mercoledì 1 febbraio 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 21

Gli Afaretidi e i Dioscuri eterni rivali

 

 

Linceo e Idas erano gemelli ed erano chiamati Afaretidi, in lotta perenne con i gemelli Castore e Polluce soprannominati i Dioscuri, questi ultimi assai conosciuti in Italia in quanto le loro statue appaiono maestose sia a Roma, nella cordonata del Campidoglio e a Piazza del Quirinale, che a Torino all’entrata di Palazzo Reale; erano protettori  dei naviganti; Castore era domatore di cavalli, Polluce era valente nel pugilato, venivano associati alla costellazione  dei Gemelli; erano raffigurati nudi, essendo divini, col mantello, il berretto orientale, una stella sui capelli e un cavallo al loro fianco, perciò anche rappresentanti  dei cavalieri. 

Il culto dei Dioscuri era assai sentito dagli antichi romani, in quanto erano gemelli come Romolo e Remo e grazie alle loro apparizioni miracolose che garantivano la vittoria romana nelle battaglie; a parere di molti il loro culto sarebbe sopravvissuto nella Chiesa cattolica coi Santissimi Cosma e Damiano che erano gemelli e medici: curavano il corpo, senza farsi pagare, sanavano l’anima portando il conforto della parola di Dio.      

Gli Afarediti: Idas era un guerriero fortissimo ma impulsivo, Linceo era dotato di una vista acutissima… Lyuba si rese conto che la sua passione per i fumetti probabilmente le veniva dal suo interesse per la mitologia, in quanto Linceo le ricordava Superman.          

Gli Afarediti sposarono le Leucippidi (Ileria e Febe), figlie del re Leucippo, che era fratello di Tindaro, quindi imparentato coi Dioscuri, questi ultimi rapirono le cugine, evento che causò eterno rancore fra le due coppie di gemelli. 

Gli Afaretidi e i Dioscuri nonostante la loro rivalità parteciparono assieme a molte imprese: con gli  argonauti, aiutando Giasone a recuperare il vello d’oro; con altri grandi eroi alla caccia del cinghiale calidonio; compirono anche una razzia di bestiame in Arcadia, conclusa la quale, alla divisione del bottino, litigarono furiosamente e si uccisero a vicenda, si salvò solo Polluce perché figlio di Zeus… Polluce e quella strana storia delle due uova deposte da Leda, sedotta da Zeus trasformato in cigno, in cui in uno c’erano Elena e Polluce che erano divini, nell’altro Castore e Clitennestra, che erano mortali, in quanto Leda dopo essere stata con Zeus fornicò anche col marito, che storie pazzesche e se celassero delle realtà?

Possibile che gli antichi conoscessero la corsa eroica dello spermatozoo, per fecondare l’ovulo o addirittura il perché della nascita gemellare?

Forse non sono altro che il racconto per immagini simboliche di guerre che si svolgevano per il possesso di regni, ieri come oggi le alleanze politiche si alternano, litigano si dividono poi si riuniscono, secondo le convenienze. 

Forse hanno a che fare con spartizioni di terre e di potere in cui la donna è da sedurre, in quanto ricordo della supremazia del matriarcato.

Per quanto riguarda la nascita di Perseo, Danae fu sedotta da Zeus sotto forma di raggio di sole o di pioggia d’oro; dopo varie peripezie, madre e figlio furono abbandonati in una cassa e gettati in mare, vengono salvati da Polidette che si innamora di Danae e per questo vuole liberarsi di Perseo  inviandolo ad uccidere Medusa, sicuro che Perseo non riuscirà nell’impresa, invece Perseo ritorna vincitore e assieme alla madre ritorna ad Argo.

-Non andiamo più a ritroso-  si disse Lyuba, che ormai non sapeva più neanche a cosa pensava, le arrivavano le idee come le perle di una collana, ma invece di infilarle le sfuggivano dalla mano: occorreva tenere conto che c’era una specie di magia/errore in tutta la profusione gemellare, oltre a Linceo e Ida, Castore e Polluce, una lunga serie di duplicati: anche il nome Ida è proprio di due monti, uno a Creta, sacro a Rea, dove Zeus venne allevato dalla capra Amaltea e uno in Turchia dove Paride visse da fanciullo e dove Zeus rapì Ganimede per farne il suo amante.

Dopo Alessandro Magno e i Dioscuri, il simbolo della stella, come emblema di divinità, splende sulla fronte di Giulio Cesare, raffigurata nella sua statua e nel suo Tempio, si narra infatti del passaggio di una cometa al momento della sua morte.  

I funerali pubblici di Giulio Cesare, ebbero le caratteristiche di una cerimonia di divinizzazione, ma già in vita Cesare aveva enfatizzato la sua discendenza da Enea, che era figlio del mortale Anchise e di Afrodite, anche se questo suo orientalismo fu causa della sua morte.

Ottaviano, lentamente e scaltramente, non volendo fare la fine di Cesare, fece in modo che fossero gli stessi romani a chiedere la sua divinizzazione.   

Ad Alessandria, Ottaviano aveva visitato e onorato la tomba di Alessandro, depositando una corona d’oro e dei fiori, poi mutuando l’Argeade si era fatto rappresentare nelle sembianze di un faraone.

A tal proposito, Lyuba vorrebbe tanto sapere dove fosse celata la salma del Magno, sarà ancora nei pressi del luogo dove la vide Ottaviano?

Oppure no?

Il pasticcio è veramente tanto, basti pensare che quando l’arcivescovo Giovanni Crisostomo visitò la città di Alessandria nel 400, non trovò la tomba e nessun alessandrino era a conoscenza di tale luogo, mentre nel XVII secolo moltissimi erano gli stranieri che si recavano ad Alessandria per rendere omaggio a quella che si riteneva la tomba dell’Argeade.

Il luogo dove si trova la tomba è uno dei più grandi misteri dell’archeologia, tenuto conto del fatto che può benissimo essere stata trafugata… un’ipotesi assurda ma non impossibile è la strada veneziana.

Lyuba sorridendo, pensa che i veneziani nella loro secolare storia hanno sempre combattuto contro i pirati e i barbareschi ma pure loro in quanto a razzie non erano da meno, basti pensare alla quarta crociata in cui i veneziani invece liberare il Santo Sepolcro, si diressero prima a Zara e poi a Costantinopoli facendo, assieme agli altri crociati, razzia di tesori inestimabili e di preziose reliquie.

L’ipotesi veneziana si basa su un fatto storico realmente accaduto: nell’anno 828, il doge inviò ad Alessandria due mercanti di Venezia, per recuperare e portare in salvo le reliquie di San Marco, evangelizzatore in Egitto e fondatore della chiesa alessandrina. Lo scopo della spedizione era di salvare le ossa di San Marco, in quanto l’Egitto era stato invaso dagli infedeli musulmani, ma le spoglie portate a Venezia sarebbero state invece quelle di Alessandro Magno.

Come era mai stato possibile questo scambio?

Secondo alcune fonti, il corpo di Alessandro era visibile ancora nel IV secolo; nel 380 con l’editto di Teodosio, il cristianesimo diventa l’unica religione, tutte gli altri culti diventano eresie, è proprio in questo frangente che compaiono i resti di San Marco e scompaiono quelli di Alessandro… è possibile che con enfasi religiosa il ricco sarcofago di Alessandro, ormai solo un pagano, sia stato usato per i probabili resti di San Marco.  

Un altro elemento concorre a questa tesi, all’interno di San Marco è stato ritrovato un grosso blocco di pietra su cui è scolpito uno scudo macedone, con il motivo della stella argeade.

Nel 1811, fu eseguita un’ispezione ai resti di San Marco, certo non molto accurata, in quanto non c’erano i mezzi super tecnici di oggi, sembra comunque che vi fosse una salma intera e ossa di un altro corpo. Fantasie, ma potrebbe pure essere vero, nel medioevo la corsa alle reliquie era una specie di gara fra le città e sull’autenticità ci sarebbe molto da obbiettare: le presunte salme dei Re Magi si trovano contemporaneamente a Milano e a Colonia.

Altra fantasia è la probabile discendenza italiana di Alessandro Magno, che non ebbe eredi, tanto è che gli Argeadi si estinsero storicamente con Alessandro Magno tra il 310/300 a.C., tuttavia la “Gens Alexandri” del Sud Italia, di origine ellenico-bizantina, si collega in qualche modo, tramite medesimi simboli, alla leggendaria stirpe macedone in quel di Napoli, in cui si incontra pure l’eroe nazionale dell’Albania, Giorgio Castriota, chiamato dai turchi Skënderbe che vuol dire il principe Alessandro; inoltre il figlio di Castriota, Giovanni sposò l’ultima discendente della famiglia imperiale di Bisanzio, Irene Paleologo… tutti questi incroci hanno un senso? 

Il palazzo Castriota si trova a Napoli, rievoca una storia che ha unito le sorti del popolo albanese con quelle del Regno di Napoli: già nel 1271 Carlo d’Angiò fondò sulle rovine dell’Epiro, patria di Olimpiade madre di Alessandro Magno, il regno d’Albania, poi sul finire del XIV secolo e inizio XV  la presenza di mercenari albanesi assoldati ora dai baroni locali calabresi contro gli angioini e viceversa, ora da Alfonso V d’Aragona sempre contro gli angioini, ma fu solo con Giorgio Castriota   che l’alleanza con Napoli e in particolare con gli aragonesi, ebbe un significato più profondo. Mentre infatti continuava la contesa tra angioini e aragonesi, l’Albania di Castriota cercava con tutte le sue forze di respingere le invasioni dei turchi, in forte espansione.

L’obiettivo dichiarato dei musulmani era Roma.

Nel 1444, Giorgio Castriota divenne capo dell’Albania, fu l’unico baluardo della cristianità, riuscendo a tenere a freno gli infedeli, fu quindi la potenza del nemico contro cui combatteva a creare la sua fama e a rendere la famiglia Castriota, degna di stringere alleanze militari e matrimoniali con gli Aragona, strenui difensori della fede cristiana.

Le armate aragonesi di Alfonso V, scesero in campo al fianco del Castriota, in occasione delle due spedizioni ottomane di Maometto II contro gli albanesi.

Pochi anni dopo in segno di riconoscenza verso il Castriota, Ferdinando figlio di Alfonso V, concesse all’eroe albanese, appellato come “atleta di Cristo”, i feudi di Monte sant’Angelo, Trani e san Giovanni Rotondo.  

Castriota, l’eroe albanese morì di malaria nel 1468, è veramente molto strano di come molti grandi della storia siano scomparsi per colpa di questa malattia.

Dieci anni dopo l’Albania entrava a far parte dell’impero ottomano.   

 

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