sabato 30 gennaio 2010

SONO UNA STELLA

Sono una stella - Hermann Hesse

Sono una stella del firmamento

che osserva il mondo, disprezza il mondo
E si consuma nel proprio ardore.

Io sono il mare di notte in tempesta
il mare urlante che accumula nuovi
peccati e agli antichi rende mercede.

Sono dal vostro mondo esiliato,
di superbia educato, dalla superbia frodato,
io sono il re senza corona.

Son la passione senza parole
senza pietre del focolare, senz’arma nella guerra,
è la mia stessa forza che mi ammala.

mercoledì 27 gennaio 2010

PEOPLE

CARMEN e JACINTO 2 e ultima parte



Perchè tu non ce l' hai fatta Jacinto?
Perchè hai sentito il bisogno di dirmi che Carmen si è adeguata?
Mi credi che la gioia che ho provato per Carmen è stata offuscata dal dolore che sento serpeggiare in te?
Quando siamo diventati amici Jacinto?
Dopo lo scontro che abbiamo avuto perchè tu eri manesco con Carmen, ne abbiamo avuto un altro.
Eri entrato al bar, in gruppo con gli altri come te, mi avevi sottratto sotto gli occhi due bottiglie di cognac, senza che io me ne accorgessi; mia madre, controllava ogni cosa, quando voi uscivate, se ne accorse subito di ciò che mancava ed iniziò la solita litania sulla mia "svagatezza". Esasperata dai suoi rimbrotti, vi ho rincorso, in bicicletta, vi ho raggiunto intimandoti di ridarmi le bottiglie, altrimenti avrei sporto denuncia.
Tu Jacinto me le hai riportate, furioso mi hai detto che se ti avessi denunciato, avresti dato fuoco al bar e poi saresti scomparso, tu sapevi come fare. Io ti ho risposto così:
- Ma bene, così non solo furto, ma anche ricatto, e pensare che quando hai bisogno che ti legga ciò che è scritto sul "foglio di via" o parlare al telefono col tuo avvocato per spiegare cosa combini, vieni da me, mi hai detto che ti fidi di me, non si fa così, non si ruba agli amici, anche gli zingari hanno un codice d' onore . Se vuoi guerra, sia, ti denuncio anche per ricatto-.
Tu Jacinto sei scoppiato a ridere.
Il giorno dopo sei venuto con il capo degli zingari, tuo fratello, perchè siete figli di una regina, non so di quale etnia perchè io certe cose non le ricordo. Hai raccontato il fatto, ed il capo ha dato la ragione a me, non si ruba a chi ha dimostrato amicizia e coraggio, non si fa questo fra gli zingari. Da allora non hai portato più via niente, non solo tu ma anche gli altri.
Io Jacinto sono un' inguaribile ottimista quindi aspetto, un mese, un anno, aspetto che tu passi a trovarmi con la tua famiglia, perchè è quella la strada giusta Jacinto.



Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

domenica 24 gennaio 2010

CHI PUO' DEVE FARE, SE NON PUO' E' PERCHE' NON VUOLE

Dagli ospedali improvvisati di Haiti e dagli orfanotrofi danneggiati dal terremoto sarebbero scomparsi almeno 15 bambini. Le persone che sono state viste con loro, quando sono usciti dai nosocomi, non erano sicuramente dei loro familiari, il numero però sarebbe molto più alto perchè ad Haiti anche prima del terremoto c' era già una rete per la tratta dei bambini legata al mercato delle adozioni illegali.
Questo è quello che scrive la stampa, ma nella mia mente serpeggia un terribile sospetto: quello del traffico d' organi.
L' orrore mi ha pervaso, ma è stato poi mitigato dalla certezza che le centinaia di persone corse in aiuto ad Haiti, quelle che portano in salvo i bambini non permetteranno che qualcuno osi toccarli, saranno come cerberi ed impediranno l' abominio. Attenti a voi ladri di bambini perchè cento, mille occhi sono vi stanno cercando e vi prenderanno.


« S'io credesse che mia risposta fosse

A persona che mai tornasse al mondo,
Questa fiamma staria senza più scosse.
Ma perciocché giammai di questo fondo
Non torno vivo alcun, s'i'odo il vero,

Senza tema d'infamia ti rispondo. »

(Dante, Inferno Canto XXVII, 61-66)

venerdì 22 gennaio 2010

Sul tappeto volante

Viaggiando nel web ho incontrato "qui " e qui piccoli saggi sul sonno ed il sogno, poi ho fatto un altro incontro qui . Questi articoli hanno colpito il mio immaginario, e siccome mi piace viaggiare soprattutto con la fantasia vi porto con me sul tappeto volante. In maniera sommaria perché ogni ripartizione categorica si presta a critiche anche giustificate gli organismi si possono dividere, sommariamente, in due categorie, quelli che crescono e quelli che migrano.Infatti, a ben considerare, gli organismi viventi questo fanno: o crescono sul posto, radicandosi al supporto sottostante (il terreno, una roccia, oppure un altro vivente) oppure si muovono. È chiaro che entrambi crescono, hanno un periodo che va dalla nascita alla completa maturazione. Il sonno e il suo particolare stato, può riprendersi in parte ciò che ha perso lasciando il crescere radicato, ritornare a ritroso nel tempo, il sogno potrebbe essere il legame tra il crescente/ radicante ed il migrante. Il corpo per vivere deve nutrirsi (dalla terra) e poi digerire, di questo processo semplice e complesso rimangono le scorie (alla terra). Col sonno il nostro corpo si riposa e si rigenera fisicamente, la mente col sogno si nutre (dalle emozioni) che andranno poi digerite, andranno in circolo proprio come il cibo per il corpo, e le scorie andranno (alle emozioni più recondite). La corretta sintesi del cibo serve alla rigenerazione delle cellule, al mantenimento della vita organica, mentre la corretta sintesi degli input percettivi accumulati nella veglia serve alla rigenerazione mentale, attraverso una continua rielaborazione cognitiva, che si trasforma in comprensione e apprendimento, per un approccio alla vita elastico e in divenire. Questa è la crescita: la crescita del corpo deve corrispondere alla crescita della mente. Se una si ferma, si ferma anche l'altra dobbiamo ricordare che siamo migranti, che dobbiamo svegliarci perchè non possiamo essere più dei crescenti. Proseguo col viaggio sul tappeto volante... con la morte il nostro corpo nutre la terra, le scorie rimangono alla terra, sia che il corpo sia vivo o morto. Con la morte del corpo la mente che digerisce col sogno dove va? In una dimensione simile al sogno? Svanisce come un sogno, un' emozione? Se il corpo vivo o morto rimane alla terra, la mente viva o morta rimane all'emozioni? L' altra vita è sogno e noi siamo sogno per L' altra vita? Se la terra ha un corpo fisico che si nutre anche di noi ha anche una mente? E se ha la mente, di cosa si nutre... delle nostre emozioni? E le scorie rimangono come emozioni? Fantasia è solo fantasia ma ho voluto dividerla con voi.

mercoledì 20 gennaio 2010

PEOPLE

CARMEN e JACINTO 1 parte


Non molto distante dal bar che gestisco, hanno allestito, fra le critiche degli abitanti, un campo nomadi. Fra i variopinti personaggi sopraggiunti vi era anche Carmen, una zingara sedicenne, dire bellissima è dire poco, già sposata con un coetaneo e madre di un bimbo. In pochi anni Carmen, sfornando figli come conigli, ha perso molto della sua bellezza, ma non il carattere indomito.
Quando è nata l' amicizia tra noi, non saprei dirlo, era sommessa, ma fluida come un fiume.
Quando gli zingari entravano nel bar, era caos, era difficile rimanere impassibili, vedere i bimbi sporchi e mezzi nudi, sgranocchiare cioccolato e patatine e bere coca cola, mentre i genitori andavano a cognac e vino. Occorreva tenerli d' occhio, perchè normale ed istintivo era per loro infilarsi ogni genere di merci sotto i lunghi sottanoni colorati. Di solito sono le donne che rubano, gli uomini osservano ed agevolano la fuga.
Un giorno il marito di Carmen alzò le mani su di lei, io a volte non riesco a rimanere impassibile, mi frapposi fra lei e il marito, viso a viso, occhi negli occhi, intimai all' uomo:- Se alzi ancora le mani su di lei, telefono ai carabinieri e ti denuncio.-
Lo zingaro rispose:- E' mia moglie, faccio quello che voglio - poi scoppiò a ridere e tutto finì lì.
Da allora qualcosa cambiò, Carmen iniziò a raccontarmi qualcosa di lei e del suo modo di vivere, io non ero più una "gaggia"( cioè una paurosa, una non degna), mi fece vedere pomposamente che sapeva leggere ( in realtà sillabava).
Iniziai a sgridarla per come teneva i figli.
Un giorno, era il 13 dicembre, nevicava, era freddissimo. Carmen entrò nel bar coi figli ed il marito. I bimbi erano completamente nudi e scalzi. Mi arrabbiai talmente tanto, furente alle scuse di Carmen che cercava di spiegarmi che era per " temprarli".
Pochi giorni dopo si venne a sapere che al campo nomadi era morto un bambino di 15 mesi per stenti e sevizie, fra le quali anche bruciature di sigaretta.
Sconvolta iniziai a bombardare di telefonate e fax la Circoscrizione perchè facesse qualcosa.
Contattai Carmen, era allarmata perchè aveva paura che le istituzioni togliessero i bambini anche a lei, cercò di spiegarmi che la morte del piccolo era dovuta ai bimbi più grandicelli, una specie di circolo vizioso, in cui il grande rifaceva quello che aveva subito da piccolo. Carmen giurava e spergiurava che ai suoi bimbi stava attenta.
Qualche mese dopo, Carmen tornò a trovarmi, era col marito, le avevano portato via i figli, erano in un istituto, stava andando a trovarli.
Le dissi:- Capisci che è per il loro bene, basta con questa vita di stenti, non è più tempo, ti devi adeguare, tuo marito può lavorare, puoi lavorare anche tu, dimostrate che potete cambiare, vi ridaranno i figli, le istituzioni vi aiuteranno.-
Era addolorata, il marito cercava di scherzare, ma Carmen era triste, triste.
Dopo sparatorie, corse folli in auto, incendi e la morte del piccolo, il campo nomadi è stato chiuso. Gli zingari non erano riusciti ad integrarsi, il loro più grande handicap non è neanche perchè vivacchiano rubacchiando, ma l' alcol. Quando sono in preda all' alcol non sono più gestibili, pagano il loro non adeguarsi con un' inquietudine latente che li porta a sbronzarsi. Chi di loro tenta di affrancarsi è dagli altri del gruppo considerato un traditore e perciò per loro, disintossiccarsi è ancora più difficile.
Pochi giorni fa è entrato nel bar il marito di Carmen , con fare straffottente si è rivolto a me:- Carmen è una scema, si è fatta mettere la catena come un"gaggio", vive in un appartamento, lavora e sta coi figli, schiava dell' assistente sociale, puah, figli ne poteva avere quanti ne voleva e prima o poi sarebbero tornati anche gli altri, puah- e intanto buttava giù wisky con occhi dolenti.
Perchè tu non ce l' hai fatta Jacinto?



Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

lunedì 18 gennaio 2010

LA PIETA ' DI COSME' TURA saggio di GAETANO BARBELLA

Pietà di Cosmè Tura, 1460, olio su tavola, 48 x 33 cm, Venezia,Museo Correr.



1
LA PIETÀ
DI COSMÈ TURA
Di Gaetano Barbella

Mi sono compiaciuto nel vedere in bella mostra, nel blog dell’amica Paola, Il Forum di
Teoderica
, la struggente immagine del dipinto di Cosmè Tura, La Pietà. Quale opera d’arte è
davvero universale nell’esorcizzare il senso della pietà nel cuore degli uomini, specie in
questi giorni, meglio in questa epoca cruciale, in cui gli occhi del mondo sono rivolti
all’immane cataclisma tellurico che ha devastato la piccola e povera terra di Haiti.

2
Ho chiesto a Paola cosa l’ha spinta a mostrare questo dipinto e non un altro e lei mi ha
confidato: «Gaetano, di mio cosciente non c’è niente, la Pietà di Cosmè Tura è la Pietà che
preferisco, è una delle pitture che più mi commuovono, in cui nelle fattezze spigolose e
disarmoniche definiscono per me il “tutto”, non l’ho neanche mai studiata perché voglio che mi
lasci il brivido che provo quando la vedo, ...». E poi mi ha rivelato un fatto che mi ha riempito
di speranza, sentite: «Devi poi sapere che ho fatto un sogno pochi giorni fa, in cui forse c’eri
anche tu, in una specie di teatro dove c’erano personaggi “strani” ma buoni, c’era anche mio
figlio, in una specie di coacervo di idee uno di questi personaggi dall’alto con una bottiglia
contenente un infiammabile la gettava contro gli altri ed a me, una vampata di calore e tutto
divampava rimanendo ognuno come una fiammella, come se fosse il passaggio reale dalla vita
alla morte, doloroso ma breve, dopo la vampa, il non più esistere ero lì a chiedermi sono o non
sono, ero aria e fuoco, come se fosse rimasta la mia anima, te lo racconto perché è uno dei miei
rari sogni così “reali” da svegliarmi, e perché forse ti può far luce sulla scelta “autonoma” per
Cosmè Tura.».
A questo punto, sono come trascinato in un vortice di idee sorgenti, una più attrattiva
dell’altra, tutte provenienti dal quadro di Cosmè Tura in questione.
Confesso che non lo avevo mai analizzato ed ora mi si presenta appena “velato”, giusto il
segno del velo sulla coscia del Cristo fra le braccia della Madre del dolore.
Il “tutto”, trasmesso da Cosmè Tura con tempera e olio per l’intima “Pietà”, cui si riferisce
Paola, mi si incanala nella mente turbinosamente ed io ne resto soggiogato. Vorrei restare
in silenzio con sommo rispetto, ma è d’uopo che io lo dica ad altri, a Paola per prima,
perché venga onorato il suo sogno premonitore.
Ma non è questo sogno che, per primo, mi ha aperto la mente, bensì altre cose che poi vi
hanno trovato rispondenza e posto un suggello.
Potrei stare a parlare per ore su quel che mi è parso di vedere nel dipinto in causa, ma due
sono i fatti che maggiormente contano per dare rilievo allo scopo dell’opera – secondo la
mia visione – che si prefigge di suscitare il senso della pietà non solo cristiana. Ma c’è di
più, come rimandato da Cosmè Tura ad un certo futuro, allorché la scienza darà i giusti
frutti, dunque oggi.
Viste le cose della “Pietà” in questa ottica, il mio discorso risulta, naturalmente, fuori
dall’ortodossia della critica d’arte, ma dopo averle dette non dispiacerà stimarle amabili e
condividerle.
Il primo fatto è riposto in modo occulto nell’estranea presenza dell’essere simile a scimmia
sull’albero alla sinistra sui cui rami, a portata delle sue mani, si vedono un paio di frutti
(sono senza dubbio i due frutti dell’albero della scienza del bene e del male) sospesi.
Abbastanza più in là si vede un altro frutto piuttosto piccolo, immagino quello del futuro
che racchiuderebbe i due bene in vista, come a preludere una scienza giusta ed equa.
Non mi soffermo tanto su questo fatto potendo rimandare ad un sito dove viene spiegata
ogni cosa in modo amabile.
Il link è questo: http://www.fondiantichi.unimo.it/FA/Gadaldini/marca/Ar3467.html
In sintesi la scimmia è il bambino in noi che in modo innocente e inconsapevole getta i frutti
dall’albero e altri in basso se ne nutrono. Ma il bambino è tutto preso per il gioco, per
l’effetto che fanno i frutti nell’impatto con l’acqua di uno stagno sottostante. Insomma è
come un certo Newton, svincolato dalla realtà umana circostante (lo scienziato è solo nella
sua astrazione dal mondo) che seredipicamente è incuriosito dalla caduta della mela
3
dall’albero sotto il quale è sdraiato.
Nel nostro caso lo scopo dei frutti, come suddetto, dell’albero della scienza del bene e del
male, è in primis l’opera di soccorso per chi soffre destato dal senso di pietà.
Ma purtroppo nel quadro compaiono a mala pena tre piccole pianticelle di tale senso sulla
terra inaridita dal male dei cuori dell’umano vivere. Però l’altro frutto isolato, quello che
appena si scorge, come prima immaginato da me, farà nascere qualcosa di meglio,
rigoglioso.
Il secondo fatto, che riguarda una fondamentale speranza su cui ora mi soffermo.
Si tratta delle Tre Croci del Golgota che, come ho detto nel commento al post di Paola su
Haiti e Cosmè Tura, «Par che siano geometrie che uniscono la terra al cielo. Meglio: l’elicoide
del monte con un vago ellisse chiaro del cielo. Mi sovviene la base del manto di Teodora (il
mosaico di Ravenna): i due di pi greco (i due ladroni) e l’altro semicoperto che li precede, la
sezione aurea (Gesù), che salgono verso la “torre” dalle 5 gemme più una vaga stella o altro in
sommità.».
In aderenza alle cose della scienza moderna, dalla quale ci si aspetta qualcosa di prodigioso
per fronteggiare la sofferenza nel mondo dell’umanità povera, allo stremo delle forze di
sopravvivenza, l’immagine delle Tre Croci fra cielo e terra l’ho vista come il filamento di una
lampadina che, nell’essere attraversato dalla corrente elettrica, diventa incandescente,
illuminando l’ambiente d’intorno.
Di qui la mia esultanza nel rileggere il racconto del sogno di Paola: «uno di questi
personaggi dall’alto con una bottiglia contenente un infiammabile la gettava contro gli altri ed
a me, una vampata di calore e tutto divampava rimanendo ognuno come una fiammella, come
se fosse il passaggio reale dalla vita alla morte, doloroso ma breve, dopo la vampa, il non più
esistere ero lì a chiedermi sono o non sono, ero aria e fuoco, come se fosse rimasta la mia
anima...». Si capisce quel personaggio dall’alto del sogno è il bambino in noi, la scimmia o un
antico Re secondo certe leggende.
Nell’Arte dell’alchimia conta prima d’altro trovare un pesce che nell’ermetismo riguarda la
remora, ma nemmeno ignoto al primo Cristianesimo, perché sappiamo del loro simbolo ictis
raffigurato, appunto, con un pesce.
Infatti è un geroglifico del II secolo per indicare il Cristo, e si trova nelle catacombe di
Roma in più modi. La spiegazione è questa: Ictis, (Ιχθυζ, greco, pesce) composto di
lettere iniziali greche corrispondenti alle latine di Jesus Christus filius Salvator.
Nelle catacombe si trova anche il pesce che porta una nave e che gli archeologi cristiani
spiegano che è per la Chiesa condotta dal Cristo. Ma per i cabalisti l’Ictis è una parola a
cinque lettere o punte come la stella dei Rosa Croce, come il pentagono cabalistico adorato
dai re magi nella stella.
Ovviamente con La Pietà di Cosmè Tura non siamo sott’acqua o... sì, perché il mondo dei
lavori alchemici ha a che vedere con l’occulto mare dell’anima. Dunque la
remora che si cerca di adocchiare non è un pesce qualsiasi e deve pur essere da qualche
parte.
Ma nessuno ha mai pensato ad una remora da trovare, appunto, pur ritenendo il quadro in
questione un’opera di un artista al quale l’alchimia non è poi tanto estranea, come si sa.
Tuttavia chi è avvezzo a questo genere di concezioni filosofiche sa di questa cosa misteriosa
ed assai preziosa. E si sa anche che senza questa curiosa remora è da pazzi accingersi alla
pratica del “fornelli”, tanto meno capire l’arcano che vi attiene.
4
«La remora, chiamata dagli ermetisti in altri modi è la terra dei saggi, una massa che è lo
zolfo prezioso, il bambino appena nato, il piccolo re; ed il nostro delfino, pesce simbolico
chiamato appunto remora o echineis o pilota, e con altri nomi.» [1]
Ma per i cristiani la remora, come ho detto, è Gesù Bambino che cerchiamo di far rinascere
in noi all’Epifania di ogni anno, senza il quale non sorge mai in noi il sole dell’amore per il
prossimo. Sì proprio la fiamma intesa da Cosmè Tura che ha immaginato simile ad un “Sole
Nero”, noto fra gli esoteristi come il Sole di Mezzanotte.
Ma siamo nel duemiladieci e questo sole deve pur illuminare le menti coscienti. Di certo, a
questo punto, generato dal piccolo frutto dell’albero della scimmia, ovvero della scienza che
da iniziale alfa della vita arriva ad essere una omega prodigiosa.
[1] Le dimore filosofali di Fulcanelli. Edizione Mediterranee, vol. II, pag, 24. Edizione
Mediterranee.

sabato 16 gennaio 2010

SE GLI INTELLETTUALI DI COMPLEMENTO SBAGLIANO , POSSONO SBAGLIARE ANCHE GLI INTELLETTUALI DI NON COMPLEMENTO?

La Biblioteca Classense di Ravenna è una delle più antiche ed importanti d' Italia. La sua direzione ha presentato in occasione del Settembre Dantesco 2009 "Lo Zodiaco della Vita: Miti e Leggende dell' immaginario", ospitando studiosi, tra i quali, Pier Giorgio Odifreddi, Franco Cardini, Marco Columbro ed altri. L'intento meritorio, è stato in questi giorni criticato da un politico dell'opposizione, che ha contestato i compensi, giudicati troppo alti, degli studiosi invitati. A questa critica ne è sopraggiunta un'altra da parte di un intellettuale, che molto ha operato per la città di Ravenna, organizzando conferenze pregevoli, egli ha scritto: "La manifestazione non ha fatto un buon servizio alla scienza astronomica e neppure alla cultura" La risposta della direzione della Classense è stata questa:"Dispiace che chi per 23 anni ha diretto il Planetario (la persona che ha criticato) non abbia inteso e interpretato il valore e lo spirito vero di quegli eventi. Non accade spesso, ma qualche volta capita, che anche gli intellettuali di complemento arruolati dal politico di turno possano sbagliare"Ho sempre creduto che chi ha molta cultura avesse anche molta comprensione, creduto che noi non pensassimo mai tutti allo stesso modo e che non vedessimo che una parte della verità e sempre da punti differenti. Evidentemente non ho capito niente perciò rivolgo a voi questa domanda: "Se gli intellettuali di complemento sbagliano, possono sbagliare anche gli intellettuali di non complemento?"

mercoledì 13 gennaio 2010

OMAGGIO A NIKI DE SAINT PHALLE


In un post precedente ho parlato di Giulietta, ciò mi ha fatto ricordare un' artista e le sue donne grasse e coloratissime: le Nanà.
Niki de Saint Phalle (Neuilly sur Seine 29/10/1930 San Diego 21/05/2002) secondogenita di una famiglia della grande aristocrazia francese, cresce a New York, ma la sua straordinaria ricchezza e bellezza non le bastano. Dopo un violento esaurimento nervoso scopre che l' arte può dare la felicità, più del denaro e della bellezza. Negli anni "60 approda a Parigi, sposa Jean Tinguely, protagonista del Nuovo Realismo e da vita ad una serie di straordinarie opere dedicate all' universo femminile.
Un universo in cui le Nanà sono l ' alternativa alla "modella" magra e schiava della sua apparenza. Le Nanà sono donne materne , rilassanti e gioiose, ricordano tanto la Madre Terra, e come essa sono infinitamente libere, è possibile imbrigliarle solo con l' amore.
Niki creò anche fantastiche immagini di Tarocchi, perchè la donna è sempre anche magia ed irrazionalità che si fa realtà; infatti a Capalbio esiste un giardino creato da Niki in cui i Tarocchi sono divenuti un progetto.


NB A Roma al Museo Fondazione Roma, via del Corso 320, è in corso sino al 17 gennaio una mostra con più di 100 opere di questa magica artista.

lunedì 11 gennaio 2010

PEOPLE

NESTORE 


Mi sentivo come un uccello in gabbia, che sbatteva le ali disperato, tentando stupidi voli che andavano a cozzare contro le inferriate della gabbia, la quale diveniva sempre più angusta. Non sapevo più dove aggrapparmi, avevo smesso di mangiare, di dormire, di leggere; al lavoro ero come un' automa, la cosa che più mi era facile, era fumare. 
Il mio corpo si attaccava disperatamente alla vita, e trovò due fili a cui agganciarsi. 
Un filo fu il web. 
L' altro filo fu Nestore. 
Nestore lo avevo incontrato sulle pagine del mio quotidiano preferito, lui vi scriveva ed io mi ritrovavo in quelle righe. Avevo notato che i suoi articoli erano pubblicati soprattutto la domenica ed io avevo iniziato ad aspettare quel giorno con trepidazione. 
 Un giorno trovai un suo scritto in cui lui parlava di una sua compagna la cui vita l'aveva trasformata... non più donna ma scimmia. 
 La mia mente vacillò, pensai che quella scimmia ero io, trovai che in quelle righe c'era la mia situazione e perciò non ero sola in mezzo al mare di dolore, qualcun altro stava come me. 
Poi piano, piano, le cose mutarono, i mesi passarono, arrivò l' estate, il sole, il mare, la vita. 

Continuai ad aspettare l'uscita degli scritti di Nestore, ma non più con la dolorosa, folle eccitazione di esserne parte. 
In autunno arrivò una e-mail, inizialmente pensai ad uno scherzo, era di Nestore.  
Aveva letto nel web un mio commento su di lui, lo aveva trovato in un blog dove io andavo spesso a scrivere le mie impressioni. 
Nestore si era incuriosito della sua fan e mi aveva rintracciato. 
Siamo diventati amici di web, ma per me è un amico e basta. 
Nestore assomiglia fisicamente a Trentalance ed è una carpa del Fiume Giallo, la quale fa più fatica delle altre carpe in quanto nuota controcorrente. 
Nestore è un uomo della nebbia e del sole, mi piace immaginarlo a bordo della sua Mini Minor color carta da zucchero, mentre percorre la strada della sua vita evitandone i segnali di indicazione, perché Nestore preferisce essere libero. 
Ciao Nestore, questa mattina ho letto la lettera che tu hai pubblicato per il tuo amico di penna milanese, io ho voluto fare questo racconto per te... sai ho i neuroni specchio sempre accesi. 


Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

sabato 9 gennaio 2010

NON E' LA STORIA CHE SI RIPETE È IL NOSTRO CERVELLO CHE FA IL PAPPAGALLO

Il 7 aprile 1926 una cittadina inglese Violet Gibson attentò alla vita del Duce sparandogli un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso. Prontamente arrestata non riuscì a giustificare il suo gesto. 
Dall' interrogatorio emerse che l'attentatrice era pazza. 
Fu espulsa dall'Italia e trasferita in Inghilterra dove fu internata in un manicomio. 
Il giorno dopo Mussolini si presentò alla nazione con un vistoso cerotto al naso. 
 Quell'episodio servì per giustificare un'ulteriore e definitiva stretta legislativa nei confronti delle opposizioni colpevoli, secondo la propaganda dell'epoca, di fomentare l'odio nei confronti del fascismo e del suo Duce. 
 Oggi come allora, anche se per fortuna in un contesto politico diverso, in cui sarebbe impensabile una stretta antidemocratica come quella del 1926, si cerca di addossare la responsabilità dell'attentato al Presidente Berlusconi all'opposizione rea di porre in atto una campagna di odio e istigazione nei confronti del Governo e in particolar modo del suo leader. 
 Questa missiva scritta da un lettore ad un quotidiano locale mi ha posto una riflessione sulla pericolosità della storia intesa come pensiero induttivo. 
Se la storia si ripetesse, facile sarebbe evitarne gli errori. 
Il fatto è che il nostro cervello una volta formata un'opinione, difficilmente cambia parere e da più valore alle informazioni che confermano le sue opinioni, mentre sottopone ad un severissimo giudizio quelle che lo confutano. 
Sono strategie cognitive utili ma che a livello politico e sociale possono avere conseguenze pesanti.
 Quindi, oserei dire... che non è la storia che si ripete, è il nostro cervello che fa il pappagallo.

mercoledì 6 gennaio 2010

INVENZIONI PRATICHE

Con cinque dollari e due giorni di lavoro il norvegese Bohmer, trapiantato in Kenia, ha costruito un forno a energia solare. 
L'idea dell' inventore è semplice. 
Si tratta di due scatole di cartone, infilate una nell'altra. Quella esterna è foderata di carta argentata, quella interna è dipinta di nero.
Messo al sole, il forno si riscalda quel tanto che basta per far bollire litri d'acqua e cuocere il pane. 
Il dispositivo può essere prodotto in qualunque scatolificio con costi irrisori. 
In termini pratici, la diffusione del forno, potrebbe significare la salvezza per milioni di bambini africani che ogni anno muoiono per aver bevuto acqua infetta. Inoltre, abbattendo la necessità di legna, potrebbe ridurre il problema della deforestazione. 
"Ci sono scienziati che lavorano per mandare la gente su Marte" dice Bohmer "Io ho cercato qualcosa di più semplice e popolare"

lunedì 4 gennaio 2010

PEOPLE

IL TENORE 

 Non potevo sopportare il Tenore. 
Arrivava al bar con Giulietta, la sua compagna, ed io dovevo portargli il caffè in auto, perché era paralizzato. Mi prendeva le guance e mi dava un pizzicotto, mi sorrideva, ed io pensavo che avrei voluto dargli un pugno dritto sul suo faccione. 
Trattava tutti con sufficienza, anche Giulietta. In paese avevano timore reverenziale per lui, poi gli sparlavano dietro le spalle. 
Ma non sapere non fa male, a Giulietta invece i paesani le ridevano in faccia, e questo fa molto più male.
Giulietta mi aveva fatto vedere i forzieri pieni di abiti incredibili, di mantelli, turbanti, piume, boa di struzzo , coppe, diademi, corone... oro, incenso e mirra, erano i costumi di scena delle opere liriche in cui aveva cantato il Tenore, lui li aveva collezionati tutti. 
Il Tenore aveva cantato nei teatri di tutto il mondo, anche al Metropolitan di N.Y., un tempo era stato famoso. 
Io lo odiavo perché sgridava Giulietta davanti a tutti, la offendeva pesantemente perché mangiava troppi dolci e diventava sempre più grassa. 
Quando morì, lasciò a Giulietta solo un vitalizio ed i forzieri con gli abiti di scena. 
Io credevo di odiarlo, credevo che disprezzasse Giulietta, capii più tardi, che il Tenore aveva molto amato la sua compagna. 
Giulietta non aveva il senso del "mio" e se avesse ereditato i beni del Tenore li avrebbe regalati agli uomini che le si appiccicavano numerosi e parassiti. 
Il vitalizio era stata la scelta più giusta per lei. 
Giulietta morì ancora giovane, per problemi legati al suo eccessivo peso. 


Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

sabato 2 gennaio 2010

PEOPLE

GIULIETTA


Arrivava in paese al volante di una spider decappottabile azzurro cielo, scendeva dall' auto quasi danzando, gli occhi ridenti, immancabilmente regalava una risata, tale e quale al suono di un clarinetto, una risata come un' infilata di perle cadenti.
Giulietta è un' insegnante, agli inizi degli anni settanta, è un titolo di prestigio, sinonimo di serietà ed autorità, paragonabile al prete e al dottore, almeno per uno sperduto paesino della campagna ravennate. Giulietta lascia casa, famiglia e lavoro per andare a convivere con il Tenore, già sposato con figli, più vecchio di lei di trenta anni e con una nomea di vecchio maiale depravato.
Per quei tempi uno scandalo enorme.
Giulietta arriva in paese, scende dall' auto danzando, con il sorriso di perle, vestita come una regina. E' una brava sarta ed adatta alla sua figura gli abiti di scena del Tenore.
Il Tenore ha calcato i teatri di tutto il mondo ed ha forzieri pieni di cose meravigliose.
Il Tenore è terribile, inveisce contro Giulietta perchè spende troppi soldi per i dolci.
Giulietta è capace di nascondersi nel bagno del bar del paese e divorare una torta gelato da dodici porzioni, mentre il Tenore urla dall' auto:- Giulietta, Giuliettaa, brutta grassona, Giuliettaaa vieni subito qua".
A volte Giulietta deve vuotargli il pitale, il Tenore dopo pochi anni di vita assieme è rimasto paralizzato in un incidente, perciò tiene il pitale in auto per i suoi bisogni. Giulietta passa col pitale davanti ai divertiti avventori del bar e lo svuota in bagno.
Io al Tenore tirerei un dritto, un bel pugno diretto.
Ma perchè Giulietta non lo lascia e torna a fare la maestra.
Già perchè.
Quando il tenore morì, Giulietta non aveva neanche quaranta anni ed il vecchio taccagno lasciò la villa, il podere e le case agli eredi ed a Giulietta solo un vitalizio.
Giulietta rimasta sola non tornò a fare la maestra, diede amore a tanti, così leggermente, senza legarsi mai a nessuno.
Giulietta aveva un sorriso che non ho mai più trovato.


Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.