Capitolo 1
I capelli scuri raccolti in due codini
Stava
pedalando alacremente pigiando con la punta dei piedi, calzati da infradito decorati
con margherite nere, sui pedali della sua bici mezzo scassata, a Ravenna era meglio
avere un mezzo sgangherato così si correva meno il rischio che lo rubassero,
lungo la stradina che congiungeva la pista ciclabile di Punta Marina con quella
di Marina di Ravenna. Era una bella giornata, un po’ afosa in realtà, di fine
agosto, ma andando in bicicletta si sentiva sempre un po’ d’aria e lei aveva un
abitino nero molto leggero, molto scollato, molto corto, i capelli scuri
raccolti in due codini che le incorniciavano il volto abbronzato spruzzato di
efelidi e un cappello color crema vaniglia a larghe tese, sul cestino davanti
alla bici la borsa di paglia con l’interno foderato di stoffa a quadretti Vichy,
un tessuto di origine francese che prende il nome dall’omonima città, le cui
estremità svolazzavano allegramente. Pedalava felice sentendosi carina quasi
come Brigitte Bardot, in effetti i codini, il cappello e il quadretto Vichy,
erano tre oggetti identificativi dell’incantevole Bardot, che pure si sposò,
con Jacques Charrier, suo secondo marito, con un abito a quadretti Vichy
bianchi e rosa.
Pedalava
felice e cosciente del presente, dei fiori campestri, dei campi arati di
fresco, dei profumi intensi delle foglie di fico, delle anatre e delle
gallinelle d’acqua che zampettavano dentro il canale di acqua che scorreva
lungo la via.
Pedalava
felice, attenta che non sopraggiungessero le solite grosse nutrie, ve ne erano
quattro o cinque, che stazionavano nella stessa posizione da anni; se le vedeva
all’improvviso si spaventava, trovava orribile la loro grossa e lunga coda di
topo, se invece stava in guardia osservava solo il loro muso baffuto e così le
trovava pure carine.
La storia
delle nutrie è uno di quei casi della vita che sono talmente assurdi che fanno
pensare che l’uomo sia proprio scemo. Questi poveri animali che con quella codaccia sembrano dei topi giganti, sono
stati assai bistrattati.
La nutria è
originaria del Sud e del Centro America, ma fu introdotta in Italia e in altri
paesi europei per l’utilizzo in pellicceria; in Italia apparve, per la prima
volta in Piemonte, all’inizio degli anni Venti, poi sempre più massicciamente
con l’aumento della richiesta voluttuaria. Erano più o meno gli anni Settanta quando
scoppiò il boom delle pellicce, e il boom di improvvisati allevatori di nutrie,
divenuti piccoli imprenditori come loro secondo lavoro.
La pelliccia
rappresentò fin dai tempi lontani il potere e lo status aristocratico, poi
avvolse le spalle delle dive del cinema e delle donne ricche e di classe, ma negli
anni Settanta le pellicce arrivarono sulle spalle di tutti, anche gli uomini
giravano con la pelliccia, non solo all’interno dei cappotti ma anche esternamente,
sembrando quasi dei gorilla. Tutti volevano almeno una pelliccetta e così per i
poveri vi era quella di lapin, cioè
di coniglio o quella di castorino che nessuno sapeva di che animale fosse, si
pensava al castoro invece era la povera nutria che era stata deportata in massa
dall’America del Sud. Capitò poi la svolta animalista e i conseguenti falò
delle pellicce, pertanto divenne assolutamente fuori moda indossare pelli di
animali, così gli improvvisati allevatori di pellicce, non avendo più
richiesta, liberarono le nutrie in natura sperando che non essendo animali del
posto si estinguessero; invece la capacità di adattamento delle nutrie fu tale
che colonizzarono diversi ambienti naturali.
Purtroppo la
nutria diventò ben presto un animale dannoso, a causa della sua voracità che
minacciava, oltre alla fauna acquatica, anche colture di barbabietole da
zucchero, mais, patate e altro, inoltre scavava buche determinando il crollo
degli argini dei fiumi.
Ecco che così
per il povero animale fu legalizzato lo sterminio e l’abbattimento, poi
revocato.
Intanto si
muovevano due fronti popolari, chi proponeva il consumo alimentare della nutria
giudicata simile alla carne del coniglio e chi all’opposto era disposto ad
offrire 50 euro per ogni nutria consegnata viva per poterla tenere nei suoi
terreni. In mezzo a queste stramberie, finalmente oggi, dei progetti di
controllo sulle colonie delle nutrie tramite la sterilizzazione… ci voleva
tanto per pensare questa cosa?
“Biiip…
biiip…Sckreeech … puttana guarda che ti spiano!”
Stava
pedalando pensando alle nutrie, quando intravide sul margine del viale un
uccello colorato, con le ali aperte e il lungo becco sottile, una macchia verde
semi schiacciata, lo guardò oltrepassandolo poi si bloccò e svoltò all’improvviso
per tornare indietro, per accertarsi che fosse veramente morto, tagliando la
strada al beneducato automobilista.
Aveva
sbagliato lei, quindi mandò giù il rospo dell’offesa, ogni tanto incappava in
qualche fenomeno di pilota e si chinò a raccogliere il volatile che era ancora
vivo.
“Wroom…
wroom”, l’automobilista sfrecciò via, mentre Lyuba con l’uccello giallo verde,
blu e rosso nella mano destra, risalì sulla bici pensando al da farsi dicendo
tra sé e sé… se si vuole offendere una donna la si chiama puttana, se le si
vuole far del male la si stupra, perché tanto astio con l’organo femminile che
dà la vita?
Il volatile
inizialmente frullava le ali cercando di scappare dalla sua leggera stretta di
mano, poi si acquietò.
Più o meno
precariamente guidando la bici con la sinistra, arrivò al suo appartamento, non
prima di essersi fermata alla Coop per recuperare una scatola di cartone.
Riuscì con
una certa difficoltà ad aprire il portone, salì le scale, arrivò sulla terrazza
dove lasciò la scatola di cartone con dentro il volatile, aprì la porta di casa,
trovò una ciotola dove mise un po’ d’acqua dal rubinetto e si diresse
velocemente dal pennuto per dargli da bere, rimanendo soddisfatta perché ne
bevve un bel po’.
Nella rubrica
del suo telefonino era sicura di avere il numero di telefono del Centro
recupero animali selvatici, tutto stava nel trovarlo.
Lyuba aveva
il vizio di accorciare i nomi o addirittura di cambiarli, ritenendo così di
trovarli poi facilmente, invece creava un gran casino perché poi li
dimenticava.
Dopo aver
provato vari termini provò con salva uccelli,
e tac funzionò apparve il numero.
Sorrise fra
sé solo lei poteva affibbiare al Centro di recupero di animali un tale vocabolo
così poco elegante e soprattutto equivoco.
“Pronto,
recupero avifauna?”
“Sì, mi
dica”.
“Ho trovato
un uccello, piuttosto grande, bello e colorato ma mezzo morto”.
Dopo le
risposte alle domande su dove lo aveva trovato, se aveva ferite esterne, se gli
aveva dato dell’acqua ecc., le chiese di inviargli una foto, cosa che Lyuba
fece.
“È un Gruccione,
nidifica facendo un cunicolo nelle dune di sabbia poi ai primi freddi sverna in
Africa. Sì è un bel volatile dall’aspetto particolarmente elegante e la livrea
variopinta. Si nutre di insetti è ghiotto di api, può consumarne anche fino a
200-250 al giorno, lei però può dargli dei croccantini, quelli del gatto vanno
bene, bagnati nell’acqua oppure dello zucchero e poi domattina ce lo porta o se
vuole ce lo porta ora, siamo appena fuori Ravenna nella zona Bassette”.
“Va bene, mi
dia l’indirizzo esatto”.
“Oh, lo
troverà facilmente siamo all’inizio di Via degli Zingari caduti nei lager”.
“Vengo
domattina, grazie, buonasera”.
Lyuba non
aveva mai sentito nominare una tale via e non aveva intenzione di inoltrarsi di
sera nella zona periferica delle Bassette che conosceva assai poco.
Non aveva il
gatto e quindi non aveva i croccantini, decise di dare al Gruccione dello
zucchero, ma il pennuto dopo aver bevuto, stava in un angolo della scatola con
gli occhi, le ali e il becco serrati e non ci fu verso di farglielo aprire, lo
lasciò stare e andò a prepararsi qualcosa da mangiare, ma non aveva voglia di
cucinare e si preparò un panino con mozzarella, insalata e alici, poi
sparecchiò, fece una doccia e andò a letto con qualche senso di colpa.
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