Capitolo 27
Il suo nome, era di
origine rom e significava amore
Lyuba non
sentiva più il fuoco della ricerca e non le importavano più i segreti nascosti.
Riportò i
testi alla biblioteca, dove incontrò il direttore.
Questi era giovane
e aitante, Lyuba lo aveva incontrato la prima volta, quando era andata a
prendere i libri sugli zingari e si era stupita, in quanto si aspettava una
persona più anziana e più topo da biblioteca, ma lo aveva trovato assai preparato
e avevano discusso su molti temi.
La salutò
calorosamente, chiedendole delle sue ricerche, iniziando poi a darle notizie e
dati molto pertinenti sugli zingari, Lyuba ascoltava attenta, ma non era più
lei, non era più la Lyuba dai tanti collegamenti.
Lyuba, gli
rispose che era un po’ giù per via del pennuto che non si era salvato, gli
raccontò del gruccione avvistato anni prima in Tunisia e gli disse pure che i
gitani avevano perso interesse per lei.
Il direttore
le disse che il suo nome, era di origine rom e che significava amore, ma non le
importò, come non considerò importante ciò che lui disse su Cartagine e la
rotta commerciale dei fenici o quello che disse sulla Libia di oggi: che dopo
la morte di Gheddafi, non trovava pace, divisa per il possesso dell’oro nero
tra gli interessi della Tripolitania e della Cirenaica, poi si soffermò a lungo
su Cirene parlando di una pianta, il silfio, che rese ricca questa città fondata
intorno al 630 a.C. dai dori che discendevano da Eracle, a Lyuba non interessava
più neanche Eracle, però pensando al silfio per un attimo rise tra sé.
-Certo che è
una bella coincidenza, anticamente il silfio la pianta/tesoro di Cirene e odiernamente
il Silvio che dona la scultura/tesoro a Gheddafi- .
Nel 1913
degli archeologi italiani rinvennero presso Cirene la Venere Anadiomene del II secolo, copia di Prassitele che fu portata
in Italia, ma poi nel 2008, Berlusconi riconsegnò la scultura all’ex leader
libico.
Il sorriso
sfumò velocemente perché pensò che era una concomitanza che non aveva portato
bene né al dittatore libico né alla Libia.
Non prese
altri libri e neanche restò a parlare con l’affabile studioso, se ne andò a casa.
Anche questo
era strano, era consapevole che dopo l’eremitaggio in cui si era chiusa da sola,
aveva bisogno del contatto umano, ma allo stesso tempo come usciva di casa, non
vedeva l’ora di tornare a richiudersi fra le quattro mura del suo studio.
Lyuba si rese
conto che l’importanza che si dava agli eventi o alle cose che capitavano
dipendevano da come ti sentivi dentro… Lyuba aveva perso l’entusiasmo.
Ora non si
sentiva più arrivata, ora non stava più bene con se stessa, si sentiva sola immensamente
isolata e tutto questo perché si era dedicata anima e corpo ai rimandi e alle
fantasie su ciò che era il messaggio del gruccione.
Come se il
volatile portasse nel becco un telegramma, che sciocca era Lyuba, ma santiddio
la realtà era lì davanti a lei, un tavolo era un tavolo, se la scienza
sentenziava che nel tavolo ci sono gli atomi, piccolissime particelle con protoni,
neutroni ed elettroni, non si vedevano proprio e il tavolo poteva spaccarlo,
spezzarlo e metterlo nel cassonetto e non sarebbe successo niente, ne avrebbe
comprato uno nuovo all’Ikea; lo stesso succedeva per il gruccione, se pure avesse
avuto un messaggio, non si vedeva né si percepiva coi sensi, quindi non
esisteva e stop.
Per seguire
le sue ridicole fantasie, non aveva neanche lavorato alle grafiche per l’abbigliamento,
aveva sempre qualche immagine già pronta
di scorta, ma ora le aveva finite e doveva idearne di nuove, ma non aveva
neanche un pizzico di inventiva, senza contare che non aveva voglia di mettersi
al lavoro.
Si sentì
ancora più depressa, se pensava che venti giorni prima si sentiva arrivata,
voleva dire che più che arrivata era
stata solo un’illusa, una ridicola ingenua.
Doveva però
farsi forza e uscire da quella specie di prigione in cui si trovava ora, telefonò
alle amiche e come un giusto contrappasso, era stata più volte invitata da
loro, ma aveva declinato tutti gli inviti per arzigogolare sul gruccione, erano
tutte e due impegnate, sia Luisa che Marina avevano un appuntamento al buio con
due fratelli incontrati su facebook… doppia coppia, doppio amore, doppia vita
ecc. ecc.
Poteva
uscire, ma non ne aveva voglia, poteva fare un sacco di cose ma non ne aveva
voglia, si sentiva brutta, sporca e cattiva, parevano passati anni, invece che
giorni, da quando si sentiva carina come la Bardot.
Tra l’altro,
proprio nei giorni in cui lei, si sentiva partecipe di grandi idee e
prospettive, quei fatidici venti giorni in cui dalle stelle era discesa alle
stalle, aveva perso la sua amica del
cuore.
Si era
fidata, anche se di solito era guardinga, si era detta non ci saranno invidie
fra di noi, siamo troppo diverse, poi invece aveva avuto la netta sensazione
della menzogna, non sentiva più la sua sincerità. Lyuba le disse sinceramente
cosa provava, non volle tacere per codardia, senza schiettezza ed onestà non
sarebbe più stata l’amica del cuore, le disse che era solo un chiarimento, l’amica
rispose… ho troppe cose da fare sono stanca è solo per questo che mi senti
diversa, ma non telefonò più, Lyuba la chiamò, l’amica fu carina e gentile, Lyuba
le disse, chiamami che usciamo, ma l’amica non si fece più sentire, Lyuba
comprese.
Lyuba
comprese, prima le telefonava più volte al giorno, Lyuba comprese di averla
persa.
Nei giorni di
furore inventivo, in cui vedeva la vita con gli occhiali rosa aveva preso atto
dell’evento considerandolo come qualcosa che doveva accadere, senza pensarci
troppo, ma ora sentiva la mancanza dell’amica e soprattutto si sentiva lei la
colpevole.
Aveva sempre
pensato che l’amicizia vera, esistesse solo nei libri, non le era mai capitato
di trovare l’amica/tesoro a cui ci si poteva aprire completamente, a cui non
nascondere niente, né bassezze, né meschinerie, né tristezze e soprattutto non
dover celare i successi, i trionfi, le cose belle. Lyuba sapeva di poter
raccontare alle amiche le tristezze e i dolori, sarebbe stata rincuorata,
abbracciata e consolata, ma i successi no, perché anche l’amica più cara sarebbe
stata tentata ad usare stilettate piene di veleno: incoraggiare chi sta male fa
sentire buoni e virtuosi, ma ascoltare i successi di un altro spesso scatta
l’invidia.
Non c’è
niente da fare l’invidia rende cattivi, si è cattivi perché non si è felici,
non si è felici perché non ci si sente amati, amati come vorremmo.
Lo sapeva
bene lei, perché la Lyuba ventenne era stata invidiosa, ma se ne vergognava
perciò quando sentiva tale sentimento si mortificava facendosi del male… del
tipo di farsi fuori tre pacchi di patatine, un etto di salame, un pacco di
biscotti, due pesche e un chilo di gelato, per poi stramazzare sul letto in una
specie di sonno/digestione, in una specie di stato comatoso
Poi col tempo
era riuscita a combattere il vile mostro verde di bile, che istiga la rivalità
fatta di astio e di rancore, credeva di aver vinto e di essere riuscita ad
amarsi coi suoi tanti difetti, di piacersi così come era, lei non era arrivata?
Come mai ora
si sentiva uno schifo?
Si sentiva
uno schifo di persona, incapace di cavarsela da sola, comprese lo stato d’animo
di Gregor Samsa, che una mattina si svegliò e si
trovò trasformato in uno scarafaggio, capiva ora molto bene Gregor il
protagonista della metamorfosi di
Kafka, l’incomunicabilità con i propri simili, l’isolamento del diverso, goffo, disarmonico, deforme.
Lyuba si paragonava ai bruchi molli e bianchicci che
infestano e mangiucchiano le foglie delle rose, tanto orridi che lei come
soggiogata dal mostruoso li prendeva fra l’indice e il pollice schiacciandoli,
guardando i loro corpi flaccidi aprirsi sputando una crema densa e
sanguinolenta.
-Basta, pensa
a qualcosa di lieto, di bello che vorresti-.
-Cosa, cosa
posso pensare?-
-Perché non pensare
al direttore della biblioteca, prestante e intelligente, perché non sognare su
un nuovo amore?-
- Nooo, sei
proprio una zuccona, devi stare bene da sola, devi essere serena senza bisogno
di un altro-
Questi erano
i pensieri di Lyuba, alla fine, accantonato il sogno d’amore, non le restò
altro che pensare a ciò che le aveva detto il bibliotecario sul gruccione, su
Cirene e il silfio e forse riflettere su quello che aveva letto sui rom, in fin
dei conti Kafka era boemo e da lì
venivano gli zingari.
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