lunedì 10 luglio 2023

Il volo del gruccione


Capitolo 37

Una splendida e realistica raffigurazione del pisello

 

 

“Oh! Che meraviglia, che magia”, tutti i discorsi furono accantonati, Lyuba incantata si rese conto che alla fine del viale di pini erano sbucati all’aperto, inondati di sole e di blu, erano sbucati alla Baiona!

“Non vuoi sapere il mio parere su tutto ciò che hai detto, in particolare dove hai trovato la razzata del silfio per fondere l’oro o forgiare il rame?”.

“Non lo so da dove mi sia venuta l’idea, forse mi è arrivato un fiotto di energia dal Centro Spirituale Supremo.”

“Ridi, ridi, fai la spiritosa perché non sai rispondere”.

“Non è che non voglia rispondere, voglio solo godermi lo splendore della natura, ma se mi provochi, ti dico che tempo fa, ho visto al Muse, il museo delle scienze di Trento, un lingotto col suo stampo, di epoca romana, con inciso una splendida e realistica raffigurazione del pisello, quindi il membro virile, anticamente il portafortuna per eccellenza, era associato anche all’oro o alla lavorazione dei metalli. Sai quanto fosse importante la virilità per i romani, la cui radice vir è sinonimo di uomo con gli attributi, senza l’erezione per i romani non eri degno di indossare la toga, un po’ come i pantaloni lunghi o corti di un cinquantennio fa. Per i romani, ma anche i greci, il pene era simbolo di potere: a volte le dimensioni e la forma del pisello agevolavano la carriera militare. Non ridere, lo stai facendo perché sei in imbarazzo, le dimensioni per voi uomini sono cose sacre e inviolabili, è una sfida tra di voi, a noi donne non interessa”.

“Stai parlando di duemila anni fa, oggi le cose sono cambiate, l’uomo si è messo la gonna e la donna i pantaloni, hi hi hi”.

“Hi hi hi, solo settant’anni fa, il fascismo riprese i modi e gli usi romani facendo della virilità un simbolo molto importante. Il duce stesso come esempio per gli uomini italici, consumava amplessi davanti alle carte della sua scrivania a Palazzo Venezia, incontrando donne del popolo. Aveva una lunga, lunghissima fila di donne, che volevano fare l’amore con lui, magari anche sposate i cui mariti sarebbero stati felici di allevare figli illegittimi ma nati dal seme magico del Benito. E poi mio caro Rico ti dice niente un certo Silvio?”

“Hi hi hi, non mi devi parlare del Silvio, ma del silfio usato dagli zingari per fondere l’oro”.

“Forse anni fa si è creduto che il Silvio fosse il nuovo eroe che avrebbe portato un periodo florido e prospero, forse si sono sbagliati con il silfio. Gli zingari potevano benissimo fondere l’oro mettendolo in un crogiuolo e appiccicare il fuoco al silfio usandolo come fonte di calore, così i monili creati con questo oro sarebbero diventati simbolicamente, essendo il silfio potente come un viagra odierno, eccellenti propiziatori di potenza virile. Inoltre chissà magari i monili fabbricati con questo oro silfico stimolavano la ricrescita dei capelli, il silfio aveva anche questa virtù e sai bene, senza che ti stia a citare Sansone e gli altri, il legame capelli/virilità. Ancora oggi, non esiste antidoto o pozione, per rimediare alle calvizie devi sottoporti a un costoso e doloroso trapianto.      Ma adesso basta chiudiamo l’argomento, fine della ricerca. Nel momento in cui siamo sbucati in questo mondo incantato, siamo giunti alla fine dell’arcobaleno, dove è sepolta la pentola d’oro. Sono certa che senza esserne consapevoli viviamo già nell’età dell’oro, siamo all’inizio ma non ce ne accorgiamo. Se alla fine delle ricerche ho incontrato il luogo più bello del mondo, vuol dire che  le prospettive sono rosee. Ora lasciamelo godere”.

“Sì, Lyuba, questo luogo è di una bellezza struggente, da una parte una natura incontaminata, selvaggia, lussuriosa quasi carnale, peccaminosa e casta come un giglio immacolato nella sua magnificenza, quando i petali sono aperti e i pistilli sono gonfi e rilasciano quella specie di porporina dorata che ti macchia le dita e il cuore. Dall’altra, ciò che ha creato l’uomo con la sua tecnica, immensi fumaioli che si stagliano in cielo e lo rendono grigio, edifici enormi oscuri e via vai di auto e camion, la vicinanza di questi due mondi, rende dolce e tormentoso il ricordo di ciò che si è perso o si perderà, la città industriale a pochi metri da questa profusione di verde e di acque, una dicotomia netta, qui il tormento è dovuto dalla separazione incolmabile fra due mondi diversi, il tributo che paga l’uomo alla tecnica, il suo allontanamento dalla Natura e il suo avvicinamento all’uomo robot, all’uomo macchina, per un benessere che oggi è ormai stravolto, qui è lampante lo sfregio dell’uomo a questa Natura, che ti assomiglia sai Lyuba.”

Rico la stava guardando con occhi così intensi, che a Lyuba parve un altro uomo, lo stesso che ogni tanto sentiva in sé, un fremito la colse, subito rinchiuso.

La testa le girava, la stessa sensazione di qualche anno prima.

La testa sembrava svuotarsi e poi riempirsi di aria, energia e aria che si univano come in un amplesso e la testa e la testa le diceva… ti amo, ti amo, ti amo.

Lyuba tentava con tutto il suo essere di scacciare quell’aria dalla sua testa, pregò intensamente il Signore, di lasciarla nella sua castità, sapeva che se si fosse lasciata andare, anche solo a guardare gli occhi di Rico, con la nuova espressione che avevano, sarebbe stata travolta dai sensi, si incamminò fra l’erba alta, che le arrivava ai fianchi, sul sentiero che costeggiava gli specchi d’acqua e piano piano si calmò e l’aria le uscì dalla testa, il vuoto si riempì coi suoi neuroni, il suo cervello tornò padrone  dei suoi pensieri e soprattutto della sua volontà e fu presa completamente dalla bellezza del luogo dove si trovava.

 

  

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