domenica 23 giugno 2019

VACANZE ROMANE romanzo a puntate,XVI parte


I Calcidesi fondarono numerose colonie nel Mar Mediterraneo soprattutto in Italia e in Sicilia, stringendo intensi legami commerciali e culturali con gli etruschi.
Gli Etruschi usavano come alfabeto quello calcidese.
-Mumble mumble, chi erano gli etruschi?-
I tirreni, questo termine era usato dai greci per riferirsi a popoli che erano diversi da loro e con tale nome chiamavano gli etruschi.
Gli etruschi, quindi non erano greci, vennero in Italia dalla zona greca, erano chiamati tirreni.
Chi erano i tirreni?
Erano maestri nel trattare i metalli, abili nel navigare, esperti nel lavoro dei campi che avevano imparato ad irrigare. La loro capitale, 3500 anni prima di Cristo, era su una collina dell’Isola di Lemno e la loro civiltà in tremila anni arrivò a coprire quasi per intero l’area Mediterranea. Così che numerose civiltà, a cominciare da quella etrusca, vanno ricollegate alla loro. Furono i tirreni a diffondere dall’Anatolia all’ Iberia i substrati di una lingua, di una tecnica mineraria ed agricola comune, in molti casi la scrittura. Tanto che non ha più senso domandarsi se gli etruschi vennero da chissà dove o piuttosto furono indigeni dell’Italia centrale. Semplicemente, la loro cultura arrivò dai tirreni. Così come accadde per i filistei, o per gli eteocretesi, in parte per i sardi. Si deve quindi immaginare, dal 4 millennio a.C., mille anni prima che arrivassero i popoli indoeuropei, una civiltà dominante. Ha enormi capacità tecniche, e un p’ alla volta si impone in tutta l’area del Mediterraneo sino a formare il regno dei tirreni. ( http://www.toskana-art.it/depalma/Tirreni.htm)



immagine: terracotta con alfabeto calcidese

sabato 15 giugno 2019

VACANZE ROMANE romanzo a puntate,XV parte


Betty si era appoggiata ad un recinto, ma ora voleva di nuovo incamminarsi per raggiungere il Palatino, poi si rese conto che si era addossata allo steccato del Lapis niger- proprio su questo mi dovevo accostare, che porta iella! - 
 Lapis niger, il nome deriva dal fatto che anticamente il luogo era stato coperto da lastre di marmo “nero”, con risvolti sinistri legati alla tomba profanata di Romolo.
Si trova nella zona più antica del Foro, forse facente parte del Volcanale un antichissimo santuario dedicato al dio Vulcano.   
Nel 1899, fu rinvenuto un grosso pezzo di pavimentazione in marmo nero, tra cui un altare, un tronco di colonna e un cippo con un’iscrizione in latino arcaico e bustrofedica, ovvero una scrittura antica, in cui la direzione cambia da riga a riga, cioè da sinistra a destra, poi da destra a sinistra, e così via, come i buoi che arano.
Bustrofedico, infatti, deriva dal greco e contiene due termini: bue e girare.
Si tratta dell’iscrizione monumentale latina più antica mai rinvenuta e il luogo del ritrovamento era quasi certamente sacro, perché l’iscrizione minacciava i violatori di terribili punizioni, quali la consacrazione alle divinità infere, che equivaleva a una condanna a morte… Chi violerà questo luogo sia maledetto.
I caratteri sono molto antichi, vicini a quelli dell’alfabeto greco calcidese, da cui deriva quello latino.    
Dionigi di Alicarnasso, uno scrittore greco vissuto nell’età di Augusto, aveva scritto che nel Volcanale vi era una statua di Romolo con accanto un’iscrizione in caratteri greci.
Dionigi, quindi, potrebbe aver visto una copia del cippo e la statua di Romolo, sistemati nel Volcanale dopo il seppellimento del santuario più antico.   
Stando ad Orazio, i Galli invasori, penetrati in Roma nel 390 a. C., avrebbero disperso le ossa di Quirino, altro nome di Romolo, profanandone la tomba.  
Nell’antichità una leggenda raccontava che qui era sepolto Romolo e che l’area venne sepolta e recinta nella tarda età repubblicana, coperta da un pavimento di marmo nero e considerata un  “luogo funesto”, a causa della profanazione della sepoltura da parte dei galli.
Betty non l’aveva profanata, ma proprio qui doveva appoggiarsi, con un sospiro scrollò le spalle - ora mi godo la bellezza senza tante paturnie, che la iella non esiste, se fosse un po’ meno caldo però… - e intanto la mente andava alla scrittura bustrofedica dell’alfabeto greco calcidese, da cui derivava il latino, calcidese le ricordava un qualcosa sugli etruschi, ma cosa?
Betty era testarda come un mulo e curiosa come una scimmia, iella o non iella, lei sarebbe stata appoggiata al Lapis niger, sino a quando non avesse fatto luce sull’arcano, prese il cellulare e cominciò a digitare su santo Google.


immagine: Lapis niger

sabato 8 giugno 2019

VACANZE ROMANE romanzo a puntate,XIV parte


Il fico è l’albero sacro più importante per Roma, perché sotto un albero di fico (ficus ruminalis), fu ritrovata la cesta che conteneva i gemelli Romolo e Remo, figli del dio Marte e della vestale Rea Silvia, sotto al fico i gemelli furono allattati dalla lupa, emblema della città eterna, anche se prima della lupa il simbolo di Roma era un leone che azzannava un cervo ma ormai non lo ricorda più nessuno: Roma è la lupa, anche se la sua raffigurazione è un’opera d’arte degli odiati etruschi.
Le fonti antiche collocano il fico alle pendici del Palatino, nei pressi della “grotta del Lupercale”  che fu oggetto di venerazione per diversi secoli.
La leggenda narra che quando l’antico fico era ormai secco e deperito, un altro germogliò spontaneamente.
La pianta era ritenuta bene augurale e dal suo stato di salute si traevano auspici per la città.
Si riteneva infatti che se si fosse seccata Roma sarebbe caduta in disgrazia, come capitò dopo il regno di Nerone, quando il fico morì testimoniando con la sua scomparsa che la libertà di Roma era perduta… il fico era morto troppo presto che Roma dopo Nerone durò ancora per qualche centinaio d’anni.
L’ulivo era molto amato dai romani, sia per l’apprezzato olio, ma anche come pianta cara a Minerva, dea che faceva parte della Triade capitolina, i rametti d’ulivo intrecciati a quelli d’alloro servivano per creare le corone per le persone importanti.
La vite: Roma è sorta sulla terra di Enotria, che significa terra del vino e ancora oggi, in queste zone se ne beve del buono.
I romani amavano tanto il vino da inventare il bacio: in epoca repubblicana gli uomini potevano esercitare sulle loro donne lo “ius osculi”, il diritto del bacio, per verificare che non avessero bevuto del vino di nascosto.
Berlo equivaleva a compiere adulterio poiché si credeva che il vino liberasse i freni inibitori, iniziasse al piacere e fosse un potente abortivo… qualcosa di vero c’è, se un po’ allegre di vino le donne cedono più facilmente ma non solo loro!

immagine: vite, fico, ulivo al Foro romano

sabato 1 giugno 2019

VACANZE ROMANE romanzo a puntate,XIII parte



Questo romanzo doveva descrivere le vacanze romane di Betty, ma qua si scrive di tutto tranne che di quello che si deve scrivere.
Betty era arrivata a quarant’anni senza aver visto Roma e se la sognava pure di notte.
Causa impedimenti improvvisi, causa mancanza di ferie, causa mancanza di soldi, causa, causa e causa Betty non era mai riuscita ad andare a Roma… ormai pensava che non sarebbe mai riuscita  a vederla.
Finché capitò l’occasione: un viaggio gratuito per visitare una Fiera all’Eur, un solo giorno, di domenica, una domenica in cui era libera, Betty aveva come giorni di riposo solo due domeniche al mese e nessun altro giorno, lei lavorava in proprio e non poteva permettersi di non andare al lavoro perché poi sarebbero mancati i soldi per tirare avanti.
Betty prese la palla al balzo, andò col viaggio gratuito ma non entrò alla Fiera, dall’Eur prese il primo autobus per Piazza Venezia, sapeva già dove andare, a casa si era scervellata per scegliere una meta, alla fine aveva scelto i Fori imperiali.
Quando apparve la piana assolata con i resti della grande Roma restò ammaliata, pensava di non aver sorprese, avendo visto centinaia di volte su You Tube o nei libri d’arte la Roma imperiale, invece guardarli dal vero quasi le pareva impossibile credere a quello che vedeva e il Colosseo che aveva visto centinaia di volte, visto dal vero sembrava un’astronave aliena planata in mezzo al caos romano.
Betty girava con il naso per aria, camminando fra i maestosi resti, incapace di riconoscere il Foro di Cesare da quello di Augusto o da quello di Traiano, smarrita, quasi intimorita, nonostante a casa si fosse ben studiata la planimetria dell’area archeologica, non riconosceva nulla, tranne i mercati traianei, l’arco di Settimio Severo, quello di Costantino, la Basilica Giulia davanti alle tre colonne del Tempio dei Dioscuri e il colle Palatino.
Si fermò, era accaldata al massimo, era la prima domenica d’ottobre, la nebbia si era sollevata e un sole cocente infiammava tutta la zona, Betty presa dall’entusiasmo non si era accorta che era fradicia di sudore, ma non si perse d’animo: era determinata a proseguire la visita, si arrotolò i pantaloni sino a farli diventare corti, si tolse la maglietta, restando in canottiera, si legò i capelli con un cordoncino trovato in borsa e si appoggiò a una sorta di recinto cercando di individuare l’area verde: sapeva che nel Foro romano c’era un luogo dove ancora oggi crescono le tre piante care agli antichi romani, dove oggi come allora, crescono  un fico, un ulivo e una vite.


immagine: Colosseo