lunedì 20 febbraio 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 23

E poi ora anche un Ercole venuto dalla Libia

 

 

Singolare è pure che l’appellativo di re taumaturghi o re unti, con poteri di guarigione, sia dato solo ai re francesi e a quelli britannici.    

Le prime fonti certe sulla capacità di un re di guarire le scrofole, riguardano il capetingio, Roberto   il Pio (972-1031), titolo ereditato dai suoi successori fino a Carlo X (1757-1836).

Il nipote di Roberto era il normanno Guglielmo I d’Inghilterra, detto anche il Conquistatore. È grazie a questo legame parentale che i re inglesi si sono per lungo tempo attribuiti la stessa taumaturgia, rivendicando la discendenza diretta dai re francesi e quindi anche la loro sovranità sulle terre di Francia… anche questa una razzata che è costata molte vite umane, ogni tanto ci si focalizza sulla stirpe e sulla razza con fatti assai orrendi.

Il primo regnante inglese ad attribuirsi questa facoltà fu Enrico I Beauclerc, e l’ultimo fu Anna Stuart (1665/ 1714), si evince che i rivoluzionari francesi ebbero veramente coraggio ad uccidere il re; d’altronde senza un potere sacro un uomo non può soggiogarne un altro, meglio sarebbe avere le facoltà di ottenere autorevolezza e rispetto per se stessi e non per unzione o sangue reale.

Se per i re germanici, le facoltà sovrannaturali di sovrano erano trasmesse per via ereditaria e tutto il casato le possedeva, il tocco taumaturgico dei santissimi sovrani francesi e inglesi era dato direttamente da Dio attraverso il Papa, col sacramento dell’unzione col sacro crisma.

Fra questi re che pretendevano il potere divino, vi fu nel XV secolo, qualche papa che tentò di unire alle chiavi del Cielo anche lo scettro terreno, come il Borgia ad esempio.

Criticato aspramente, imputato di ogni sozzura e bassezza, il Borgia ovvero Papa Alessandro VI, fu elevato al soglio pontificio nel 1492, era animato da uno spirito volto al sincretismo religioso, culminante nel trionfo del cristianesimo, d’altronde il tema della morte e resurrezione può accomunare Osiride con Cristo.

Il nome del papa rimandava ad Alessandro Magno, che era stato incoronato come faraone e aveva come simbolo una stella raggiante, così pure il Borgia, investito direttamente da Cristo è il nuovo sole, come testimoniano gli affreschi dei suoi appartamenti; ad Alessandro VI il dovere di unificare l’italico territorio calpestato da stivali stranieri e di ottenere un periodo di pace e prosperità… non vi riuscì e si becco la damnatio memoriae.  

Nel 1420, quando la sede papale da Avignone venne trasferita nuovamente a Roma, la città e il popolo si trovavano in una condizione di degrado e arretratezza; si sentì così il bisogno di recuperare l’antichità di un tempo, vi fu il cosiddetto Rinascimento, la rinascita di un qualcosa di molto importante: il recupero delle radici.

Gli umanisti riesumarono tutti miti e le culture pagane, con lo scopo di ripristinare, monumenti, leggi e consuetudini propri dell’antica città di Roma, cercando però un punto di congiunzione col cristianesimo, la Chiesa partecipava attivamente a questo rinnovamento richiamando a sé alcuni fra i più importanti umanisti ed artisti del tempo.

In questo rifiorire antico Alessandro VI, commissionò la decorazione del suo Appartamento in Vaticano; l’affresco più noto è nella Sala dei Santi, dove viene esaltato il Borgia con il suo emblema, quello del toro, dato che Alessandro VI venne chiamato “il bue” sia dagli amici che dai detrattori, dai primi giorni del suo pontificato, fino alla sua morte.  

Così gli affreschi egizi rappresentano Osiride, che insegna agli egiziani l’agricoltura e poi sposa Iside, il malvagio fratello Seth che lo uccide e lo fa a pezzi disperdendoli su tutta la terra; Iside che riesce a recuperarli e organizza un solenne rito funebre; a questo punto Osiride ricompare con le sembianze di un bue, viene portato trionfalmente in processione in un’edicola sormontata da una rappresentazione dell’Ercole Libico.

Nel Borgia ritroviamo un tutto ancestrale, il recupero dei miti antichi, della stirpe del re divino con l’orgoglioso simbolo del toro, la sua appartenenza altezzosa alla casata degli aragonesi e infine l’investitura divina da parte di Cristo.

Lyuba pensava che lo zaino del passato fosse sempre più pieno e più pesante e fosse così impossibile salvaguardare la conoscenza/tradizione esatta… prendiamo il toro, qualsiasi descrizione degli affreschi del Borgia, da parte di esperti, rimandano al bue Apis, ma non era il toro Mnevis il simbolo di Eliopoli, quindi del sole e del futuro illuminato e in pace?

E poi ora anche un Ercole venuto dalla Libia?

Eppure il mito ellenico vuole che il figlio di Zeus e Alcmena sia nato a Tebe… ma i fenici molto tempo prima dei greci adoravano Melqart, il Signore di Tiro, a cui i greci si riferivano come l’Eracle di Tiro, così come l’egizio Horus assomigliava al greco Apollo e il greco Zeus a Roma prese le caratteristiche di Giove… i tempi cambiano, le supremazie delle civiltà scendono o all’opposto salgono e così Eracle diventa greco, mentre dell’originale resta solo l’aggettivo: libico.

Così passa la gloria di questo mondo… parole che vengono ripetute al Papa all’atto della sua elezione al trono pontificio, per ricordargli la caducità e vanità di tutti gli sfarzi terreni, -ricordatelo Lyuba, quando pensi di essere un nulla e una perdente e osservi gli altri vincenti con la malinconia di non essere in grado di emularli-

 

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