In quel teatro dell’assurdo dove si
trovava, Marla iniziò a lasciar perdere il suo riserbo, la sua
dignità, forse i suoi neuroni a specchio mutuavano i comportamenti
delle infermiere e delle dottoresse, che a colpi di minigonne e calze
a rete civettavano coi degenti. Iniziò a civettare pure lei, in gara
con le infermiere e le dottoresse, in realtà era ben consapevole di
ciò che faceva, in quanto non prendeva i farmaci, voleva solo vedere
fino a che punto sarebbe giunta questa crudele e assurda pantomina,
perché non poteva essere realtà questa, non poteva proprio. I suoi
filarini, ne aveva collezionato ben tre, inizialmente le
fecero proposte di sesso, poi si innamorarono un poco di lei. Marla
capì che non era un gioco, quando un compagno le disse che si era
già fatto, la paziente della camera dopo la sua, e stava
tentando ora con la dottoressa bionda, secondo lui già pronta a
cadere come una pera cotta; in più quel via vai di uomini in slip,
che la mattina arrivavano nella sua camera, forse per sbaglio, perché
non c’era porta o forse intenzionalmente, l’avevano esausta. Nel
bel mezzo di questo casino o porcilaia, come lo chiamava Marla, un
tonfo, una bomba, Xia, un paziente, di cui Marla, si stava prendendo
cura come un figlio, diede un calcio tremendo alla porta, spaccandola
tutta. Marla cambiò quindi strategia, e decise che se il personale
medico e paramedico erano dei pazzoidi, le regole le avrebbe date
lei.
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