martedì 20 giugno 2023

Il volo del gruccione

Capitolo 35

Dava a loro la facoltà di poter rubare liberamente

 

 

“Dallo studio della loro lingua sembra provenissero dall’India. Nei primi secoli si spostarono in Persia, l’attuale Iran, poi in Armenia, finché nel 1100 è testimoniata la loro presenza nell’impero bizantino, dove vennero chiamati athinganoi, dal nome di una antica setta eretica, da cui deriva la parola zingari. In seguito alcuni gruppi si stabilirono nella città greca di Modone, conosciuta come Piccolo Egitto, forse è questo il motivo per cui essi dicevano che erano egiziani. Un documento del 1417, li attesta nella città di Hildesheim, dove vengono appellati tartari dell’Egitto, ben accettati in onore di Dio, poi vengono via via segnalati in tutta la Germania, quindi in Svizzera, Francia, Spagna, Inghilterra, Scozia e nel XVI secolo arrivano anche in Svezia. Nell’area balcanica, alla fine del XVI secolo erano tutti censiti e abitavano in dimore fisse pagando come tutti i lavoratori le tasse. Nella parte che oggi è la Romania erano chiamati caldarari, ursari, lautari, florari. I caldarari lavoravano i metalli, i florali si occupavano della vendita dei fiori, gli ursari erano domatori di orsi, li facevano danzare a suon di musica alle fiere di paese, i lautari erano dei musicisti che suonavano i Manele, un mix di musiche orientali con una forte influenza balcanica che trattavano di temi come l’amore, i nemici, i soldi, l’alcolismo e le difficoltà della vita in genere o di eventi quali feste, nozze e funerali. In Romania arrivarono agli inizi del 1200, al seguito dei mongoli, alcuni di loro  mantennero la vita nomade pagando un tributo ai boiardi (l’antico titolo nobiliare dei paesi slavi), altri diventarono sedentari e schiavi, diventando proprietà delle famiglie nobili, un po’ come gli schiavi neri in America. La schiavitù venne abolita nell’Ottocento, ma la loro vita si mantenne ai margini della società. Durante il comunismo si è cercato di integrarli con casa e lavoro, ma il crollo del regime li ha riportati al gradino più basso della società. Alcuni sono ricchissimi e si coprono d’oro; altri se la cavano bene lavorando il legno, i metalli, oppure facendo i muratori, i musicisti o altri lavori, ma tanti, i più, i vivono in baracche senza luce né acqua corrente, continuando a fare molti figli, sposandosi molto giovani. Pochi di loro vanno a scuola, precludendosi così un futuro migliore, la situazione è simile a quella italiana. Fra il 1417 e il 1430 in Italia, giunsero compagnie di pellegrini che si dicevano “egiziani”. I pellegrini all’epoca godevano di una serie di privilegi garantita dalla protezione del re. Queste compagnie erano condotte da presunti conti e duchi, composte da uomini, donne, bambini, cavalli e cani. Erano muniti di salvacondotti e si dichiaravano egiziani e cristiani, raccontavano di dover espiare una penitenza per un peccato di apostasia che li condannava a un pellegrinaggio di 7 anni, chiedevano perciò aiuto. Le lettere/lasciapassare erano firmate da Sigismondo re d’Ungheria e imperatore del Sacro Romano Impero, dal papa o da altri grandi. Alcune forse erano vere, molte altre false. Risultato: molte città fecero cospicue donazioni ai sedicenti “egiziani”, che non erano altro che i rom. Erano veramente in pellegrinaggio o si fingevano furbescamente tali per soggiornare comodamente nei vari luoghi a sbafo? Ma un pellegrinaggio credibile non poteva durare in eterno. Si diffusero così bandi per cacciare i rom. Il 18 luglio del 1422 le cronache bolognesi riferiscono dell’arrivo in città di un gruppo di zingari al seguito del duca Andrea proveniente dal Piccolo Egitto. Il duca Andrea soggiorna a Bologna per quindici giorni e dice di essere diretto a Roma da papa Martino V. Le cronache raccontano che potevano essere un centinaio di persone. Avevano il salvacondotto del re d’Ungheria Sigismondo, che dava a loro la facoltà di poter rubare liberamente. Le zingare andavano per botteghe e se ne andavano con le lunghe sottane piene di roba rubata, erano indovine e intanto che leggevano la ventura portavano via le borse… onde fecero un gran rubare in Bologna… Costoro erano dei più fini ladri che fossero al mondo. Fu data licenza a quei ch’erano rubati che potessero rubar insino alla quantità del loro denaro, sicché furonvi alcuni uomini che andarono insieme una notte ed entrati in stalla dove erano alquanti loro cavalli, gliene tolsero uno il più bello. Coloro, volendo il cavallo, convennero di restituire ai nostri di molte robe. Così, vedendo di non poter più rubare, andarono verso Roma. Nota che questa era la più brutta genia, che mai fosse in queste parti. Erano magri e negri e mangiavano come porci. Le femmine loro andavano in camicia, e portavano una schiavina ad armacollo, e le anella alle orecchie con molto velame in testa. Andarono a Roma, ebbero udienza dal Pontefice, non si sa? Furono accolti inizialmente con simpatia, onori e privilegi: esenzione dei tributi di frontiera, crediti e donazioni in metallo e il permesso di esercitare la giustizia nelle loro questioni; ma poi passati più volte i 7 anni del loro ipotetico pellegrinaggio, la conflittualità fra le popolazioni locali e gli zingari crebbe fino a che vennero emesse leggi e ordinanze per metterli al bando, fino ad espellerli. Il primo a volerli cacciare fu Ludovico il Moro: nel 1473 stabilisce che gli zingari vengano allontanati dal territorio del ducato di Milano, pena la morte. Nel 1492 la Corte spagnola emanò il primo bando di espulsione dei rom; a cui si accodarono Francia, Regno di Napoli e Stato Pontificio. Il concetto di povertà, col protestantesimo religioso cambia: la povertà da virtù evangelica diviene colpa, mentre l’operosità, la ricchezza e il benessere una qualità per cui il ricco passa agevolmente dalla cruna dell’ago. Cosa fare degli zingari girovaghi e con scarsa dedizione al lavoro? In tutti gli Stati italiani  tra il XVI e il XVII secolo vennero emanate molte ordinanze contro gli zingari, i decreti furono appoggiati anche dalla Chiesa, ma come sempre accade da quest’ultima si alzarono voci in difesa, come quella di San Filippo Neri”.

“Tu stai sempre a difendere la Chiesa”.

“È la forza della Chiesa, quando il peso del potere diventa micidiale ecco che si alzano le voci di nuovi Santi che la purificano, vuoi sentire un aneddoto su San Filippo e gli zingari”.

“Ma sì, dai, Filippo Neri, piace anche a me, per la sua generosità verso tutti e per la sua allegria”.  

Pippo bono, lo chiamavano e anche “buffone di Dio”, a volte è rappresentato col grembiulone intento a offrire da mangiare a tutti. Ma era anche molto tosto. Dunque anche a Roma, c’erano ordinanze contro gli zingari, tra le pene anche la fustigazione. Nella città si stava preparando la spedizione che avrebbe portato la vittoria di Lepanto nel 1571, si stavano così reclutando persone per le navi e gli equipaggi e si pensò bene di prendere forzatamente gli zingari per metterli a remare. Le mogli, i figli, i vecchi, che per ovvi motivi non furono presi cominciarono a girare per la città chiedendo aiuto fino a commuovere il popolo. Si organizzò autonomamente una protesta generale e San Filippo si pose fra i protestanti, la loro azione ebbe successo e gli zingari furono liberati.  Se in Italia funzionava così in Spagna, nel Seicento, per gli zingari si tenta la strategia dell’assimilazione culturale e dell’obbligo dell’istruzione. Nel XVIII secolo un altro tentativo di assimilazione forzata: nell’impero austroungarico, si tentò di integrarli, si bandirono tutti i loro usi e le loro tradizioni, fu proibito il nomadismo, il commercio di cavalli, la musica, la lingua e lo stesso loro nome, non più zingari ma “nuovi magiari” (nuovi contadini); i loro figli più piccoli vennero sottratti per essere allevati dallo Stato. In Russia nel 1956, Krusciov emanò un decreto che vietava il nomadismo e condannava a cinque anni di lavori forzati chi non si fosse adeguato. Provvedimenti simili seguirono negli altri paesi comunisti. Come ben sai Rico, anche in Italia si è tentato coi cosiddetti campi di integrarli, ma i risultati se sono arrivati ancora non si vedono”.

“Ma quanti libri ti sei letta sugli zingari?”

“In realtà solo un paio, oltre a dispense pubblicate da operatori sociali che frequentano i loro campi, è in Internet che ho trovato tesi di laurea e zingari assai istruiti che tengono in particolar modo alla loro cultura e che hanno creato siti molto ben fatti ed esaustivi. Sai che la cultura rom non ha la scrittura, la loro tradizione si fonda sul racconto orale e forse è anche per questo che sono più vicini agli antichi, sai che ti dico Rico? Uno scambio culturale alla pari farebbe forse più bene a noi che a loro, rom significa uomo e ci aggiungo un aggettivo uomo libero che è una gran bella cosa”.

“Lyuba, questo viale non finisce mai, e tu hai finito sugli zingari?”

“No, non ho finito, parlando con te, mi ritorna la memoria su quello che ho letto, una cosa tira l’altra e così vorrei parlarti degli artisti che tanto si sono ispirati al mondo gitano e soprattutto alla zingara dai lunghi capelli neri, indomabile e affascinante”.

“Prendi questa mano, zingara, leggi pure che destino avrò. Dimmi che mi ama, dammi la speranza, solo questo conta ormai per me… perché non rompi il voto di castità?  

Prendi questa mano, zingara dimmi pure che futuro avrò. Ora che il vento porta in giro le foglie e la pioggia fa fumare i falò… se non la smetti di fare il marpione non racconto più nulla.”

“Obbiettivo raggiunto ah ah ah, sto scherzando continua”.

 

 

 

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