venerdì 30 aprile 2010

PEOPLE

BRONCO

Fra tanti cani un gatto.

Era stato trovato piccolo e spaurito, con una zampa rotta, lungo il fiume Ronco.

Per questo il suo nome fu Bronco.

Bronco era un amore di gatto.

Grande era lo stupore del vicinato per questo gatto, che stava in mezzo ai cani e strusciava le gambe a tutti.

Ci fu chi a suon di croccantini lo viziò.

Lasciò così la sua casa sempre più spesso, andando ramingo fra le case vicine che se lo contendevano a suon di agi.

Qualche volta tornava alla vecchia magione, grasso inquartato, ti strusciava le gambe e se ne andava via.

E poi.

E poi le vicine ti dissero: - Bronco non si vede più, perché lo tieni chiuso in casa ? Era la nostra sola compagnia-.

-Ma Bronco, non lo vedo più neanch’ io -.

Dov’ era Bronco?

Lo trovasti in una colonia di gatti selvatici che viveva nell’ oasi incontaminata del paese.

Non volle saperne di tornare a casa.

Ma un giorno tornò, mesto, dolorante e maciullato.

Il veterinario disse:- Meglio fargli un’ iniezione pietosa-.

- No, io lo curerò-.

Così Bronco campò per un altro mese fra dolori indicibili, poi, poi, poi.

Tutto finito.

Qualche tempo dopo ti dissero che Bronco non era morto per le ferite dovute alla lotta fra gatti, come tu credevi.

L’ ortolano lo aveva lapidato con pietre e sassi perché andava a rovinare l’ insalata.

Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

Gaetano Barbella ha detto...

Andiamo per gradi. Io abito a ridosso dei Ronchi, un declivio montuoso a nord-est verso cui si estende Brescia. E se qualcuno mi "trovasse", come per il gatto sperduto del racconto, potrebbe anche chiamarmi Bronco, considerato che il mio cognome comincia con B. Ma, chissà, nulla di tanto sballato perché a volte siamo veramente in brache di tela nella speranza di soccorsi... Che significa questo? Boh! Diciamo che è un segno per un immaginario approccio con il racconto del gatto Bronco. Se non altro serve per arricchire un commento e/o anche per prendere tempo, come quando si dice "allora"..."allora", finché arrivano le parole giuste (ma è da evitare assolutamente, salvo a inventare qualcosa divagando piacevolmente, un modo assai accattivante). Allora da dove si parte? Perché se per molti, che leggono la storiella di Bronco, questa non dice nulla da poter rilevare, salvo a dire a Paola Tassinari, che si è smazzata a proporla agli avventori del suo blog, "bene", "brava", "bis", non senza baci e baciotti, e così via, per chi è avido di sapere, per chi è curioso a morte, beh! c'è l'imbarazzo della scelta per trovare i giusti "numeri". E da buoni matematici si tratta di estrapolarli e trovare semplicemente il loro M.C.D. e m.c.d. e servirsene. Per capire, consiglio da andare dalla prof. Annarita Ruberto, qui. Naturalmente qui i numeri, intesi in modo traslato, sono le cose che maggiormente risaltano, che colpiscono la nostra immaginazione, e sono queste a farci ragionare per arrivare a delle illuminazioni che a volte servono personalmente e non tanto per chi ha proposto il racconto di Bronco - mettiamo - o altri. Non solo ma può capitare che la percezione straordinaria, che vale magari anche per altri, ci pervenga come accade per il suono. Infatti si verifica che producendo due note musicali se ne produce un'altra di frequenza data dalla differenza tra le due frequenze originarie. Anche qui, per capire consiglio di andare ancora dalla prof. Annarita Ruberto, qui, e leggere attentamente i miei due commenti al suo post. Può essere che qualcuno dica a Paola, scherzando, che il suo scritto è come un animale senza testa e senza coda, come a dire non c'è nulla da capire e basta. Invece la testa c'è ed è quella dell’ortolano che lo aveva lapidato con pietre e sassi perché andava a rovinare l’insalata, la causa malis. E c'è anche la coda, ben in vista e in primo piano, quella disegnata da Paola. Un bel nove che fa da emblema al corpo del gatto tutto avvolto in bende. Ecco il nostro Bronco raffigurato come l'evangelico Lazzaro che attende l'arrivo del suo salvatore da morte, Gesù. Ed è lo stesso che poteva fermare la mano assassina dell'ortolano, così come fece per l'adultera del Vangelo di Giovanni apostolo. Sul numero nove c'è tanto da dire e Paola deve saperne per aver disegnato quella coda così ben in evidenza. Nove è il numero dei numeri. Enumerare si dice anche annoverare. Dante, nella Vita Nova, menziona nove volte il numero Nove, trattando del mistero della Trinità (3x3=9). Egli ha conosciuto Beatrice a 9 anni e le ha dedicato la prima poesia a 18 (9x2). Più tardi suddividerà la Divina Commedia in 99 canti (più 1 proemio) e la concluderà con l'ascesa dei 9 cieli del Paradiso. Il Nove si collega al fondamento, la base su cui poggiano le cose. E' il numero dell'iniziato, la perfezione del tre elevato a potenza, simbolo di protezione divina, dell'ideale, di tutto quanto è lontano: l'estero, la religione, la ricerca spirituale.

Arrivati a questo punto sorge il dilemma sul gatto che è poi tanto caro agli esoteristi, quasi a stimarlo una possibile loro realtà mediatica. E qui può essere che si ferma la visione cosciente di Paola, autrice del disegno qui esposto. Nel senso che non le è chiaro il senso di tutto ciò nella sua profondità. E più specificamente, che non ha modo di sentire il "terzo suono", riferendomi a quanto suddetto sulla percezione di due note musicali. Dico il vero, ammettendo che anch'io, almeno fino a pochi momenti fa, non percepivo l'argomentato "terzo suono", ma ora forse sì. Il gatto Bronco, che andava d'accordo con i cani (fatto considerevole), emblemizzerebbe l'uomo da venire, quello di nuova generazione. Una sorta di gatto con gli stivali della famosa favola. Egli non avversa i nemici ma li "ama" (i cani) ed è anche l'esortazione predicata da Gesù. Ma è anche 'evangelica pecora fuoruscita dal gregge tanto ricercata dal buon pastore che lascia le novantanove pecore a tal fine. L'uscita dal gregge della centesima pecora (che viene dopo il numero 99 è in relazione col 9 che si è interpretato prima) è come l'uscita di Adamo ed Eva dall'Eden (il gregge) ma a causa dell'aver mangiato il frutto dell'albero della scienza del bene e del male, un fatto saliente raccontato nella Bibbia. Di qui la relazione con il gatto Bronco (o l'ipotetico uomo di nuova generazione) che è stato sorpreso dall'ortolano mentre mangiava l'insalata del suo orto e così meritarsi la lapidazione. Con Adamo ed Eva della Bibbia, il frutto proibito è servito a farli evolvere. Diremo all'azzardo che l'uomo, che si trovava ad un tratto sulla Terra a lui estranea perché appena scacciato dal giardino edenico in cui stava come un pascià, si riduce a vivere da primitivo nelle caverne e senza un briciolo di cognizioni intellettive. Era come una scimmia, secondo le teorie di Darwin che sappiamo, e poi man mano si è evoluto. Dunque una buona cosa il frutto proibito anche se a danno di una coscienza spirituale decaduta, ma doveva essere così per il suo bene. Potremo intuire, a questo punto, che il frutto proibito sia la stessa spiritualità come votata al sacrificio per il bene degli uomini. In seguito vedremo che questo sacrificio è posto in atto visibilmente con il sacrificio corporale di Gesù. Nell'ultima cena, Gesù celebra il rituale, da perpetuarsi dai suoi apostoli, di mangiare il pane e il vino, il corpo e il sangue suo. Dunque due frutti del mondo vegetale, il grano e l'uva, notate bene... E siamo così giunti al legame con la storiella del gatto Bronco che mangia anche lui, inconsapevolmente (nella sua innocenza), l'insalata dell'orto, un vegetale pure questo, ma è una cosa che non doveva fare e finisce quasi ammazzato. Nulla fare, il gatto poi muore fra atroci dolori, ma il Gatto-Lazzaro disegnato del disegno ci fa sperare nella sua resurrezione. In realtà il sacrificio è del mondo vegetale e, dunque delle spiritualità che lo governano, diremo gli Avatara. Ma questa è una nuova e avvincente storia dal titolo L'ALGEBRA RISOLUTRICE NELL'APOCALISSE DEL "NOCINO" DELLA PROVVIDENZA che ho scritto e che è stata pubblicata tempo addietro. Leggete qui. Gaetano

mercoledì 28 aprile 2010

PER ESSERE FELICI A VOLTE BASTA UN POCO DI OLIO DI MERLUZZO

LAUDE DEI PACIFICI LAPPONI E DELL' OLIO DI MERLUZZO


Ben tappati dentro i poveri,
ma fidati lor ricoveri,
mentre, lento, sui tizzoni
cuoce il lor desinaruzzo,
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.

Fuori il vento piglia a schiaffi
quattro o cinque abeti squallidi:
gli orsi bianchi sono pallidi
pel gran freddo, e si dan graffi
l'un con l'altro per distrarsi...

Oh! bisogna ricordarsi
che ormai nevica da mesi;
fiumi e rivi presi al laccio
dell'inverno, son di ghiaccio
(e che ghiaccio! perché il ghiaccio
è assai freddo in quei paesi).

Ma che importa lor? Ghiottoni
dallo stomaco di struzzo,
i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.
E son là, raccolti e stretti,
padre, madre, zii, bambini
(battezziamoli lappini,
i lapponi pargoletti?)
e poi c'è la nonna, il nonno,
qualche amico dei vicini;

ciascun preso già dal sonno
perché ha l'epa troppo piena
già di grasso di balena;
pure, a nuove imbandigioni
ogni dente torna aguzzo,
e i pacifici lapponi
bevon l'olio di merluzzo.

Beatissimi! Fra poco,
tutti e quanti russeranno
in catasta attorno al fuoco.
Poi, doman, si leveranno,
mangeranno e riberranno
il buon olio di cui sopra,
e così, per tutto l'anno
sempre... fin che moriranno.

Così svolgesi la loro
vita, piana e senza scosse,
senza mai quell'ansia insana
che ci muta in pellirosse;
senza il fiel, senza la bile
necessari all'uom civile.

Ho da dirvelo? Una smania
prepotente mi dilania,
ed invan da più stagioni
in me dentro la rintuzzo...
Vo' in Lapponia, tra i lapponi,
a ber l'olio di merluzzo.

ERNESTO RAGAZZONI


domenica 25 aprile 2010

DALLE RADICI PIU' PROFONDE NASCE IL RISO

La lingua universale ha poche lettere, ed è comprensibile a tutti gli uomini del mondo. Il suo vocabolario contiene sei emozioni che qualsiasi persona sul pianeta riconosce senza avere studiato o bisogno di pensarci.
Sono le sei espressioni facciali: il riso, la rabbia, la paura, la tristezza, il disgusto e la sorpresa.
Queste espressioni del volto e delle mani sono universali in ogni Paese e cultura.
I muscoli facciali dell' uomo si sono evoluti nello stesso modo in tutto il mondo.
L' emozione che si è rivelata più importante fra le sei è la risata, il riso è un comportamento con radici evolutive molto profonde.
Forse la lingua universale, che la Bibbia ci dice era prima della costruzione della Torre di Babele, era proprio questa.

venerdì 23 aprile 2010

LA VESTINA D' ORGANZA

" La vestina d' organza" di Sara Rodolao è un romanzo breve, si inizia a leggere e non ci si ferma se non quando si arriva all' ultima pagina, perchè sin dall' inizio si è scelta la protagonista da seguire, sostenere ed imitare. Cecilia sente odore di rose, anche se nella stanza non ve ne sono, e ripercorre all' indietro la sua vita.
Una vita dura che si svolge dall' assolata e dura terra del sud, al mare impetuoso e dolce della riviera ligure. Gli anni sono quelli del boom economico, Cecilia è la primogenita di una famiglia povera è quindi costretta al lavoro e all' accudimento dei fratelli sin dalla più tenera età.Quando la famiglia si trasferisce in Liguria, Cecilia è costretta a lasciare la scuola, che ama tanto, per portare qualche soldino in casa. Si sposerà, avrà una figlia, divorzierà,otterà la laurea, avrà più sofferenze che gioie, ma mai si abbatterà perchè Cecilia è come la terra o il mare, segue la sua indole, la sua natura e lotterà con tutte le sue forze contro i disagi materiali e quelli dello spirito. L' unica cosa che la fa soffrire veramente è la mancanza d' amore, e Cecilia alla fine decide che se gli altri non sanno darle l' amore che lei vuole, allora sarà lei a dare tutto l' amore che ha, darà il suo immenso amore a chi se lo merita: ai bambini poveri , disagiati e senza affetti.
E come un tempo le diceva la nonna: quando un giusto muore gli angeli spargono petali di rose, ora Cecilia sente odore di rose nella stanza.
Sara Rodolao è una fine poetessa ed in questo romanzo ciò lo si ritrova nelle delicate descrizioni della natura, soprattutto del mare e di quelle piccole tradizioni che sono l' unicum di ogni terra.

mercoledì 21 aprile 2010

DEA DEI SERPENTI

La Dea dei Serpenti è una statuetta risalente al 1700 a.c. ritrovata a Cnosso. Ha il seno scoperto, i vestiti che corrispondono alle donne cretesi del tempo, in mano dei serpenti ed in testa un piccolo gatto.E' una divinità collegata alla fecondità, confermata dall’evidenza delle forme del corpo; il serpente è connesso con elementi positivi legati alla fertilità, come presso altre civiltà antiche (Egizi) e diversamente dai racconti biblici; in mano alla dea, esso può simboleggiare il potere dell’oltretomba poiché sbuca dal terreno; è anche simbolo fallico e rappresenta gli organi genitali maschili; il gatto è connesso con la civiltà egizia, con cui i Cretesi hanno avuto stretti rapporti, e si lega al culto diffusissimo della dea Buba (dea gatto) e del suo santuario di Bubasti, situato alle foci del Nilo nel basso Egitto; anche la dea Buba era collegata alla procreazione. Si tratta di una figura di divinità zoomorfa di grande importanza.


LA MIA DEA DEI SERPENTI



Ho usato una bottiglia di acqua vuota poi con gesso ed altri materiali ho creato la mia Dea dei Serpenti o Dea Madre, volendo dare un' aurea antica e mistica ad un prodotto di scarto, elevando il rifiuto ad una divinità

domenica 18 aprile 2010

COME AMARE LA BELLEZZA E COGLIERE LA VERITÀ SENZA MORIRE











COME AMARE LA BELLEZZA E COGLIERE LA VERITÀ SENZA MORIRE

Di Gaetano Barbella

Vieni a Ravenna nel sogno dei Preraffaelliti del Forum di Teoderica

I Preraffaelliti?

Sai che ti dico cara Paola nonché Teo? Che sei il mio gatto con gli stivali e mi precedi predisponendomi a cose inedite, fuori dall’ordinario ed ora, è il caso di legarle alla surrealtà, poi si capirà. Ma già i Preraffaelliti ci portano a questo essendo - come si sa - degli iniziati di una Confraternita di artisti sorta in Inghilterra, detta appunto dei Preraffaelliti.

Seguo un itinerario che mi è congeniale, cosa inconsueta ma chi mi legge, come tu Paola, è abituato a certe mie divagazioni da surrealtà, appunto. Come quando si dice “a proposito di... sai che ho pensato?” subito dopo aver visto o sentito qualcosa che non sembra legarvisi. Tuttavia, allora domando, come si spiega questo “pensare di riflesso”? Ma veniamo ai Preraffaelliti.

Non importa in che modo e da chi mi è giunto un inatteso “imput” del genere anzidetto proprio due giorni fa: fatto è che sembra aprirmi un curioso orizzonte sul movimento esoterico sui Preraffaelliti appena presentati.

Il dipinto di Salvator Dalì e i Preraffaelliti

Si tratta del famoso dipinto ad olio su tavola di Salvator Dalì, una delle tante sue opere surrealiste del 1944 (notate, di fine guerra mondiale... ma si capirà alla fine) che si intitola “Sogno causato dal volo di un’ape attorno a una melagrana, un attimo prima del risveglio”.

Ma lasciamo da parte per un po’ il dipinto di Dalì anzidetto, quanto basta per fare il punto sui Preraffaelliti. Però già a grandi linee, Paola, hai detto abbastanza su di loro ed è superfluo aggiungere dell’altro, salvo a rimarcare il loro lato esoterico, perché è in questa direzione che sottende quel che mi è parso di assoluta novità.

La Confraternita dei Preraffaelliti chiamò così se stessa, anzitutto per indicare il profondo connotato di setta esoterica; il riferimento al pittore ed architetto italiano Raffaello si riferisce invece al rifiuto di ogni accademicità nella loro pittura e, piuttosto, all’ispirazione che essi dichiaravano di trarre dai pittori italiani precedenti a Raffaello, portatori di una freschezza poi contaminata dalle varie scuole.

Il nome esprime, quindi, il rifiuto di Raffaello e di tutta quell’arte che, per realizzare “la bellezza”, ha tradito “la verità”, e sottende una consapevole emulazione della pittura primitiva.

Insomma si tratta di un tentativo, attraverso l’arte, di un “ritorno alle origini” che, è poi un seguire itinerari di ordine alchemico la cui arte è nota come Arte Regia.

E qui importa anche condividere il pensiero espresso dall’amica Annarita con il suo commento che evidenzia la conclusione del post a commento:

«...la critica a Raffaello si ritorse a loro, in quanto in Raffaello non vi è leziosità ma solo grazia, per ritornare al puro occorre anche esserlo.».

Non aggiungo altro poiché, avvalendomi del suddetto dipinto di Dalì come una certa “cartina di tornasole”, farò emergere una visione, quasi una profezia all’inverso dell’esito dell’impresa dei Preraffaelliti da stimarsi un atto di superbia. Si tratta della ricerca della verità attraverso l’anima che trova corrispondenza figurata nella donna che nelle opere di Dalì è spesso riferita alla sua Gala.

Dalì si serve di sogni, ma l’altro famoso artista, Pablo Picasso, con “Autoritratto del 1938, interpreta la realtà facendo parlare un secondo occhio, l’interiore a suo avviso, quello che vede e sente emotivamente: “attraverso questo occhio della fantasia e possibile vedere, comprendere e amare al di la della vista in senso fisico; e questa visione interiore può essere tanto più intensa proprio quando le finestre sul mondo esterno sono chiuse”.

Dunque, interrompendo la tematica sui Preraffaelliti per poi riprenderla ancora a consuntivo, traggo spunto su internet da vari approcci all’opera pittorica di Dalì sull’ape e la melagrana del sogno, appena presentata in precedenza che si rifà all’imput di “a proposito di... sai che ho pensato?”, argomentato all’inizio.

Nel suo lavoro Dalì si è ampiamente servito del simbolismo, e l’elefante che compare nell’opera suddetta è una di esse.

L’elefante, ispirato al piedistallo di una scultura di Gian Lorenzo Bernini che si trova a Roma e rappresenta un elefante che trasporta un antico obelisco, qui viene ritratto da Dalì con le “lunghe gambe del desiderio, con molte giunture e quasi invisibili” e con un obelisco sulla schiena.

Grazie all’incongrua associazione con le zampe sottili e fragili, questi goffi animali, noti anche per essere un tipico simbolo fallico, creano un senso di irrealtà. “L’elefante rappresenta la distorsione dello spazio” ha spiegato una volta Dalì, “le zampe lunghe ed esili contrastano l'idea dell’assenza di peso con la struttura.”.

Dipingo immagini che mi riempiono di gioia, che creo con assoluta naturalezza, senza la minima preoccupazione per l’estetica, faccio cose che mi ispirano un’emozione profonda e tento di dipingerle con onestà.”.

L’azione del dipinto – l’enorme melagrana da cui fuoriesce un pesce che “genera” due tigri dietro a una baionetta – rappresenta il violento risveglio della donna, Gala, dai suoi sogni tranquilli. Capita di svegliarsi di soprassalto.

La donna raffigurata nel dipinto era la compagna del pittore; la possiamo ritrovare in molte sue opere poiché era considerata la sua musa ispiratrice.

Nel complesso il dipinto è considerato dalla critica un esempio dell’influenza freudiana sull’arte surrealista e del tentativo di Dalí di esplorare il mondo dei sogni.

Alcuni critici hanno suggerito che questo dipinto sia un’interpretazione surrealista della teoria dell’evoluzione (farò vedere che veramente è così).

In quest’opera prendono forma simultaneamente le rappresentazioni delle sensazioni provocate dall’improvvisa puntura di un’ape mentre l’artista stava dormendo.

La baionetta che sta per trafiggere il braccio di Gala che dorme nuda, sospesa su uno scoglio frastagliato, raffigura l’istante della puntura dell’insetto. La percezione del dolore è associata alle due tigri feroci che balzano fuori dalla bocca di un gigantesco pesce rosso, che a sua volta esce da una melagrana. L’elefante sullo sfondo a destra con le lunghe zampe da insetto che riesce a camminare sulla superficie statica del mare, nonostante il peso dell'obelisco in pietra che regge sulla schiena.

Altre possibili interpretazioni

Secondo un’altra interpretazione l’insieme delle figure presenti, composto dal pesce, dalle due tigri e dalla baionetta, rappresentano il corpo dell’ape. La baionetta sarebbe infatti il pungiglione, le due tigri, gialle a strisce nere, rappresenterebbero l’addome dell’ape stessa, mentre il pesce con le sue squame, richiama la struttura dell’occhio dell'insetto.

Le simbologie in un quadro come questo possono essere queste o cento altre legate al significato del melograno, dell'ape, della tigre, dell’elefante, del mare...; tutte, in ogni caso, percorse da un profondo e acceso senso di erotismo.

Alla base della composizione vi è la frantumazione delle immagini, come se un’esplosione avesse disgregato ogni cosa, ogni forma, suggerendo invece la presenza di fantasmi, sogni, incubi in uno spazio profondo e risonante, su cieli azzurri e paesaggi rocciosi antropomorfi.

Ecco che il mio approccio a questa visione surrealista di Dalì, possibilista di tante interpretazioni, ben si dispone ad una mia personale e singolare introspezione all’arte dei Preraffaelliti, suggerita – potrei dire – dal caso.

Non importa tanto ciò che realmente viene attribuito dai critici d’arte al dipinto in questione. Conta – secondo il mio approccio a cose del genere invece ciò che viene richiamato alla mente nell’impatto visivo con i vari dettagli separati e nell’insieme.

Tutto è legato alla realtà presente nel bagaglio mentale dell’osservatore. È come se essa fosse un insieme di spettatori a vedere un film seduti in una sala cinematografica.

Ecco che già si spiega la mancanza di unità e di totalità del dipinto attribuito dalla critica d’arte. Gli spettatori sono estranei l’uno all’altro, non si conoscono, salvo eccezioni. Tuttavia essa c’è per il fatto che la melagrana, il pesce, le due tigri, il fucile con la baionetta e la donna che sogna, sono uniti fra loro come maglie di una catena. E poi è la meccanica ottica delle ombre che legano ogni cosa al mare (occorre pensare che si tratta di concezioni esoteriche che presuppongono un’attività interiore a livello astrale). Così la donna è legata allo scoglio che sembra galleggiare sull’acqua piuttosto che emergere in parte. E così anche l’elefante con l’acqua, ma questo con dei prolungamenti delle zampe, tali da farli sembrare quelle di un insetto. Come a volerle legare all’ape, un insetto che è capace di essere portatore di grandi cose (una sorta di Cristoforo). Nell’astrale non conta la forza di gravità terrestre.

Tutto è come sospeso in aria, ma questo stato è caratteriale nel mondo dei sogni.

Il ritratto di Luca Pacioli

Resta da capire l’ape che sorvola la melagrana. E qui, è come se l’insetto fosse simile a un interruttore della luce che con la “pressione” visiva dell’osservatore richiama cose estranee al quadro, ma sempre in coerenza. Perché dico questo?

Per aver tratto delle conclusioni su un’analoga rappresentazione di un dipinto famoso, “Il ritratto di Luca Pacioli”, una mosca su un cartiglio con su i numeri di un anno parzialmente occultato.

Qui la mosca cela una risposta sul sapere del messaggio riposto nel quadro.

Ecco ciò che ho scritto su questo quadro e che è riportato sul mio sito.

«Si cerca la verità, ma non la si trova mai, sapete perché? Perché è come quel tenue filo che tiene sospeso il rombicubottaedro dell’enigmatico «Ritratto di Luca Pacioli» sopra esposto. Tutti si chiedono spiegazioni su quest’opera d’arte della quale non si hanno nemmeno cognizioni certe sul suo autore. Certezze essi cercano in ogni dove di questa sorta di esposizione allegorica.

Solide certezze sapienziali, innanzitutto, come sembra indicare quel solido poliedrico, un piccolo dodecaedro al lato opposto dell’evanescente rombicubottaedro. Esso è poggiato infatti su un grosso volume dalle tante pagine ben serrate, per significare con l’immobilità il potere incisivo del sapere del libro chiuso, però. E le dodici facce poligonali del poliedro sono quelle dell’uomo esposto al variare periodico del tempo che muta continuamente dodici volte l’anno, appunto.

Ci sono due rovesci di questa sorta di medaglia del sapere del certo: il primo è la fissità di ogni cosa, sinonimo di condizione di morte che, se non altro, con il placar dei sensi essa par che si ben disponga; il secondo, non migliore del primo, è quella mosca sul cartiglio a scompigliar l'assoluta completezza del saper saccente.

È qui il “tenue” filo opposto a quella sorta di cristallo, che par che viva, in alto sospeso a sinistra, attrattivo e assai amabile, che sembra però irraggiungibile. E c’è anche discordia sull'interpretazione del cartiglio, a causa dell'iscrizione parzialmente occultata dal noioso insetto “portatore” di gravi malattie infettive. Come a significare di pagare un prezzo elevato per conoscere la verità.”.

Nel caso dell’ape e la melagrana di Dalì, il rombicubottaedro è sostituito dalla donna nuda sospesa sullo scoglio e la mosca contagiosa da un’ape altrettanto pericolosa per il suo pungiglione. Nell’esplosione degli elementi della sua peculiare azione è la baionetta che ferisce il braccio della donna. Ma è un occulto modo per inoculare qualcosa di estraneo ad essa da correlarsi, presumibilmente alla creazione della donna Eva. Essa è dormiente in seno all’uomo Adamo ancora avviluppato nella sua solitudine edenica. Ma al momento preciso della puntura, correlata alla introduzione della “costola” biblica, Eva-Gala (o Gaia la Terra) d’improvviso si desta e sarà lei a gustare il grano della melagrana e pagarne il prezzo del sapere che vi deriva.

Per il resto si può correlare lo scoglio sul quale è sospesa Gala la possibile Terra di Gaia e il suo porto in relazione alla melagrana e l’ape e la loro ombra a forma di cuore dove ha inizio ogni storia singola e di popolo umana.

Dallo squarcio della melagrana ingrandita, dove poi fuoriescono il pesce, le due tigri ed infine il fucile con la baionetta, sembrano delinearsi i contorni della Gran Bretagna e Irlanda in cui ebbe inizio la leggenda del Santo Graal a seguito della migrazione di Giuseppe d’Arimatea con il Calice del sangue di Gesù.

Non è escluso che questo abbia voluto rappresentare Salvatore Dalì e il passo è breve per immaginare il seguito della leggenda della saga arturiana con l’iniziativa della Confraternita dei Preraffaelliti.

I temi sociali dei Preraffaelliti, causa del loro disperdersi

E sulla ricerca sulla verità tanto bramata dai Preraffaelliti? Perché offuscata?

La verità non vuole catene, non vuole essere imbrigliata in un corpo “mortale” e quando questo sembra avvenire ecco che esplode dalla melagrana come l’ha intesa rappresentare Dalì. Tutto nel silenzio e nella fitta sensazione di una improvvisa “puntura” prima di svegliarsi al sorgere dell’aurora. Tant’è che quando morì Raffaello si sparse la voce che era morto un dio.

Dunque chi si cimenta non deve porsi alcun tema da risolvere con la eventuale conoscenza della verità. Cosa che invece fu estremamente cara ai Preraffaelliti.

I temi sociali, quelli del lavoro e dell’emigrazione particolarmente sentito in Inghilterra; i temi biblici che occupano un ruolo determinante; i temi nazionalisti con l’amore viscerale per la patria; i temi shakespeariani con Re Lear, Macbet oltre l’Amleto; ed infine i temi medievali con i cicli arturiani.

Un iniziato degno di essere prolifico praticante in esoterismo, non fa nulla in prima persona, ma si predispone nel cosiddetto “sogno”, ovvero in “astrale” a “concepire” le cose e sarà il “caso” a decidere il da farsi. L’iniziato vive isolato dal mondo salvo a vederlo sotto mentite spoglie.

E da Salvator Dalì cosa ci viene in proposito?

Ecco uno “squarcio” della sua melagrana tratto da wikipedia sul suo conto.

Allo scoppio della guerra civile spagnola Dalì sfuggì i combattimenti, rifiutando di allinearsi con alcuno degli schieramenti. Similarmente, dopo la seconda guerra mondiale, George Orwell lo criticò per essere fuggito come un topo dalla nave che affondava non appena la Francia era stata in pericolo dopo che il pittore vi aveva prosperato per anni:

«Quando in Europa si avvicinano le guerre lui ha una sola preoccupazione: come riuscire trovare un posto dove si mangi bene e da cui può scappare in fretta se il pericolo si avvicina troppo.».

È paradossale ma questa è la maschera dell’iniziato alle arti occulte di Salvator Dalì.

venerdì 16 aprile 2010

VIENI A RAVENNA NEL SOGNO DEI PRERAFFAELITI



Al MAR ( Museo d' Arte della città di Ravenna) dal 28 febbraio al 6 giugno 2010 sarà in corso la mostra d' arte "I PRERAFFAELLITI il sogno del '400 italiano da Beato Angelico a Perugino, da Rossetti a Burne-Jones".
Nel 1848 tre giovani artisti inglesi: Hunt, Millais e Rossetti fondano a Londra LA CONFRATERNITA PRERAFFAELLITA, spinti ad un radicale cambiamento contro la pittura tradizionale della Royal Academy. Sono ispirati da uno stile modellato sulla pittura italiana del Quattrocento, prima di Raffaello considerato troppo lezioso. La brillantezza dei colori e la semplicità dei gesti si ispirano a Maestri quali il Beato Angelico, e il Perugino. L' Italia è la loro fonte d' ispirazione anche per i temi dei loro acquerelli, Dante Gabriel Rossetti si ispirerà molto a Dante ed alla Divina Commedia, Millais preferirà i temi shakesperiani, Burne- Jones giunto a Roma realizzerà nella chiesa anglicana di San Paolo dentro le Mura una meravigliosa serie di mosaici tra cui " L' Albero della Vita", in mostra vi saranno i cartoni preparatori.
I preraffaelliti si ispiravano alla purezza, ma ben presto i loro lavori si orientarono verso un eccessivo decorativismo, la critica a Raffaello si ritorse a loro, in quanto in Raffaello non vi è leziosità ma solo grazia, per ritornare al puro occorre anche esserlo.

martedì 13 aprile 2010

UNA STORIA D' AMORE

Rodan, un esemplare maschio di cicogna e la sua compagna Malena si sono costruiti un nido su un tetto di una casa a Brodsky Varos ( Croazia).
Da cinque anni Rodan, seguendo la sua natura, ai primi freddi va a svernare in Sudafrica, mentre Malena non può seguirlo dal momento che non è in grado di volare per colpa di una fucilata di un cacciatore.
Ma Rodan non si dimentica di Malena: ogni anno, puntuale, torna da lei nella bella stagione.
Ogni anno sempre nello stesso giorno: sa che Malena lo aspetta.

sabato 10 aprile 2010

PEOPLE

MARIA


Nata alla fine del milleottocento.
Tempi duri per le donne quelli.
Gli uomini sono alla guerra e a loro tocca portare avanti la famiglia da sole.
Per quelle in età da marito la scelta è parca. Alla fine della prima guerra mondiale sono rimasti pochi uomini e dei superstiti parecchi sono menomati.
A Maria non importa di rimanere zittella.
Ma il giorno della fiera, conosce un giovanotto che sa leggere il giornale.
Per Maria fu amore.
Il giovanotto, lei che non sa leggere e non sa scrivere, la incanta con i racconti che legge dai libri.
Maria le belle favole le aveva ascoltate solo in chiesa, ora scopre nuove maniere per sognare.
Si sposa.
Ha otto figli, quattro maschi, quattro femmine.
Figli partoriti al lavoro e tirati su nel rispetto delle leggi e della chiesa.
Ha una nidiata di nipoti.
Nipoti che l' abbracciano come Anteo con la madre Terra.
A sessant' anni impara a leggere e scrivere. La Parrocchia aveva ricevuto dei fondi dal Comune per organizzare dei corsi per la licenza elementare. Le chiesero di aderire per far sì di raggiungere il numero minimo degli iscritti richiesti.Lei accettò. Realizzò il sogno più recondito e desiderato solo per generosità, mai avrebbe chiesto qualcosa solo per lei.
Un ictus la colpì, pochi anni in carrozzella, poi morì a Firenze.
Maria siedi alla destra del Figlio.





Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.




giovedì 8 aprile 2010

PEOPLE

LA MAESTRA ANNA 


Al nostro piccolo paesino di campagna, capitò che alla scuola elementare, dove le maestre erano sempre le stesse, per genitori, fratelli e sorelle, una maestra nuova. Anna era il suo nome. 
Ed era la mia maestra. 
Io la amavo ma nascondevo il mio affetto dietro l'indifferenza, perché io ero la sua preferita e le mie compagne mi avevano detto: - La maestra vuol bene solo a te.- 
La maestra sapeva della mia passione per i libri, in quarta elementare avevo già letto tutti i volumi presenti nella biblioteca della scuola, lei così me li portava da casa sua, mi aveva spiegato che non sarei mai rimasta senza lettura perché i libri non sarebbero mai finiti. 
Un giorno mi portò un vocabolario con la copertina rossa, io non sapevo cos' era un vocabolario, lei mi disse... ti piacerà, tienilo questo è per te... è tuo. 
Sulla prima pagina scrisse la dedica col suo nome e cognome. 
Mio padre non fu contento di quel regalo, disse che non andava bene accettare un dono così importante ( alla fine degli anni sessanta un vocabolario era una cosa costosa). 
Mi accompagnò a scuola e parlò con la maestra, ella disse che a casa ne aveva tanti ed era un regalo che faceva a sé stessa il darlo ad una scolara che amava così tanto i libri. 
L'anno scolastico finì, tornai a scuola per frequentare la quinta elementare, la maestra Anna non c' era più, mi dissero che era una supplente e che non sarebbe tornata più perché aveva avuto il posto fisso a Ravenna. 
Gli anni passarono, la maestra Anna è sempre nel mio cuore. 
Tentai anche di rintracciarla, ma dal vocabolario rosso, che ancora possiedo, manca una pagina: quella con la dedica e la sua firma ed io non ricordo il suo cognome. 
Nessuno si ricorda più di lei, perché rimase al paese solo un anno.  
Al Provveditorato degli Studi dove mi sono rivolta, hanno tanto da fare e non hanno tempo per cercare una persona solo col nome e l'anno della sua supplenza. 
Questo racconto è per tutte le brave maestre, se a volte vi sentite stanche e deluse... bene, pensate che forse da qualche parte vi è una scolara ormai matusa che vi vuole bene ancora, che vorrebbe dirvelo ma non riesce a mettersi in contatto. 


Il racconto è frutto di fantasia. Eventuali somiglianze a fatti realmente accaduti sono puramente casuali.

lunedì 5 aprile 2010

TUTTO PRIMA O POI ANNOIA

Qualche anno fa Roberto Cuoghi iniziò un processo di trasformazione del corpo. Si fece crescere le unghie a dismisura , si impose un precoce invecchiamento, indossò occhiali da saldatore. La critica parlò di metamorfosi e di alienazione temporale. Cuoghi, trentaseienne, modenese, si è imposto sulla scena dell' arte , con una scelta precisa : vivere le vite degli altri. Con un forzato invecchiamento fisico, ingrassando di quaranta chili, e tingendosi i capelli di bianco, ha vissuto per due anni la vita di suo padre. Per giorni ha indossato prismi montati su occhiali da saldatore, vivendo così una vita rovesciata di 180 gradi. Ha ricreato voci e suoni degli assiri in una installazione " Suillakku". Comunica per e- mail e non vuole contatto fisico. Questo artista " parallelo" dice di sentirsi come un esperimento, ma nonostante le sue " invenzioni " , si annoia facilmente : " Tutto prima o poi annoia, è questione di tempo".

domenica 4 aprile 2010

AUGURI DI BUONA PASQUA A TUTTI

BUONA PASQUA A TAVOLA

Alla Pasqua sono legate tradizioni culinarie, molte delle quali risalgono ad antichi rituali e a simboli religiosi. L ' agnello rappresenta per i cristiani il corpo innocente di Gesù.
Sulla tavola pasquale si ritrovano le spighe del grano tramutate in pane( un significato votivo, nel ricordo della discendenza dal sovrannaturale, prodigio della germinazione del grano, ricordo del pane azzimo); le erbe, quasi sempre in forma di torte rustiche ( la più celebre la torta pasqualina); le uova,che hanno origine tra il sacro e il profano. La tradizione vuole che la mattina di Pasqua si mangi la pizza salata accompagnata con salame di Norcia e dalle uova sode.
Tra i dolci più classici sono la colomba pasquale, la pastiera napoletana e la pizza dolce.
La colomba è un segno di pace, fatto con semplici ingredienti, si racconta che nel sesto secolo Alboino , re dei Longobardi ricevette in dono un pane a forma di colomba.
Sulla pastiera si racconta che le mogli dei pescatori lasciarono sulla spiaggia delle ceste con ricotta, frutti canditi, grano, uova e fiori d' arancio affinchè il mare riportasse in salvo i loro mariti. Al mattino le donne trovarono i loro mariti e la torta pastiera che era stata mescolata con l' acqua delle onde. La pastiera è un dolce molto simbolico: la ricotta con lo zucchero simboleggia le offerte votive del latte e del miele, tipiche delle prime cerimonie cristiane. Il grano è augurio di prosperità. Le uova sono la vita nascente. L' acqua di fiori d' arancio annuncia la primavera.
La pizza dolce di Pasqua veniva consumata al mattino, si faceva l' impasto il venerdì santo, impiegava due giorni di lievitazione,
, si reimpastava il sabato e la si cuoceva la sera del sabato perchè la mattina presto fosse pronta
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