martedì 1 ottobre 2024

CON GLI OCCHI, CON LE MANI, CON IL CUORE (la fotografa, la pittrice, il poeta) di Annamaria Antonelli Paola Tassinari Vito Coviello



Santa allegrezza di Paola Tassinari Questo dipinto ad acrilico, misura 50x60 cm., è stato realizzato nel 2017, continuando la serie dei volti in primo piano e con gli occhi enormi di cui ho già spiegato il perché, il titolo è “La santa Allegrezza”, è anche la copertina del mio romanzo omonimo uscito nello stesso anno. “La santa allegrezza” è un romanzo che mescola inquietudine, speranza, ricerca, meditazione e amore, proiettandoci nella vita di Francesca, la protagonista del romanzo “Lo spaventapasseri”, il mio precedente libro, dove Francesca era stata internata in un manicomio, ora Francesca risale i gradini verso la guarigione e l’alto attraverso le piccole cose, l’arte, la storia e la Fede. Il titolo prende spunto dal canto  molfettese “La Santa Allegrezza” un canto natalizio di autore ignoto che ancora oggi viene eseguito da comitive di giovani, gruppi che in occasione del Natale cantano in piazza o nei cortili i canti natalizi tradizionali, dietro ricompensa di dolciumi o piccole offerte. Il canto festeggia in letizia sia la Nascita che la Crocifissione di Cristo a significare di accettare con santa allegrezza tutti gli eventi, sia buoni che cattivi, ovvero con pacatezza e lievità, consapevoli che i giorni lieti non durano ma, non durano neanche quelli grevi, consapevoli che dietro la Crocifissione c’è la Resurrezione. Questo canto mi ha sempre attratto per questo particolare motivo della “leggerezza” confidando in Dio, ma anche perché da Molfetta, in provincia di Bari lo ritroviamo anche nella mia terra, la Romagna, dove ha un altro nome ma l’intento è lo stesso, festeggiare nel periodo natalizio la Pasqua, perché per la Chiesa e quindi anche per i suoi fedeli, è La Pasqua la festa più felice… Infatti, si dice son felice come una Pasqua (lo scrivo perché io credevo fosse il Natale la festa più bella). Così in Romagna i pasqualotti sono gruppi di persone che nel periodo dell’Epifania girano di casa in casa a cantare la Pasquella, (con chiaro riferimento alla Pasqua) con l’accompagnamento di strumenti musicali. Di norma si inizia il canto all’esterno della casa con formule di saluto, una volta ottenuto il permesso di entrare, i pasqualotti, proseguono cantando gli eventi e i personaggi del Natale, poi si passa alla richiesta insistente, ma in toni scherzosi, di offerte di vino e cibarie, in particolare di prodotti derivanti dalla lavorazione del maiale. (La lavorazione del maiale è molto sentita in Romagna, ancora oggi ci sono famiglie che acquistano un maiale intero, per poi conciarlo e avere salsicce, salumi e prosciutti nella cantina di casa per tutto l’anno). Questa antica tradizione della Pasquella stava scomparendo, ma a metà degli anni ‘70 è tornata in voga. Il dipinto presenta un volto di donna sorridente, col volto dalla pelle chiara, diafana, quasi perlacea, fresca quasi come bere un bicchiere di latte, i capelli neri e setosi quasi come accarezzare il manto di un gatto. Gli occhi sono grandi, chiari come l’acqua fresca dei fiumi di montagna, con la pupilla dilatata dall’immenso piacere. A cosa è dovuto questo piacere? Ce lo indica la donna raffigurata con l’indice rivolto al cielo in un gesto carico di spiritualità e non solo. Di nuovo mi ispiro a Leonardo, e al suo meraviglioso Battista che con quel dito indice puntato in alto, invita a cercare il divino, a seguire un cammino di ascesa, verso la trascendenza. La vita è un viaggio, si cade, non importa quante volte si cade, importa il rialzarsi guardando verso Dio, che ci tenderà sempre una mano, sta a noi faticare un poco per afferrarla ricordando il capolavoro di Michelangelo nella Cappella Sistina, dove il dito del Padreterno tocca la mano di Adamo trasmettendo la divinità stessa dal Dio alla sua creatura.