Capitolo 25
Il tè della morte, il
tè della vita, il tè dell'amore
Si alzò, andò
in bagno e dopo i soliti preliminari, si vestì e truccò gli occhi di blu, Lyuba
non usciva mai senza disegnare il contorno dei suoi occhi verdi con una matita
blu, poi schiacciò il tasto dello sciacquone e accipicchia il pulsante si era
rotto… grrr, grrr, grrr.
Lyuba,
fremeva di rabbia le piccole cose la indisponevano in maniera assurdamente
esagerata, cercò di calmarsi, di non pensarci, anche se non sopportava le cose rotte, lei aveva sempre a portata di
mano l’attak e con questa colla provava ad incollare ogni tipo di materiale, a
volte l’impresa era ok, a volte non era ok e allora si sentiva una scema ritrovandosi
con un nulla di fatto e con le dita impiastricciate e incollate fra di
loro.
Telefonò
all’idraulico, sarebbe venuto a mezzogiorno, nella pausa lavoro, Lyuba
risollevata pensò bene di farsi un tè e poi avrebbe portato via il gruccione.
Mentre stava
sorseggiando il tè allo zenzero e limone, un flash improvviso le rammentò Sidi
Bou Said e i bicchierini di tè alla menta coi pinoli dentro.
Un tempo a
Lyuba non piaceva il tè, aveva cominciato a berlo, dopo essere stata in
Tunisia.
Sidi Bou Said
è un incantevole paese della Tunisia, arroccato sul mare, un paese luminoso in
quanto assai soleggiato ma anche perché tutte le case sono imbiancate a calce, riflettendo
così e amplificando la luce solare; mentre, le porte e le finestre per lo più
dipinte di celeste/blu, sono armoniosamente decorate a filigrana, simili, ma ognuna
con il proprio stile, riflettevano il colore del mare.
Qui la luce e
il mare sono padroni e qui in questo angolo meraviglioso si respira aria
d’Europa, e fanno un tè delizioso, Lyuba ricordava che durante la sua vacanza
svuotava bicchierini su bicchierini, tanto le piaceva e tanto voleva essere
fortunata… a Sidi Bou Said la cerimonia del tè
nel deserto era anche un rito di buona fortuna, consuetudine mutuata dai
berberi.
Per i tuareg
la cerimonia del tè, conosciuta anche come il tè nel deserto, è un’usanza
religiosa che si condivide con chi si incontra per augurargli buona fortuna, un
punto d’incontro, poi ognuno va lungo la sua strada.
La cerimonia
comincia con la preparazione della bevanda, tutto deve essere a modo e
percepito come intenso rituale, per esempio il fischio della teiera è visto
come un simbolo gioioso di arrivo e paragonato al proprio battito cardiaco.
Il tè viene
preparato tre volte, ogni volta seguendo una ricetta e una preparazione diversa:
la prima variante, piena di tè amaro e forte, è conosciuta come il tè della morte; la seconda variante è
composta da tè più dolce ma dal retrogusto amaro, ed è chiamata tè della vita ed infine la terza
variante è preparata con tè molto dolce, dal gusto intenso e inebriante, il tè dell'amore.
Il tè nel deserto è anche un film e un
libro molto famoso, ma Lyuba non si trovava per niente d’accordo con la trama e
il suo intendimento, non si trovava d’accordo con chi non essendo religioso non
capiva neanche la religione degli altri, mutuando un qualcosa che era solo un
doppio, un qualcosa di degenerato e di imbastardito, che ha perso le qualità e
il senso della iniziale tradizione e diviene così vizioso
Paul Bowles,
l’autore del Il tè nel deserto,
faceva parte della cosiddetta comunità degli espatriati occidentali che si
muoveva tra Tangeri e Casablanca, come Truman Capote, Tennessee Williams, Gore
Vidal, Brion Gysin e molti protagonisti della Beat Generation come Allen
Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso, Jack Kerouac, Peter Orlovsky.
Un gruppo di
persone di cultura, disgustato dai valori americani, nemico del complesso
militare-industriale-imperialista e nemico delle religioni istituite,
appassionato di viaggi, attorno al modo ma soprattutto di viaggi interni,
usando droghe a go-go e poi successivamente interessato al buddismo e alle
tecniche di meditazione orientale.
Questo gruppo
dedito all’introspezione e dedito all’yoga e al buddismo, durante il soggiorno
in Marocco e Tunisia non si interessò ai valori dell’islam, alla frequentazione
di moschee, preferì divertirsi coi vizi, piagnucolando poi sull’insulsaggine
della vita e infarcendo i loro libri, seppur molto belli, di non speranza.
Tangeri o
Tunisi o Sidi Bou Said erano per loro una specie di terra di nessuno dove le
autorità non erano troppo esigenti e le prestazioni dei bei giovani dalla pelle
abbronzata, molto a buon mercato, specie per chi pagava in dollari.
Bowles, come
molti non-musulmani in Occidente, tra cui parecchi eruditi, percepisce la vita
delle popolazioni mediorientali, come soggiogata dal fatalismo religioso, dove
il credente è completamente privo del
libero arbitrio e quindi incapace di cambiare ciò che Dio ha stabilito. Quando è solo destino, la vita non è altro che
un disperato gioco già perso in partenza, anche se la fede nella compassione di
Allah prevede la salvezza per chi si sforza di comportarsi bene.
Bowles non
riusciva a capire la facilità con cui i ragazzi magrebini si prestavano ad avere
rapporti omosessuali con uno straniero, accettandone i soldi e le loro abitudini
viziose, come l’alcool e le droghe, mantenendo la loro di fede di musulmani
osservanti, li considerava degli immorali e degli ipocriti perché consideravano
i cristiani solo da sfruttare, facendosi pagare le loro marchette e facendogli
pagare un’extra per ogni tè che bevevano.
Bowles, non
capiva che lui portava a loro, il mito dello straniero ricco e arrogante, dai
molti vizi, il ricco che in quanto erudito aveva capito tutto della vita, il
ricco che comunque aveva disprezzo di loro, e allora che facevano? Quello che ci
si aspettava da loro, ma avendo fede, non si buttavano nel pozzo vuoto della
disperazione di chi aveva tutto e piagnucolava, ma si dicevano che prima o poi avrebbero
smesso, liberandosi dalle lucciole dello straniero, essendo certi che Allah avrebbe
perdonato.
Bowles e gli
altri invece erano arroganti, si credevano umili, ma non lo erano, perché se
avessero avuto vero amore dentro a loro stessi avrebbero intuito che la
salvezza c’è: è lo sforzarsi di fare bene, se si cade pazienza, ma il non fare
niente, l’accidioso presuntuoso che crede di aver capito tutto e non si sforza
di comportarsi bene cosa fa, se non credere che tutto è destino e non conti
niente fare qualcosa?
Lyuba finì di
sorseggiare il tè allo zenzero e limone e un ulteriore ricordo illuminò la sua
mente… durante il suo viaggio in Tunisia, su uno dei fili del telefono, mentre
si trovava a Kelibia, antica città sul mare prima fenicia, poi punica, romana e
bizantina, aveva visto un uccello verde e blu, colorato come un pappagallo, che
l’aveva tanto colpita, ora sapeva che era un gruccione.
Bee-eater
ovvero mangia-api, così è chiamato il gruccione in inglese, ha due rotte
principali di migrazione: quelli che nidificano, in primavera, nel Sud Ovest dell’Europa,
in autunno passano dallo stretto di Gibilterra, attraversano il Sahara e si
dirigono verso l’Ovest dell’Africa. Invece i Gruccioni che nidificano nell’Est
dell’Europa si dirigono, in autunno, verso l’Africa passando per Israele,
chissà poi perché si chiede Lyuba, mah!
Comunque i
gruccioni che arrivavano sulle coste della Tunisia avevano le guance blu, Lyuba
corse dal suo gruccione, era ora di portarlo al Centro avifauna e constatò che
aveva le gote blu.
Nessun commento:
Posta un commento