venerdì 10 maggio 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello




Cartolina pollo di Paola Tassinari 

Questa immagine è una cartolina, misura 10x15, dipinta ad acrilico, del 2010/12, è una delle tante che ho realizzato in quel periodo, questa in particolare è una cartolina pubblicitaria sulla vendita di pollame, in cui al centro ho lasciato il pollo così come era raffigurato, aggiungendo con colori dal bianco al nero una figura di donna a mezzo busto che presenta, su una specie di tavolo da vivisezione o di obitorio, il povero pollo ormai morto, creando un’atmosfera lattiginosa. Il messaggio vuole focalizzarsi sul nostro essere anche carnivori, la carne è necessaria perché la vitamina B12, è presente solo negli alimenti di origine animale. La vitamina B12 è fondamentale per potenziare il sistema immunitario, produrre globuli rossi e proteggere il sistema nervoso e circolatorio, ma ce ne basta pochissima, quindi mangiamo carne con parsimonia e col dovuto rispetto per l’animale allevandolo in condizioni tollerabili. Gli indiani d’America uccidevano gli animali ma, prima ringraziavano il loro spirito, ringraziavano il bisonte o il cervo dicendogli che un giorno li avrebbero ricambiati nutrendo i loro cuccioli… mangiamo carne con rispetto, questo è il messaggio. La scritta sulla parte destra “non fare il pollo”, cioè il credulone e il facile da raggirare è riferita a noi in quanto oggi è diventato molto difficile districarsi negli impigli/impicci del vivere. Questa cartolina fa parte di una serie di altre create da cartoline esistenti in cui ribalto il messaggio tramite i colori acrilici, mentre altre cartoline sono state create ex novo e molte sono state spedite con messaggi bene augurali a conoscenti e a gente sconosciuta i cui indirizzi ho copiato dall’elenco telefonico. Per un paio di anni, ispirata da Marcel Duchamp ho effettuato qualche performance, oltre a inviare cartoline coi miei disegni, ho messo cartelli nella mia città, Ravenna, per stimolare la solidarietà, sono stati eventi nel vento, ma questo non importa, non toglie nulla in quanto la performance è propria dell’attimo in cui vive. L’artista francese Marcel Duchamp (1887-1968), da me molto amato, viene considerato uno dei maggiori rappresentanti del Dadaismo, anche se Duchamp ne sconfessava l’appartenenza, ma come poteva essere altrimenti? Duchamp stesso amava ironizzare su tutto impegnandosi a sovvertire tutte le regole. Il termine stesso di dada non significa nulla, essendo una parola che ricorda il primo balbettio emesso dai bambini. Si racconta che questa parola sia stata trovata dai dadaisti aprendo a caso il vocabolario francese, quando cercavano un nome adatto a esprimere la loro protesta. Dada in dialetto romagnolo, che si dice sia molto simile all’idioma francese, ha significato di persona cara, nel linguaggio infantile. Il Dadaismo nasce a Zurigo, mentre l’Europa è sconvolta dalla prima guerra mondiale e la Svizzera è neutrale. In questa nazione neutrale si incontrano rifugiati e dissidenti politici, tra loro ci sono artisti, poeti, attori come Tristan Tzara e Hugo Ball che nel 1916 fondano il Cabaret Voltaire. Si tratta di un caffè letterario dedicato ironicamente al filosofo illuminista Voltaire: si organizzavano spettacoli che mettevano in ridicolo proprio la razionalità in cui Voltaire credeva. I dadaisti rifiutano valori come patria, morale e onore che hanno portato allo scoppio della guerra; esaltando tutto quanto è casuale e privo di senso. Duchamp più di tutti gli artisti dadaisti è fuori da ogni schema, ha elevato l’anormalità ad arte, anzi il rifiuto della norma diviene opera d’arte e lui stesso si trasformava in arte con travestimenti e atteggiamenti spregiudicati. Nato in un paese della Normandia in una famiglia numerosa, si vota alla carriera artistica occupandosi di cose diverse: esegue caricature per i giornali, si interessa di teatro, gioca a biliardo, lavora presso una biblioteca e ha una spropositata passione per gli scacchi… non poteva essere altrimenti perché a guardare bene tutta la sua vita è stata un gioco, chissà se si è divertito o era solo una maschera di dolore che nascondeva l’orrore di non credere in nulla, in nullissima cosa. Man Ray, amico di Duchamp e artista surrealista scrisse così di lui in merito al suo sposalizio avvenuto nel 1927: “Duchamp passò la maggior parte della settimana del viaggio di nozze a studiare problemi di scacchi e sua moglie per la disperazione si vendicò alzandosi una notte mentre egli dormiva e incollò tutti i pezzi alla scacchiera. Divorziarono tre mesi dopo”. Secondo il mio pensiero Duchamp è il fondo del nichilismo, da dove si deve risalire: una delle mie ultime opere concettuali (L’Arte concettuale è una corrente artistica contemporanea sorta intorno al 1960 che, partendo dal rifiuto della mercificazione dell’oggetto d’arte, pone l'accento sul momento dell’ideazione e progettazione dell’opera e non sarebbe potuta esistere senza Duchamp). E’ un’immagine che raffigura l’ampolla con l’incisione “Aria di Parigi”, un’opera famosa di Duchamp: una boccetta di vetro rotta, vuotata e riparata da un farmacista parigino così da contenere aria di Parigi, il mio intervento si è limitato nello scrivere in verde sopra l’incisione “Aria di speranza”, opera da me creata per la pandemia del Covid-19.

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