giovedì 20 luglio 2023

Il volo del gruccione


 Capitolo 38

Sono chiamati anche bilancioni o padelloni

 

 

La Baiona, lo si capisce dal nome è una grande baia, una laguna in cui si incontrano le acque del mare con quelle del fiume.

La Baiona non è grande solo per la sua estensione lo è anche per bellezza.

È chiamata anche pialassa. 

Pialassa è la forma veneta, termine che pare confermare il concetto di luogo che piglia e lascia l’acqua.  Piglia l’acqua marina per due volte al giorno durante l’alta marea, poi la lascia per altrettante volte durante la bassa marea.

La Baiona è caratterizzata da ampi specchi d’acqua aperti e da estesi prati salmastri tra cui il cosiddetto prato Barenicolo, che presenta un habitat di estrema importanza naturalistica.

Si tratta di una prateria popolata da piante ed erbe e molti animali di piccola taglia.

Avocette, cavalieri d’Italia, garzette, gabbiani, marangoni, mignattini e anche l’elegante fratino, oltre a molte altre specie, si muovono in una rete di canali artificiali e chiari salati o salmastri, in mezzo ad abbondante vegetazione: soprattutto con ogni tipo di giunco, di salicornieti, di nuvole colorate di settembrini e poi gli arbusti come i tamerici e i prugnoli e poi rovi, tanti rovi da cui raccogliere in agosto le more per farne una gustosa marmellata, tanto più saporita perché arricchita dalla difficoltà di raccolta dovuta ai tanti spini.

La presenza dei vecchi capanni da pesca racconta la storia di questo luogo e ne caratterizza il paesaggio particolarmente suggestivo, soprattutto al tramonto.

Sono chiamati anche bilancioni o padelloni per le grandi reti a forma di bilancia, così caratteristiche con tutti quei fili e pali, così seducenti quando verso sera si illuminano di luce dorata e si specchiano nelle mille sfumature oleose dell’acqua, forse un poco abusate da sfilze di pittori e di hobbisti che le hanno raffigurate migliaia di volte senza catturarne l’atmosfera, ma viste dal vero catturano e attraggono con un forte magnetismo.     

Alcuni capanni sono stati ristrutturati e dotati di ogni comodità e i bilancioni che un tempo venivano faticosamente alzati tramite argani azionati a mano, ora sono meccanizzati.

Molti capanni sono in multiproprietà, vengono usati in una specie di rotazione secondo turni prestabiliti, dividendo così i giorni di utilizzo e i costi di gestione, solo i ravennati più abbienti hanno un capanno tutto per loro, che comunque dividono con gli amici, perché il capanno è sinonimo di amicizia e di condivisione.

I capanni stanno là da lungo tempo, non c’è ravennate che non abbia passato qualche giorno in queste specie di palafitte con a fianco la barchetta e con annesso le reti per pescare; a volte si pesca altre volte no, ma questo non importa, tanto i capannisti si portano dietro salame e spaghetti e mangiano e giocano a carte e discutono.

Cosa discutono?

Si racconta che le decisioni economiche e politiche si prendevano, e forse si prendono ancora oggi, qui nel padellone, il quale aveva quasi la stessa funzione della dacia russa che serviva per incontri culturali e sociali, nei capanni tra una grigliata di carne e una di pesce, si discutevano le linee guide della politica locale.

L’apparato del PCI di Ravenna soleva incontrarsi in un capanno da pesca di Porto Fuori, luogo di  incontro, fin dagli anni Sessanta dei militanti con i loro leader, da Pajetta e Berlinguer a D’Alema e Bersani… oggi il capanno potrebbe essere abbattuto in quanto pare sia abusivo, ma questa dell’abusivismo edilizio è una spina nel fianco per tutti i capannisti

In uno di questi capanni, trovò rifugio Giuseppe Garibaldi, durante la fuga nel 1849, dopo la caduta della Repubblica Romana, qui il 4 Agosto dello stesso anno, trovò la morte la sua amata Anita. Il capanno di Garibaldi è custodito dal 1882 dalla Società Conservatrice del Capanno Garibaldi. A Ravenna il Risorgimento, l’identità e i valori repubblicani sono molto sentiti: da qualche anno, il 31 dicembre, viene organizzata una suggestiva fiaccolata che illumina a giorno la costruzione… chissà forse ha funzionato: nelle ultime elezioni Ravenna è un po’ meno rossa.

Si sa, in terra di Romagna i repubblicani e comunisti apparentemente non vanno tanto d’accordo,  in realtà stanno uniti come in un cocomero, che ha la scorza verde, la polpa rossa ed i semi neri, cioè sono allo stesso tempo un po’ repubblicani, un po’ comunisti e un po’ anche fascisti.

 

 

lunedì 10 luglio 2023

Il volo del gruccione


Capitolo 37

Una splendida e realistica raffigurazione del pisello

 

 

“Oh! Che meraviglia, che magia”, tutti i discorsi furono accantonati, Lyuba incantata si rese conto che alla fine del viale di pini erano sbucati all’aperto, inondati di sole e di blu, erano sbucati alla Baiona!

“Non vuoi sapere il mio parere su tutto ciò che hai detto, in particolare dove hai trovato la razzata del silfio per fondere l’oro o forgiare il rame?”.

“Non lo so da dove mi sia venuta l’idea, forse mi è arrivato un fiotto di energia dal Centro Spirituale Supremo.”

“Ridi, ridi, fai la spiritosa perché non sai rispondere”.

“Non è che non voglia rispondere, voglio solo godermi lo splendore della natura, ma se mi provochi, ti dico che tempo fa, ho visto al Muse, il museo delle scienze di Trento, un lingotto col suo stampo, di epoca romana, con inciso una splendida e realistica raffigurazione del pisello, quindi il membro virile, anticamente il portafortuna per eccellenza, era associato anche all’oro o alla lavorazione dei metalli. Sai quanto fosse importante la virilità per i romani, la cui radice vir è sinonimo di uomo con gli attributi, senza l’erezione per i romani non eri degno di indossare la toga, un po’ come i pantaloni lunghi o corti di un cinquantennio fa. Per i romani, ma anche i greci, il pene era simbolo di potere: a volte le dimensioni e la forma del pisello agevolavano la carriera militare. Non ridere, lo stai facendo perché sei in imbarazzo, le dimensioni per voi uomini sono cose sacre e inviolabili, è una sfida tra di voi, a noi donne non interessa”.

“Stai parlando di duemila anni fa, oggi le cose sono cambiate, l’uomo si è messo la gonna e la donna i pantaloni, hi hi hi”.

“Hi hi hi, solo settant’anni fa, il fascismo riprese i modi e gli usi romani facendo della virilità un simbolo molto importante. Il duce stesso come esempio per gli uomini italici, consumava amplessi davanti alle carte della sua scrivania a Palazzo Venezia, incontrando donne del popolo. Aveva una lunga, lunghissima fila di donne, che volevano fare l’amore con lui, magari anche sposate i cui mariti sarebbero stati felici di allevare figli illegittimi ma nati dal seme magico del Benito. E poi mio caro Rico ti dice niente un certo Silvio?”

“Hi hi hi, non mi devi parlare del Silvio, ma del silfio usato dagli zingari per fondere l’oro”.

“Forse anni fa si è creduto che il Silvio fosse il nuovo eroe che avrebbe portato un periodo florido e prospero, forse si sono sbagliati con il silfio. Gli zingari potevano benissimo fondere l’oro mettendolo in un crogiuolo e appiccicare il fuoco al silfio usandolo come fonte di calore, così i monili creati con questo oro sarebbero diventati simbolicamente, essendo il silfio potente come un viagra odierno, eccellenti propiziatori di potenza virile. Inoltre chissà magari i monili fabbricati con questo oro silfico stimolavano la ricrescita dei capelli, il silfio aveva anche questa virtù e sai bene, senza che ti stia a citare Sansone e gli altri, il legame capelli/virilità. Ancora oggi, non esiste antidoto o pozione, per rimediare alle calvizie devi sottoporti a un costoso e doloroso trapianto.      Ma adesso basta chiudiamo l’argomento, fine della ricerca. Nel momento in cui siamo sbucati in questo mondo incantato, siamo giunti alla fine dell’arcobaleno, dove è sepolta la pentola d’oro. Sono certa che senza esserne consapevoli viviamo già nell’età dell’oro, siamo all’inizio ma non ce ne accorgiamo. Se alla fine delle ricerche ho incontrato il luogo più bello del mondo, vuol dire che  le prospettive sono rosee. Ora lasciamelo godere”.

“Sì, Lyuba, questo luogo è di una bellezza struggente, da una parte una natura incontaminata, selvaggia, lussuriosa quasi carnale, peccaminosa e casta come un giglio immacolato nella sua magnificenza, quando i petali sono aperti e i pistilli sono gonfi e rilasciano quella specie di porporina dorata che ti macchia le dita e il cuore. Dall’altra, ciò che ha creato l’uomo con la sua tecnica, immensi fumaioli che si stagliano in cielo e lo rendono grigio, edifici enormi oscuri e via vai di auto e camion, la vicinanza di questi due mondi, rende dolce e tormentoso il ricordo di ciò che si è perso o si perderà, la città industriale a pochi metri da questa profusione di verde e di acque, una dicotomia netta, qui il tormento è dovuto dalla separazione incolmabile fra due mondi diversi, il tributo che paga l’uomo alla tecnica, il suo allontanamento dalla Natura e il suo avvicinamento all’uomo robot, all’uomo macchina, per un benessere che oggi è ormai stravolto, qui è lampante lo sfregio dell’uomo a questa Natura, che ti assomiglia sai Lyuba.”

Rico la stava guardando con occhi così intensi, che a Lyuba parve un altro uomo, lo stesso che ogni tanto sentiva in sé, un fremito la colse, subito rinchiuso.

La testa le girava, la stessa sensazione di qualche anno prima.

La testa sembrava svuotarsi e poi riempirsi di aria, energia e aria che si univano come in un amplesso e la testa e la testa le diceva… ti amo, ti amo, ti amo.

Lyuba tentava con tutto il suo essere di scacciare quell’aria dalla sua testa, pregò intensamente il Signore, di lasciarla nella sua castità, sapeva che se si fosse lasciata andare, anche solo a guardare gli occhi di Rico, con la nuova espressione che avevano, sarebbe stata travolta dai sensi, si incamminò fra l’erba alta, che le arrivava ai fianchi, sul sentiero che costeggiava gli specchi d’acqua e piano piano si calmò e l’aria le uscì dalla testa, il vuoto si riempì coi suoi neuroni, il suo cervello tornò padrone  dei suoi pensieri e soprattutto della sua volontà e fu presa completamente dalla bellezza del luogo dove si trovava.

 

  

sabato 1 luglio 2023

Il volo del gruccione


Capitolo 36

Melkizedek, il sacerdote o re del mondo

 

 

“Gli artisti sono sempre un po’ zingari, un po’ diversi da ciò che caratterizza la società normale, anche loro sono, secondo le epoche, amati e apprezzati o considerati genti quasi di malaffare e da evitare, sarà forse per questo che hanno raffigurato gli zingari, i loro costumi, usi e tradizioni in una moltitudine di opere d’arte. Li hanno raffigurati nell’arte del borseggio, della chiromanzia e della buona ventura di cui l’autore più celebre è certo Caravaggio. Hanno rappresentato la zingara  assai femminile, dotata di un fascino simile alla tigre, Frans Hals, Manet, Courbet, Picasso, Matisse, Rousseau, ma forse la gitana più intrigante e misteriosa di tutti i tempi è la zingara a seno nudo col bimbo in braccio nella Tempesta di Giorgione. Dipinto il cui tema non è ancora stato ben identificato, qualcuno lo ritiene una raffigurazione della Fuga in Egitto della Sacra Famiglia. Nel 1500/1600 il tema della Fuga in Egitto era molto popolare nelle arti visive, veniva assimilato al peregrinare degli zingari. Una leggenda raccontava, che durante la fuga, mentre Giuseppe e Maria  scappavano dal re Erode che aveva ordinato l’uccisione di tutti i bambini maschi sotto i due anni,   dovevano passare da un posto di blocco di soldati, una zingara li aiutò nascondendo il bambino fra le sue vesti, i soldati fermarono la zingara e le chiesero che cosa avesse nella bisaccia. Lei rispose che portava un bambino, il più bel bambino del mondo. I soldati, sapendo che la zingara era una grande bugiarda, la lasciarono passare senza guardare. Come ricompensa, Dio permise agli zingari di poter rubare cinque soldi al giorno. Stesso discorso per gli zingari presenti sui dipinti della Crocifissione, secondo la leggenda sarebbe stato dato proprio a un fabbro zingaro l’incarico di forgiare i chiodi per crocifiggere Gesù. Un’altra leggenda racconta che la zingara che si trovava sul luogo della crocifissione, mossa a compassione, cercò di rubare i chiodi ma riuscì a sottrarne solo uno. Grazie a questo gesto, Gesù le concesse di poter rubare senza essere vista. Sempre nello stesso periodo, da alcuni artisti la Madonna venne rappresentata come una zingara, Bramantino, Tiziano e poi la celebre e bellissima Madonna della Seggiola di Raffaello o ancora quella del Caravaggio coi piedi nudi e sporchi, che ebbe non poche critiche dalle autorità religiose, con quel bambinone così grande in braccio. Sai che il bambino zingaro è tale fintanto che il posto non gli viene usurpato da un nuovo nato, la donna zingara ha sempre un bambino in braccio. Non solo dipinti, ma grandi storie d’amore, di tradimenti, di coraggio, di libertà sono rappresentate dal mito della bella gitana, Zemfira, Carmen, Esmeralda, Mignon, Azucena sono solo alcune. Poesia, letteratura, opera lirica, film, la figura della bella gitana eccita i sogni e i sensi, coi suoi capelli lunghi e neri e gli occhi di fuoco, passionale e selvaggia. Gli esordi dell’eroina zingara sulla scena letteraria e artistica si fanno risalire a Cervantes con La Gitanilla, per esplodere con la Bohéme parigina, in cui gli artisti vagheggiavano a uno stile di vita zingaresco, descrivendoli nei loro diari di viaggio, nei romanzi e nei dipinti, sino a giungere al beat degli anni Settanta, al popolo hippy, poi scomparso e se ci pensi Rico, oggi è ritornato il nomadismo con la globalizzazione, la questua la fanno gli immigrati, rubare lo fanno un po’ tutti e gli zingari diventano stanziali, ho letto da qualche parte che negli ultimi decenni gli zingari si sono avvicinati con molto zelo alle religioni evangeliche, pensa loro così attaccati alle arti occulte e alla stregoneria, l’attività missionaria è svolta dai rom e sinti stessi, forse la loro maledizione è finita”.

“Lyuba tu hai parlato degli zingari, ma non mi hai detto se tutto il tuo ricercare su di loro ti ha portato al silfio”.

“Stiamo arrivando in fondo al viale, dalla luce che proviene penso che il bosco finirà… il silfio con gli zingari ci azzecca poco”.

“Però se il gruccione ti ha portato qui un motivo ci sarà, no?”

“Rom, sinti, kalé, sono alcuni  dei loro gruppi etnici più conosciuti, in Italia sono presenti soprattutto le prime due etnie, i kalè sono prevalentemente in Spagna, ma ci sono, soprattutto in Germania e in Svizzera, nomadi che a prima vista sembrano identici a loro, vengono chiamati jenisch, sembra che discendano dai celti o da nomadi ebrei e non si ritengono zingari, questo non ha impedito che i nazisti li eliminassero tale e quale ai rom, dei tinkers irlandesi ti ho già detto. Mmm, nessuno sa con certezza da dove siano venuti e perché non si fermino mai. Ci sono molte leggende su di loro, che li descrivono come un popolo misterioso e dotato di poteri soprannaturali. Qualcuno li pensa discendenti del popolo di Atlantide: se una civiltà progredita e cancellata da un diluvio o altro è esistita, si può ben pensare che i superstiti abbiano fondato altre civiltà, ad esempio quella egiziana...”

“Scusa, ti interrompo e gli abitanti di Atlantide da dove sono venuti? Erano di certo i pleiadiani e…”

“Scusa se ti interrompo, lo dico io, non mi interessa da dove venivano quelli di Atlantide, prima occorre stabilire se è veramente esistita e penso proprio di sì. I superstiti di Atlantide hanno fondato nuove civiltà in tutto il mondo, dagli egiziani ai maya e altri. Le piramidi, sono la testimonianza, in cui è evidente una discesa tecnologica invece che una salita come è ovvio che sia”.

“Cosa intendi dire?”

“Per esempio che le piramidi di Giza ancora oggi non si sa come sia stato possibile costruirle, mentre quello che è stato edificato dopo, benché eccellente non è all’altezza tecnica, come se piano piano si fossero perse le conoscenze. Non conoscendo più queste tecniche il mito racconta di dèi e giganti. Un po’ come nel Medioevo, quando i ponti erano chiamati del diavolo, in quanto avendo smarrito le tecniche, con la caduta dell’impero romano, la popolazione riteneva impossibile per un uomo creare tali costruzioni”.     

“Scusami Lyuba, mi trovo in accordo su ciò che hai detto, ma che c’entrano gli zingari con Atlantide?”   

“Se i superstiti fondarono ad esempio l’antico Egitto, gli zingari diventarono nomadi per portare in ogni dove i rimasugli delle conoscenze di Atlantide, un po’ come racconta la storia egizia sui libri di Thot che furono nascosti in ogni parte del mondo. Sicuramente Atlantide aveva conoscenze tecniche ma anche trascendentali come telepatia e telecinesi, forse alzarono con la mente i grossi massi delle piramidi. Comunque la loro provenienza da Atlantide è solo una tra le tante ipotesi. Altri sostennero che la loro origine risalisse all’età del bronzo: gli zingari erano noti come i calderai, venivano identificati con i fabbri, considerati una sorta di artefici stregoni. La tradizione della lavorazione dei metalli era antichissima presso di loro e la loro abilità era riconosciuta ovunque. Loro stessi asserivano di avere poteri sul fuoco. Il potere sul fuoco era connesso a Efesto/Vulcano e a tutto ciò che è legato al fuoco, alle vestali, ai gemelli Romolo e Remo, la cui nascita avvenne dall’unione di Vesta protettrice del fuoco e Marte dio della guerra…”

“Scusami, ti interrompo ancora, Atlantide si ipotizza che fosse situata nell’Oceano Atlantico davanti allo stretto di Gibilterra, da questo luogo, questi abitanti evoluti, a conoscenza del disastro che sarebbe avvenuto, certuni potrebbero essersi imbarcati su delle navi, generando il mito dell’arca di Noè con nessi anche con le navi egizie che servivano per i morti nel loro viaggio, altri potrebbero essersi nascosti in sotterranei in stato di ibernazione, la stessa cosa che si fa oggi pensando ad una guerra nucleare. Qualcuno sarà andato ad Ovest qualcun altro a Est”.

“Mmm, potrebbe essere, ma tornando agli zingari e alla loro maestria coi metalli, che ci riporta a Caino, il cui discendente Tubalcain era costruttore di armi, pone un quesito: come mai gli zingari abili coi metalli e quindi con la costruzione di armi non hanno mai fatto guerre, sia possibile che la loro maledizione discenda dal fatto che al tempo di Atlantide fossero loro che con le loro armi causarono parte della distruzione della civiltà di Atlantide? In effetti se erano tanto evoluti se in accordo fra di loro potevano ben salvarsi no?”

“Lyuba, una cosa è certa, il fatto che erano chiamati calderai li accomuna al magico calderone del graal  e ai caldei l’antica popolazione di cui si dice: “Da molto tempo i caldei hanno condotto osservazioni sulle ‘stelle’ e primi tra tutti gli uomini hanno indagato nella maniera più accurata i movimenti e la forza delle singole stelle; per questo essi possono predire molto il futuro degli uomini”. (Diodoro Siculo)

“Giusto Rico, gli zingari sembrano avere conoscenze, in particolar modo, astrologiche e sui metalli. Soprattutto sono legati al rame il primo metallo conosciuto dagli uomini, successivamente unendo il rame allo stagno l’uomo ottenne il bronzo, infine si ebbe l’uso del ferro”.

“Lyuba, credevo che il loro metallo preferito fosse l’oro, ne ho visti certi con catenoni che saranno pesati dei chili, poi anelli e bracciali e denti scintillanti a 24 carati”.

“Sì per adornarsi usano l’oro ma per arricchirsi utilizzano il rame. Hai mai sentito parlare di  Buzescu? È un villaggio vicino a Bucarest, qui i rom vivono in una specie di villaggio da mille e una notte e le loro case sono delle regge, hollywoodiane, faraoniche, pacchiane e incredibili. Sia gli uomini che le donne sono coperti da catene, pendagli, bracciali e crocefissi costosi e gli uomini usano portare anche cravatte in maglia d’oro. Sai da dove viene tutta questa ricchezza? Dalla vendita delle pentole di rame”

“Stai scherzando, Si guadagnano tutti questi soldi col rame?”.

“Non credo, ciò non toglie che i rom siano gli artisti del rame”. 

“Il rame è chiamato anche oro rosso e viene chiamato anche cuprum, da cui deriva il simbolo chimico dell’elemento, perché in epoca romana la maggior parte del rame era estratta dall’isola di Cipro, l’isola di Venere… sai che gli zingari sono grandi estimatori e intenditori della bellezza femminile? E sai che si dice che il rame abbia proprietà terapeutiche per il nostro corpo? L’uso di portare braccialetti di rame al polso per combattere le manifestazioni reumatiche e prevenire i processi infettivi fu introdotto circa 6000 anni a.C. proprio dai caldei. Nella Bibbia, Dio impartisce a Mose il comando: “Per le purificazioni farai una vasca di rame con il piedistallo di rame e la riempirai d’acqua. Aronne e i suoi figli useranno questa acqua per lavarsi le mani e i piedi. Così non moriranno. Essi devono lavarsi le mani e i piedi per non morire. Questa prescrizione rituale ha valore assoluto per lui e tutti i suoi discendenti”. Oggi è riconosciuto che il rame ha proprietà per il nostro corpo a livello chimico, elettromagnetico ed elettrico”.

“Lyuba non trovi strano che negli Anni Settanta era di moda portare i braccialetti di rame? Ce l’avevano quasi tutti”.

“Forse sì, forse no, allo stesso modo oggi possono sembrare strani anche tutti i furti di rame che avvengono, addirittura ci sono stati dei blocchi dei treni, per i furti di rame ai binari, spesso vengono imputati proprio agli zingari. Ecco torniamo agli zingari, che si definiscono rom cioè uomini, gli altri i gagè, secondo loro, sono creduloni, superstiziosi, troppo attaccati alle cose, viceversa i gagè pensano di loro che siano sporchi, ladri, senza cultura. Le ipotesi sull’origine degli zingari sono veramente tante e disparate, la tesi più convincente è che siano indoeuropei, dove è nata la nostra lingua, l’Urheimat degli Indoeuropei, ovvero dalle steppe della Russia. Qualcuno li identifica figli di Caino, altri come camiti ovvero i discendenti di Cam, il figlio di Noè, in entrambi i casi maledetti, dovendo espiare come scrive la Bibbia: “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette”,  e più tardi Cristo dice: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”, vedi Rico gli zingari avevano ragione i sette anni iniziali del loro pellegrinaggio diventano illimitati in quanto il dilagare dell’odio nei rapporti fra gli uomini del mondo aumenta in maniera spaventosa: c’è sempre più da perdonare. Nel caso della successiva discendenza camita, espiavano la maledizione di Noè contro suo figlio Cam che lo aveva deriso quando lo sorprese nudo e ubriaco nella sua tenda, e che per questo furono costretti a vagare sulla terra.  Dei camiti fanno parte i berberi, gli etiopi, gli egizi, i cananei, se questo è vero ecco che i rom si possono agganciare alle popolazioni nomadi dei berberi chiamati laguatan che abitavano il territorio della cirenaica durante il periodo romano. I laguatan adoravano Gurzil, un dio guerriero a forma di toro, identificato come il figlio di Amon, ritorna così il discorso del vitello d’oro.  Altri pensano che facessero parte della stirpe di Caino, forse per il loro legame col fuoco e il fatto che erano degli ottimi fabbri, oppure sacerdoti al servizio dei faraoni d’Egitto, ci sarà pure un motivo se questo Egitto salta sempre fuori, tra l’altro quando uno di loro muore, vengono bruciati tutti i suoi beni, così non si creeranno liti, nelle loro sepolture trovano posto il letto, il comò, i quadri, modellini di moto e macchine di lusso, mutuando così un poco i riti funebri egizi. Nel territorio bizantino, nei secoli VIII e XI, i rom vengono chiamati athinganoi, dal nome degli aderenti ad un’antica setta eretica che praticava la chiromanzia e la stregoneria e che erano chiamati anche Melki-Zedekites e con questo nome ci addentriamo nel mistero dei misteri, sino ad arrivare ad Atlantide e al re del mondo. Dove vive il re del mondo e chi è? In un luogo inaccessibile, forse conosciuto dal piccolo popolo degli zingari, un Centro Spirituale Supremo dal quale emanano energie da cui dipende, in modo più o meno diretto, tutto il creato. Melkizedek, il sacerdote o re del mondo richiede di mantenersi puri e casti, chiede la rinuncia totale ad ogni amore terrestre per poter diventare parte di una fratellanza angelica e da questo centro sembrerebbe inviato il mio gruccione. Tieni conto che Melkizedek è raffigurato nei mosaici in San Vitale a Ravenna mentre assieme ad Abele dona le offerte a Dio, preannunciando l’offerta dell’Eucaristia che accade durante la Messa. Nel XV gli zingari arrivano nell’ Europa centro-occidentale guidati da capi che affermano di essere “duchi o marchesi d’Egitto” e come lasciapassare hanno lettere di protezione da parte dell’imperatore Sigismondo, re d’Ungheria e Boemia, si definiscono pellegrini egiziani, costretti a vagare sette anni per espiare il loro voto. Ovunque è assicurata loro immunità, ma successivamente il passaporto di Sigismondo non è più sufficiente così pare che ottenessero un lasciapassare addirittura dal pontefice romano. Un ulteriore intreccio fra gli zingari e la Romagna si ha con Sigismondo. L’imperatore del Sacro Romano Impero, nel 1433 aveva nominato cavaliere il quindicenne Gismondo Malatesta di Rimini insieme al fratello Domenico. Dopo questa investitura, fu dato loro un nuovo nome: Gismondo, con l’aggiunta di una sillaba, divenne Sigismondo, mentre Domenico, Signore di Cesena, fu chiamato Novello erano forse diventati cavalieri di quell’Ordine del Drago Rovesciato, fondato nel 1418 dall’imperatore? Di cui faceva parte anche l’atleta di Cristo il Castriota che aveva legami con l’impero bizantino e successivamente con quello russo? Sempre nel 1433 l’imperatore adottò come simbolo del Sacro Romano Impero, l’aquila bicipite che era l’emblema del Castriota. Come vedi, Rico, senza sapere nulla, muovendomi con ciò che mi suggeriva il gruccione, ho indagato su temi che alla fine della storia riappaiono e si intrecciano ma il silfio cosa c’entra? Ci sono grandi differenze tra i diversi gruppi di zingari: alcuni sono musulmani, altri cristiani ortodossi, altri cattolici o luterani. Alcuni festeggiano il Natale e la Pasqua, altri festeggiano il Bajram che è la festa più importante per il popolo di fede mussulmana, anche alcuni elementi di origine indiana sono comuni, pur se affiancati alle religioni dei paesi ospitanti. Comune a tutti gli zingari è la credenza negli spiriti dei morti e la fede nella ruota della fortuna legata al suo destino. Il concetto rom di marimè  equivale alla forma negativa del concetto ebraico di kosher; il primo indica impurità rituale, mentre il secondo si riferisce alla purezza rituale. Quello che è marimè per un rom, non è kosher per un giudeo, ma entrambi prenderanno le dovute misure per non contaminarsi con tali cose oppure seguiranno determinate regole di purificazione. Dopo tutto questo riassunto, ipotizzo e poi chiudo e la ricerca muore come è morto il gruccione. È possibile che ci sia un Centro, posto nell’Urheimat indoeuropea, la patria originale, da cui emanano energie. La castità e la purezza sono le doti per attivare da questo Centro energia positiva, gli zingari sono le genti che sono in grado di captare che tipo di energie provengano dal Centro, localizzabile forse in Medio Oriente. Gli zingari popolo maledetto perché? È qualcosa che a che fare con l’oro che loro rubano e portano addosso a pacchi. Perché loro rubano? Perché con ciò ricordano il mito: a volte occorre anche rubare magari con destrezza. I miti fondanti sono basati sul ratto, il mito della nascita dell’Europa è fondato su un rapimento, la guerra di Troia è scatenata dal ratto di Elena, Eracle ruba i pomi d’oro e un sacco di miti narrano di ruberie, furti di mandrie, il vello d’oro stesso è un furto. Gli zingari smetteranno di rubare quando si avrà il ritorno all’era chiamata dell’età dell’oro, ora siamo alla fine del kali yuga, che rappresenta l’età caotica del ferro. È possibilissimo che gli zingari fossero in cirenaica, nel I secolo e che rubassero a man bassa il silfio, che al tempo era sinonimo di oro, come secoli prima rubarono l’oro per costruire il vitello, loro idolo. Il silfio veniva usato come foraggio per gli animali che così avevano una carne speciale, probabile che gli zingari usassero il silfio per fondere l’oro o forgiare il rame, che così avrebbe avuto un valore speciale, causando la scomparsa della pianta e per questo scacciati e maledetti. È possibile che ne abbiano conservato qualche pianta preservandola lungo i tempi, che mostreranno, essendo indovini quando sarà il momento giusto, che coinciderà con l’emissione di molta energia positiva dal Centro e sicuramente con un allineamento particolare di certi pianeti e stelle. Pare che il momento propizio sia giunto e pare pure che il silfio apparirà. Tenendo conto di Melkizedek e di Sigismondo il silfio riapparirà nel territorio fra Ravenna e Rimini, anzi penso addirittura che sia possibile il ritrovo del silfio nel Delta del Po, dove ci troviamo ora. La Via degli zingari, è una via di recente denominazione che ricorda che qui un tempo c’era il campo nomadi comunale ormai dismesso, e gli zingari ritornano sempre nei loro luoghi sin dai tempi più antichi. Per ultimo ti dico che la parte politica che ne trarrà più vantaggio sarà probabilmente la Russia visto che quel tale Duga, ha il nome del segnale russo e visto l’emblema dell’Albania, del Castriota ecc. L’aquila bicipite fu adottata come stemma imperiale per la prima volta dall’imperatore romano Costantino il Grande, come stemma dell’Impero romano d’oriente fino all’ultima dinastia di imperatori bizantini: quella dei Paleologi. La Chiesa ortodossa greca usa l’aquila bicipite come eredità dei bizantini. Lo stesso stemma fu poi usato dagli Arsacidi i re d’Armenia, e più avanti dagli Asburgo, imperatori d’Austria e re d’Ungheria, e dai Romanov, zar di tutte le Russie. Anche i re di Serbia, i principi di Montenegro, e l’eroe albanese della resistenza contro i turchi ottomani, Giorgio Castriota adottarono l’aquila bicipite come emblema. L’aquila bicipite fu simbolo anche per il regno di Mysore nell’India. L’aquila bicipite bizantina con due teste separate fin dal collo e rivolte in due direzioni opposte rappresenta l’Occidente e l’altra l’Oriente, l’aquila bicipite sarà il simbolo della nuova età dell’oro e se non possibile sarà solo un’età del rame, migliore comunque che quella odierna del ferro. Come ti sembra il mio ragionamento?”