venerdì 11 giugno 2010

MI PIACEREBBE TANTO CONOSCERE I PIRAHA

Controversa è l’ ipotesi secondo cui la lingua parlata influenza le nostre capacità cognitive

Controversa è l’ ipotesi secondo cui la lingua parlata influenza le nostre capacità cognitive.

Una ricerca di Peter Gordon psicologo della Columbia University di NY, ha condotto sulla popolazione amazzonica dei Piraha sembra però confermarla.

I Piraha non hanno parole per indicare numeri superiori al 2 ( per il numeri dal 3 in poi usano la parola “tanti ).

Messi di fronte al compito di appaiare gruppi con più di 3 oggetti in base al loro numero, non erano in grado di farlo, né erano in grado di imitare gesti che prevedevanola ripetizione di un movimento ( per esempio battere il piede per terra) per più di tre volte.


I Piraha,popolazione dell' Amazzonia di circa trecento individui distribuiti su otto villaggi lungo le sponde del fiume Maici.

La loro lingua, che riprende il nome della popolazione, è di difficile comprensione. Complicata perché una parola ricopre più significati.

È composta da 7 consonanti e 3 vocali e può essere oltre che parlata, anche fischiata dai cacciatori della giungla.

Inoltre si conta solo fino a 2; per quantità maggiori si utilizza un concetto simile a "molti".

Avrebbero una sola parola per padre e madre, nessuna possibilità di esprimere una frase che contiene una frase subordinata. La lista di queste radicali povertà linguistiche è lunga. I Piraha adulti sono strettamente monolingui e incapaci di apprendere qualsiasi altra lingua. Ma c' è ben di più. I Piraha non si curano di tracciare relazioni di parentela oltre quella con i propri fratelli e fratellastri, non hanno alcuna concezione che il mondo sia esistito prima che fossero nati i più anziani del villaggio, che una piroga e i suoi occupanti continuano ad esistere anche dopo aver svoltato la curva del fiume, sparendo dalla vista.


10 commenti:

Paolo Pascucci ha detto...

Ahahahaha, stanca delle nostre possibilità cognitive? E del resto è un obbligo, mica puoi non alfabetizzare tuo figlio, se continua a vivere nel nostro mondo.
Dovresti scegliere di andartene, ma forse poi i Piraha non è detto che ti accetterebbero.

Gaetano Barbella ha detto...

In relazione alle ricerche delle psicologo Peter Gordon del post, è interessante la disquisizione prodotta sul sito Polesine e dintorni. Riporto la prima parte che è questa, poi a chi interessa il seguito il link è questo.

Quadrare il cerchio o arrotondare il matematico?

Riflessioni di uno scrittore sul complotto dei numeri. Se i limiti del nostro linguaggio coincidono con i limiti del nostro mondo, cosa succede quando pretendiamo di fare a meno della matematica? Viene da chiederselo leggendo, sull'ultimo «Science», la ricerca dello psicologo cognitivo Peter Gordon condotta insieme al linguista Daniel Everett tra gli indios Piraha. Li distingue il fatto che non conoscono i numeri, e nessuno è mai riuscito a insegnare loro a contare.

Secondo un vecchio adagio molto in voga tra i fisici è più facile far quadrare un cerchio che arrotondare un matematico. Tradotto in altri termini: ragionare o anche semplicemente conversare con chi ha sempre la testa tra i numeri spesso si rivela un'impresa faticosa, esasperante, se non del tutto impossibile. Ne sa qualcosa il povero Diderot che dovette subire lo smacco di una dimostrazione matematica dell'esistenza di Dio. Il noto ateo francese si trovava a San Pietroburgo seminando scetticismo tra i cortigiani di Caterina la Grande. Alquanto infastidita da una simile mancanza di fede, Caterina si rivolse al matematico svizzero Eluero, suo protetto, affinché trovasse il modo di zittire il filosofo una volta per tutte. Ebbene, leggenda vuole che al cospetto della corte riunita il matematico si sia così rivolto a Diderot: «Signore, (a + bn)/n = x, dunque Dio esiste; risponda». Sempre stando a quanto si dice, Diderot si ritirò dalla disputa con la coda tra le gambe.

Una conoscenza illusoria?

È piuttosto legittimo nutrire dubbi sulla veridicità dell'aneddoto visto che a raccontarlo è stato proprio un matematico, l'inglese Augustus De Morgan, nel 1872. Certo è che Diderot non nutriva grande simpatia per i numeri. Forse non si spingeva al punto di negarne l'esistenza come faceva con Dio, ma li considerava comunque una forma di conoscenza illusoria di cui diffidare. Eppure, un mondo senza la matematica sarebbe impensabile. Chi mai può negare l'utilità dei numeri? Saper far di conto, come si diceva un tempo, è un'abilità indispensabile per qualunque individuo. La stessa Caterina non finanziava gli studi di Eluero per mere ragioni teologiche. Le interessavano i numeri in quanto indispensabili per la costruzioni di navi, la balistica, l'idraulica e mille altre applicazioni affatto concrete. Napoleone pensava più o meno alle stesse queste cose quando dichiarò che «il progresso e il perfezionamento della matematica sono intimamente connessi alla prosperità dello stato». Nel 1794 un rappresentante regionale del suo governo rivoluzionario auspicò perfino che si tenessero corsi di «aritmetica rivoluzionaria».

I potenti non hanno mai smesso di tenere d'occhio il lavoro dei matematici per trarne vantaggi. Anche nel XX secolo ci sono stati casi eclatanti, come quello di John von Neumann che all'indomani del secondo conflitto mondiale venne ingaggiato dalla Rand Corporation per elaborare le strategie della guerra fredda. Ma Diderot non aveva torto su tutta la linea. La sua allergia per i numeri derivava dal fatto che la matematica riesce a rappresentare il mondo con tanta precisione malgrado sembri non farne parte. Un aspetto ambiguo che pure i matematici non mancano di sottolineare.

Segue...

Gaetano

Paola Tassinari ha detto...

Caro Paolo,
hai fatto centro,mi chiedo cosa serva tutta la nostra complessività, è un po' come se si smettesse di mangiare carne...cesserebbero gli allevamenti e diminuirebbero gli animali.
Forse sono un po' drastica.
Buona domenica.

Paola Tassinari ha detto...

Caro Gaetano,
io coi Piraha volevo evadere dal mondo, tu mi ci riporti con la matematica.
La particella di Dio o "il caso iniziale" che stanno cercando in Svizzera si rivelerà e dimostrerà con la matematica, io ne sono convinta, prima o poi la matematica riuscirà a dimostrare il tutto,chissà se riuscirà a toglierci quel malessere esistenziale che ci accompagna nel nostro sviluppo tecnologico?
Questo anelito ad una vita semplice ( è solo nel mondo del desiderio)nasce dal peso della vita complessa di oggi che paradossalmente è simile all' allevamento intensivo degli animali... sì perchè le regole che ci permettono di vivere nel nostro mondo complesso ci tengono chiusi in gabbie di cemento affollate.
Buona domenica.
Ciao gaetano.

pulvigiu ha detto...

Una tribù con una lingua
di poche parole,
credo che questo significa
che hanno una buona intesa
fra loro, del resto noi
ci perdiamo sempre in chiacchere.

^___^

Buona domenica da Giuseppe.

Paola Tassinari ha detto...

Ciao Giuseppe e buona domenica anche a te.
Noi abbiamo tante parole e studiamo il significato di ogni singola parola ma...dal dire al fare c'è di mezzo il mare.

pulvigiu ha detto...

Hai fatto benissimo, la tua
partecipazione alla petizione
All'educazione per tutti e appello ai leader del mondo per garantire un'educazione a 72 milioni di bambini entro il 2015

Ciao e grazie.

pierperrone ha detto...

Che dire di un popolo che ha scelto di vivere secondo lo stato di natura più puro?
La purezza, in questo caso, ha il significato di essere quanto più vicini è possibile alle cose che la Grande Madre ha donato ai Piraha.
Alberi, uccelli, frutti, piroghe, uomini...
Perchè contarli e perchè dare un nome a ciascuno di questi doni ? Doni unici per il loro unico significato, che è quello di essere, esistere, vivere...

Le altre, le nostre, sono solo "elucubrazioni".
Chissà i Piraha come chiamerebbero tutte queste inutili "sovrastrutture" del pensiero.
Forse non si degnerebbero proprio di dare un nome a queste inutili fatiche della mente.

I Piraha sembrerebbero, per come sono descritti, qualcosa di più simile ad animali che a uomini.
Perchè, poi, un dubbio mi viene, cara Paola: ma attraverso cosa facciamo quella distinzione?
Se ci fermiamo all'aspetto puramente biologico, alla conformazione fisica e limitiamo le facoltà cerebrali al controllo dell'isntualità o all'uso di qualche oggetto per i fini pratici della sopravvivenza, allora quella popolazione è solo una specie di scimmie "mutanti".

Senza saltare nella metafisica, che ci porterebbe verso realtà ultraterrene ed ultraumane inconcepibili per i Piraha, la loro appartenenza al genere umano deve essere approfondito: la visione che limita a così esili differenze il "salto" fra uomo e bestia dovrebbe includere - azzardo - anche la sfera dei sentimenti, degli affetti, dell'organizzazione sociale.

E se poi, alla fine, anche lì trovassimo relazioni e legami così tenui da rasentare "l'animalità" ?
Non oso rispondere.
Lascio aperta la domanda.

Un abbraccio
(buona domenica fatta)

Paola Tassinari ha detto...

Grazie di avermelo detto Giuseppe, io con internet vado più con l' intuito che col saper fare.
Ciao.

Paola Tassinari ha detto...

Caro Piero,
gli antropologi ci hanno già svelato che esistono relazioni e legami anche nelle società più primitive, esiste un sapere "farmacologico" dato dalla conoscenza delle erbe ad esempio o passaggi e riti nei momenti peculiari della vita.Tutta la nostra complessività e perfino tutta la tecnologia e l' arte di cui tanto andiamo fieri è questo che ci svela il senso della vita?
A volte mi viene da dire: ...fermate il mondo voglio scendere...ah quindici giorni ospite dei Piraha non sarebbero male.
Ciao Piero.