Era stesa a terra, inerme, senza
ribellione, col corpo a peso morto, quattro donne la tenevano, più
un corpulento uomo che le cingeva le caviglie, con le sue grandi
mani, che erano come morse d'acciaio, e che le facevano molto male.
Si era rifiutata di prendere dei medicinali, da cui si era
disintossicata con molta fatica, sapeva che le facevano molto male,
che il suo sangue era saturo di questo farmaco e loro le avevano
fatto un TSO. Ma loro, loro chi? Non sapeva come e quando fosse
finita lì, nel Servizio Psichiatrico, non sapeva chi fosse stato a
mettere in moto quel demonio che è il TSO (Trattamento Sanitario
Obbligatorio) forse come al solito i parenti/serpenti? Che paradosso
lei si era sempre battuta per un idilliaco amore universale, aveva
subito le più ignominiose offese senza controbattere, cercava sempre
il punto d’incontro, non giudicava, accettava tutto e tutti eppure
Il TSO era lì davanti a lei, firmato da un’assessora. Forse il
sindaco non c’era, forse se il sindaco avesse letto il suo nome,
non avrebbe firmato quel foglio che gettava tutta la sua persona
nella spazzatura. Lei aveva fatto molto per la sua città, per
Ravenna, senza nessun secondo fine o tornaconto, solo per amore della
città. Calde lacrime rabbiose scesero sulle gote di Marla, contro al
sindaco e all’assessora, come era possibile che dei politici
potessero decidere se uno era bisognoso di cure o no? Che erano dei
medici? Degli psichiatri? Dio mio, Mio Dio, non mi abbandonare ti
prego, fortuna che Tu ci sei sempre e nel momento del bisogno mi
sorreggi. Marla, fu costretta a prendere quella capsula blu che
odiava, la mandò giù con rabbia e docilmente si lasciò condurre
verso una stanza, le diedero il letto numero otto, Marla si disse, sì
otto e me ne fotto!
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