Coniglio
di Paola Tassinari
Gli anni del 2016/17 sono un periodo strano
per me, surreale e imprevedibile come un film
del terrore. All’inizio del 2015 inizio a
scrivere il romanzo “Lo spaventapasseri”, una
storia d’amore che finisce male, i protagonisti
si chiamano Paolo e Francesca non a caso.
Francesca è una giornalista che indaga su un
filo rosso pieno di mistero e arcano che lega le
stragi italiane degli Anni Ottanta, in
particolare su Ustica e Bologna, scopre cose
incredibili ma possibili, cose che non possono
diventare pubbliche, alla fine viene internata
in manicomio, l’unico modo che ha Paolo per
salvarle la vita. Paolo che è in realtà un
agente segreto. Per scrivere questo romanzo
mi sono immersa nel fango del male, ho
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cercato di capirlo, di immedesimarmi, ho
sofferto e testardamente ho continuato a
scavare, a scavare sino agli albori
dell’umanità, sempre a chiedermi perché,
alla fine sono arrivata a un punto finale… il
fine giustifica i mezzi è salvabile chi fa il
male con intenzioni non egoistiche, in quanto
solo il Signore può conoscere il senso di ciò
che accade e quindi ciò che oggi ci appare
male, domani può essere un bene, il punto
finale è di non pensare solo a sé stessi, ma
anche al bene degli altri. Per scrivere questo
libro mi sono sfinita, saltando i pasti e il
sonno per mettere nero su bianco le ipotesi
che mi arrivavano in mente, ore e ore al
computer con la paura che le idee fuggissero
via, ore e ore di studio sulla numerologia, la
gematria, gli atti processuali e i documenti,
l’alchimia, i miti e l’esoterismo di Dante, di
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Guenon e di Evola. Alla fine mi è venuta
l’insonnia, non ero capace di staccare, il
cervello continuava a macinare mille perché e
mille ipotesi anche di notte, alla fine sono
finita in un reparto psichiatrico, come
Francesca la mia protagonista e qui l’assurdo
come se a forza di pensare e di cercare di
capire il “male”, l’abbia come richiamato:
sono finita in un incubo, non in un reparto
ospedaliero regolare ma provvisorio, che non
era quindi controllato, era completamento
allo sbaraglio e ho così vissuto scene da
incubo, scene che non credevo reali, ne sono
uscita con dignità e a testa alta, mi sono
salvata grazie alla Fede. Non sto a
raccontarvi gli obbrobri, non mi capacitavo
del perché poi ho pensato che dato che non
c’erano controlli potevano effettuare esperimenti sui degenti per scopi scientifici, ciò non
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toglie che eravamo persone ammalate da
curare non da vivisezionare. Ho capito che si
cade dentro al male piano, piano, senza
accorgersene, ci si abitua perché tanto fanno
tutti così, ma quando ho iniziato ad
occuparmi io delle condizioni degli
ammalati, chiedendo agli infermieri, sempre
col sorriso, sempre per piacere, aiuto per loro,
senza farli sentire colpevoli, qualcosa è
cambiato, piano piano, molto è cambiato.
Questo mi ha aiutato a capire che più una
persona viene colpevolizzata, anche con tutte
le ragioni del mondo, più si rivolterà e
continuerà in quello che sta facendo, ma,
sarà diverso, se le andrai incontro
dicendogli… va bene hai sbagliato, lo hai
fatto non volendo, non preoccuparti, puoi
aiutarmi per favore, ho bisogno di te?
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Il dipinto in questione, misura 50x50 cm, è
intitolato “Coniglio V” fa parte di una serie di
tele ad acrilico in cui compare a figura
intera, a mezzo corpo o solo il muso, di un
coniglio. Questa tela ha lo sfondo multicolore,
anche il muso del coniglio. Sull’angolo a
destra, in basso è dei medesimi colori ed è
popolato da una moltitudine di simboli,
frecce, triangoli, linee, punti, fulmini e altro,
è attraversato da un filo nero pieno di spine.
Vuole rappresentare il caos della vita, il
nostro disordine interiore, l’impossibilità di
mettere ordine nello scibile umano,
l’impossibilità nostra è il mio caos/caso che
devo affrontare per trovare una strada e quel
coniglio sono io, perché vorrei fuggire ma,
invece, resto lì con le orecchie lunghe in
ascolto, resto lì impaurita… Avete mai preso
un coniglietto in braccio? Se lo avete fatto vi
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ricorderete come all’improvviso il cuore del
coniglio batteva all’impazzata.