mercoledì 7 marzo 2018

DANTE 5

Nei primi anni del nuovo secolo, il poeta comincia a comporre Il Convivio, un’enciclopedia del sapere umano in volgare , che si impegni ad acculturare in particolari i signori italiani in modo da combattere la corruzione dilagante e il De Vulgari Eloquenti, un trattato in latino sulle origini e le strutture delle lingue parlate in Europa. Opere che lascerà incompiute per occuparsi della sua Commediapoema narrativo in volgareDurante questo periodo, Dante viaggia in diverse regioni: si trova a Lumigiana, alla corte dei Malaspina, a Forlì, forse a Parigi, e a Verona, alla corte di Cangrande della Scala, dove resta probabilmente fino al 1318. L'arrivo in Italia di ArrigoVII o Enrico VII, Enrico in tedescxo, Arrigo in volgare, (1310) ispira forse a Dante il trattato politico Monarchia, la datazione è tuttavia incerta, in cui scrive della teoria dei due soli che non sono in contrapposizione fra loro perchè uno l'imperatore si occupa del potere temporale l'altro il papa di quello spirituale. Secondo la concezione di Dante dai due soli , potevano venire la sicurezza e il benessere materiale e la salute dell’anima, scopo ultimo della vita terrena. Nel 1308 Dante era in Toscana, nuovamente immerso nella politica, pieno di speranza per la discesa in Italia di Arrigo VII che voleva restaurarvi il potere imperiale. L’impresa era impossibile, ma Dante si infiammò indirizzò una lettera solenne a tutti e’ singoli regi d’Italia e a’ senatori dell’alma cittade, a’ duchi e a’ marchesi e a tutti i popoli, per invitarli a sottomettersi all’Imperatore, ma questi re e senatori non ne avevano nessuna intenzione.
Agli scelleratissimi fiorentini Dante scrisse allora un’altra lettera invocando sulla loro testa morte e distruzione. Ed una terza indirizzò ad Arrigo per sollecitarlo a castigare la città ribelle. Ne invocava la resa incondizionata, il massacro, l’incenerimento, ma Arrigo morì ben presto e tutto sfumò. I fiorentini, che sono da sempre un po' altezzosi, promulgarono un’amnistia ma non perdonarono Dante e diciamocelo che sbaglio fecero, Dante ebbe il duro pane ma Firenze perse per sempre il suo uomo più illustre. Povero assai, trapassò il resto della vita dimorando in vari luoghi per Lombardia e Toscana e per Romagna sotto il sussidio di vari Signori, dice uno dei suoi primi biografi, Leonardo Bruni. E' quasi certo che il primo di questi Signori fu Cangrande della Scala a Verona, non si sa poi con certezza perché accolse l’invito di Guido Novello da Polenta di stabilirsi a Ravenna. La quiete, il silenzio, di Ravenna, la stima e la cordialità con cui si vide accolto da Guido e le lunghe passeggiate nella pineta, forse resero Dante un po' meno arrabbiato. Ogni tanto Guido lo incaricava di qualche missione, ma riservandogli solo quelle più delicate per non distrarlo dalle sue carte. Fu così che una volta lo mandò a Venezia per risolvere una spinosa diatriba che minacciava di sfociare in una guerra tra le due città. S’ignora come Dante se la cavasse. Forse non fece nemmeno in tempo a svolgere il suo compito perché cadde ammalato e, sentendo approssimarsi la fine, affrettò il ritorno. Doveva trattarsi di una forma acuta di malaria perché aveva la febbre altissima e delirava. Quando arrivò a Ravenna era già allo stremo. Non si sa nemmeno se riconoscesse i volti dei figli e degli amici che si avvicendavano al suo capezzale. Spirò nella notte fra il 13 e il 14 settembre del 1321. Il feretro su cui era adagiato il Poeta vestito con un saio francescano fu portato sulle spalle degli uomini più illustri alla Chiesa di San Francesco dove oggi accanto vi è il suo sacello. I contemporanei non si accorsero molto di quella scomparsa: Dante era molto meno conosciuto e ammirato di certi mediocri latinisti come Giovanni del Virgilio; e anche tra i poeti lo si considerava inferiore a un Guinizelli che Bologna aveva laureato ad honorem. La sua grandezza fu scoperta molto più tardi. Il primo a farsene un’idea abbastanza esatta, bisogna riconoscerlo, fu Boccaccio.

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