Capitolo 21
Gli Afaretidi e i
Dioscuri eterni rivali
Linceo e Idas
erano gemelli ed erano chiamati Afaretidi, in lotta perenne con i gemelli
Castore e Polluce soprannominati i Dioscuri, questi ultimi assai conosciuti in
Italia in quanto le loro statue appaiono maestose sia a Roma, nella cordonata
del Campidoglio e a Piazza del Quirinale, che a Torino all’entrata di Palazzo Reale;
erano protettori dei naviganti; Castore
era domatore di cavalli, Polluce era valente nel pugilato, venivano associati
alla costellazione dei Gemelli; erano raffigurati
nudi, essendo divini, col mantello, il berretto orientale, una stella sui
capelli e un cavallo al loro fianco, perciò anche rappresentanti dei cavalieri.
Il culto dei
Dioscuri era assai sentito dagli antichi romani, in quanto erano gemelli come
Romolo e Remo e grazie alle loro apparizioni miracolose che garantivano la
vittoria romana nelle battaglie; a parere di molti il loro culto sarebbe
sopravvissuto nella Chiesa cattolica coi Santissimi Cosma e Damiano che erano
gemelli e medici: curavano il corpo, senza farsi pagare, sanavano l’anima
portando il conforto della parola di Dio.
Gli
Afarediti: Idas era un guerriero fortissimo ma impulsivo, Linceo era dotato di una
vista acutissima… Lyuba si rese conto che la sua passione per i fumetti probabilmente
le veniva dal suo interesse per la mitologia, in quanto Linceo le ricordava
Superman.
Gli Afarediti
sposarono le Leucippidi (Ileria e Febe), figlie del re Leucippo, che era
fratello di Tindaro, quindi imparentato coi Dioscuri, questi ultimi rapirono le
cugine, evento che causò eterno rancore fra le due coppie di gemelli.
Gli Afaretidi
e i Dioscuri nonostante la loro rivalità parteciparono assieme a molte imprese:
con gli argonauti, aiutando Giasone a
recuperare il vello d’oro; con altri grandi eroi alla caccia del cinghiale calidonio;
compirono anche una razzia di bestiame in Arcadia, conclusa la quale, alla
divisione del bottino, litigarono furiosamente e si uccisero a vicenda, si
salvò solo Polluce perché figlio di Zeus… Polluce e quella strana storia delle
due uova deposte da Leda, sedotta da Zeus trasformato in cigno, in cui in uno
c’erano Elena e Polluce che erano divini, nell’altro Castore e Clitennestra, che
erano mortali, in quanto Leda dopo essere stata con Zeus fornicò anche col
marito, che storie pazzesche e se celassero delle realtà?
Possibile che
gli antichi conoscessero la corsa eroica dello spermatozoo, per fecondare
l’ovulo o addirittura il perché della nascita gemellare?
Forse non
sono altro che il racconto per immagini simboliche di guerre che si svolgevano
per il possesso di regni, ieri come oggi le alleanze politiche si alternano,
litigano si dividono poi si riuniscono, secondo le convenienze.
Forse hanno a
che fare con spartizioni di terre e di potere in cui la donna è da sedurre, in
quanto ricordo della supremazia del matriarcato.
Per quanto
riguarda la nascita di Perseo, Danae fu sedotta da Zeus sotto forma di raggio
di sole o di pioggia d’oro; dopo varie peripezie, madre e figlio furono abbandonati
in una cassa e gettati in mare, vengono salvati da Polidette che si innamora di
Danae e per questo vuole liberarsi di Perseo inviandolo ad uccidere Medusa, sicuro che
Perseo non riuscirà nell’impresa, invece Perseo ritorna vincitore e assieme
alla madre ritorna ad Argo.
-Non andiamo
più a ritroso- si disse Lyuba, che ormai
non sapeva più neanche a cosa pensava, le arrivavano le idee come le perle di
una collana, ma invece di infilarle le sfuggivano dalla mano: occorreva tenere
conto che c’era una specie di magia/errore in tutta la profusione gemellare,
oltre a Linceo e Ida, Castore e Polluce, una lunga serie di duplicati: anche il
nome Ida è proprio di due monti, uno a Creta, sacro a Rea, dove Zeus venne
allevato dalla capra Amaltea e uno in Turchia dove Paride visse da fanciullo e
dove Zeus rapì Ganimede per farne il suo amante.
Dopo
Alessandro Magno e i Dioscuri, il simbolo della stella, come emblema di
divinità, splende sulla fronte di Giulio Cesare, raffigurata nella sua statua e
nel suo Tempio, si narra infatti del passaggio di una cometa al momento della
sua morte.
I funerali
pubblici di Giulio Cesare, ebbero le caratteristiche di una cerimonia di
divinizzazione, ma già in vita Cesare aveva enfatizzato la sua discendenza da
Enea, che era figlio del mortale Anchise e di Afrodite, anche se questo suo orientalismo fu causa della sua morte.
Ottaviano, lentamente
e scaltramente, non volendo fare la fine di Cesare, fece in modo che fossero
gli stessi romani a chiedere la sua divinizzazione.
Ad Alessandria,
Ottaviano aveva visitato e onorato la tomba di Alessandro, depositando una
corona d’oro e dei fiori, poi mutuando l’Argeade si era fatto rappresentare nelle
sembianze di un faraone.
A tal proposito,
Lyuba vorrebbe tanto sapere dove fosse celata la salma del Magno, sarà ancora
nei pressi del luogo dove la vide Ottaviano?
Oppure no?
Il pasticcio
è veramente tanto, basti pensare che quando l’arcivescovo Giovanni Crisostomo
visitò la città di Alessandria nel 400, non trovò la tomba e nessun
alessandrino era a conoscenza di tale luogo, mentre nel XVII secolo moltissimi erano
gli stranieri che si recavano ad Alessandria per rendere omaggio a quella che
si riteneva la tomba dell’Argeade.
Il luogo dove
si trova la tomba è uno dei più grandi misteri dell’archeologia, tenuto conto
del fatto che può benissimo essere stata trafugata… un’ipotesi assurda ma non
impossibile è la strada veneziana.
Lyuba
sorridendo, pensa che i veneziani nella loro secolare storia hanno sempre
combattuto contro i pirati e i barbareschi ma pure loro in quanto a razzie non erano
da meno, basti pensare alla quarta crociata in cui i veneziani invece liberare
il Santo Sepolcro, si diressero prima a Zara e poi a Costantinopoli facendo,
assieme agli altri crociati, razzia di tesori inestimabili e di preziose
reliquie.
L’ipotesi
veneziana si basa su un fatto storico realmente accaduto: nell’anno 828, il
doge inviò ad Alessandria due mercanti di Venezia, per recuperare e portare in salvo
le reliquie di San Marco, evangelizzatore in Egitto e fondatore della chiesa alessandrina.
Lo scopo della spedizione era di salvare le ossa di San Marco, in quanto
l’Egitto era stato invaso dagli infedeli musulmani, ma le spoglie portate a
Venezia sarebbero state invece quelle di Alessandro Magno.
Come era mai
stato possibile questo scambio?
Secondo
alcune fonti, il corpo di Alessandro era visibile ancora nel IV secolo; nel 380
con l’editto di Teodosio, il cristianesimo diventa l’unica religione, tutte gli
altri culti diventano eresie, è proprio in questo frangente che compaiono i resti di San Marco e scompaiono quelli di Alessandro… è
possibile che con enfasi religiosa il ricco sarcofago di Alessandro, ormai solo
un pagano, sia stato usato per i probabili resti di San Marco.
Un altro
elemento concorre a questa tesi, all’interno di San Marco è stato ritrovato un
grosso blocco di pietra su cui è scolpito uno scudo macedone, con il motivo
della stella argeade.
Nel 1811, fu
eseguita un’ispezione ai resti di San Marco, certo non molto accurata, in
quanto non c’erano i mezzi super tecnici di oggi, sembra comunque che vi fosse
una salma intera e ossa di un altro corpo. Fantasie, ma potrebbe pure essere
vero, nel medioevo la corsa alle reliquie era una specie di gara fra le città e
sull’autenticità ci sarebbe molto da obbiettare: le presunte salme dei Re Magi
si trovano contemporaneamente a Milano e a Colonia.
Altra
fantasia è la probabile discendenza italiana di Alessandro Magno, che non ebbe
eredi, tanto è che gli Argeadi si estinsero storicamente con Alessandro Magno
tra il 310/300 a.C., tuttavia la “Gens Alexandri” del Sud Italia, di origine
ellenico-bizantina, si collega in qualche modo, tramite medesimi simboli, alla
leggendaria stirpe macedone in quel di Napoli, in cui si incontra pure l’eroe
nazionale dell’Albania, Giorgio Castriota, chiamato dai turchi Skënderbe che
vuol dire il principe Alessandro; inoltre il figlio di Castriota, Giovanni
sposò l’ultima discendente della famiglia imperiale di Bisanzio, Irene
Paleologo… tutti questi incroci hanno un senso?
Il palazzo
Castriota si trova a Napoli, rievoca una storia che ha unito le sorti del
popolo albanese con quelle del Regno di Napoli: già nel 1271 Carlo d’Angiò
fondò sulle rovine dell’Epiro, patria di Olimpiade madre di Alessandro Magno,
il regno d’Albania, poi sul finire del XIV secolo e inizio XV la presenza di mercenari albanesi assoldati
ora dai baroni locali calabresi contro gli angioini e viceversa, ora da Alfonso
V d’Aragona sempre contro gli angioini, ma fu solo con Giorgio Castriota che
l’alleanza con Napoli e in particolare con gli aragonesi, ebbe un significato
più profondo. Mentre infatti continuava la contesa tra angioini e aragonesi,
l’Albania di Castriota cercava con tutte le sue forze di respingere le invasioni
dei turchi, in forte espansione.
L’obiettivo
dichiarato dei musulmani era Roma.
Nel 1444,
Giorgio Castriota divenne capo dell’Albania, fu l’unico baluardo della
cristianità, riuscendo a tenere a freno gli infedeli, fu quindi la potenza del
nemico contro cui combatteva a creare la sua fama e a rendere la famiglia
Castriota, degna di stringere alleanze militari e matrimoniali con gli Aragona,
strenui difensori della fede cristiana.
Le armate
aragonesi di Alfonso V, scesero in campo al fianco del Castriota, in occasione
delle due spedizioni ottomane di Maometto II contro gli albanesi.
Pochi anni
dopo in segno di riconoscenza verso il Castriota, Ferdinando figlio di Alfonso
V, concesse all’eroe albanese, appellato come “atleta di Cristo”, i feudi di
Monte sant’Angelo, Trani e san Giovanni Rotondo.
Castriota,
l’eroe albanese morì di malaria nel 1468, è veramente molto strano di come
molti grandi della storia siano scomparsi per colpa di questa malattia.
Dieci anni
dopo l’Albania entrava a far parte dell’impero ottomano.
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