mercoledì 20 luglio 2022

Il volo del gruccione


 

Capitolo 2

Lyuba e il casino delle tre i

 

 

Si sentiva in fallo perché era una sfaticata e non era abbastanza coraggiosa, il gruccione stava male e lei se ne fregava e lo portava domattina al Centro recupero invece che ora, lei invece di andare a letto poteva cercare sul cellulare quella strana Via degli Zingari, prendere l’auto e portare il gruccione là, Ravenna mica era una metropoli.

“No, guarda hai fatto bene così, rammenti quello che ti ha detto il tipo al telefono? Ti ha risposto che se non c’era nessuno e il cancello era chiuso potevi lanciare il gruccione al di là della rete. Quelli al gruccione non guardano neanche domattina”.

“Antipatica, hai sempre poca fiducia nelle persone, però è vero stasera non avrebbero fatto niente per il gruccione”.

Questo era il dialogo fra Lyuba e la sua coscienza.

Lyuba aveva questo strano nome perché quando era nata lei, negli anni Settanta, sua madre era affascinata dal jet set, di cui allora non si conoscevano gli altarini, termine che era stato coniato per l’alta società, il cosiddetto bel mondo. All’epoca sembrava che il jet set fosse una specie di castello incantato e chi ci viveva doveva essere certamente bello, buono, bravo e… immensamente ricco. Era un’epoca molto particolare quella dell’Italia dei grandi salotti e delle serate al casinò, mica poteva sapere la madre di Lyuba che il casinò era un luogo nefasto e che nei grandi salotti giravano certe vipere; oggigiorno che il casinò e le slot machine sono aperti a tutti, anche ai poveri cristi che dilapidano il loro stipendio e la pensione della loro nonna, forse non l’avrebbe chiamata Lyuba.

Forse era molto meglio la disuguaglianza, nel senso che al casinò fosse possibile l’ingresso solo ai ricconi, che se perdevano una villa al tappeto verde ne avevano poi altre nove o altre cento.

No, ora i ricchi non scialacquavano più, i soldi gli servivano per cose serie, dovevano comprare sempre più terre, fabbriche, giornali, televisioni e altre risorse economiche, perché si stava ritornando al latifondo e alla concentrazioni delle ricchezze in poche mani, è per questo che i poveri devono andare al casinò o alla slot machine, sono i nuovi schiavi di un sistema malato e perverso, eremiti senza spirito nel deserto pieno di lucciole che la tecnica ha reso reali e perfidamente necessarie.

Lyuba divagava sempre per ogni minimo pensiero, dunque Lyuba si chiamava così per via di Ljuba Rizzoli una delle donne più belle e più ammirate del jet set che non fu tanto felice, anche se, come scrive lei stessa, Edda Ciano, la figlia del Duce, le consigliò di girare sempre con un sacchetto di diamanti, perché quelli, a differenza delle case, si possono portare e vendere ovunque, la signora Rizzoli non ne aveva un sacchetto ma uno zaino da alta montagna pieno.

Se poi Lyuba non era esattamente come il nome della regina del jet set, avendo la y al posto della j era stato colpa dell’impiegato dell’Anagrafe che aveva confuso le due lettere, come ancora oggi accade che qualcuno confonda la j (i lunga) e l’y (ipsilon o i greca)… come dire che tutte queste i creano casino.

Nella cabala le tre i sono espresse dalla lettera ebraica Yod che ha il significato numerico di 10, infatti, può essere letta come Yad, che vuol dire mano e noi abbiamo appunto 2 mani (5+5=10). Significa quindi il fare e il realizzare; una mano chiusa a pugno denota il potere, il possesso, l’avere;  una mano aperta la fratellanza, l’amicizia, il dare. Il bambino quando nasce ha le mani chiuse a pugno, ha tutte le possibilità, ma quando l’uomo muore le mani sono aperte, non si porta niente dal mondo fisico.  

Per Lyuba il casino delle tre i era il non comprendere che la fama è per la fame, nel senso che i talenti ricevuti vanno fatti fruttare ma non per tenerseli bensì per dividerli con chi non ne ha ricevuto, che tanto si muore a mano aperta, meglio ricordarlo perché se si muore con le mani rattrappite e chiuse vuol dire che si sta soffrendo molto durante la dipartita.

Lyuba analizzava ogni parola o numero, così per il gusto di farlo e dato che c’era ora analizzava la dizione, Lyuba era stanca di essere ripresa perché sbagliava accenti, -con ‘sta storia degli accenti, anche qui c’è un gran casino-.

Le parole hanno dentro la magia del creare ma vanno dette nel modo giusto, adesso Lyuba sfidava chiunque… non c’era nessuno, Accademia della crusca o non crusca, che conoscesse gli accenti primordiali, non dico dei siculi, forse i primi abitanti dell’Italia, ma manco degli italiani del tempo di Dante, infatti qualche commentatore della Divina Commedia, dice che Dante ha sbagliato a scrivere e a interpretare qualche locuzione latina… come razzo fa a dirlo?

Con le fonti.

Un abitante del futuro, diciamo del 2100, studioso di storia del Duemila, credete che saprà ben tradurre l’italiano corrente con tanto di slang e soprattutto con tanto di modo e intonazione di dire?

No, comprenderà molto ma non il tutto, figuriamoci al tempo di Dante che era quasi tutto improntato alla parola volante e poco a quella scritta e senza video o filmati.  

Per quanto riguarda la discussione degli accenti, la questione è che non è la norma a determinare l’uso, bensì l’uso a determinare la norma! Non esistono forme sbagliate in una lingua e forme giuste, ma forme usate e non usate. La lingua evolve, si trasforma, è un organismo vivo... come una persona!

Lyuba aveva il dente avvelenato con gli accenti, sebbene avesse notato che anche degli studiosi avevano il suo stesso problema, diversamente altri erano matematicamente certi della loro  dizione.

Lyuba sin da piccola era stata ripresa perché diceva incùbo dal verbo incubare e le amiche le dicevano… si dice incubo non incùbo cos’hai covato dei pulcini questa notte?

Lyuba ci rimaneva molto male, per lei incubo andava con l’accento sulla u, dal verbo incubare che tra l’altro significa proprio giacere o covare, e poi se è l’uso a determinare la norma, vuol dire che se la massa dice incùbo e solo 100 persone incubo la regola salta, ma per ottenere ciò il processo  è molto lento, come inizio Lyuba doveva diventare come minimo una star e suggestionare i fan col nuovo accento, diventando un’influencer, termine di moda oggi per indicare chi ha la capacità  di influenzare i comportamenti degli altri.

Influencer, coach, hanno più o meno lo stesso significato: devi diventare loro seguaci, fare quello che consigliano loro, così sarai, nel primo caso alla moda, nel secondo felice e loro chi sono per determinare ciò? Meglio la star che sa veramente fare qualcosa che questi coach e influencer che non si capisce bene quale sia la loro arte e ancora meglio è lo stare con le regole grammaticali.

Quindi le amiche sapientone avevano sì ragione loro in quanto stavano nel recinto della regola, ma non sapevano il perché.

Si dice incubo, senza accento sulla u, perché non proviene dal verbo incubare, ma dal nome di una creatura malefica che prendeva l’aspetto di uomo e giaceva con le donne dandole un senso di soffocamento o congiungendosi carnalmente con loro.

Incubo, lo spiritello era anche custode di grandi tesori, per carpirne il segreto occorreva riuscire a portargli via il berretto e poi farsi dire il nascondiglio in cambio della restituzione del cappello.

Questo spiritello antico sopravvive ai giorni nostri, con altri nomi, nel folklore della Romagna, Lyuba conosceva tante belle storie.

Così Lyuba vi parlerà di Mazapegul o Calcarel.

Uno dei più singolari personaggi della tradizione romagnola, un folletto con uno strano berretto rosso, dispettoso e causa di pesi allo stomaco.

Si diceva al tempo dei nonni… non ho dormito bene, un peso allo stomaco, come una pietra, sarà stato Mazapegul?

Tante sono le favole legate all’inquietante Mazapegul, una delle più divertenti è la storia di una ragazza, la quale ricambiando l’amore notturno del folletto, ebbe da lui molti servigi come una casa perfettamente linda, candidi bucati e dolci fragranti. Invaghita da tanta generosità, la giovane donna espresse il desiderio di vedere la faccia del suo amante, nonostante i dinieghi di Mazapegul, lo costrinse a mostrarsi, ma all’orribile visione del suo amato, la ragazza morì di schianto.

Si tratta di una popolare versione della favola di “Amore e Psiche” che ci attesta come, dietro al folklore, esista una rete di intrecci psicologici e antropologici.

Ma cosa c’entra Mazapegul con le corna?

Nelle famiglie patriarcali di qualche decennio fa, la vita familiare era promiscua, una dozzina e più fra donne e uomini, cognati e cognate, scapoli zitelloni e spesso vi era anche il garzone, di solito un giovanotto.

Capitava quindi qualche amore, così come oggi accade in ufficio.

Lo stretto contatto fa sì di piacersi.

Rinunciare?

No, i nostri nonni avevano molto buon senso, sì all’amore, mai rinunciare però o disfare una famiglia… che la passione amorosa passava e certo un tempo la scintilla dell’amore era scattata anche fra i coniugi.

Una favola di Esopo racconta che un capraio trovò in mezzo al suo gregge, mentre era al pascolo, delle capre selvatiche, tutto contento, giunta la sera, le condusse assieme alla sua grotta; dove lasciò da parte le sue capre, dandogli poco foraggio, per offrirlo alle nuove arrivate per farle sue, ma quando, la mattina dopo, le condusse tutte al pascolo, quelle selvatiche, si diedero alla fuga. Il capraio le accusò di ingratitudine, perché lo abbandonavano nonostante avessero ricevuto più attenzioni delle altre, al che risposero… è proprio per questo che stiamo scappando, se ieri ci hai trattato meglio delle capre che stanno con te da tanto tempo, è chiaro che domani preferirai altre che verranno dopo di noi.

Consapevole dell’importanza della famiglia, al marito o moglie cornuta non restava altro che scaricare la colpa del malessere e del rospo ingoiato a Mazapegul.

Una trentina d’anni fa, al paese natio di Lyuba, un marito tornò a casa prima dal bar e trovò qualcuno al suo posto nel letto, vide solo un’ombra che fuggiva indistinta, la moglie gli disse, che si era sbagliato, che non c’era nessuno, negò strenuamente, ma il marito irremovibile insisteva che aveva visto qualcuno, la donna allora disse: “Sarà stato Mazapegul”, il marito cedette.

Sembra, che anche se ti trovano sul fatto, durante l’amplesso, occorra negare, negare anche l’evidenza, perché si crede sempre quel che si vuol credere e non a ciò che fa male.

Comunque il marito soleva dire agli amici al bar, mentre giocava a briscola: “Però questo Mazapegul è un peso allo stomaco che vi auguro non dobbiate sentire mai”.

 

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