giovedì 23 febbraio 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XII

  Eleonora d’Aquitania, l’indomabile, grandissima donna per bellezza, intelligenza e cortesia fu duchessa d’Aquitania e Guascogna e contessa di Poitiers, fu regina di Francia, fu regina d’Inghilterra, fu madre di figli che entreranno nella leggenda: Riccardo cuor di Leone e Giovanni Senza Terra. Nelle leggende a conservare il regno a Riccardo cuor di Leone, mentre lui è alla crociata, è Robin hood, ma nella realtà a salvargli il collo ed il trono fu la mamma. Eleonora decide ciò che ritienma e giusto alla sua coscienza: a ottant’anni è ancora capace di dichiarar guerra ad un nipote che  vorrebbe “farla fuori”, considerandola vecchia e incapace, di tenergli testa e  nel pieno della vittoria, decide di lasciare il mondo. Ma è lei che lo lascia e non il contrario, entrando in convento. Qui a Puivert ebbe luogo allora una delle più grandi riunioni di trovatori, i tredici più famosi trovatori gareggiarono tra loro per entrare nelle grazie di Eleonora… mentre il re di Francia moriva di gelosia.Televisione accesa e segni di bivacchi e di fuochi. Il tutto mi rende allegra, ma il sorriso si spegne quando, dopo aver visitato nel cortile la sala di guardia, per accedere ai piani abitativi devo salire dei gradini sconnessi a strapiombo, col vento che ulula. Ho timore e non capisco come mai  non ci sia nessuna misura di sicurezza; mi viene in mente che una leggenda vuole che i numerosi catari che abitavano il castello scomparissero misteriosamente durante l’assedio dei crociati francesi. Dove finirono? Intrappolati o salvi tramite un passaggio segreto? Il vento ha un sibilo veramente inquietante, “sento” o immagino che qui sia accaduto qualcosa di tragico che ancora aleggia nell’aria, d’altronde Roman Polanski ha scelto proprio Puivert come “castello del diavolo” per il suo film: “La nona porta”: la nona porta serve per accedere al regno delle ombre e ottenere il “solito” potere e la conoscenza illimitata. Beh scrollo le spalle, entro in un salone dove c’è una grande tavola rotonda con le sedie attorno. Che sia dei cavalieri di Artù? Poi entro nella cappella del castello, dove solo gli ospiti del Signore vi possono accedere: il lusso espresso ne determina anche il potere. Qui ci sono mensole scolpite con diavoli, monaci, angeli: mi colpisce un abito religioso coi disegni di gigli, da un colore giallo intenso. Proseguo nella sala della musica di cui ho già parlato per accedere poi alla terrazza, sicuramente rifatta in epoca moderna. Qui sulla terrazza quadrata con linee impresse sul cemento che portano ad un punto centrale, qui su questo punto avvolta dal vento osservando il circolo di montagne ubertose, ho avuto come la sensazione che qui si usassero fare antichi riti ancora oggi, aleggia la stessa aria vista altrove, un senso di teatralità o gioco di cui  non ne capisco lo scopo. Potrebbe sembrare anche una presa per i fondelli.

sabato 18 febbraio 2017

VIAGGIO IN FRANCIA XI

l castello di Puivert è accessibile agevolmente tramite una piccola erta, costeggiando cespugli odorosi di mirtilli, si erge su un colle dove il vento soffia con sibili inquietanti, nel cielo terso volteggiava un drone, questi apparecchi ti fotografano pure se vai nel mezzo del bosco a fare pipì, mi stanno antipatici. Accanto al castello ci si può inoltrare per il “Cammino dei Trovatori”, la via dove i cantori delle corti del 1200 si muovevano, possiamo ritrovare lo spirito dei trovatori nei bardi celtici, nei fedeli d’amore, in Dante, in Shakespeare, ecc. e oggi possiamo pensare a Bob Dylan ad esempio. I trovatori erano personalità importanti, cantori raminghi, giullari sì ma dotti, poiché narravano gesta e leggende di cose realmente accadute, erano molto apprezzati, soprattutto dalle dame del castello in quanto professavano l’amore cortese; successivamente furono considerati dei pazzi, che potevano dire ciò che volevano, ma potevano anche essere perseguitati, ma poi arrivarono i Francescani e i Domenicani che si trovarono a fianco dei giullari sulle strade e appresero le loro raffinate tecniche di comunicazione per la propria missione, Francesco d’Assisi scelse di farsi chiamare “giullare di Dio”. Potete paragonarli ai cantautori di oggi, i personaggi dello spettacolo, che non per nulla sono chiamati divi, contrazione di divini, amati ma anche a volte osteggiati e ritenuti “fuori dalle regole”. Così in parte il giullare godeva di una zona franca determinata dalla sua pazzia, che poteva consentirgli libertà precluse ad altri ma nello stesso tempo fargli subire pesanti persecuzioni e maledizioni d’ogni tipo. Il castello di Puivert è famoso in modo particolare per la “sala della musica”, riservata all’accoglienza degli ospiti, vi si mangiava, si discuteva di politica, si creavano alleanze ma soprattutto ci si divertiva con musica e poesia; come testimoniano gli otto “musicisti” scolpiti sui capitelli delle colonne, sotto ad ogni “musicista” una sedia, tranne che sotto ad uno in cui vi erano dei coppi rotti… mah. In questa sala si ritrovano, in teche, strumenti musicali d’epoca e arazzi sull’amor cortese, è un allestimento unico nel suo genere forse perché i proprietari erano amanti della musica o forse perché un trovatore era riuscito a sposare la dama del castello? Niente di tutto questo, probabilmente la sala della musica ricorda, il passaggio, nel castello, di Eleonora d’Aquitania e tutta la sua corte, avvenuto nel 1170.

lunedì 13 febbraio 2017

VIAGGIO IN FRANCIA X

 
I catari rifiutavano l’idea di un giudizio universale e di un inferno eterno, essi ponevano la responsabilità nelle mani del credente, il proprio destino di vivere nella gioia o nel dolore era determinato dal proprio pensiero e dalla propria azione. L’essere, uguale a responsabilità, non so come la mettiamo oggi, con l’incapacità di rispondere di ciò che facciamo, si ha paura della responsabilità, si fugge, ma la “colpa” ti segue, ti rimane dentro. In questi casi la Chiesa che ha a cuore tutte le pecore, se c’è pentimento sincero, ti accoglie e ti aiuta a sollevarti per vivere con “leggerezza” (vivere è leggero, anche nelle prove della croce, se si ha Fede in Gesù, nel fatto che Lui non ti abbandonerà mai, aiutandoti anche se tu pensi che non lo faccia, Lui ti aiuta sempre). La procreazione, per i catari, era considerata impura, era tollerata la libera unione senza matrimonio, purché si usassero metodi di contraccezione, (questo mi sembra molto in contrasto con la Chiesa che è sempre per la vita e ama i bambini, come diceva Cristo,… lasciate che vengano a Me); anche gli alimenti che ricordavano l’origine della vita, come la carne, le uova, il formaggio ed il latte, erano vietati a favore di uno stretto regime vegetariano, interrotto da periodi di digiuno purificante. Il suicidio per fame, chiamato “endura”, veniva considerato un atto virtuoso, (e qui proprio non ci siamo con la Chiesa, anche se oggi è molto più tollerante e assolve chi si suicida in un momento di crisi esistenziale, esercitando un sentimento di pietà religiosa, ma certo non assolve chi inneggia al suicidio) massima dimostrazione di fede, perché la morte avrebbe impedito il ritorno nel peccato. Coloro che volevano diventare “perfetti” dovevano rinunciare a tutti i piaceri del corpo e vivere in castità, umiltà e povertà, vestendo sempre di nero e mangiando pochissimo e infine, cosa non da poco, i catari non avevano templi per il loro culto; il loro rigidissimo ascetismo e il loro ardore fecero grande presa sulle folle. La Chiesa romana, con suo orrore, si rese conto che non solo la popolazione ma anche i Signori delle terre del Sud in molti casi sostenevano l’eresia, qua sarebbe successo un pandemonio, come poteva la Chiesa cattolica, con le sue ricchezze e la voglia di comandare e possedere le cose terrene, reggere il confronto con queste idee ascetiche e spirituali? E poi ai Signori del Nord non sarà parso vero incamerarsi le terre dei Signori del Sud, patria della splendida civiltà occitana che in pieno Medioevo precorse il Rinascimento: era la terra dei trovatori che cantavano l’amor cortese, dei giochi floreali, sostenuta dalla potenza e dalle ricchezze dei conti di Tolosa, che venivano, con disprezzo e invidia, chiamati “i re del Mezzogiorno”. C’era anche un motivo in più, per odiare la Linguadoca: questa terra era stata per due secoli seguace dell’arianesimo, poi aveva ospitato tranquillamente Musulmani ed Ebrei, con spirito tollerante. All’inizio la Chiesa usò contro gli eretici metodi pacifici: si pensò di mandare i monaci cistercensi a catechizzare gli abitanti, ma le prediche ebbero un insuccesso totale: gli eleganti predicatori, incarnazione del fasto delle abbazie furono accolti con freddezza, con derisione o con astio dal popolo. Il vescovo spagnolo Diego d’Osma e il suo collaboratore, Domenico de Guzman, escogitarono un nuovo modo di predicare, più semplice e vicino al popolo, nacquero i domenicani, ma il popolo reagì con indifferenza. (Non so perché ma i domenicani, tutt’oggi non sono amati come i francescani, perché ritenuti troppo sapienti e col marchio dell’inquisizione appiccicato, non capisco ciò perché anche i francescani amano lo studio ed operarono nell’inquisizione al pari dei domenicani). E così fu la Crociata… degli invidiosi che non potevano proprio non potevano adeguarsi a vivere in semplicità.

mercoledì 8 febbraio 2017

VIAGGIO IN FRANCIA IX

Un po’ di storia, i catari (chiamati anche i puri o i perfetti), nel Medioevo, furono una setta religiosa, dichiarata eretica dalla chiesa romana e perseguitata. Il loro credo si sviluppò attorno al X secolo nella Linguadoca, la regione a Sud-Ovest della Francia diffondendosi in tutte le regioni in cui si parlava la Lingua d’Oc, (lingua derivante dal latino chiamata ‘occitana’ legata alla lirica trobadorica), dall’attuale Catalogna alla Lombardia passando per la Provenza ed il Piemonte. La dottrina dei catari era essenzialmente gnostica: erano persone dotate di grande spiritualità e credevano che lo spirito fosse puro, ma che la materia fisica fosse contaminata. Si diceva che i catari fossero i custodi di un grande e sacro tesoro, associato a un’antica e favolistica tradizione sulla storia dei discendenti di Gesù. Nel 1209 al comando di Simone di Monfort, l’esercito papale iniziò la crociata cosiddetta degli Albigesi che durò 35 anni e terminò con l’eccidio di Montségur, dove oltre 200 ostaggi furono bruciati sul rogo nel 1244, (sono tantissimi, ma penso che furono molti ma molti di più i catari che si salvarono, infatti a Milano nel 1270 circa, si contavano più di 1200 catari su un totale stimato di 4000 eretici). Si dice che gli ultimi catari, confluiti nella rocca di Sirmione, furono tutti arrestati e portati all’Arena di Verona, dove nel 1278 furono bruciati. Io non credo proprio, certo la Chiesa non si è comportata bene, ma furono molti i catari, secondo me, quelli più moderati che si salvarono e continuarono a professare le loro idee, (per esempio Rinaldo da Concorezzo (1250/1321), illuminato Vescovo di Ravenna, con idee ‘pure’, che assolse i templari ed istituì il battesimo per aspersione, proveniva dalla città “italiana” con la maggior presenza di catari). Sembra che la fede dei “puri”affondi le sue radici nello gnosticismo dualistico degli esseni, i nazareni e gli zoroastriani. Paragonandosi alla Chiesa romana, considerata corrotta (a quei tempi lo era, con la lotta per il potere terreno e tutto ciò che questo comporta, la Chiesa cattolica, è fatta da uomini, quindi è facile prendere una via sbagliata, ma all’interno ha avuto nei secoli, Santi uomini e donne che l’hanno riportata sulla giusta via.) i catari pensavano di incarnare il vero insegnamento di Gesù. Secondo loro, Gesù non venne per toglierci il peccato originale ma per salvarci attraverso il sapere (gnosis). Questo non mi pare talmente in contrasto con la Chiesa da determinare una crociata, pare che la reincarnazione sia stato un concetto teologico proprio anche della Chiesa cattolica, almeno fino a quando non fu cancellato, nel 543, dall’imperatore Giustiniano, o più precisamente da sua moglie Teodora.

venerdì 3 febbraio 2017

VIAGGIO IN FRANCIA VIII

 
Nel corso degli anni, sono fiorite numerose leggende sul favoloso tesoro dei catari, forse, nascosto tra monete d’oro e d’argento, c’era un oggetto di grande importanza religiosa ed esoterica. Secondo alcuni, i catari erano i custodi del graal, portato in Francia da Maria Maddalena e Giuseppe d’Arimatea in fuga dalla Palestina nel I secolo d.C. Secondo altri, i catari si erano impossessati del tesoro perduto dei visigoti, frutto del saccheggio di Roma del 410 d.C., che forse includeva beni trafugati dal Secondo Tempio di Salomone a Gerusalemme, (ma le cronache dicono che Ataulfo, successore di Alarico, lo regalò a Galla Placidia come regalo di nozze). Altri ancora sostengono che i catari erano in possesso del tesoro appartenuto al grande sovrano merovingio Dagoberto. La verità? Nessuno la conosce. Storici, archeologi, narratori di miti e scrittori concordano tutti su un punto: i catari portarono via il loro tesoro da Montségur… sempre tesori, anni più tardi furono i templari che avevano un tesoro che nascosero quando vennero sterminati… che fosse lo stesso? Arrivata in cima più morta che viva, osservo le pietre di ciò che è rimasto del castello di Montségur e non sento nient’altro che il vento che soffia e un senso di pace mi pervade guardando il panorama selvaggio, niente più di chi qui ha gioito e sofferto è rimasto, se non una stele con la croce, posta lì, a commemorare gli ultimi catari, su cui qualcuno, anch’io, lascia qualche selvatico fiore di montagna. Il villaggio di Montségur, ai piedi del monte su cui è il castello, risale al XIV secolo, originariamente era chiamato Orjac per poi prendere il nome del castello, è rimasto fermo agli anni ’70, presenta due negozi di souvenir, un ristorante, il pittoresco municipio rosso e blu (chiamato “maire” che vuol dire sindaco), la piazza, la chiesetta e una profusione di fiori. E’ molto pittoresco e non so, se i particolari che ho notato siano lì per gioco o se il gioco nasconda la soluzione del rebus; c’erano ad esempio due pagliacci/fantocci, uno su una scala, appesi a un albero, una scultura di una gallina coi pulcini, una fontana con una scultura in legno di un pesce, dal nome Nemo (nome che ho ritrovato sulle cicale in ceramica col bottone per farle frinire, che sono un simbolo frequente di tutto il territorio che ho visitato), vasi di fiori come sarcofagi antichi e la piazza davanti alla chiesa era zeppa di giochi, tra cui una scacchiera molto grande (la simbologia degli scacchi è molto antica e pregnante, risale agli egiziani) bianca e nera (con tutto l’arcano che hanno questi due colori)… mi sono divertita a fare qualche mossa. I due negozi di souvenir avevano un sacco di gadget esoterici… portachiavi massonici col simbolo del compasso, pendolini, carte con complesse simbologie matematiche e numeriche (ad esempio l’enneagramma del numero 8 aveva il significato di santità)… ma d’altronde questa è la terra di Nostradamus. Particolare curioso la colomba dello Spirito Santo, in alcuni disegni, veniva trasformata, stilizzandola, nel giglio (conosciuto anche col suo nome francese fleur-de-lys attributo dei re francesi, dai merovingi in poi), anche simbolo mariano e di San Giuseppe ma soprattutto di Sant’Antonio da Padova, ecco che forse si spiega la devozione molto sentita a questo Santo, in questi luoghi.