domenica 24 giugno 2018

UN BICCHIERE DI CHIANTI


Il Chianti è un vino prodotto in Toscana, nella zona di Firenze e di Siena, con una grossa parte, 80% di Sangiovese con l’aggiunta, per il 20%, di altri vitigni. Richiede l’invecchiamento di almeno un anno. Ha colore rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento; profumo intenso, a volte di viola, al palato è armonico e saporito, col tempo si affina diventando vellutato e intenso. Si abbina a piatti saporiti come arrosti, cacciagione e formaggi stagionati. La zona dove si coltiva il Chianti è una terra di antiche tradizioni vinicole di cui esistono testimonianze etrusche e romane. Ma i primi documenti in cui col nome Chianti si identifica una zona di produzione di vino risalgono al XIII secolo e si riferiscono alla Lega del Chianti costituita a Firenze per regolare e tutelare la produzione del vino. Il marchio   simbolo dell’antica Lega Militare del Chianti, che distingue le bottiglie di Chianti Classico, è il Gallo nero,  il cui emblema è dipinto dal pittore Giorgio Vasari sul soffitto del Salone dei Cinquecento, di Palazzo Vecchio a Firenze. Il Gallo nero è legato a una leggenda medievale, in pratica fu un gallo nero a decidere i confini della terra del Chianti. Quando, nel Medioevo, Firenze e Siena erano nemiche e se le davano di santa ragione, per prevalere l’una sull’altra, il territorio del Chianti, posto in mezzo alle due città, era fonte di acerrime dispute. Per porre fine alle contese e stabilire un confine definitivo, si decise di far partire un cavaliere da Firenze e uno da Siena, il punto dove si sarebbero incontrati sarebbe stato il confine. La partenza doveva avvenire all’alba e il segnale d’avvio sarebbe stato il canto di un gallo. I senesi scelsero un gallo bianco, mentre i fiorentini optarono per uno nero, che tennero chiuso in una piccola e buia stia pressoché a digiuno per indurlo a cantare con più solerzia. Il giorno della partenza, non appena fu tolto dalla stia, il gallo nero cominciò a cantare molto prima dell’alba, così il cavaliere fiorentino partì molto prima di quello senese. Fu così che quasi tutto il Chianti passò sotto il controllo di Firenze. Non ci resta che versarci un bicchiere di Chianti, davanti a un gallo arrostito con patatine.

lunedì 18 giugno 2018

UN BICCHIERE DI BRUNELLO


 Il Brunello di Montalcino è un vino rosso prodotto in Toscana, nel territorio del comune di Montalcino in provincia di Siena. Il Brunello di Montalcino può essere considerato, insieme al Barolo, il vino rosso italiano dotato di maggiore longevità. Il Sangiovese e il Brunello hanno la stessa varietà di uva e il vino Brunello è creato solo col vitigno di Sangiovese. Si presenta con un colore rosso granato dal sapore robusto armonico e intenso col profumo di geranio, ciliegie e spezie. Il Brunello viene affinato in botti di rovere per almeno due anni e messo in commercio cinque anni dopo la vendemmia, mentre la versione Brunello Riserva deve riposare almeno sei anni. Molto importante col Brunello è l’annata, le migliori a cui vengono attribuite le cinque stelle, sono il 1945, 1955, 1961, 1964, 1970, 1975, 1985, 1988, 1990, 1995, 1997, 2004, 2006, 2007, 2010, 2012 e 2015. Per la determinazione della qualità di un vino molto importante è considerare l’annata della vendemmia, a volte l’annata è considerata come l’unico elemento per determinare il reale valore sia di gusto che economico. L’annata è importante per via dell’andamento meteorologico delle stagioni, il bel tempo, le giornate soleggiate incidono sulla qualità di un vino. Il Brunello si abbina a piatti di carne rossa, selvaggina, tartufi, funghi, formaggi stagionati, ma può essere per la sua intensa profondità un vino da meditazione. Prendiamo un bel bicchiere ampio, versiamo il Brunello lentamente, facciamolo ondeggiare, annusiamo il profumo intenso, poi gustiamocelo e se abbiamo scelto una buona bottiglia di questo vino, non lo dimenticheremo perché indimenticabile è il sentirsi la bocca e il palato invasi da un’onda profumata e ricca di sapore e allo stesso tempo travolgente di aromi e dolcezza.

mercoledì 13 giugno 2018

UN BICCHIERE DI BAROLO


Il Barolo è un vino ottenuto da uve Nebbiolo. Nasce nel cuore delle Langhe piemontesi, a pochi chilometri a sud della città di Alba, nel territorio di 11 Comuni che si trovano fra colline intessute da antichi castelli tra cui quello di Barolo, che ha dato il nome al vino oggi celebre in tutto il mondo. Fu grazie a Camillo Benso Conte di Cavour e di Giulia Colbert Falletti, ultima marchesa di Barolo, che si cominciò a produrre, a metà dell’Ottocento il Barolo destinato a diventare l’ambasciatore del Piemonte dei Savoia nelle corti di tutta Europa.  Ha colore rosso scuro con riflessi granata, pieno e intenso, profumo fruttato e speziato; ricorda sia i frutti rossi che la cannella, il pepe , la noce moscata e perfino il cuoio e la liquirizia, ciò dipende dal luogo in cui le uve sono coltivate, anche se i luoghi sono vicini esistono delle differenze organolettiche significative, secondo  l’esposizione al sole, ma soprattutto secondo le qualità del suolo, se prevalentemente sabbioso o argilloso. Il Barolo deve invecchiare almeno tre anni, di cui uno e mezzo in legno di rovere, e solo dopo cinque può fregiarsi della “Riserva”, arriva al culmine dopo 10 anni di invecchiamento e resta ottimo anche dopo 20 o più anni. Il Barolo è usato come ingrediente base per il piatto Brasato al Barolo, ricetta che forse deriva, visto gli stretti legami di un tempo fra Piemonte e Francia, dal Manzo alla borgognona, stufato di carne cotto nel vino Borgogna. Esempi di piatti contadini che si sono lentamente raffinati in alta cucina. Molto probabilmente, bollire la carne nel vino serviva a rendere teneri anche quei tagli di carne meno pregiati. Il Barolo essendo un vino importante viene abbinato ad arrosti e brasati di carne rossa, selvaggina, formaggi stagionati e piatti con tartufo. Come tutti i vini rossi importanti può essere un vino da meditazione. Quindi rilassati sul divano dopo aver cenato sorseggiamo un calice di Barolo e meditiamo, ovvero consideriamo e soffermiamo a lungo il pensiero su alcune cose e poi un sorso di vino e un altro ancora… tutto apparirà più facile.  

giovedì 7 giugno 2018

UN BICCHIERE DI BARBERA


La Barbera è un vino tipico del Piemonte principalmente nelle zone di Alessandria, di Alba, di Asti, e dell’Oltrepò Pavese. La Barbera è da bere giovane nella sua versione senza invecchiamento, da lasciare riposare alcuni anni prima di degustarla. La Barbera è un vino frizzante, dal colore intenso, netti profumi di frutta rossa, fiori e quel tanto di spezie per renderla intrigante. Ha tannini decisi e un’acidità incredibile, tanto che viene considerata uno dei vitigni più acidi, nonostante cresca in zone relativamente calde. Potete bere la Barbera leggera e frizzante come aperitivo o per accompagnamento per i classici antipasti piemontesi, ma anche con semplici salumi, mentre la Barbera più corposa, invecchiata si può servire anche con piatti più elaborati come ad esempio la selvaggina. L’estrema adattabilità del vitigno, ha fatto sì di espandersi non solo in tutt’Italia, ma in tutto il mondo, in Argentina è uno dei vitigni più coltivati, così come in California e Uruguay.  Così si possono trovare bottiglie di Barbera un po’ dappertutto, ognuna con caratteristiche del luogo dove viene coltivata, ma il vino rimarrà sempre inconfondibile. E ci sarà un motivo se la Barbera è stata fonte di ispirazione per cantanti e poeti. Se Gaber canta barbera e champagne
stasera beviam
e un cantautore pugliese
due gocce di Barbera, canzoni che parlano di amori tormentati o finiti, si può forse intendere che la briosità della Barbera tolga la malinconia del mal d’amore. Quindi prendiamo un bicchiere, versiamo una buona dose di Barbera, e degustiamolo come si deve: osserviamo, ruotiamo lentamente il calice, annusiamo, ruotiamo di nuovo il calice in maniera più ampia e poi finalmente beviamo facendo entrare un po’ d’aria in bocca e pensiamo alla poesia di Giosuè Carducci…  Generosa Barbera/ Bevendola ci pare/D’esser soli in mare/sfidanti una bufera e chissà forse dopo ci sentiremmo in grado di superare meglio le disavventure d’amore o le tempeste della vita.

venerdì 1 giugno 2018

UN BICCHIERE DI ASTI

L’Asti è uno spumante dolce, tuttavia, per essere maggiormente competitivi con altri prodotti spumante di successo, da non molti anni esiste anche l’Asti secco. Asti spumante e Moscato d’Asti, pur facendo parte della medesima denominazione Asti ed essendo ambedue espressioni di Moscato bianco, sono due vini diversi: il primo è uno spumante, il secondo no. Il vino ha dato il nome a un bicchiere: la Coppa Asti, a mio parere personale è più chic bere spumante dalla coppa che dal fluttino. L’Asti è il vino italiano DOCG più esportato e lo spumante dolce più conosciuto al mondo. La “zona del Moscato” comprende una serie di comuni della provincia di Alessandria, Cuneo ed Asti. La diffusione di queste uve è dovuta al particolare gusto dolce che si otteneva facendole appassire. Carlo Gancia, nel 1865, apprese le tecniche di spumantizzazione dallo Champagne, le applicò nella sua azienda di vini, ottenendo con le uve Moscato un prodotto dolce e poco alcolico che venne chiamato Moscato Champagne. Il successo del vino fu clamoroso. In breve tempo molte ditte dell’astigiano cominciarono a produrre il nuovo vino: i F.lli Cora, Martini & Rossi,  Bosca e Riccadonna e altri. L’Asti si presenta con un bel colore giallo dorato, con la spuma fine e persistente, dal sapore aromatico e dolce, mentre quello secco è fragrante e floreale, deve essere servito ad una temperatura di 6°-8°, quello dolce si abbina con frutta o dolci, e nella chiusura dei pranzi. Il nuovo Asti secco, invece, può essere consumato sia come aperitivo sia in accompagnamento a pietanze speziate o saporite. Legato all’Asti è la Douja d’Or, un concorso enologico a carattere nazionale che si tiene tutti gli anni a settembre nella città di Asti e che richiama migliaia di persone da tutt’Italia. La Douja è il termine dialettale con cui si indica un antico e panciuto boccale piemontese. Ad essa è legata anche il nome della maschera settecentesca Gianduia. Gianduia nasce ad opera di un burattinaio che circa 300 anni creò una marionetta chiamata Gironi, nome che non piaceva al pubblico, così il burattinaio scoprì in un paese intorno ad Asti, un furbo e simpatico contadino di nome Gioan d‘la douja perché nelle osterie chiedeva sempre un boccale di vino. Il nome divenne Gianduia e fu subito un enorme successo. E poi, a Torino, si inventò il cioccolato gianduia da cui derivò il famoso cioccolatino, quindi non ci resta che sorseggiare una coppa d’Asti lasciando sciogliere in bocca un gianduiotto.