:
le pentole divise dai piatti, i vestiti dei maschi separati dagli abiti
femminili e così via. Rubare, non tutti lo fanno, molti rom esercitavano dei
lavori che erano legati al nomadismo, mestieri tradizionali come allevatori,
calderai e fabbri, musicisti, arrotini, venditori, imbonitori ma anche i
mestieri legati al fiume come i cavallari, i barcari, gli zattieri, i cordai,
questi ultimi in inverno passavano le case contadine e vi rimanevano qualche
giorno costruendo le sedie intrecciate di vimini o corda, era una gioia un
tempo quando arrivavano perché portavano racconti e notizie dai luoghi in cui
viaggiavano. Fellini li ha descritti bene nel film “La strada”, con lo zingaro
Zampanò, te lo ricordi Rico? Ricordo la mia bisnonna, quando mi raccontava dei
venditori ambulanti, che vendevano, pizzi e bottoni, aggiustavano i piatti e
stagnavano le pentole, aspettava i venditori con gioia, il manghel un tempo non era solo il chiedere l’elemosina, significava anche
vendere, era accettato un tempo nelle campagne, ma ora i loro mestieri non
servono più i piatti e le pentole si buttano via anche se non sono rotti,
figurati se si aggiustano, ai rom rimane solo la questua. Oggi non c’è spazio
per il lavoro tramandato dai loro padri, forse è per questo che alcuni entrano
a far parte della malavita. Sai che in Irlanda vivono degli zingari coi capelli
rossi e gli occhi chiari? Li chiamano tinkers
che significa stagnai o lattonieri. Una leggenda narra che per la crocifissione
di Gesù si cercava qualcuno che fondesse i chiodi e mettesse insieme una croce.
Il falegname rifiutò e l’unico che si lasciò convincere fu il lattoniere.
Guardandolo, Gesù gli disse: il falegname dovunque andrà sarà ricco e
fortunato, mentre il lattoniere sarà condannato a vagare per sempre sulla terra
e non troverà mai una casa. Su di loro pregiudizi a non finire, li hanno
chiamati maledetti, figli di Caino, li hanno accusati di essere coloro che
forgiarono i chiodi della croce di Cristo, senti come li descrivono: “Correndo l’anno di Cristo 1417 ecco che
cominciano ad apparire uomini brutti, neri e cotti dal sole. Indossano vesti
sudice e sono lesti nel rubare, soprattutto le donne. Commerciano cavalli, ma
la maggior parte di loro va a piedi. Le donne cavalcano giumenti con i loro
bambini”. Così il geografo tedesco Sebastiano Münster descrive i primi
zingari giunti in Germania all’inizio del XV secolo. E senti come li descrive
Lombroso, il medico e antropologo, sociologo, di fine Ottocento, esponente del
positivismo illuminista, fondatore dell’antropologia criminale, le cui tesi
ebbero un grande successo e furono alla base delle teorie naziste della
supremazia della razza ariana. Lombroso riteneva gli zingari, l’immagine di una
razza intera di delinquenti: “Sopportano
la fame e la miseria piuttosto che sottoporsi ad un piccolo lavoro continuato;
vi attendono solo quanto basti per poter vivere; sono spergiuri anche tra loro;
ingrati, vili, e nello stesso tempo crudeli… Dediti all’ira, nell’impeto della
collera, furono veduti gettare i loro figli, quasi una pietra da fionda, contro
l’avversario; e sono, appunto come i delinquenti, vanitosi, eppure senza alcuna
paura dell’infamia. Consumano in alcool ed in vestiti quanto guadagnano; sicché
se ne vedono camminare a piedi nudi, ma con abito gallonato od a colori, e
senza calze, ma con stivaletti gialli… Amanti dell’orgia, del rumore, nei
mercati fanno grandi schiamazzi; feroci, assassinano senza rimorso, a scopo di
lucro; si sospettarono, anni sono, di cannibalismo. Le donne sono più abili al
furto, e vi addestrano i loro bambini; avvelenano con polveri il bestiame, per
darsi poi merito di guarirlo, o per averne a poco prezzo le carni; in Turchia
si danno anche alla prostituzione. Tutte eccellono in certe truffe speciali,
quali il cambio di monete buone
contro le false, e nello spaccio di cavalli malati, raffazzonati per sani,
sicché come fra noi ebreo era, un tempo, sinonimo di usuraio, così, in Spagna,
gitano è sinonimo di truffatore nel commercio di bestiame. Lo zingaro in
qualunque stato o condizione si trovi, conserva la sua abituale e costante
impassibilità, senza sembrar preoccupato dell'avvenire, vivendo giorno per
giorno in una immobilità di pensiero assoluta, ed abdicando ad ogni previdenza…
È importante poi il notare che questa razza così inferiore nella morale ed
anche nella evoluzione civile ed intellettuale, non avendo mai potuto toccar lo
stadio industriale né, come vedesi, in poesia passare la lirica più povera, è
in Ungheria creatrice d’una vera arte musicale, sua propria, meravigliosa,
nuova prova della neofilia e genialità che si può trovare mista agli strati
atavici nel criminale”. E questo dire e ridire che sono sporchi, ladri e
vagabondi ha creato l’orrore degli orrori, lo sai che solo nel 1980 il Governo tedesco ha
riconosciuto ufficialmente il tentativo di genocidio degli zingari e che i loro
aguzzini non sono stati puniti, perché in fondo con loro Hitler aveva qualche
ragione, in quanto geneticamente tutti criminali. Porrajmos (divoramento)e samudaripen ( tutti morti) sono le
parole che usano i rom per il loro olocausto, e come ultimo sprezzo alla caduta
del nazismo, al processo di Norimberga hanno decretato che per gli zingari
forse Hitler aveva qualche ragione, ti rendi conto Rico? Alcune circostanze
accomunano rom ed ebrei: essere stati entrambi schiavi. I primi accusati di
essere della stirpe maledetta di Caino, i secondi di deicidio. Ariani degradati
gli uni, razza inferiore gli altri. Si stima siano stati uccisi tra i 500.000
ed il milione e mezzo di persone e la cosa peggiore è che venivano usati come
cavie, sottoposti all’inoculazione di germi e virus per osservarne la reazione
od obbligati a ingerire acqua salata fino alla morte. Alla base, le convinzioni
dei nazisti sulla razza che li riteneva di origine indoeuropea, e dunque
ariana, e che il ceppo zingaro fosse l’unico ad avere il gruppo genetico
originario della razza tedesca, contaminato però dal gene del nomadismo, che li
aveva portati, a mischiarsi coi non ariani degenerando l’iniziale purezza. Queste
teorie erano l’opposto della logica antisemita, per cui minore era il grado di
appartenenza razziale, maggiore era la speranza di salvarsi, per gli zingari
maggiore era la loro purezza maggiore era la probabilità di salvarsi dalla
soluzione finale e di diventare cavie. Joseph Mengele si trasferisce a
Birkenau, e da qui, dalla pelle di bambini rom e sinti, inizia le sue
sperimentazioni. Alle torture degli esperimenti, si aggiungerà la beffa: le
orchestre zingare, volute dalle SS, faranno da colonna sonora alla loro morte. Nel luglio del ’42 Himmler venne a visitare
il campo. Gli feci percorrere in lungo e in largo il campo degli zingari, ed
egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d’abitazione sovraffollate, i
malati colpiti da epidemie, vide i bambini colpiti dall’epidemia infantile Noma
[tumore dovuto a malnutrizione], che non potevo mai guardare senza orrore e che
mi ricordavano i lebbrosi che avevo visto a suo tempo in Palestina: i loro
piccoli corpi erano consunti, e nella pelle delle guance grossi buchi
permettevano addirittura di guardare da parte a parte; vivi ancora,
imputridivano lentamente. Si fece le cifre della mortalità tra gli zingari.[…]
Dopo aver visto tutto questo ed essersi reso conto della realtà, diede l’ordine
di annientarli, dopo aver scelto gli abili al lavoro, come per gli ebrei.[…]
L’operazione durò due anni. Gli zingari atti al lavoro vennero trasferiti in
altri campi, e alla fine rimasero da noi (era l’agosto del 1944) circa 4000
individui da mandare nelle camere a gas. […] Non fu facile farli arrivare fino
alle camere a gas. Personalmente non vi assistetti, ma Schwarzhuber mi disse
che, fino ad allora, nessuna operazione di sterminio degli ebrei era stata così
difficile, tanto più dura per lui in quanto li conosceva benissimo quasi tutti,
anzi era stato in buoni rapporti con loro. Infatti, a modo loro, erano gente
straordinariamente fiduciose […] (Le memorie del comandante Rudolf Höss)
“Basta, sei
un fiume in piena, basta raccontarmi delle tristezze. Questo viale sembra non
finire mai, è una buona mezzora che camminiamo e la luce che si intravede
laggiù in fondo sembra sempre più lontana. Raccontami qualcosa degli zingari di
bello e allegro, che so sugli ursari, i domatori di orsi, di scimmie o di
leoni, i giocolieri che poi sono i sinti per lo più, quelli del circo Orfei e
di tanti altri circhi o quelli dei luna
park oppure raccontami dei loro musicisti che hanno ispirato e hanno
influenzato e arricchito compositori come
Brahms, Schubert, Ravel, Strawinsky, Ciaikowski, ad esempio, a me la
musica di Goran Bregović, che deriva da temi zigani, con quelle musiche da
funerale e da sposalizio mi eccita, anche sessualmente a te no?
“Come no, se
vuoi ti ballo un flamenco, come una zingara spagnola, così ti ecciti di più,
non mi hai ascoltato e poi cos’è questo mi ecciti o non mi ecciti, devo
preoccuparmi?”
“Preoccuparti
in che senso?”
“Che ti metti
a fare il cascamorto, non mi piace questo”.
“Stavo solo
scherzando, per alleggerire la tua pesantezza, hai finito di raccontarmi sugli
zingari?”
“Se vuoi, ho
dell’altro, lo so è un mio difetto se inizio poi non la finisco più di
raccontare”.
“Vai
Sherazade, continua ad affabulare”.
giovedì 1 giugno 2023
Il volo del gruccione
Capitolo 33
Rose is a rose is a rose is a rose
Intanto
passavano i giorni, Lyuba aveva ripreso la sua solita routine piacevole, lo
scontento era passato, non aveva più pensato al gruccione, al silfio, a quel
tale Duga e neanche a Rocco, si era rilassata lavorando sulle illustrazioni e
sui colori delle creazioni per l’azienda per cui lavorava, che produceva il
vestiario ispirato ai libri; era molto soddisfatta, anche perché il suo datore
di lavoro stava organizzando una sfilata in un bel palazzo settecentesco e
pensare ai suoi lavori indossati da modelle professioniste, la faceva quasi
sentire una stilista.
Si sentiva di
nuovo arrivata, la specie di apostolato sulla ricerca del messaggio del
gruccione, in cui si era creduta una illuminata, una risvegliata, capace di
profetare, la rendeva sì importante, ma allo stesso tempo le pesava la forte
responsabilità di non riuscire nel suo intento: ora si sentiva libera, perché
era riuscita ad abbandonare l’investigazione magica o magari stregata, lo
strano è che si sentiva come dire leggera, come se avesse realizzato un
qualcosa di grande, invece non aveva concluso nulla.
Forse era
finita e non avrebbe più avuto impulsi folli di salvare il mondo: ora il mondo
lo salvava facendo del volontariato, andando regolarmente in Chiesa pregando
per tutti sia per i buoni che i cattivi e sorridendo pensando che: l’oggi
sarebbe stato più bello di ieri e che sarebbe stato meno bello di domani.
Il tempo
libero e anche quello non libero non lo passava più sui libri o attaccata al
computer pensando giorno e notte a trovare un senso dove non c’era, ma con
Luisa e Marina usciva tranquillamente sulle vie dello shopping oppure a qualche
presentazione di libri o mostre d’arte, qualche aperitivo, qualche gita
fuoriporta a Milano, Ferrara, Bologna per respirare un po’ di aria cittadina
che Ravenna, in quanto a vita sociale non era altro che un paesone, poi ora
assieme alle sue amiche era tutta indaffarata a cercare un abito adatto ad una
stilista: le modelle avrebbero indossato anche delle sue creazioni, era ormai
una creatrice di moda a tutti gli effetti, la sfilata sarebbe stata fra un mese
e lei voleva apparire al meglio.
Finalmente si
sentiva libera di pensare anche a se stessa, si era resa conto che i suoi primi
quarant’anni erano stati finalizzati a un qualcosa di grande con l’ansia di non
farcela, si ricordò il chiodo fisso di due anni prima, quando qualcuno o qualcosa
era dentro di lei con un controllo mentale totale così invasivo che lei aveva
pensato di buttarsi nell’acqua torbida del fiume dall’alto del ponte, vicino
alla casa della sua amata bisnonna, perché non riusciva più a sopportarlo;
-forse quella cosa era stata sempre in lei, forse c’era ancora, forse era
ammalata, forse, forse, forse, del domani non c’è certezza ora sto bene il
resto non conta- così diceva mentre pensava -Dio, Dio, fa che il mostro che mi
possedeva se ne sia andato per sempre, ti prego, ti prego.-
Drin, drin,
driin.
“Cavolo la
sveglia, no è il telefono, ma chi è che rompe… Pronto”.
“Buongiorno,
ti ho svegliato?”
“No, non mi
hai svegliato, figurati alle 8 di domenica mattina non mi hai svegliato”.
“È una
mattina splendida e ti porto in pineta alla Via degli Zingari”.
“Non ci
voglio andare, non mi interessano gli zingari e ho ancora sonno e la domenica
mattina vado alla Messa, aspetta che apro la finestra e guardo fuori, urca, hai
ragione c’è un sole bellissimo sole sembra un giorno di primavera, va bene
vengo, alla Messa ci vado stasera”.
“Passo a
prenderti verso le nove e prima ti porto a far colazione con lettura del quotidiano
e commento”.
“Grazie Rico,
ciao”.
Si
stiracchiò, pensando che evidentemente la ricerca era destino che la
terminasse, ma non se ne preoccupò, passeggiare in pineta è uno dei passatempi
preferiti dei ravennati e anche il suo, le pinete fanno parte della zona più
antica del Parco del Delta del Po, in quanto il delta del tempo antico sfociava
più a sud di quello odierno.
Puntuale,
Rico suonò il campanello alle nove e cinque minuti.
“Ciao, come
sei carina col piumino rosa, ti sta proprio bene… Rose is a rose is a rose is a rose”.
“Non fare il
cretino”.
“Volevo farti
un complimento”.
“Allora
doppiamente cretino in quanto la citazione è di Gertrude Stein ed è dedicata
all’amore lesbico”.
“E io l’ho
detto apposta, non è che la tua castità sia il paravento di una tua attrazione
al femminile?”
“Rico, ti
trovo cambiato, non so perché ma mi sembri strano”.
“Dai andiamo,
ti ho fatto una sorpresa ho un thermos di caffè, brioches e quotidiano,
facciamo colazione in pineta”.
“Mmm, ottima
idea”, e intanto pensava e guardava Rico con altri occhi.