sabato 29 agosto 2015

IO E TEA terza puntata

Oggi continua a piovere e così continuo il racconto.
Quante volte si può tradire?
Al pronto soccorso dove lavoro,  tre mesi fa un’auto ha scaricato un corpo informe e poi è sgommata via.
Era Tea, l’ho riconosciuta e sapete cosa ho fatto, era finito il mio turno di lavoro, non toccava a me, c’era il collega, me ne sono andata a casa, sì avete capito bene, sono andata a casa ed ho mangiato pure, roast beef e misticanza, leggero per non ingrassare.
Non ho neanche avvisato il collega di avere un occhio di riguardo, di essere ancora più solerte del solito, non ce n’era bisogno perché è un filantropo, quando ha le ferie va in Africa ad operare quei poveretti, comunque io non glielo ho detto perché mi sono vergognata di Tea.
E pensare che Tea mi parlava, quanti anni fa, di amore, amicizia, aiuto reciproco, ma va là anche De André è morto.
Mi faccio schifo, anche se poi dovete sapere che il giorno stesso sono tornata all’ospedale, sono andata da Tea, non voleva essere ricoverata, ma io e il mio collega l’abbiamo convinta, mi faccio schifo perché anche se debole Tea mi cantò:

Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino, spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame.


immagine di Teoderica

lunedì 24 agosto 2015

IO E TEA seconda puntata

Una volta Tea mi chiese se  potevo prestarle i miei stivali bianchi,  per la prima volta aveva chiesto un prestito, si vede che quegli stivali le piacevano proprio molto, a me avevano già stancato, ma non  glieli prestai neanche una volta, proprio perché lei li desiderava tanto… ed ero sua amica.
Tea non continuò gli studi, era brava, molto brava, era speciale Tea, bella, brava e  buona, andò a lavorare, in famiglia occorrevano soldi, la persi di vista.
Io andai al liceo classico, lo avrebbe meritato di più Tea che amava il latino ed era innamorata di Achille, dei greci, io continuai gli studi per la mia famiglia, ci teneva tanto  che io l’unica figlia, diventassi un medico. 
Infatti oggi sono un medico, sposata ad un medico, stimata e rispettata da tutti.
Sono pure molto chic, certo non ho la bellezza un po’ volgarotta  della Tea di un tempo, io ho una bellezza elegante, di classe, capelli lisci color miele, snella, porto pantaloni chiari e camicetta  leggera con mocassini in tinta al lavoro, di pomeriggio o di sera sempre dei tubini dal taglio perfetto, colori scuri d’inverno, chiari d’estate… e scarpe rigorosamente Louboutin, inoltre sempre  e solo un gioiello…est modus in rebus ( c’è una misura nelle cose).
Tea, dopo il primo anno di liceo, lasciò la scuola per lavorare in un supermercato, non la vidi più. Sapevo che aveva iniziato a frequentare brutte compagnie, ragazzi e ragazze più dediti  alla droga e allo  spaccio che altro.  
A diciott’anni se ne andò con una specie di  hippie con la chitarra, in giro per il mondo, poi non seppi più nulla.  
Quante volte si può tradire?
Cinque  anni fa sotto ai portici, a Bologna, velocemente camminavo per prendere il treno e tornare a Ravenna, quando notai , una figura aggraziata che suonava un flauto e chiedeva l’elemosina, era Tea e nonostante gli stracci era bellissima, la odiai.
Le tirai un Euro nel cappellino ai suoi piedi e feci finta di non riconoscerla, ai miei occhi esperti di  medico la riconobbi come intossicata da  droghe e da alcol, ma la odiai perché nonostante tutto era bella e dignitosa più chic di me.

E all’improvviso le note di De André, le note del Pescatore mi rimbombarono nella testa, ma nonostante ciò tirai dritto.



immagine di Teoderica

venerdì 21 agosto 2015

IO E TEA prima puntata

Oggi è un giorno di giugno, dovrebbe esserci il sole ed io dovrei fare la passeggiata in bicicletta verso il mare, poi fermarmi un poco alla spiaggia, mangiare un panino, un frutto e poi andare al lavoro, ma piove il tempo è grigio e così ho deciso di raccontarvi un fatto che non ho mai svelato a nessuno.
All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Tanti anni fa, forse venti, forse trenta, io e Tea, la mia compagna di classe alle medie, cantavamo:  Il  Pescatore,  la canzone di Fabrizio De André, la vita allora era bella e Tea mi diceva questa è una canzone sull’amicizia, sull’amore, sull’aiuto reciproco, come il legame che unisce noi due.
Io non badavo molto a ciò che diceva Tea, lei era molto sensibile e vedeva cose strane anche dove non ce n’erano, a me la canzone piaceva per la musica e basta, ma annuivo e le dicevo: “sì, sono d’accordo con te”, bastava tanto poco per farla felice.
Aveva una madre orribile, sempre pronta a farle ricatti, invidiosa della sua gioventù.
Un padre, lei diceva buono, era in realtà un padre/padrone, che le dava calci in culo se non faceva quello che lui voleva.
Poi in questo quadro poco edificante, ci si mise il professore di disegno, il quale la palpeggiava.
Tea ne soffriva tantissimo, si vergognava, credeva di essere anormale, io l’ascoltavo ma non capivo, non capivo, io ero  minuta filiforme, non dimostravo quindici anni, a malapena dodici o tredici e nessuno mi aveva mai guardato  in maniera  morbosa e strana e meno che mai mi aveva infilato la mano sotto la gonna o strizzato il seno; Tea invece era alta e tornita, pareva la copia di Valentina, l’eroina di Crepax, Tea portava sempre scarpe  rasoterra e stava con le spalle ingobbite,    voleva essere più bassa, se possibile invisibile.
Ma invisibile non lo era, antipatica alle professoresse, alle amiche, in fondo anche a me, anche io ero invidiosa di lei, se potevo qualche dispettuccio glielo facevo.
Se ad esempio io avevo un vestitino che a lei piaceva tanto, la mia famiglia era più ricca della sua ed io avevo un guardaroba firmato, non glielo prestavo mai e poi mai.

 Tea si vergognava di chiedere gli abiti in prestito, vestiva proprio male, con della robaccia, ma i ragazzi le correvano sempre dietro, e se qualcuno non lo faceva era perché aveva timore della concorrenza.


immagine di Teoderica

mercoledì 19 agosto 2015

L’UOMO CHE RUBAVA I POMODORI quinta puntata

Mi sono accorta che qualcuno li ruba, ne sono sicura, se lo prendo lo metto a posto, la terra del fiume è del demanio, ma i pomodori sono miei, se me li chiede glieli do, ma no portare via così i miei pomodorini, ad  ognuno ho dato un nome, io non li mangio neanche, li do ai figli, io non mi sognerei mai di mangiarli, per me sono troppo belli.
“Ehi, che fai, ti ho visto, perché mi rubi i pomodori?”
“Vai a cagare, vecchia troia”.  Mi dice quell’uomo che potrebbe essere mio figlio.
Mio marito che ormai sant’uomo non è più in lui, ripete come un pappagallo:
“Vai a cagare, vecchia troia”. E fa un risolino scemo.
Io non ci ho visto più, ho preso la zappa e mi sono avventata su di lui…mio marito.
L’uomo che rubava i pomodori mi ha tolto la zappa e me l’ha scaraventata contro, mi ha tirato un pugno, proprio sulla tempia, in un attimo ho pensato ad Aura, a quello che mi aveva detto quel Natale.  Ho pensato a chi avrebbe letto il giornale domani, di una vecchia che ha tentato di uccidere il marito ammalato, che invece di accudirlo, lo portava al fiume col caldo e le zanzare, tutti sapevano che a lui non piaceva stare al fiume, lui voleva vedere la tv. Una lacrima mi è scesa, piano, piano, la vita non è bella, volevo chiudere gli occhi, ma sono rimasti aperti, mentre io non so più dove sono.
L’ultima visione, l’uomo dei pomodori con la zappa in mano, l’alza, s’abbatte su mio marito, meglio così chi l’avrebbe accudito altrimenti?


Aura, era presente al doppio funerale e non si capacitava della cattiveria della gente, di chi l’aveva conosciuta, di chi sapeva della sua generosità, avevano letto il giornale il cui titolo era:
“ Ottantenne  uccide il marito infermo, poi cade, sbatte la testa e muore”.   
I conoscenti parlottavano fra loro: ” Ma che gli sarà preso, di uccidere il marito ammalato…forse aveva un inizio di Alzheimer anche lei”.
Aura avrebbe urlato se possibile, non lo faceva per rispetto a Manuela.
Lei che la conosceva bene, riteneva che mai e poi mai avrebbe abbattuto la zappa sul marito, alzarla forse ma non usarla, se poi lo avesse fatto era scusata, quante violenze aveva subito quella donna, quante!
Le persone presenti fecero un applauso al passaggio delle bare.



immagine di Teoderica

venerdì 14 agosto 2015

L’UOMO CHE RUBAVA I POMODORI quarta puntata

Io sto informata con i quotidiani e la tv e così so che la pubblicità è sbarcata in massa nel web, fra poco non ci sarà libertà neppure lì.
Aura è andata ad abitare a Bagnara di Romagna un piccolo centro di duemila anime, ha conosciuto  tramite internet un’insegnante del luogo: Anna, una donna che lavora, ha famiglia, tre blog, tutti avviatissimi, si aggiorna continuamente con lo studio, scrive poesie, dipinge, suona il pianoforte, viaggia da sola e tante altre cose.
”Vedi bene Manuela, che c’è altro, altro che tu non sai, ma che dentro di te percepisci, aver conosciuto, tramite il web, una donna come Anna, mi ha aperto la porta della conoscenza ed ora non posso più chiuderla. Anna  mi ha aperto gli occhi, ho visto tramite il suo comportamento che una donna può essere qualcosa di nuovo”.
Aura mi dice anche questo, quando mi telefona, a Bagnara trova tutto quello di cui ha bisogno, pace, arte, storia ed ottimi servizi e c’è anche il fiume. Le persone ormai hanno dimenticato la bellezza del fiume, il quale è importante quanto il mare o la montagna.
Aura vive sola in un piccolo appartamento del centro storico, ha rifiutato gli alimenti, una donna è in grado di mantenersi da sola.
Io le voglio bene e anche se non lo dico a nessuno, sono contenta  che abbia intrapreso il suo “viaggio”, mio figlio è grande si arrangi, anche perché quando l’aveva vicina derideva i suoi “pastrocchi”, le sue “trappole, così  chiamava i suoi lavori creativi, a me invece  piacevano tanto, tanto da esserne invidiosa.    
Quest’ultimo anno è accaduto un evento, mio marito si è ammalato, demenza senile, così non va più nell’orto, quest’ultimo mi è ritornato indietro come un boomerang, mi diverto un mondo, mio marito mi accompagna, non può stare solo, piagnucola come un bambino, ma io non rinuncio all’orto, mi viene in mente Aura, e anch’io voglio la mia libertà: l’orto.

Ho messo una seggiola sotto un ombrellone, mio marito sta lì seduto, e io estirpo le erbacce, innaffio, zappo, il momento più bello è quando raccolgo i pomodori, profumati e rossi come il fuoco, belli come i miei pomodori non li ha nessuno.


immagine di Teoderica

domenica 9 agosto 2015

L’UOMO CHE RUBAVA I POMODORI terza puntata

Ad Aura, così si chiama mia nuora, le voglio bene, anche se percepisco in lei una sottile vena di inquietudine, qualcosa che è anche in me, qualcosa inerente alla giustizia e all’insensatezza.
Aura mi prende la mano, l’accarezza, la guarda, mi vergogno sono rovinate e ho le unghie smozzicate, mi dice:
“Io non credo che ci siano differenze fra uomo e donna nel genere, l’uomo ha il pene ma la donna ha la vagina, l’uomo ha un’intelligenza più astratta, la donna più emotiva e sensibile e via dicendo, l’uomo ha in più qualcosa però ed è la forza fisica, i muscoli, perciò noi subiamo sempre anche se non ci menano, basta un’alzata di voce e noi ci chiudiamo, già l’inconscio ha paura. Sono convinta  che, la circostanza che l’uomo abbia corporatura e forza fisica superiori a quelli della donna, abbia influito profondamente nella struttura della nostra società. Soffro quando leggo sul giornale che una prostituta è stata uccisa o malmenata da un cliente o da un borseggiatore, quando al posto della prostituta vi è un trans, è il cliente, se non si comporta bene, ad essere malmenato.   
Era il 1935 quando Margaret Mead, antropologa americana, pubblicò per la prima volta “Sesso e  Temperamento”, un saggio che ho letto anni fa e col tempo ha lavorato dentro di me, su questo libro ho letto sulle differenze fra tre tribù della Nuova Guinea, i miti Arapesh delle montagne, i crudeli cannibali Mundugumor e i gentili cacciatori di teste Ciambuli.
In queste tre società nessuno si comportava come un occidentale si aspetterebbe; gli Arapesh si comportavano tutti in modo materno e sensibile, cioè come noi ci aspettiamo si comportino le donne, i Mundugumor si comportavano tutti come noi ci aspettiamo si comportino gli uomini, in modo intenso e attivo, mentre tra i Ciambuli gli uomini avevano un contegno femminile, ovvero erano dispettosi, portavano i riccioli e andavano al mercato, quando invece le donne erano energiche, disadorne, e con l'atteggiamento di chi dirige.
Margaret Mead credeva che fossero gli aspetti culturali e i pregiudizi a portare alle intolleranze e alle guerre. Sosteneva che i membri di una società possono e devono lavorare insieme, per modificarsi e costruire nuove istituzioni; in una società sempre più pessimista riguardo alle capacità di cambiamento dell'essere umano, insisteva sull'importanza di favorire e supportare tale capacità. Cara Manuela, io credo che questa nostra società sia impregnata di maschilismo pure nel linguaggio, hai mai pensato a quanti termini dispregiativi per la donna? Il linguaggio è vivo, i bambini ascoltano ed apprendono. Poi colonne, obelischi, salite, arrivi e successo tutti evocano la prestanza fisica maschile, e poi perché una donna non può essere papa? Ti rendi conto che i figli li hai allevati tu?
Perché li hai cresciuti così, non per colpa tua, la società te lo ha imposto, te lo ha inculcato, ora mio figlio è adulto, ho assolto al mio compito principale, quello di madre; ora del marito, di tuo figlio, non ne voglio più sapere, me ne vado, realizzerò ciò che voglio io, non ciò che la società mi impone con leggi varate da uomini non da divinità. Ti voglio bene Manuela e mi dispiace tanto di ciò di cui la società è in debito con te”.

Mi abbracciò Aura e da allora non la vidi più, mi telefona ogni tanto e mi dice: “Comprati il pc, è facile da usare, persone meravigliose si sono sacrificate, hanno rinunciato a brevetti, per dare la possibilità di comunicare a tutti. Manuela, tu abitando quasi in campagna, accanto a persone che non ti capiscono, senza possibilità di muoverti, il web è la sola tua unica possibilità, la tua sola finestra sul mondo, dammi retta. Non dire che sei vecchia, hai la mente fresca, più di tanti altri e non è mai troppo tardi ”.


immagine di Teoderica

martedì 4 agosto 2015

L’UOMO CHE RUBAVA I POMODORI seconda puntata


Alla fine degli anni Sessanta, col boom economico si trasferirono verso la pianura, nei pressi di Ravenna; il marito andò a lavorare in fabbrica e pure Manuela ebbe il suo lavoro ben retribuito,
I soldi però non bastavano mai,  Manuela voleva che i figli continuassero gli studi, così oltre al lavoro di casa e a quello di fuori, andava a fare pulizie, il sabato dalla famiglia del medico condotto.
La domenica era la sua giornata di svago, dopo innumerevoli lavatrici, la pulizia di casa e la preparazione della pasta fatta a mano, arrosto e ciambellone, aveva tutto il pomeriggio per sé; lo dedicava alla coltivazione dell’orto che si trovava sull’argine dei Fiumi Uniti a Ponte Nuovo.
Era il suo hobby, cresceva le piante con amore e pomodori come i suoi, non li aveva mai avuti nessuno.
Amava l’orto come un figlio, i quali ora tenevano tutti famiglia e venivano a trovarla una volta a settimana, Manuela li riforniva di verdura fresca e di cappelletti, tortelli e tagliatelle fatti a mano.
Il marito andò in pensione, Manuela qualche anno dopo, ma non sapeva come passare il tempo, quindi si appropriò dell’orto con la scusa di sollevare dal lavoro la moglie.
Manuela la prese molto male, ma naturalmente si fece da parte, anche se soffriva quando il marito le diceva: “Guarda che bei pomodori mica i tuoi, i miei sono saporiti, tu non sei capace, è un lavoro da uomini l’ortolano”.
Poi arrivò la pensione pure per lei, ma ormai Manuela era abituata al lavoro, così aumentò le ore per le collaborazioni domestiche, iniziò a partecipare come volontaria alle Feste dell’Unità, ora sono del PD, ma per Manuela erano, sono e saranno, Feste dell‘Unità, pulendo quintali di pesce.
La domenica invita i figli con famiglia al seguito, uno alla volta, perché non ha spazio sufficiente, a pranzo, quindi li rifornisce di cibarie per quasi tutta la settimana.
Per Natale e per Pasqua, smantella tutta la casa per poterli avere tutti, quattordici persone più lei e il marito non è facile metterli a tavola.
Qualcuno si lamenta che il mascarpone ha un po’ troppi savoiardi o che il brodo non è saporito e che i cappelletti sono un po’ duri, ma è tanto bello averli tutti con lei.
La casa è tutta sossopra, un casino, mia nuora e le figlie mi aiutano a sparecchiare, poi di solito dicono fra loro, ma lasciamo fare alla mamma che non ha niente da fare, metterà a posto domani,  così passerà il tempo divertendosi.

Un Natale di pochi anni fa, mia nuora, mi ha fatto uno strano discorsetto, non sono sicura di averlo capito ma mi ha fatto pensare molto, anche perché nel frattempo sono accaduti nuovi eventi.


immagine di Teoderica