sabato 1 aprile 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 27

Il suo nome, era di origine rom e significava amore

 

 

Lyuba non sentiva più il fuoco della ricerca e non le importavano più i segreti nascosti.

Riportò i testi alla biblioteca, dove incontrò il direttore.

Questi era giovane e aitante, Lyuba lo aveva incontrato la prima volta, quando era andata a prendere i libri sugli zingari e si era stupita, in quanto si aspettava una persona più anziana e più topo da biblioteca, ma lo aveva trovato assai preparato e avevano discusso su molti temi.

La salutò calorosamente, chiedendole delle sue ricerche, iniziando poi a darle notizie e dati molto pertinenti sugli zingari, Lyuba ascoltava attenta, ma non era più lei, non era più la Lyuba dai tanti collegamenti.

Lyuba, gli rispose che era un po’ giù per via del pennuto che non si era salvato, gli raccontò del gruccione avvistato anni prima in Tunisia e gli disse pure che i gitani avevano perso interesse per lei.

Il direttore le disse che il suo nome, era di origine rom e che significava amore, ma non le importò, come non considerò importante ciò che lui disse su Cartagine e la rotta commerciale dei fenici o quello che disse sulla Libia di oggi: che dopo la morte di Gheddafi, non trovava pace, divisa per il possesso dell’oro nero tra gli interessi della Tripolitania e della Cirenaica, poi si soffermò a lungo su Cirene parlando di una pianta, il silfio, che rese ricca questa città fondata intorno al 630 a.C. dai dori che discendevano da Eracle, a Lyuba non interessava più neanche Eracle, però pensando al silfio per un attimo rise tra sé.

-Certo che è una bella coincidenza, anticamente il silfio la pianta/tesoro di Cirene e odiernamente il Silvio che dona la scultura/tesoro a Gheddafi- .     

Nel 1913 degli archeologi italiani rinvennero presso Cirene la Venere Anadiomene del II secolo, copia di Prassitele che fu portata in Italia, ma poi nel 2008, Berlusconi riconsegnò la scultura all’ex leader libico.    

Il sorriso sfumò velocemente perché pensò che era una concomitanza che non aveva portato bene né al dittatore libico né alla Libia.   

Non prese altri libri e neanche restò a parlare con l’affabile studioso, se ne andò a casa.

Anche questo era strano, era consapevole che dopo l’eremitaggio in cui si era chiusa da sola, aveva bisogno del contatto umano, ma allo stesso tempo come usciva di casa, non vedeva l’ora di tornare a richiudersi fra le quattro mura del suo studio.

Lyuba si rese conto che l’importanza che si dava agli eventi o alle cose che capitavano dipendevano da come ti sentivi dentro… Lyuba aveva perso l’entusiasmo.

Ora non si sentiva più arrivata, ora non stava più bene con se stessa, si sentiva sola immensamente isolata e tutto questo perché si era dedicata anima e corpo ai rimandi e alle fantasie su ciò che era il messaggio del gruccione.

Come se il volatile portasse nel becco un telegramma, che sciocca era Lyuba, ma santiddio la realtà era lì davanti a lei, un tavolo era un tavolo, se la scienza sentenziava che nel tavolo ci sono gli atomi, piccolissime particelle con protoni, neutroni ed elettroni, non si vedevano proprio e il tavolo poteva spaccarlo, spezzarlo e metterlo nel cassonetto e non sarebbe successo niente, ne avrebbe comprato uno nuovo all’Ikea; lo stesso succedeva per il gruccione, se pure avesse avuto un messaggio, non si vedeva né si percepiva coi sensi, quindi non esisteva e stop.

Per seguire le sue ridicole fantasie, non aveva neanche lavorato alle grafiche per l’abbigliamento,  aveva sempre qualche immagine già pronta di scorta, ma ora le aveva finite e doveva idearne di nuove, ma non aveva neanche un pizzico di inventiva, senza contare che non aveva voglia di mettersi al lavoro.

Si sentì ancora più depressa, se pensava che venti giorni prima si sentiva arrivata, voleva dire che  più che arrivata era stata solo un’illusa, una ridicola ingenua.

Doveva però farsi forza e uscire da quella specie di prigione in cui si trovava ora, telefonò alle amiche e come un giusto contrappasso, era stata più volte invitata da loro, ma aveva declinato tutti gli inviti per arzigogolare sul gruccione, erano tutte e due impegnate, sia Luisa che Marina avevano un appuntamento al buio con due fratelli incontrati su facebook… doppia coppia, doppio amore, doppia vita ecc. ecc.

Poteva uscire, ma non ne aveva voglia, poteva fare un sacco di cose ma non ne aveva voglia, si sentiva brutta, sporca e cattiva, parevano passati anni, invece che giorni, da quando si sentiva carina come la Bardot.

Tra l’altro, proprio nei giorni in cui lei, si sentiva partecipe di grandi idee e prospettive, quei fatidici venti giorni in cui dalle stelle era discesa alle stalle, aveva perso la sua amica del cuore.

Si era fidata, anche se di solito era guardinga, si era detta non ci saranno invidie fra di noi, siamo troppo diverse, poi invece aveva avuto la netta sensazione della menzogna, non sentiva più la sua sincerità. Lyuba le disse sinceramente cosa provava, non volle tacere per codardia, senza schiettezza ed onestà non sarebbe più stata l’amica del cuore, le disse che era solo un chiarimento, l’amica rispose… ho troppe cose da fare sono stanca è solo per questo che mi senti diversa, ma non telefonò più, Lyuba la chiamò, l’amica fu carina e gentile, Lyuba le disse, chiamami che usciamo, ma l’amica non si fece più sentire, Lyuba comprese.

Lyuba comprese, prima le telefonava più volte al giorno, Lyuba comprese di averla persa.  

Nei giorni di furore inventivo, in cui vedeva la vita con gli occhiali rosa aveva preso atto dell’evento considerandolo come qualcosa che doveva accadere, senza pensarci troppo, ma ora sentiva la mancanza dell’amica e soprattutto si sentiva lei la colpevole.

Aveva sempre pensato che l’amicizia vera, esistesse solo nei libri, non le era mai capitato di trovare l’amica/tesoro a cui ci si poteva aprire completamente, a cui non nascondere niente, né bassezze, né meschinerie, né tristezze e soprattutto non dover celare i successi, i trionfi, le cose belle. Lyuba sapeva di poter raccontare alle amiche le tristezze e i dolori, sarebbe stata rincuorata, abbracciata e consolata, ma i successi no, perché anche l’amica più cara sarebbe stata tentata ad usare stilettate piene di veleno: incoraggiare chi sta male fa sentire buoni e virtuosi, ma ascoltare i successi di un altro spesso scatta l’invidia.

Non c’è niente da fare l’invidia rende cattivi, si è cattivi perché non si è felici, non si è felici perché non ci si sente amati, amati come vorremmo.

Lo sapeva bene lei, perché la Lyuba ventenne era stata invidiosa, ma se ne vergognava perciò quando sentiva tale sentimento si mortificava facendosi del male… del tipo di farsi fuori tre pacchi di patatine, un etto di salame, un pacco di biscotti, due pesche e un chilo di gelato, per poi stramazzare sul letto in una specie di sonno/digestione, in una specie di stato comatoso

Poi col tempo era riuscita a combattere il vile mostro verde di bile, che istiga la rivalità fatta di astio e di rancore, credeva di aver vinto e di essere riuscita ad amarsi coi suoi tanti difetti, di piacersi così come era, lei non era arrivata?

Come mai ora si sentiva uno schifo?

Si sentiva uno schifo di persona, incapace di cavarsela da sola, comprese lo stato d’animo di    Gregor Samsa, che una mattina si svegliò e si trovò trasformato in uno scarafaggio, capiva ora molto bene Gregor il protagonista della metamorfosi di Kafka, l’incomunicabilità con i propri simili, l’isolamento del diverso, goffo, disarmonico, deforme.

Lyuba  si paragonava ai bruchi molli e bianchicci che infestano e mangiucchiano le foglie delle rose, tanto orridi che lei come soggiogata dal mostruoso li prendeva fra l’indice e il pollice schiacciandoli, guardando i loro corpi flaccidi aprirsi sputando una crema densa e sanguinolenta.

-Basta, pensa a qualcosa di lieto, di bello che vorresti-.

-Cosa, cosa posso pensare?-

-Perché non pensare al direttore della biblioteca, prestante e intelligente, perché non sognare su un nuovo amore?-

- Nooo, sei proprio una zuccona, devi stare bene da sola, devi essere serena senza bisogno di un altro-

Questi erano i pensieri di Lyuba, alla fine, accantonato il sogno d’amore, non le restò altro che pensare a ciò che le aveva detto il bibliotecario sul gruccione, su Cirene e il silfio e forse riflettere su quello che aveva letto sui rom, in fin  dei conti Kafka era boemo e da lì venivano gli zingari.

 

 

 

Nessun commento: