giovedì 29 giugno 2023

Le schifezze di Watson sul piccolo Albert, gli facevano vedere le cose e poi lo spaventavano con rumori e suoni e così il piccolo era indotto alla paura

 

Sto ripassando psicologia, così per non annoiarmi, approfondisco i temi, perchè credo, volutamente, siano stati resi confusionari. Mi sono riletta l'orribile storia di Albert ( chissà quanti altri Albert in ospedali legalizzati e certificati) perciò vi scandalizzerò se sdoganerò pure Hitler ( il Duce non c'è bisogno che lo dica io era un brav'uomo, tentava di moderare Hitler e le idee esaltate che provenivano da Inghilterra, Francia and company. Sino al 1943, anno della sua caduta-tradimento, nessun ebreo è stato 'gasato' o deportato, li mandava al confino o in prigione come ad esempio Gramsci che era filosionista, non è bello ma il confino non è certo un lager o la camera a gas. Il Duce faceva con Hitler quello che faceva Seneca con Nerone, cercava di chetarlo, entrambi Nero e l'Adolfo volevano fare gli artisti non glielo hanno permesso) A Watson egregio medico psicologo ( ispirato da Pavlov e ai suoi studi sui cani) non hanno mai fatto una Norimberga, nonostante il suo protocollo hitleriano, tutt'oggi studiato e definito Comportamentismo.Il mostro non era solo Hitler... Watson con Albert faceva i suoi esperimenti all'ospedale di Baltimora, gli USA e altre nazioni occidentali fecero i primi esperimenti eugenetici sulle donne sterilizzando le deboli le sgualdrine, le innocenti... il vero mostro non era Hitler, lui è solo stato più 'tecnologico', il vero mostro era la follia ideologica scaturita da un'errata interpretazione di Darwin con l'uomo occidentale colionalista, superuomo e supermostro, la follia è stata collettiva e come dice Sartre tutti siamo responsabili tranne chi si è fermato... chi ha dato retta alla sua coscienza e si è fermato a costo della vita come Massimiliano Kolbe che come Cristo morì dicendo... vi perdono perchè non sapete cosa state facendo.... perchè sulla folla con la scienza o meglio scemenza si è scoperto il riflesso condizionato così ai neuroni a specchio incondizionati ( già pericolosi per sè stessi, vedasi il comportamento della folla manzoniana) si sono aggiunti i neuroni condizionati. Chi ci salverà da questa pseudoscienza, lo vedremo solo vivendo... questi esperimenti continuano tutt'oggi, li ho sperimentati proprio a Ravenna... Ma tu, Ravenna di tutte la più amata ( il mio Oscar selvaggio)

sabato 24 giugno 2023

La libellula e il calice - omaggio a Lalage


 

OMAGGIO A FRIDA KAHLO

 A volte mi spavento per quanto sono sciocca e infantile, il sentirmelo poi dire da mio figlio, mi fa vergognare ancora di più.A volte sono esageratamente gioiosa a volte sono tremendamente "saudade", non ho quasi mai la via di mezzo, la via aurea, quella mediana e del mediano.A volte sono profetica, come in questo acrilico su cartone, realizzato 15 anni fa, allora non avrei mai pensato che la mia quieta vita avesse mai potuta assomigliare a quella di Frida. L'opera è intitolata,"Omaggio a Frida Kahlo", la grande artista messicana che ha avuto una vita tormentata sia fisicamente con il corpo storpiato e incapace di dargli il tanto desiderato figlio, che con il marito che l'ha usata. Ha avuto altri amori eppure non è mai riuscita a staccarsi da quel mostro che era pure un grande artista cioè Diego Rivera. Frida era letteralmente spaccata in due, dipingeva quadri spaventosi dove il suo corpo veniva martoriato e incredibili fiori e frutti pieni di forza, vitalità e colore. Anche in fin di vita ebbe la forza di scrivere... viva la vita. Io come lei, ho il corpo e l'animo pieno di ferite, al collo non ho il teschio di mio figlio, ma ho la sua lontananza che ho provocato io, lui non sarebbe mai andato via da me. Io come lei sono sdoppiata, fra il dolore e la gioia, fra la saggezza e l'infantilità. Io come lei ho avuto amori finiti male, un matrimonio finito e come lei, nonostante tutto sono innamorata pazza della vita.  Il volto che ha al collo il piccolo teschio è stato da me ripreso per la copertina del mio romanzo, "Sono bruna e sono bella", mi auguro che questo volto sia scomparso tre le pagine del romanzo e che di me rimanga solo il volto della verde speranza. 

venerdì 23 giugno 2023

INTERMEZZO

La libellula che ho qui mimetizzato su un calice antico, ispirandomi a El Greco il grande pittore del Rinascimento spagnolo che nacque a Creta, visse a Venezia, a Roma e infine in Spagna dove morì. El Greco iniziò come pittore di icone e questa sacralità e ieraticità propria delle icone rimarrà in tutti i suoi lavori . El Greco raffigura la libellula in forma di piccolo drago, sul calice che San Giovanni Evangelista tiene in mano. Giovanni è l' autore dell' Apocalisse che vuol dire :Rivelazione.

La Libellula è chiamata Dragonfly in inglese, ed è quindi associabile al messaggero degli Dei secondo le popolazioni pre-Colombiane che loro chiamavano Serpente piumato , oppure al Lung degli orientali, cioè il Drago benefico e portatore di conoscenza e potere spirituale. Il nome Libellula è invece derivato dal latino “libella”, vale a dire bilancetta. Dunque il nome indica la Bilancia, simbolo di Giustizia e quindi del Cristo, il messaggero degli Dei nella tradizione cristiana. La libellula è capace di dominare il volo ma anche di galleggiare sull’acqua e queste sono caratteristiche del Cristo-Messia, e in generale dell’Uomo perfettamente reintegrato nella sua immagine divina, conoscitore del Volo astrale verso i mondi spirituali e dominatore del corpo acqueo-animico (Gesù cammina sulle acque, come fa la libellula). La libellula è anche un insetto associato alla Velocità, dunque al Mercurio, il messaggero degli Dei secondo i Greci.


Comunque sia per me la libellula ha più grazia di una farfalla, essa nel linguaggio simbolico significa :rivelazione. Se compare o inizia ad interessarci significa che si ha bisogno di dissipare il velo di illusioni creato, rivelando a sè stessi una verità nascosta. Forse si ha necessità di riscoprire la creatività o di esprimere concretamente qualche talento. Quindi questo post vuol essere un augurio di conoscenza di sè stessi per tutti voi che lo state leggendo.


INTERMEZZO SPECIALE















  


ANTROPOLOGIA DI ARTE SACRA

In Natività Allendale di Giorgione 
A cura di Gaetano Barbella 

 La Natività Allendale di Giorgione è come un'icona bizantina, ma se questa è un'arte liturgica che si distacca dal mondo terreno e si eleva vertiginosamente verso il mondo divino - il Regno dicono gli “iconoduli” ossia i cultori di icone - , la prima non è da meno come arte liturgica che abbraccia la teologia, la antropologia religiosa. La Natività Allendale si differenzia da tante altre, dal tema della natività di Gesù rinascimentali fino ai giorni nostri, essa si svincola dal mondo fenomenico per innalzarsi verso una vetta, al pari delle icone. Giorgione affronta appunto la rappresentazione liturgica dell'evento messianico con un' arte che non solo è “forma della forza estetica”, ma anche “capacità di liturgia” - nell'accezione greca del termine “leitos ergon”, ossia “azione del popolo” (che crede), oggi sostenuta per l'arte sacra.1 Ma vi sono altri artisti rinascimentali, come Benvenuto Tisi detto il Garofalo che perseguono lo stesso percorso antropologico. Antropologia liturgica, dunque, che si rivolge all'uomo, diremo verso l'Occidente, mentre l'arte delle icone, che si rivolge all'Oriente, è il riflesso e l'eco della liturgia incessante che si celebra nel regno dei cieli. Nelle icone ciò che conta non è il “soggetto religioso”, non è l'ispirazione, non è la tecnica, anche se ispirazione e tecnica hanno la loro importanza. E non è neppure l'espressione dei sentimenti, perché l'icona non si affida ai sentimenti – se in alcune sue forme degeneri – ed è estranea a ogni forma di naturalismo o imitazione della natura. Essa è lo specchio visibile di una realtà invisibile. Tutta l'arte dell'icona si fonda su tre elementi, che gli iconografi interpretano secondo la loro cultura e la loro sensibilità: la stilizzazione dei personaggi, la prospettiva inversa, il fondo dorato. Gli occhi piccoli, le orecchie grandi pronte all'ascolto, i personaggi delle icone somigliano ben poco a persone reali: sono figure ormai libere dai pesi della vita in questo mondo. La prospettiva inversa ci ricorda l'esistenza di un mondo in cui non valgono le leggi della fisica o i teoremi della geometria euclidea. Ecco allora quei paesaggi e quelle case che sembrano stare in piedi per miracolo, quelle forme che sfidano la forza di gravità lanciandosi verso il cielo, ecco i personaggi troppo piccoli o troppo grandi, sproporzionati rispetto la scena. Essi ci dicono che l'icona non è arte dell'apparenza, bensì della trasparenza, una trasparenza non idolatrica, perché rinvia continuamente a un Altro e a un Altrove, è segno di una realtà che ora vediamo confusamente come in uno specchio di acqua torbida e che nel Regno vedremo faccia a faccia. Infine, il colore dell'oro, usato per lo sfondo, simboleggia la luce del Tabor che ormai inonda il creato: non è soltanto un elemento decorativo, bensì un motivo teologico, al pari degli altri due elementi qui ricordati. A tutto questo, l'antropologia liturgica rinascimentale, prendendo a campione La Natività Allendale di Giogione, vi sopperisce in analogo modo ma resta vincolato, come già detto, al mondo umano, pur mostrandovisi distaccato. Qui non vi sono visibili alterazioni delle sembianze umane, e nemmeno accezioni che riguardano le leggi della fisica o i teoremi della geometria euclidea. Anzi è proprio la geometria composita che perfeziona un ricercato equilibrio armonico antropologico in simbiosi col mondo divino attraverso i simboli e lo si potrà constatare con la lettura di altre opere pittoriche di Giorgione e di altri artisti del Rinascimento. Si noterà che nel dipinto in esame, La Natività Allendale, i tre della Sacra Famiglia non hanno alcuna aureola, cosa consueta in tante altre rappresentazioni analoghe, ma è appena poco. Ciò che colpisce è che qui, alla prospettiva inversa delle icone, Giorgione vi sopperisce con il vistoso distacco del piano rappresentativo, della Sacra Famiglia e i due pastori, con il resto dell'immediato secondo piano. Troppo “immediato” per giustificare la piccolissima dimensione, per esempio, del personaggio appena dietro il manto del pastore in piedi. È a ridosso di un albero al limite della parete rocciosa, la stessa poco distante, anzi pochissimo, dal suo limite verso la grotta. Insomma si ha l'impressione che i tre personaggi dello sfondo, di cui quello menzionato, siano degli gnomi e questo crea appunto il distacco con lo scenario della Sacra Famiglia e pastori dal resto. Ma vi sono altri particolari che contribuiscono a mostrare l'intento antropologico del Giorgione in quest'opera pittorica, secondo la mia visione. Al posto degli angeli, che di consueto trovano posto al sommo della grotta della natività, si notano invece tre vaghe testoline, di cui una assai incerta, che lasciano pensare più ad un mondo antropologico, appunto, che a quello celeste. Viene da pensare che Giorgione abbia invece voluto configurare tre libellule sulle quali ci accendono curiose leggende legate al mondo dei draghi e delle fate. Osservando l'immagine di una di queste (vedi l'illustrazione), non si nutrono dubbi su questa mia supposizione. Si aggiunge a questo la rappresentazione di una coppia di volatili bianchi su un albero, intorno ad un nido, in alto a sinistra: altra configurazione che contribuisce a dar forza all'idea antropologica dell'opera in lettura. Ma Giorgione sembra andare oltre al clima antropologico fin qui rilevato in seno alla Natività Allendale. Egli con circospezione inserisce una figura animale sfruttando gli elementi incerti della natura dello sfondo dove son presenti i tre piccoli personaggi suddetti. A ridosso del cespuglio e della tettoia a sinistra guardando, si nota la testa di un grosso lupo o cane o forse anche una belva. Leonardo da Vinci ci mette in guardia da simili interventi pittorici di immagini surreali cui egli stesso vi ricorre per dare una sua significazione esoterica, comunemente catalogata fra i fenomeni di pareidolia.3 Si potrebbe affermare, a questo punto, che già nel Rinascimento era nata una epistemologia religiosa nell'arte, e non solo attraverso l'arte iconografica d'Oriente. Brescia, 5 dicembre 2010 1 Antropologia dell'arte moderna: http://www.antropologiaartesacra.it/direttore_Alessio_Varisco.html “Natività Allendale”, o “Adorazione Beaumont”, o “L'adorazione dei pastori”, è un dipinto autografo del Giorgione, realizzato con tecnica ad olio su tavola, presumibilmente intorno al 1505, misura 89 x 111,5 cm. ed è custodito nella National Gallery di Washington. 2 Icone, finestre sul Regno di Pietro Pisarra. Jesus. Mensile di attualità e cultura religiosa – Anno XXVII – Agosto 2005 – N.8 Le libellule (Libellula Linnaeus, 1758) sono un genere di insetti appartenente all'ordine degli Odonati. Il nome Libellula deriva dal latino “libra”, ovvero bilancia, così detta perché nel volo tiene le ali orizzontali. 3 La pareidolia (dal greco e.d...., immagine, col prefisso pa.., simile) è l'illusione subcosciente che tende a ricondurre a forme note oggetti o profili (naturali o artificiali) dalla forma casuale. È la tendenza istintiva e automatica a trovare forme familiari in immagini disordinate; l'associazione si manifesta in special modo verso le figure e i volti umani. Classici esempi sono la visione di animali o volti umani nelle nuvole, la visione di un volto umano nella luna oppure l'associazione di immagini alle costellazioni. Sempre alla pareidolia si può ricondurre la facilità con la quale riconosciamo volti che esprimono emozioni in segni estremamente stilizzati quali le emoticon. Si ritiene che questa tendenza sia stata favorita dall'evoluzione perché consente di individuare situazioni di pericolo anche in presenza di pochi indizi, ad esempio riuscendo a scorgere un predatore mimetizzato.

Un giorno credi - Edoardo Bennato

martedì 20 giugno 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 35

Dava a loro la facoltà di poter rubare liberamente

 

 

“Dallo studio della loro lingua sembra provenissero dall’India. Nei primi secoli si spostarono in Persia, l’attuale Iran, poi in Armenia, finché nel 1100 è testimoniata la loro presenza nell’impero bizantino, dove vennero chiamati athinganoi, dal nome di una antica setta eretica, da cui deriva la parola zingari. In seguito alcuni gruppi si stabilirono nella città greca di Modone, conosciuta come Piccolo Egitto, forse è questo il motivo per cui essi dicevano che erano egiziani. Un documento del 1417, li attesta nella città di Hildesheim, dove vengono appellati tartari dell’Egitto, ben accettati in onore di Dio, poi vengono via via segnalati in tutta la Germania, quindi in Svizzera, Francia, Spagna, Inghilterra, Scozia e nel XVI secolo arrivano anche in Svezia. Nell’area balcanica, alla fine del XVI secolo erano tutti censiti e abitavano in dimore fisse pagando come tutti i lavoratori le tasse. Nella parte che oggi è la Romania erano chiamati caldarari, ursari, lautari, florari. I caldarari lavoravano i metalli, i florali si occupavano della vendita dei fiori, gli ursari erano domatori di orsi, li facevano danzare a suon di musica alle fiere di paese, i lautari erano dei musicisti che suonavano i Manele, un mix di musiche orientali con una forte influenza balcanica che trattavano di temi come l’amore, i nemici, i soldi, l’alcolismo e le difficoltà della vita in genere o di eventi quali feste, nozze e funerali. In Romania arrivarono agli inizi del 1200, al seguito dei mongoli, alcuni di loro  mantennero la vita nomade pagando un tributo ai boiardi (l’antico titolo nobiliare dei paesi slavi), altri diventarono sedentari e schiavi, diventando proprietà delle famiglie nobili, un po’ come gli schiavi neri in America. La schiavitù venne abolita nell’Ottocento, ma la loro vita si mantenne ai margini della società. Durante il comunismo si è cercato di integrarli con casa e lavoro, ma il crollo del regime li ha riportati al gradino più basso della società. Alcuni sono ricchissimi e si coprono d’oro; altri se la cavano bene lavorando il legno, i metalli, oppure facendo i muratori, i musicisti o altri lavori, ma tanti, i più, i vivono in baracche senza luce né acqua corrente, continuando a fare molti figli, sposandosi molto giovani. Pochi di loro vanno a scuola, precludendosi così un futuro migliore, la situazione è simile a quella italiana. Fra il 1417 e il 1430 in Italia, giunsero compagnie di pellegrini che si dicevano “egiziani”. I pellegrini all’epoca godevano di una serie di privilegi garantita dalla protezione del re. Queste compagnie erano condotte da presunti conti e duchi, composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. Erano muniti di salvacondotti e si dichiaravano egiziani e cristiani, raccontavano di dover espiare una penitenza per un peccato di apostasia che li condannava a un pellegrinaggio di 7 anni, chiedevano perciò aiuto. Le lettere/lasciapassare erano firmate da Sigismondo re d’Ungheria e imperatore del Sacro Romano Impero, dal papa o da altri grandi. Alcune forse erano vere, molte altre false. Risultato: molte città fecero cospicue donazioni ai sedicenti “egiziani”, che non erano altro che i rom. Erano veramente in pellegrinaggio o si fingevano furbescamente tali per soggiornare comodamente nei vari luoghi a sbafo? Ma un pellegrinaggio credibile non poteva durare in eterno. Si diffusero così bandi per cacciare i rom. Il 18 luglio del 1422 le cronache bolognesi riferiscono dell’arrivo in città di un gruppo di zingari al seguito del duca Andrea proveniente dal Piccolo Egitto. Il duca Andrea soggiorna a Bologna per quindici giorni e dice di essere diretto a Roma da papa Martino V. Le cronache raccontano che potevano essere un centinaio di persone. Avevano il salvacondotto del re d’Ungheria Sigismondo, che dava a loro la facoltà di poter rubare liberamente. Le zingare andavano per botteghe e se ne andavano con le lunghe sottane piene di roba rubata, erano indovine e intanto che leggevano la ventura portavano via le borse… onde fecero un gran rubare in Bologna… Costoro erano dei più fini ladri che fossero al mondo. Fu data licenza a quei ch’erano rubati che potessero rubar insino alla quantità del loro denaro, sicché furonvi alcuni uomini che andarono insieme una notte ed entrati in stalla dove erano alquanti loro cavalli, gliene tolsero uno il più bello. Coloro, volendo il cavallo, convennero di restituire ai nostri di molte robe. Così, vedendo di non poter più rubare, andarono verso Roma. Nota che questa era la più brutta genia, che mai fosse in queste parti. Erano magri e negri e mangiavano come porci. Le femmine loro andavano in camicia, e portavano una schiavina ad armacollo, e le anella alle orecchie con molto velame in testa. Andarono a Roma, ebbero udienza dal Pontefice, non si sa? Furono accolti inizialmente con simpatia, onori e privilegi: esenzione dei tributi di frontiera, crediti e donazioni in metallo e il permesso di esercitare la giustizia nelle loro questioni; ma poi passati più volte i 7 anni del loro ipotetico pellegrinaggio, la conflittualità fra le popolazioni locali e gli zingari crebbe fino a che vennero emesse leggi e ordinanze per metterli al bando, fino ad espellerli. Il primo a volerli cacciare fu Ludovico il Moro: nel 1473 stabilisce che gli zingari vengano allontanati dal territorio del ducato di Milano, pena la morte. Nel 1492 la Corte spagnola emanò il primo bando di espulsione dei rom; a cui si accodarono Francia, Regno di Napoli e Stato Pontificio. Il concetto di povertà, col protestantesimo religioso cambia: la povertà da virtù evangelica diviene colpa, mentre l’operosità, la ricchezza e il benessere una qualità per cui il ricco passa agevolmente dalla cruna dell’ago. Cosa fare degli zingari girovaghi e con scarsa dedizione al lavoro? In tutti gli Stati italiani  tra il XVI e il XVII secolo vennero emanate molte ordinanze contro gli zingari, i decreti furono appoggiati anche dalla Chiesa, ma come sempre accade da quest’ultima si alzarono voci in difesa, come quella di San Filippo Neri”.

“Tu stai sempre a difendere la Chiesa”.

“È la forza della Chiesa, quando il peso del potere diventa micidiale ecco che si alzano le voci di nuovi Santi che la purificano, vuoi sentire un aneddoto su San Filippo e gli zingari”.

“Ma sì, dai, Filippo Neri, piace anche a me, per la sua generosità verso tutti e per la sua allegria”.  

Pippo bono, lo chiamavano e anche “buffone di Dio”, a volte è rappresentato col grembiulone intento a offrire da mangiare a tutti. Ma era anche molto tosto. Dunque anche a Roma, c’erano ordinanze contro gli zingari, tra le pene anche la fustigazione. Nella città si stava preparando la spedizione che avrebbe portato la vittoria di Lepanto nel 1571, si stavano così reclutando persone per le navi e gli equipaggi e si pensò bene di prendere forzatamente gli zingari per metterli a remare. Le mogli, i figli, i vecchi, che per ovvi motivi non furono presi cominciarono a girare per la città chiedendo aiuto fino a commuovere il popolo. Si organizzò autonomamente una protesta generale e San Filippo si pose fra i protestanti, la loro azione ebbe successo e gli zingari furono liberati.  Se in Italia funzionava così in Spagna, nel Seicento, per gli zingari si tenta la strategia dell’assimilazione culturale e dell’obbligo dell’istruzione. Nel XVIII secolo un altro tentativo di assimilazione forzata: nell’impero austroungarico, si tentò di integrarli, si bandirono tutti i loro usi e le loro tradizioni, fu proibito il nomadismo, il commercio di cavalli, la musica, la lingua e lo stesso loro nome, non più zingari ma “nuovi magiari” (nuovi contadini); i loro figli più piccoli vennero sottratti per essere allevati dallo Stato. In Russia nel 1956, Krusciov emanò un decreto che vietava il nomadismo e condannava a cinque anni di lavori forzati chi non si fosse adeguato. Provvedimenti simili seguirono negli altri paesi comunisti. Come ben sai Rico, anche in Italia si è tentato coi cosiddetti campi di integrarli, ma i risultati se sono arrivati ancora non si vedono”.

“Ma quanti libri ti sei letta sugli zingari?”

“In realtà solo un paio, oltre a dispense pubblicate da operatori sociali che frequentano i loro campi, è in Internet che ho trovato tesi di laurea e zingari assai istruiti che tengono in particolar modo alla loro cultura e che hanno creato siti molto ben fatti ed esaustivi. Sai che la cultura rom non ha la scrittura, la loro tradizione si fonda sul racconto orale e forse è anche per questo che sono più vicini agli antichi, sai che ti dico Rico? Uno scambio culturale alla pari farebbe forse più bene a noi che a loro, rom significa uomo e ci aggiungo un aggettivo uomo libero che è una gran bella cosa”.

“Lyuba, questo viale non finisce mai, e tu hai finito sugli zingari?”

“No, non ho finito, parlando con te, mi ritorna la memoria su quello che ho letto, una cosa tira l’altra e così vorrei parlarti degli artisti che tanto si sono ispirati al mondo gitano e soprattutto alla zingara dai lunghi capelli neri, indomabile e affascinante”.

“Prendi questa mano, zingara, leggi pure che destino avrò. Dimmi che mi ama, dammi la speranza, solo questo conta ormai per me… perché non rompi il voto di castità?  

Prendi questa mano, zingara dimmi pure che futuro avrò. Ora che il vento porta in giro le foglie e la pioggia fa fumare i falò… se non la smetti di fare il marpione non racconto più nulla.”

“Obbiettivo raggiunto ah ah ah, sto scherzando continua”.

 

 

 

sabato 10 giugno 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 34

Io non ho paura

 

 

Si inoltrarono lungo un sentiero rettilineo, fra due ali di pini, in un silenzio quasi religioso, in cui l’unico suono era il gorgoglio dell’acqua, del fiume o canale che avevano alla loro destra, si fermarono seduti su un dosso accanto all’acqua per gustarsi la colazione, il giornale alla fine non lo lessero perché ambedue avevano una gran voglia di iniziare la passeggiata, raccolsero i rifiuti, portandoli in auto, non c’era neanche un bidone per l’immondizia, poi si incamminarono lungo il viottolo rettilineo che sembrava proseguire all’infinito.

Per un po’ rimasero zitti, osservando l’acqua che pareva velata da una tela lattiginosa, non era acqua trasparente ma era fascinosa, pareva un tessuto damascato leggero come un velo dalla miriade di sfumature dal giallo verde al verde blu. Gli alti pini si specchiavano stando curvi come vecchi, quasi che dovessero schiantarsi da un momento all’altro, e qualcuno infatti lo era, altri svettavano dritti, alcuni avevano i fusti sottili, altri tronchi talmente larghi da non poter essere abbracciati da due persone. Attorno solo verde, tanto da non vedersi neanche in alto il cielo e ogni tanto qualche gruppo di graminacee e cannella palustre, così eleganti coi loro ciuffi di fili alti, un tempo queste erbe erano usate per creare cestini, sporte e persino capanne.  

Stormi di anatre si libravano all’improvviso a pelo sull’acqua in formazione frecce tricolori.

Aironi bianchi in solitudine planavano sui rami che sporgevano sull’acqua.  

Le rane saltavano all’improvviso fra l’erba e l’acqua: nella zona del Delta erano assai apprezzate sia fritte che in guazzetto, al ranocchio erano dedicate anche delle sagre, Lyuba non aveva mai voluto assaggiarle, le cosce delle rane fritte, le rammentavano il loro saltellare e le dispiaceva vederle morte nel piatto, i vecchi del suo paese natio le avevano insegnato ad amare i rospi e le ranocchie e le avevano raccontato che le rane nascevano dagli acquazzoni estivi cadendo direttamente dalle nuvole, giurando di averle viste.

“Allora che mi dici sugli zingari”.

“Cosa vuoi che ti dica? Pensavo di essere aperta e amabile con il prossimo, è solo doratura niente altro che ipocrisia, pensa che ho criticato il Governo per il denaro che investiva nei campi per i nomadi, soldi per quegli ubriaconi, nullafacenti e anche ladri, mi vergogno di averlo pensato, questa non è integrazione ma razzismo, infatti si rinchiudono in un ghetto recintato, fuori dal centro abitato, gli si dà due soldi, basta che non rompano troppo le scatole con la questua e i furti. Ieri in un negozio sono entrati una zingara con due bambini a piedi nudi e sporchi, subito la commessa ha chiamato degli aiutanti, uno di loro è arrivato armato di una specie di asta appoggiata alla spalla, giusto per intimorire, la zingara e i bambini sono usciti velocemente ma uno  dei due zingarelli si è girato e ha detto… io non ho paura.

Ci credi, quel io non ho paura mi ha scosso più del libro che ho letto con la storia di un prete che ha vissuto con gli zingari, che mi ha chiarito come loro vivono la situazione dei campi, dove si sentono schedati, controllati, sicuramente dei diversi, e così loro fanno peggio, danno fuoco alle loro baracche e ogni tanto qualcuno di loro muore per una pallottola vagante, sindaci e cittadini fanno manifestazioni e sollecitano le Forze dell’Ordine che non vanno tanto per il sottile.

Un’altra cosa che mi ha colpito, perché è capitata pure a me, se gli regali degli abiti, ma anche del cibo, loro lo gettano e ciò mi aveva disgustato, ma vedi sono come bambini, custodiscono solo quello che gli serve al momento, non pensano al domani, si affidano alla Provvidenza.

Questo mi ha fatto pensare a Don Bosco, il fondatore degli oratori, che alla sera gettava i soldi che  gli erano rimasti nelle tasche dalla finestra, perché pensava che al domani avrebbe pensato la Provvidenza, soldi che raccoglieva un giovane seminarista.

Al mattino Don Bosco trovava sempre qualche offerta e il giovane seminarista che raccoglieva i soldi gettati da Don Bosco era Giuseppe Cottolengo, che raccattava anche la più piccola monetina perché aveva un sogno da realizzare: l’ospedale che ancora oggi a Torino accoglie persone disabili, così me l’ha raccontata il prete durante l’omelia, mentre un quotidiano su in Internet lo stesso evento lo descrive così: “Si racconta che San Giuseppe Cottolengo, fondatore della Casa che ancora oggi a Torino accoglie persone con disabilità, avesse talmente tanta fiducia nella Provvidenza da gettare i denari in eccesso dalla finestra, sicuro che il buon Dio avrebbe provveduto alle necessità future della Casa. I maligni raccontano che sotto quella finestra si appostasse San Giovanni Bosco, fondatore dei Salesiani, considerata una delle congregazioni più ricche della Chiesa.”

La verità è quella che ha raccontato il prete in Chiesa, ma in Internet questa notizia errata è dilagata in modo virale… qual è ora la verità?

Visto che siamo in democrazia è quella dei molti?

Così sugli zingari mi sono sentita razzista e mal informata e tutta questa marea di notizie mi hanno spaventato, Rico fra non poco diventeremo tutti degli analfabeti, perché non sapremmo riconoscere nessuna parvenza di verità.   

“Esagerata, sull’ignoranza sono d’accordo, le cosiddette fake news sono un grosso problema, ma sugli zingari, sono talmente sporchi che puzzano e poi rubano”.

“Oddio Rico, mica hanno il bagno riscaldato ad uso singolo, quando non c’è elettricità o acqua calda è difficile lavarsi in 70/80 persone, d’inverno, magari con un solo rubinetto, eppure i rom  hanno paura dell’impurità, come gli indiani e gli ebrei. Pensa che lavano le loro cose in bacili diversi: le pentole divise dai piatti, i vestiti dei maschi separati dagli abiti femminili e così via. Rubare, non tutti lo fanno, molti rom esercitavano dei lavori che erano legati al nomadismo, mestieri tradizionali come allevatori, calderai e fabbri, musicisti, arrotini, venditori, imbonitori ma anche i mestieri legati al fiume come i cavallari, i barcari, gli zattieri, i cordai, questi ultimi in inverno passavano le case contadine e vi rimanevano qualche giorno costruendo le sedie intrecciate di vimini o corda, era una gioia un tempo quando arrivavano perché portavano racconti e notizie dai luoghi in cui viaggiavano. Fellini li ha descritti bene nel film “La strada”, con lo zingaro Zampanò, te lo ricordi Rico? Ricordo la mia bisnonna, quando mi raccontava dei venditori ambulanti, che vendevano, pizzi e bottoni, aggiustavano i piatti e stagnavano le pentole, aspettava i venditori con gioia, il manghel un tempo non era solo il chiedere l’elemosina, significava anche vendere, era accettato un tempo nelle campagne, ma ora i loro mestieri non servono più i piatti e le pentole si buttano via anche se non sono rotti, figurati se si aggiustano, ai rom rimane solo la questua. Oggi non c’è spazio per il lavoro tramandato dai loro padri, forse è per questo che alcuni entrano a far parte della malavita. Sai che in Irlanda vivono degli zingari coi capelli rossi e gli occhi chiari? Li chiamano tinkers che significa stagnai o lattonieri. Una leggenda narra che per la crocifissione di Gesù si cercava qualcuno che fondesse i chiodi e mettesse insieme una croce. Il falegname rifiutò e l’unico che si lasciò convincere fu il lattoniere. Guardandolo, Gesù gli disse: il falegname dovunque andrà sarà ricco e fortunato, mentre il lattoniere sarà condannato a vagare per sempre sulla terra e non troverà mai una casa. Su di loro pregiudizi a non finire, li hanno chiamati maledetti, figli di Caino, li hanno accusati di essere coloro che forgiarono i chiodi della croce di Cristo, senti come li descrivono: “Correndo l’anno di Cristo 1417 ecco che cominciano ad apparire uomini brutti, neri e cotti dal sole. Indossano vesti sudice e sono lesti nel rubare, soprattutto le donne. Commerciano cavalli, ma la maggior parte di loro va a piedi. Le donne cavalcano giumenti con i loro bambini”. Così il geografo tedesco Sebastiano Münster descrive i primi zingari giunti in Germania all’inizio del XV secolo. E senti come li descrive Lombroso, il medico e antropologo, sociologo, di fine Ottocento, esponente del positivismo illuminista, fondatore dell’antropologia criminale, le cui tesi ebbero un grande successo e furono alla base delle teorie naziste della supremazia della razza ariana. Lombroso riteneva gli zingari, l’immagine di una razza intera di delinquenti: “Sopportano la fame e la miseria piuttosto che sottoporsi ad un piccolo lavoro continuato; vi attendono solo quanto basti per poter vivere; sono spergiuri anche tra loro; ingrati, vili, e nello stesso tempo crudeli… Dediti all’ira, nell’impeto della collera, furono veduti gettare i loro figli, quasi una pietra da fionda, contro l’avversario; e sono, appunto come i delinquenti, vanitosi, eppure senza alcuna paura dell’infamia. Consumano in alcool ed in vestiti quanto guadagnano; sicché se ne vedono camminare a piedi nudi, ma con abito gallonato od a colori, e senza calze, ma con stivaletti gialli… Amanti dell’orgia, del rumore, nei mercati fanno grandi schiamazzi; feroci, assassinano senza rimorso, a scopo di lucro; si sospettarono, anni sono, di cannibalismo. Le donne sono più abili al furto, e vi addestrano i loro bambini; avvelenano con polveri il bestiame, per darsi poi merito di guarirlo, o per averne a poco prezzo le carni; in Turchia si danno anche alla prostituzione. Tutte eccellono in certe truffe speciali, quali il cambio di monete buone contro le false, e nello spaccio di cavalli malati, raffazzonati per sani, sicché come fra noi ebreo era, un tempo, sinonimo di usuraio, così, in Spagna, gitano è sinonimo di truffatore nel commercio di bestiame. Lo zingaro in qualunque stato o condizione si trovi, conserva la sua abituale e costante impassibilità, senza sembrar preoccupato dell'avvenire, vivendo giorno per giorno in una immobilità di pensiero assoluta, ed abdicando ad ogni previdenza… È importante poi il notare che questa razza così inferiore nella morale ed anche nella evoluzione civile ed intellettuale, non avendo mai potuto toccar lo stadio industriale né, come vedesi, in poesia passare la lirica più povera, è in Ungheria creatrice d’una vera arte musicale, sua propria, meravigliosa, nuova prova della neofilia e genialità che si può trovare mista agli strati atavici nel criminale”. E questo dire e ridire che sono sporchi, ladri e vagabondi ha creato l’orrore degli orrori, lo sai che  solo nel 1980 il Governo tedesco ha riconosciuto ufficialmente il tentativo di genocidio degli zingari e che i loro aguzzini non sono stati puniti, perché in fondo con loro Hitler aveva qualche ragione, in quanto geneticamente tutti criminali. Porrajmos  (divoramento)e samudaripen ( tutti morti) sono le parole che usano i rom per il loro olocausto, e come ultimo sprezzo alla caduta del nazismo, al processo di Norimberga hanno decretato che per gli zingari forse Hitler aveva qualche ragione, ti rendi conto Rico? Alcune circostanze accomunano rom ed ebrei: essere stati entrambi schiavi. I primi accusati di essere della stirpe maledetta di Caino, i secondi di deicidio. Ariani degradati gli uni, razza inferiore gli altri. Si stima siano stati uccisi tra i 500.000 ed il milione e mezzo di persone e la cosa peggiore è che venivano usati come cavie, sottoposti all’inoculazione di germi e virus per osservarne la reazione od obbligati a ingerire acqua salata fino alla morte. Alla base, le convinzioni dei nazisti sulla razza che li riteneva di origine indoeuropea, e dunque ariana, e che il ceppo zingaro fosse l’unico ad avere il gruppo genetico originario della razza tedesca, contaminato però dal gene del nomadismo, che li aveva portati, a mischiarsi coi non ariani degenerando l’iniziale purezza. Queste teorie erano l’opposto della logica antisemita, per cui minore era il grado di appartenenza razziale, maggiore era la speranza di salvarsi, per gli zingari maggiore era la loro purezza maggiore era la probabilità di salvarsi dalla soluzione finale e di diventare cavie. Joseph Mengele si trasferisce a Birkenau, e da qui, dalla pelle di bambini rom e sinti, inizia le sue sperimentazioni. Alle torture degli esperimenti, si aggiungerà la beffa: le orchestre zingare, volute dalle SS, faranno da colonna sonora alla loro morte. Nel luglio del ’42 Himmler venne a visitare il campo. Gli feci percorrere in lungo e in largo il campo degli zingari, ed egli esaminò attentamente ogni cosa: le baracche d’abitazione sovraffollate, i malati colpiti da epidemie, vide i bambini colpiti dall’epidemia infantile Noma [tumore dovuto a malnutrizione], che non potevo mai guardare senza orrore e che mi ricordavano i lebbrosi che avevo visto a suo tempo in Palestina: i loro piccoli corpi erano consunti, e nella pelle delle guance grossi buchi permettevano addirittura di guardare da parte a parte; vivi ancora, imputridivano lentamente. Si fece le cifre della mortalità tra gli zingari.[…] Dopo aver visto tutto questo ed essersi reso conto della realtà, diede l’ordine di annientarli, dopo aver scelto gli abili al lavoro, come per gli ebrei.[…] L’operazione durò due anni. Gli zingari atti al lavoro vennero trasferiti in altri campi, e alla fine rimasero da noi (era l’agosto del 1944) circa 4000 individui da mandare nelle camere a gas. […] Non fu facile farli arrivare fino alle camere a gas. Personalmente non vi assistetti, ma Schwarzhuber mi disse che, fino ad allora, nessuna operazione di sterminio degli ebrei era stata così difficile, tanto più dura per lui in quanto li conosceva benissimo quasi tutti, anzi era stato in buoni rapporti con loro. Infatti, a modo loro, erano gente straordinariamente fiduciose […] (Le memorie del comandante Rudolf Höss)

“Basta, sei un fiume in piena, basta raccontarmi delle tristezze. Questo viale sembra non finire mai, è una buona mezzora che camminiamo e la luce che si intravede laggiù in fondo sembra sempre più lontana. Raccontami qualcosa degli zingari di bello e allegro, che so sugli ursari, i domatori di orsi, di scimmie o di leoni, i giocolieri che poi sono i sinti per lo più, quelli del circo Orfei e di tanti altri circhi o quelli  dei luna park oppure raccontami dei loro musicisti che hanno ispirato e hanno influenzato e arricchito compositori come  Brahms, Schubert, Ravel, Strawinsky, Ciaikowski, ad esempio, a me la musica di Goran Bregović, che deriva da temi zigani, con quelle musiche da funerale e da sposalizio mi eccita, anche sessualmente a te no?

“Come no, se vuoi ti ballo un flamenco, come una zingara spagnola, così ti ecciti di più, non mi hai ascoltato e poi cos’è questo mi ecciti o non mi ecciti, devo preoccuparmi?”

“Preoccuparti in che senso?”

“Che ti metti a fare il cascamorto, non mi piace questo”.

“Stavo solo scherzando, per alleggerire la tua pesantezza, hai finito di raccontarmi sugli zingari?”

“Se vuoi, ho dell’altro, lo so è un mio difetto se inizio poi non la finisco più di raccontare”.

“Vai Sherazade, continua ad affabulare”.

 

 

 

giovedì 1 giugno 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 33

Rose is a rose is a rose is a rose

 

 

Intanto passavano i giorni, Lyuba aveva ripreso la sua solita routine piacevole, lo scontento era passato, non aveva più pensato al gruccione, al silfio, a quel tale Duga e neanche a Rocco, si era rilassata lavorando sulle illustrazioni e sui colori delle creazioni per l’azienda per cui lavorava, che produceva il vestiario ispirato ai libri; era molto soddisfatta, anche perché il suo datore di lavoro stava organizzando una sfilata in un bel palazzo settecentesco e pensare ai suoi lavori indossati da modelle professioniste, la faceva quasi sentire una stilista.

Si sentiva di nuovo arrivata, la specie di apostolato sulla ricerca del messaggio del gruccione, in cui si era creduta una illuminata, una risvegliata, capace di profetare, la rendeva sì importante, ma allo stesso tempo le pesava la forte responsabilità di non riuscire nel suo intento: ora si sentiva libera, perché era riuscita ad abbandonare l’investigazione magica o magari stregata, lo strano è che si sentiva come dire leggera, come se avesse realizzato un qualcosa di grande, invece non aveva concluso nulla.

Forse era finita e non avrebbe più avuto impulsi folli di salvare il mondo: ora il mondo lo salvava facendo del volontariato, andando regolarmente in Chiesa pregando per tutti sia per i buoni che i cattivi e sorridendo pensando che: l’oggi sarebbe stato più bello di ieri e che sarebbe stato meno bello di domani.  

Il tempo libero e anche quello non libero non lo passava più sui libri o attaccata al computer pensando giorno e notte a trovare un senso dove non c’era, ma con Luisa e Marina usciva tranquillamente sulle vie dello shopping oppure a qualche presentazione di libri o mostre d’arte, qualche aperitivo, qualche gita fuoriporta a Milano, Ferrara, Bologna per respirare un po’ di aria cittadina che Ravenna, in quanto a vita sociale non era altro che un paesone, poi ora assieme alle sue amiche era tutta indaffarata a cercare un abito adatto ad una stilista: le modelle avrebbero indossato anche delle sue creazioni, era ormai una creatrice di moda a tutti gli effetti, la sfilata sarebbe stata fra un mese e lei voleva apparire al meglio.

Finalmente si sentiva libera di pensare anche a se stessa, si era resa conto che i suoi primi quarant’anni erano stati finalizzati a un qualcosa di grande con l’ansia di non farcela, si ricordò il chiodo fisso di due anni prima, quando qualcuno o qualcosa era dentro di lei con un controllo mentale totale così invasivo che lei aveva pensato di buttarsi nell’acqua torbida del fiume dall’alto del ponte, vicino alla casa della sua amata bisnonna, perché non riusciva più a sopportarlo; -forse quella cosa era stata sempre in lei, forse c’era ancora, forse era ammalata, forse, forse, forse, del domani non c’è certezza ora sto bene il resto non conta- così diceva mentre pensava -Dio, Dio, fa che il mostro che mi possedeva se ne sia andato per sempre, ti prego, ti prego.-

Drin, drin, driin.

“Cavolo la sveglia, no è il telefono, ma chi è che rompe… Pronto”.

“Buongiorno, ti ho svegliato?”

“No, non mi hai svegliato, figurati alle 8 di domenica mattina non mi hai svegliato”.

“È una mattina splendida e ti porto in pineta alla Via degli Zingari”.

“Non ci voglio andare, non mi interessano gli zingari e ho ancora sonno e la domenica mattina vado alla Messa, aspetta che apro la finestra e guardo fuori, urca, hai ragione c’è un sole bellissimo sole sembra un giorno di primavera, va bene vengo, alla Messa ci vado stasera”.

“Passo a prenderti verso le nove e prima ti porto a far colazione con lettura del quotidiano e commento”.

“Grazie Rico, ciao”.

Si stiracchiò, pensando che evidentemente la ricerca era destino che la terminasse, ma non se ne preoccupò, passeggiare in pineta è uno dei passatempi preferiti dei ravennati e anche il suo, le pinete fanno parte della zona più antica del Parco del Delta del Po, in quanto il delta del tempo antico sfociava più a sud di quello odierno.

Puntuale, Rico suonò il campanello alle nove e cinque minuti.

“Ciao, come sei carina col piumino rosa, ti sta proprio bene… Rose is a rose is a rose is a rose”.

“Non fare il cretino”.

“Volevo farti un complimento”.

“Allora doppiamente cretino in quanto la citazione è di Gertrude Stein ed è dedicata all’amore lesbico”.   

“E io l’ho detto apposta, non è che la tua castità sia il paravento di una tua attrazione al femminile?”

“Rico, ti trovo cambiato, non so perché ma mi sembri strano”.

“Dai andiamo, ti ho fatto una sorpresa ho un thermos di caffè, brioches e quotidiano, facciamo colazione in pineta”.

“Mmm, ottima idea”, e intanto pensava e guardava Rico con altri occhi.