mercoledì 29 aprile 2015

MILLEFIORE (quinta e ultima parte)




Arrivati ad Arona, con il suo splendido lungolago e le vie del centro storico, ricco di negozi, bar e ristoranti, Luisa si rilassò,  una sosta per ammirare Rocca d’Angera, dall’altra parte del lago, un aperitivo, uno Sprizt  è d’obbligo in questi luoghi,  è un drink di origine austroungarica (il nome deriva dal verbo tedesco “spritzen”, che significa “spruzzare”)  inizialmente composto  di  acqua gassata e vino, oggi modificato con l’aggiunta di  Aperol o Campari.
Luisa mangiò anche qualche stuzzichino, fumò una sigaretta, e si rasserenò, Marco invece si vedeva che cercava di  comportarsi affabilmente, ma era come se lo facesse forzatamente, Luisa scrollò le spalle, erano solo sue fantasie.
Decisero di fermarsi a cenare in un accogliente ristorante sul lungolago, dalle ampie sale arredate con gusto dai toni color crema e gli arredi scuri.
Marco voleva ordinare pesce di lago, ma Luisa  lo convinse a prendere la tagliata alla  Robespierre,  un piatto semplice ma gustoso, dove la carne un po’ al sangue viene servita su un letto di rucola e pomodorini.
    

La tagliata si chiama "alla Robespierre" perché era il piatto preferito del noto rivoluzionario.  
Gli aromi che servono ad insaporire l’olio usato per condire la tagliata, fra cui rosmarino, aglio, e pepe verde, si dice che vennero posti all’interno della cesta che conteneva la testa ghigliottinata di Robespierre, in segno dispregiativo, per equipararla a quella di un maiale.
Innaffiarono il tutto con Gattinara un vino rosso granato che, nel tempo, assume venature aranciate,  intenso , speziato con sentori di viola con un caratteristico fondo amarognolo, Luisa ne bevve un solo bicchiere perché doveva guidare e le dispiacque assai, Marco faceva finta di bere, in realtà si bagnava  solo le labbra, Luisa non capiva il perché, a tavola stava parlando continuamente di vino, quindi lo apprezzava, e lui non doveva guidare.
Anche in questo momento  le stava spiegando che come altri prestigiosi vini piemontesi, anche il Gattinara viene prodotto da uve Nebbiolo.  Recenti rinvenimenti archeologici attestano che in questa zona si produceva  vino sin dai tempi dei romani. E doveva essere proprio un buon vino se il Marchese di Gattinara  lo presentò  alla Corte del Re di Spagna. Il vino di Gattinara, infatti, lega il suo nome a questo famoso diplomatico, entusiasta ammiratore ed infaticabile degustatore, il quale ne divulgò la fama offrendolo quale efficace mezzo di trattativa diplomatica.
Luisa era sempre più rilassata, Marco continuava a parlare di vino, sembrava riluttante ad alzarsi, combattuto, il conto volle pagarlo lui e si alzò pure per scostarle la sedia e metterle la giacca.
Marco raccolse un  grosso  sasso piatto, quasi un mattone, le disse che sarebbe servito se si fossero fermati, oltre al freno a mano, in montagna in una pendenza andava messo in una delle ruote posteriori un fermo per essere in totale sicurezza.
Luisa si mise alla guida tranquilla, Marco  salì mettendo il sasso ai suoi piedi, poi prese  la bottiglia di Millefiori  dal sedile posteriore  e iniziò a rigirarla assorto tra le mani.
Si avviarono verso il Mottarone.
Quando oltrepassarono Armeno, Luisa iniziò ad avere paura, vi erano tornanti spaventosi, ormai  non c’era più luce, tutto era ombra,  nonostante la bellezza dei luoghi, erano giunti al punto in cui si vedevano ambedue i laghi, l’inquietudine fra Marco e Luisa aumentava.      
Si era fatto buio pesto , Marco le  metteva angoscia, la guardava fisso, il suo sguardo non pareva più suo, ma di un altro, uno sconosciuto, sentì un colpo e un forte dolore alla testa, poi il buio totale.
I familiari di Luisa, i due figli, l’ex marito erano giunti affranti alla Stazione dei Carabinieri di Stresa, qui un affabile maresciallo li aveva informati del ritrovamento del corpo esamine di Luisa  all’interno dell’auto finita  nel  burrone.
 Fabio, il figlio di Luisa, provato scuoteva la testa, pensando  a quanto sua madre era inesperta nella guida, cosa le fosse mai  saltato in testa di mettersi in viaggio con l’auto da sola, intanto lo sguardo si  soffermava  sul nome del maresciallo: Marco, un bel nome e chissà forse era un collezionista di bottiglie antiche come sua madre, intravedeva dall’ armadio semiaperto, una bottiglia di “Millefiori” come quella che tanti anni fa sua madre teneva in bellavista dentro la credenza a vetri.
Mamma, mamma aveva sempre avuto timore della guida, forse sentiva che sarebbe morta in un incidente d’auto, no i familiari non avevano niente da dichiarare, nessun sospetto, tutto chiaro.





immagine di Teoderica



venerdì 24 aprile 2015

MILLEFIORI (quarta parte)




Marco, quel giorno si sentiva nervoso, aveva perciò preso l’auto e da Stresa, dove lui abitava, aveva preso l’autostrada dei laghi.
La sua famiglia era di Pachino, lui se ne era andato per motivi di lavoro, il tipo di lavoro che svolgeva, molto rispettabile, comportava usualmente lo sportarsi da sud al nord, lui viveva solo, non sentiva la mancanza dei familiari, né quella  della sua città, conosciuta per il pomodoro Pachino,  un ortaggio dolce e profumato, la sua terra era calda e profumata,  a cavallo del  mare Mediterraneo e dell'Ionio,  con un clima dolcissimo dall'autunno alla primavera, un cielo sempre terso nel corso dell'intero anno, la città più assolata e con meno nuvole e con il cielo più limpido e terso dell'intera Comunità Europea , ma altrettanto  dolce era il clima di Stresa e di tutto il lago, i fiori, i colori la luce erano gli stessi .      
Dopo una  trentina di chilometri si fermò in un autogrill, aveva voglia di un caffè, fermò l’auto alla stazione di  servizio ed entrò in un locale semivuoto. 
Al bancone del bar dell’autogrill, si girò all’improvviso una donna con in mano una tazza di caffè e si scontrò  con Marco, il liquido bollente gli scottò una mano,  Marco  stava per dirle di stare un po’ più attenta, ma quando la  vide così carina e fresca con gli occhi quasi piangenti  e  che si scusava con garbo, Marco le disse che sperava in un incontro così caldo da una vita intera.
Così si conobbero Luisa e Marco e così si infatuarono ambedue,  rimanendo seduti  ad un tavolino  del bar almeno due ore, a parlare fitto, fitto.
Fu così che Marco si offrì di accompagnarla, avrebbe lasciato la sua auto lì, l’avrebbe poi recuperata facilmente, sarebbero usciti dall’autostrada  non a Carpugnino, in direzione Stresa, ma ad Arona e Marco le avrebbe fatto fare un giro turistico, da Arona  verso Armeno,  avrebbero raggiunto il  Mottarone, il monte dei due laghi  così chiamato perché abbraccia sia il Lago Maggiore che il Lago d'Orta.
Dal Mottarone avrebbero preso la strada privata”Borromea” a pagamento e in un attimo sarebbero arrivati a Stresa e l’avrebbe accompagnata in un piccolo hotel gestito da un suo amico, non c’era bisogno neanche di prenotare, Marco sapeva che aveva l’albergo  quasi vuoto in questo periodo.
Luisa si lasciò convincere, ma un piccolo dubbio lo aveva, perché non ci teneva a vedere Arona  o il San Carlone e si era vicino all’imbrunire e a lei non piaceva viaggiare in montagna col buio, dal nome il Mottarone sembrava un gigante, chissà quanti tornanti da affrontare.
Si mise alla guida, aprì la portiera e tolse dal sedile la bottiglia gialla del “Millefiori” che aveva portato con sé come talismano, buttandola sul sedile posteriore, non si accorse del sussulto di Marco, del suo impallidire, del suo silenzio.


immagine di Teoderica

domenica 19 aprile 2015

MILLEFIORI ( terza parte)





Luisa dopo essere arrivata a Bologna, ora stava imboccando la A1,  verso Milano, sapeva che poi doveva  prendere l’uscita per Varese, poi sarebbe stata attenta ai cartelli, non aveva il satellitare, ma il telefonino aveva le mappe.
Aveva già avvisato, la mamma , le sorelle e pure l’ex marito che sicuramente erano rimasti di sasso.
Quando Luisa, aveva visto il “Millefiori” era scattato l’analogia col suo gemello  il  liquore “Strega”, e da qui Stresa le dilagò nel cuore,  si ricordò i fiori, i giardini, i ricordi si  affastellavano e lei decise di partire.
Durante il viaggio, mise un po’ d’ordine nella testa,  le ville, i parchi, i giardini, il lungolago fiorito, lo spettacolo delle isole Borromee,  I monti  che la contornano, il blu del  lago, e il giallo, il giallo che la inonda,  Stresa pare d’oro come villa d’oro è  il soprannome  della  Villa  Ducale, a farla costruire fu Giacomo Filippo Bolongaro, che partito da ragazzo per l'estero tornò in vecchiaia a Stresa molto ricco, costruì la villa e il parco immenso.
Nei circa tredicimila metri quadri di giardino che circonda  la villa, prosperano varie specie di piante : palme,   camelie antichissime, azalee, rododendri.
Imponente e suggestivo è  il  cedro deodara, il cui nome significa  albero degli dei.  Anticamente l'albero del   cedro deodara era simbolo dell'immortalità e dell'eternità e, per l'altezza del fusto ed i possenti rami, incarnazione della grandezza d'animo. Per questo il  cedro veniva utilizzato spesso per scolpite le statue sacre.  
Sì Stresa era una strega d’oro  e in Luisa, riaffiorò il livore di tanti anni prima provato contro il sacerdote  della  sua parrocchia, il quale aveva organizzato una gita sul lago Maggiore e voleva visitare solo delle chiese e dei santuari , Luisa invece avrebbe voluto rimanere per sempre a Stresa o almeno all’Isola Bella, si era mai visto qualcosa di più bello?
“Il Palazzo un  capolavoro non per niente l’architetto fu Carlo Fontana, ma io preferisco i giardini,  chissà l’innamoratissimo  Napoleone quanti  baci  diede alla sua Josephine , magari  tra qualche cespuglio fecero pure l’amore, scommetto che Napoleone, se fosse stato possibile si sarebbe portato il giardino a Parigi.”
Pensava tra sé Luisa, quasi vedendo davanti a lei non l’autostrada ma il giardino all’italiana dell’ Isola Bella  formato da terrazze sovrapposte a piramide mozza, ornato da statue, fontane, arbusti rari, piante esotiche e fiori  profumati  come la magnolia e le camelie.  In alto a corona spicca l’anfiteatro sormontato dal liocorno, stemma  dei Borromeo.
Che rabbia, si diceva Luisa, il prete li aveva portati al San Carlone, dichiarando che nulla era più bello del Santo.
San Carlone di Arona, è un colosso in lastre di rame e bronzo costruito in ricordo di San Carlo Borromeo.  Il prete si affannava a dirci che  era alta più di venti metri e che si poteva visitare internamente,  che era stata  fonte di ispirazione per il progetto della Statua della Libertà di New  York.
Ma ora la mia libertà, la mia nuova vita inizia sul Lago Maggiore, per ora mi cercherò un alloggio e farò un poco di vacanza, poi magari troverò lavoro, in un hotel , qualsiasi cosa andrà  bene, questo è il primo passo.
 Dall’autoradio uscirono le note di Baglioni e Luisa iniziò a canticchiare felice…
sei tu che porterai il tuo amore
per cento e mille strade
perché non c'è mai fine al viaggio
anche se un sogno cade
sei tu che hai un vento nuovo tra le braccia
mentre mi vieni incontro
e imparerai che per morire
ti basterà un tramonto…
E non sapeva Luisa, non lo poteva sapere, come fossero profetiche quelle parole che cantava spensierata, non sapeva che il tramonto avrebbe avuto per lei il colore giallo del “ Millefiori”.
Il giallo è  il colore più prossimo alla luce, allegro e solare ma al negativo significa  esplosività pericolosa;   tutti sappiamo che il rosso  è sinonimo di  bellicoso, di  irruente, basti pensare alla banderuola rossa sventolata dal torero sul muso del toro per farlo incattivire, ma più del rosso è il giallo il colore dell’aggressività, ma questo Luisa non lo sapeva e lei andava incontro fiduciosa a Stresa, strega di fiori e di luce d’oro.

immagine di Teoderica

martedì 14 aprile 2015

MILLEFIORI (seconda parte)




Marco, un affascinate cinquantenne, non si era mai accasato, in quanto le numerose donne che gli si avvicinavano , scappavano poi velocemente causa la sua pedanteria e rigidità, seguiva ogni regola, era quasi un delitto per lui non lavarsi le mani prima e dopo il pranzo  o non mettersi le ciabatte in casa, poi occorreva alzarsi presto la mattina e coricarsi altrettanto presto, sempre allo stesso orario senza sgarrare di un minuto,  anche quando era a casa dal lavoro
Eppure c’era stato un tempo, in cui Marco era uno scavezzacollo, niente di molto strano, qualche fumata d’erba, un po’ di birra in più, un po’ di cazzotti  allo stadio, ma poi era successa una cosa che lo aveva spaventato, una cosa terribile che non aveva mai confessato a nessuno e si era messo in riga.
 Si era messo in riga per non deragliare dalle retta via, ogni tanto  ricordava quel giorno,  era alla guida della sua auto, una Panda verdina,  quando si trovò davanti un ciclista ingobbito dallo sforzo, tutto vestito di giallo, maglietta, pantaloncini, berretto, era uno di  quei cicloamatori che paiono quasi dei professionisti, Marco avvertì un tremito, il giallo gli aveva invaso gli occhi e il cervello,  poi un pensiero  …se lo uccido?
 Se do un po’ di gas, e passo sopra a quella cosa gialla, la piallo, la stendo, Marco sudava freddo per trattenersi, una forza misteriosa lo spingeva a premere il gas, tallonava il ciclista e aspettava di travolgerlo, spinse sull’acceleratore, ma proprio in quel momento la macchia gialla, girò a destra in una carraia.
Non vedendo più quella macchia gialla, gli sparì anche il giallo dal cervello, capì che era stato baciato dalla fortuna, se il ciclista non avesse svoltato lui sarebbe diventato un assassino.
Da quel giorno si autocensurò, ed eliminò ogni vizio dalla sua nuova rigorosa vita. 


immagine di Teoderica